Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: MissJB2501    31/08/2016    2 recensioni
"Ci ripetono che l'amore è il sentimento più forte e puro che un essere umano possa provare in tutta la sua esistenza. Non ci credevo, o almeno è quello che mi imponevo di credere. Dopo le mie storielle da quattro soldi ero arrivata a pensare che forse non avrei mai provato amore per qualcuno, che non avrei provato tutte quelle sensazioni che erano scritte nei libri. Adesso posso garantire che mi sbagliavo perchè l'amore, quello vero, è anche meglio di come viene descritto , va oltre l'immaginario. Ma dobbiamo anche ricordare che l'amore è sofferenza e che amare vuol dire distruggere e che essere amati vuol dire essere distrutti."
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeremy Bieber, Justin Bieber, Nuovo personaggio, Pattie Malette
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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-POV LIV-

Mia madre mi paragonava spesso all'autunno e all'inverno, diceva che mi assomigliavano molto. Erano vuote e gelide proprio come me in quel periodo. Ero uscita presto quel venerdì mattina, l'aria era fredda e volevo disperatamente sentire il naso arrossarsi e le guance gelarsi solo per distogliere la mente dal dolore al cuore. Era l'alba. Mentre camminavo lungo il marciapiede a due isolati da casa mia, pensavo. Pensavo a tutto quello che c'era stato e a quello che doveva venire, e mi chiedevo che cosa sarebbe successo dopo quel fine settimana. Avevo la pelle d'oca e sentì rizzarsi i capelli all'attaccatura. Non c'era nessuno per quelle strade, ed era molto strano. Il cielo era plumbeo e trasmetteva una tristezza infinita. Mi morsi un labbro e mi costrinsi a non pensare alle cose tristi, a non pensare a Justin e al suo bacio nostalgico e a quanto mi mancasse. Attraversai la strada proprio nel momento in cui una macchina stava arrivando. Avanzai il passo ma mi fermai quando rallentò bloccandomisi davanti. Corrucciai la fronte. Il conducente scese dall'autovettura e mi si avvicinò a passo spedito. Era più alto di me e molto muscoloso, indietreggiai confusa. L'uomo mi prese per un braccio e mi trascinò con se, urlai.

"Che cosa fai?Lasciami." sbottai con la paura visibile negli occhi. "Lasciami." ripetei cercando di liberare il mio braccio.

"Sta zitta e non farmi innervosire" mi tappò la bocca con una mano e mi prese in braccio di peso. Scalciai per divincolarmi, per liberarmi. Gli occhi mi pizzicavano e avevo il cuore a mille. Aprì lo sportello della macchina e mi lasciò cadere sui sedili posteriori. Aveva un viso anonimo, e se lo avessi visto per strada in un qualsiasi giorno, non lo avrei mai ricordato.

"Dove mi stai portando? Che cosa vuoi da me?" urlai dando dei pugni contro il finestrino dell'auto. In un modo o nell'altro sarei morta, era quello il mio destino.

"Io non voglio assolutamente niente da te, sto solo eseguendo gli ordini del capo." sbattei velocemente gli occhi e scacciai via le lacrime. C'era solo un capo che voleva farmi fuori, e quello era Brenton.

"Mi stai portando da Brenton?" la voce mi uscì incerta, insicura e mi maledissi per la mia fragilità. Mi guardò dallo specchietto retrovisore e mi fece un sorriso accennato.

"Proprio così." sospirai cercando di calmarmi e sentì le sicure della macchina scattare, ero in trappola. Poggiai la testa al sedile e chiusi gli occhi, presi un bel respiro e cercai di mettere in ordine i pensieri, perchè se non lo avessi fatto subito, mi sarei fatta prendere dal panico e non lo avrei fatto più. Se mi stava portando da Brenton, mi stava portando da Justin. Loro dovevano incontrarsi e quindi sarei stata nello stesso posto. Ipotizzai che se mi fossi comportata bene e avessi giocato bene le mie carte, forse mi sarei riuscita a liberare per correre dal mio fidanzato. Per tutto il tragitto non parlai, e mi sembrò che fosse durato delle ore. Ci trovammo in uno spazio vuoto e completamente a cielo aperto, la macchina si fermo e l'uomo spense il motore. Scese dalla macchina e venne ad aprirmi la portiera. Con la mano stretta intorno al mio braccio mi portò in una struttura abbandonata e sporca. C'erano diversi ragazzi all'esterno con delle pistole nelle cinture scure e dei coltelletti nelle tasche dei pantaloni. Deglutì a fatica quando un ragazzo di quelli diede il cambio all'uomo. Il ragazzo mi portò in una stanza spoglia e maleodorante. Tossì.

"Spogliati." mi ordinò con uno sguardo duro. Spalancai gli occhi scioccata.

"N-no." balbettai

"Ho detto spogliati." urlò. Mi vidi costretta a fare come mi diceva, e strato dopo strato sentì il freddo entrarmi fin dentro le ossa. "Basta così"  mi fermò quando restai solo con la canotta e le mutandine. Si avvicinò e mi legò le mani con una corda che mi graffiò i polsi

"Questo è estremo" mormorai già stremata. Non volevo morire senza prima aver aiutato Justin, non volevo morire e basta.

"Shh." mi fece inginocchiare a terra e legò le corde ad alcune tubature presenti in quella stanza. Il cemento mi graffiò le ginocchia. Mi mancava il respiro e la puzza di muffa mi dava il voltastomaco. Alzai gli occhi al soffitto boccheggiando, volevo respirare aria pulita.

"Mi dispiace, ma non è un albergo a cinque stelle" mi strinse entrambe le guance per farmi aprire la bocca e trattenni un urlo di dolore.

"Che cos..." mi infilò in bocca una bandana che mi soffocò. Sentivo la stoffa fino alla gola e mi impediva di parlare.

"Sta buona qui." il ragazzo mi diede dei colpetti sulla testa e mi lasciò da sola, al freddo e con la paura che mi premeva sulle spalle e mi appannava gli occhi. Strattonai le corde per allentarle e gemetti quando quelle mi graffiarono ancora di più. Non potevo alzarmi e avevo i conati di vomito. Sentì il viso bagnato e mi resi conto di star piangendo. Avevo cercato di resistere, ma non c'ero riuscita. Era troppo umiliante e doloroso per me, non avrei retto a lungo. Speravo che finisse al più presto quell'incubo infinito.

"Liv." mi chiamò qualcuno. Mi voltai per quanto possibile verso la voce. Brenton era in piedi e rideva. Urlai dalla rabbia, ma il suono mi uscì smorzato e mi sembrò che non mi appartenesse, come se fosse di qualcun'altro.

"Ti stai facendo del male da sola, questi sono degli sforzi inutili perchè non potrai liberarti tanto facilmente." Brenton si chinò davanti a me e tolse la bandana dalla mia bocca

"Perchè mi hai fatto portare qui?" aveva l'aspetto strafottente di sempre e la sua solita arroganza. "Voglio tornare a casa." non lo stavo pregando, la mia voce era nervosa

"Se non fossi così cattivo e non volessi vedere le persone soffrire a causa dei miei giochetti, ti lascerei andare" prese una ciocca dei miei capelli. "Mi piacciono i tuoi capelli, sono sempre morbidi" parve assentarsi per qualche momento, poi lasciò cadere la ciocca sulla spalla. "Non voglio farti del male, ma solo causarti un pochino di dolore." rise e si alzò. La rabbia prese il sopravvento.

"Sei una persona schifosa, e spero con tutto il cuore che tu faccia una brutta e lenta morte." sputai con cattiveria. Non era da me augurare la morte alle persone, ma ne avevo abbastanza delle prepotenze e delle sofferenze che mi venivano inflitte da tempo da Brenton. Ero arrivata al limite della sopportazione.

"Attenta" mi avvertì serio. "Non devi permetterti di dire nulla, sei solo il mio cagnolino adesso, e i cagnolini obbediscono." strinse ancora di più le corde che avevo ai polsi. Cercai di colpirgli il ginocchio con un calcio, ma avevo poca forza. "Non capisci mai, Liv" mi tirò uno schiaffo sulla guancia che mi fece girare la testa. Sentì qualcosa colarmi dal naso, forse sangue. Lasciai che gli occhi si chiudessero, speravo che vedendomi senza forze se ne sarebbe andato. Recitai la mia parte e funzionò. Quando sparì dalla mia vista il dolore alla guancia si era alleviato, ma non mi mossi. Restai con gli occhi chiusi, e forse mi addormentai.

xxx

Il motore di una macchina mi svegliò. Aprì gli occhi e portai istintivamente una mano alla testa dolente, ma non potevo. Ero ancora incatenata a quella tubatura, ed ero ancora in quella stanza fredda. Sentivo qualcosa sopra le labbra, qualcosa di secco. Le leccai e il sapore metallico del sangue mi fece trasalire. Ripensai a mia madre e a quanto ne vedesse ogni giorno a lavoro, a quante ferite curasse e mi si strinse il cuore. Mamma. Che cosa avrebbe detto se mi avesse vista in quel momento? Sii coraggiosa? Può darsi. Dovevo essere coraggiosa per forza, altrimenti non avrei vissuto a lungo in quel posto. Dalla finestra sopra la mia testa si sentivano dei rumori. Fuori stava avvenendo qualcosa che non potevo vedere. Strisciai sul sedere e sentì la pelle graffiarsi, faceva male il cemento duro. Piegai le ginocchia e avvicinai il viso alla corda. Con i denti cercai di sciogliere il nodo, ma era impossibile. Urlai di frustrazione, era una tortura essere impotente. Tentai all'infinito fin quando le mascelle non cominciarono ad indolenzirsi e mi sentì più stanca di prima, meno forte. Dei passi mi fecero voltare la testa, qualcuno stava arrivando a controllarmi. Deglutì e presi un bel respiro quando i passi di quella persona si fecero più vicini, che cosa sarebbe successo?

"Oddio, Liv!" esclamò Mason quando mi vide. Cacciai via il respiro che avevo trattenuto e tentai di calmare il battito del mio cuore. Mason mi si avvicinò. "Mi hanno mandato a controllare qualcuno in questa stanza, ma non credevo che fossi tu. Maledetto." cominciò a sciogliere i nodi e cercai di mettermi a sedere più ritta possible.

"Qualcuno mi ha rapito stamattina e mi ha portato qui dentro. Ho tentato di liberarmi, ma non ci sono riuscita" mormorai a voce bassa, avevo paura che Brenton sentisse.

"Hai del sangue, ti ha fatto del male?" scossi la testa e chiesi:"Justin è a-arrivato?"  la mia voce balbettò per un istante

"Si" disse liberandomi un polso. "E' tardi ormai" la corda aveva inciso nella carne, e adesso il colore era rosso vivo. Sbarrai gli occhi e trattenni un conato di vomito. "E' dall'altra parte del campo con i suoi uomini" quando anche l'altro polso fu libero, Mason mi aiutò a rimettermi in piedi.

"Che cosa vuol dire che è con i suoi uomini?" la resa dei conti era vicina. Lo capivo dallo sguardo di Mason, dal fatto che fosse spaventato tanto quanto me anche se non lo avrebbe ammesso nemmeno tra cent'anni. Mi guardò, ma non lo fece realmente.

"Vuol dire che ha delle persone che gli guarderanno le spalle... ma non sono molte" la voce gli si abbassò e mi porse la sua giacca. "Fuori fa abbastanza freddo per uscire così" non avevo nemmeno la forza di arrossire. Ero in mutande davanti alla persona che avevo disprezzato per tanto tempo e che adesso mi sembrava amica, ma non mi importava quello che era stato. Mi aveva aiutato e questo era la cosa più gentile che potesse fare per ripagare tutte le azioni cattive che aveva compiuto nei miei confronti. Era perdonato. Mi ritornarono in mente le parole che Rob disse una sera a cena:"Ho incontrato un vecchio amico stamattina a lavoro, era stato il bullo che mi aveva preso di mira al liceo. Era ferito ad una spalla perchè era caduto sostituendo una lampadina fuori uso nella stanza di suo figlio. Non mi ha ne parlato ne mai guardato per tutto il tempo della fasciatura, e ho pensato che toccasse a me dire qualcosa. Gli ho detto semplicemente che non avevo dimenticato quello che mi aveva fatto, ma che mi aveva reso più forte e sicuro, mi aveva dato la forza di battermi contro chi non mi rispettava solo perchè non c'ero ruscito con lui. Era perdonato." tirai su col naso. Probabilmente non lo avrei più rivisto, e non avrei nemmeno più rivisto la mamma o nascere il bambino. Non avrei più rivisto nessuno. Scossi la testa imponendomi di non pensare a niente o sarei crollata a piangere come una bambina.

"Grazie" dissi riferendomi all'aiuto di Mason

"Devi combattere, Liv" mi mise una mano sulla spalla e la strinse. "Prendi questa" mi porse una pistola che cacciò dalla cintura. "Questa" indicò l'arma con un cenno del capo.  "ti aiuterà una volta uscita da questa stanza. Il territorio è circondato da persone armate e la tua pistola è carica. Non devi avere paura di sparare a qualcuno che vuole farti del male, perchè o muori tu o muore lui" la pistola era sospesa tra di noi. Allungai un braccio, incerta. L'afferrai titubante e la trovai più pesante di quanto avessi mai immaginato. "Sta attenta a come l'userai, prendi la mira e si davvero sicura prima di premere il grilletto. Io sarò pronto a proteggerti." annuì e nascosi la pistola nella tasca del giubbotto. "Vieni, la lotta dovrebbe cominciare a momenti" mi prese la mano e uscimmo dalla stanza abbandonata, dove fino a poco prima ero legata. Mason controllò ogni angolo prima di portarmi con se, era prudente. L'edificio sembrava vuoto.

"Non c'è nessuno" constatai lasciando la sua mano

"Sono tutti radunati fuori, qui non corri pericoli" corsi accanto ad una finestra e ci guardai. Mason aveva ragione, erano tutti radunati fuori, era buio. Per la prima volta mi chiesi quanto tempo ero rimasta prigioniera, ma scacciai quel pensiero velocemente. Alcuni uomini erano a guardia dell'edificio esterno e Brenton con tutti gli altri ragazzi che avevo visto quando ero arrivata, erano schierati, gli uni accanto agli altri. Avevo la fronte madida di sudore, ma non avevo caldo. Se Brenton si era schierato, voleva dire che c'era qualcuno di fronte: Justin. Mi sporsi e strinsi gli occhi per cercare di vederlo, ma non ci riuscì.

"Liv resta al sicuro, fuori è troppo pericoloso per te" stringeva una pistola che non gli avevo visto prima

"Io devo tentare" dissi per la prima volta con la voce sicura. Pensare che Justin fosse lì mi diede una strana energia, una scarica di adrenalina che mi pervase. Mason annuì senza imporsi alla mia decisione e lo seguì fuori. Mi nascosi dietro l'entrata a differenza di lui che uscì senza problemi facendo parte del gruppo, ma non era semplice per me, io ero il nemico. Misi una mano sul cuore quando sentì i primi spari. Strinsi i denti quando delle urla si aggiunsero alla confusione che riuscivo a udire, e il presentimento che quelle urla provenissero dalla bocca di Justin mi fece lanciare fuori all'edificio. Strabuzzai gli occhi quando vidi dei ragazzi a terra senza vita, era cominciato tutto da pochissimo tempo e già qualcuno era morto.

"Liv abbassati" urlò Mason. Mi abbassai coprendomi le orecchie e sentì un tonfo dietro di me. Mi voltai e vidi l'uomo che prima era di guardia a terra, non respirava più. Restai a guardarlo respirando a fatica fin quando Mason non mi prese per un braccio. "Che cosa fai lì impalata. Va dietro a quella macchina" mi urlò. La sua voce sovrastò quella di alcuni spari e feci come mi disse. Corsi e mi accovacciai dietro all'auto bianca. Il freddo era pungente, e il giubbotto che mi aveva dato non mi proteggeva tanto. L'erba secca mi pungeva le caviglie e le gambe. Mi sporsi oltre la macchina e lo vidi. Justin stava combattendo corpo a corpo con un ragazzo e il mio cuore perse un battito. Era ferito alla fronte. Il ragazzo che lo stava colpendo era più alto di lui e lo sovrastava, non ero sicura che ce l'avrebbe fatta. Era giunto il mio momento. Presi un respiro e avanzai verso la sua direzione. Arrivai dietro un albero e mi ci nascosi. Justin non era molto distante. Cacciai la pistola dalla tasca e la strinsi saldamente tra le mani: dovevo agire. La portai davanti al viso e presi la mira anche se era difficile visto che si muoveva. Il momento giusto arrivò quando Justin lo bloccò alla gola. Il colpo partì dalla mia pistola, e per la forza con il quale il proiettile fu lanciato, caddi a terra battendo il sedere. Mi coprì il viso con le mani quando il tonfo che avevo sentito prima si rifece sentire. Il ragazzo era caduto, lo avevo colpito. Tolsi le mani e vidi Justin immobile; mi stava guardando con la bocca spalancata.

"Liv" la sua voce era un sussurro, quasi non la sentì. Si riparò dietro l'albero e lo raggiunsi alzandomi a fatica. "Che cosa ci fai..." non riusciva a parlare. Lo abbracciai stringendolo e addosso aveva un odore di metallo, ma infondo riuscivo a sentire quello di sempre, il suo profumo inconfondibile. Non riuscì a trattenere le lacrime ed esplosi come una fontana.

"Ho ucciso una persona, ho ucciso una persona" ripetei in preda al panico. Non me lo sarei mai perdonato, e non lo avrei mai dimenticato. Justin mi prese il viso tra le mani e me lo strinse

"Devi andartene, non puoi restare" scossi la testa asciugandomi le lacrime. Aveva del sangue anche sulle nocche delle mani.

"Non ti lascio" risposi quando un proiettile fu sparato nella nostra direzione. Justin mi strinse a se come a proteggermi

"Liv devi correre dall'altra parte del campo, lì c'è la mia macchina. Le chiavi sono sul cruscotto, devi accendere il motore e guidare il più lontano possibile" mi diede un bacio tra i capelli che teneva stretti nelle sue mani

"No, io non me ne vado" poggiai le mani sulle sue. Nell'oscurità i suoi occhi brillavano come mai prima di quel momento.

"Non so come tu sia arrivata in questo posto, ma ti giuro che se ti succede qualcosa io mi uccido" poggiò la fronte sulla mia e chiuse gli occhi. "Liv ti prego fa come ti ho detto" era implorante, ma non lo avrei ascoltato. Non potevo lasciarlo solo, non lo avrei mai fatto. Un colpo colpì l'albero sopra la nostra testa e ci fece staccare. Justin mi si parò davanti.

"I due piccioncini si sono riuniti" ci schernì Brenton a pochi passi da noi. "Troverò chi ti ha liberato, perchè dubito che tu l'abbia fatto da sola" mi puntò il dito contro furioso.

"La tenevi prigioniera?" quello di Justin fu un urlo di pura rabbia. Si avventò su di lui e gli lanciò una ginocchiata nella pancia. Brenton si piegò in due con un gemito. "Perchè? Lei non c'entra nulla, non c'è mai c'entrata nulla" gli tirò un calcio che Brenton schivò.

"Ti sbagli, è sempre stata al centro" un pungo colpì Justin sul naso

"Justin" gridai coprendomi la bocca. "Lascialo stare" cercai di mettermi tra di loro, invano. Era troppo buio, troppo scuro per vedere le cose chiaramente. I due cominciarono a picchiarsi e io ritornai a piangere. Con gli occhi appannati dalle lacrime cercai la pistola che prima mi era caduta sparando quel colpo e uccidendo quel ragazzo. Mi inginocchiai e tastai il terreno. Quando riuscì a trovarla la strinsi e mi alzai puntandola contro Brenton. "Fermati" ordinai con la mano che tremava. "Non avrò paura ad usarla" Justin mi guardò con un labbro spaccato e il sangue che gli scendeva dalla ferita che aveva sulla fronte. Il livido era già visibile sul suo naso. Brenton rise.

"Non sarà così semplice" disse Brenton cogliendo Justin di sorpresa. Aveva un braccio intorno alla sua gola e gli impediva di respirare. "Non hai il coraggio di spararmi" mi provocò divertito da quella situazione. Sentì il sangue confluire al cervello e le guance scaldarsi dalla rabbia. Il viso di Justin stava diventando viola, cercava ossigeno. Il mio dito scattò sul grilletto e il proiettile colpì la gamba di Brenton. Questa volta avevo tenuto i piedi ben saldi a terra ed ero riuscita a non cadere, avevo liberato Justin. Brenton cadde e si tenne la gamba urlando dal dolore.

"Justin" andai verso di lui. Il suo respiro era pesante quando mi abbracciò.

"Come avrei fatto senza di te" mi sussurrò all'orecchio dolcemente

"Andiamo via" lo pregai stringendo il suo braccio

"Non così in fretta" esclamò Brenton "Non prima che uno dei due sarà morto, nessuno se ne andrà" Justin strinse gli occhi e mi strappò la pistola di mano, dicendo:"Ci sto." si avvicinò al corpo del suo rivale e lo guardò dall'alto. Nei suoi occhi ardeva il fuoco e percepivo la sua voglia di spararlo. Puntò l'arma dritto alla testa di colui che odiava più di chiunque altro e scandì bene le parole. "Hai portato via il mio migliore amico ed è giunto il momento che tu dica addio alla terra" Brenton gli sorrise, ma il sorriso scomparve sostituito da una smorfia di dolore.

"Me ne vado io, se ne va lei." si sentirono due spari che partirono all'unisono, poi avvertì un dolore alla spalla. Mi irrigidì di colpo e abbassai lo sguardo verso la mia spalla e la toccai. Caddi in ginocchio quando le mie dita si colorarono di rosso. Mi aveva sparato, Brenton Foster mi aveva sparato e poi era morto.

"Liv no" urlò Justin gettando via la pistola e correndomi accanto. Il dolore era lancinante e mi sentivo spenta. Mi accasciai a terra non riuscendo a stare in ginocchio. Due braccia forti mi strinsero e mi sentì il viso bagnato, ma non erano le mie lacrime. Guardai Justin e gli sorrisi, era finita e aveva vinto. Stava piangendo a dirotto. "Guardami, Liv" mi incitò baciandomi la guancia. "Non ti addormentare" sentivo le palpebre pesanti, non riuscivo a tenere gli occhi aperti.

"Sei sempre stato abbastanza per me." sussurrai prima di chiudere gli occhi e abbandonarmi a qualcosa di sconosciuto ma piacevole.

   
 
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