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Autore: Summerbest    30/04/2009    3 recensioni
Basta! Non è necessario urlare! La sua testa pulsò come mai prima d’ora, sentiva il dolore atroce penetrarla. I suoi occhi eppure rimasero fissi nei suoi, sfidandoli ancora per l’ennesima volta. Credi di potermi cambiare? Ti sbagli, menti solo a te stesso.
“dammi la mano!”
ordinò violento, il polso stretto con forza. Altre lacrime che scendevano dai suoi occhi. Le rigavano l’innocente e dolce viso da ragazza, che tanto lo aveva incantato tempo fa. Ora non più, adesso basta, la mano si alzò veloce, puntava verso la guancia. Qualcosa, però, lo fermò, e lo fece cadere a terra, privo di conoscenza, che cosa ho fatto?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Salve!!! Ecco il primo capitolo della mia nuova fan fiction fantasy! Voglio avvertire che se vedrò che non piacerà molto la mia fan fic allora non la continuerò, perciò please lasciate qualche commento!
XOSummerbestXO


§ PROLOGO §



Basta! Non è necessario urlare! La sua testa pulsò come mai prima d’ora, sentiva il dolore atroce penetrarla. I suoi occhi eppure rimasero fissi nei suoi, sfidandoli ancora per l’ennesima volta. Credi di potermi cambiare? Ti sbagli, menti solo a te stesso.
“dammi la mano!”
ordinò violento, il polso stretto con forza. Altre lacrime che scendevano dai suoi occhi. Le rigavano l’innocente e dolce viso da ragazza, che tanto lo aveva incantato tempo fa. Ora non più, adesso basta, la mano si alzò veloce, puntava verso la guancia. Qualcosa, però, lo fermò, e lo fece cadere a terra, privo di conoscenza, che cosa ho fatto?


§ CAPITOLO 1 §

I Fantasmi Del Mio Passato



Cara Josephine,
so che quando leggerai questa lettera io non ci sarò più, so anche che molto probabilmente io sarò per te solo un brutto ricordo, non siamo mai andati molto d’accordo. Mi è sempre dispiaciuto litigare con te, dopotutto non siamo molto diversi, dev’essere questo il motivo principale delle nostre liti, volevamo avere ragione entrambi. Non far leggere questa lettera anche a tua madre ed a tuo padre, loro la brucerebbero come gli altri miei cimeli. Perciò, ti prego, tienila come ricordo. Sono solo poche righe, giusto per dirti che ti voglio bene, anche quando sembrava che volessi solo impedirti di vivere la tua vita, lo facevo per il tuo bene. Portami con te, nel tuo cuore, piccola, io starò sempre con te.
Il Tuo Caro Nonno Joseph Kyle Browning


Ripiegai la lettera con cura, prima di metterla al sicuro dentro la tasca dei jeans. Diedi un’occhiata intorno a me, tutti gli oggetti da portare via erano impacchettati, quelli che invece rimanevano qui erano stati coperti con dei teli. Sospirai prima di raccogliere da terra il mio zaino nero e mettermelo in spalla. Ancora un ultimo sguardo e poi chiusi la porta, lasciandomi alle spalle gli ultimi giorni dei mesi in cui credevo di aver finalmente dimenticato quello che si celava nella vecchia casa, la casa di Glasgow, quella in cui stiamo tornando per ricominciare tutto da dove era stato interrotto. Al pian terreno era rimasta ancora mia sorella Vanessa, che inutilmente tentava di trascinare fuori di casa la sua enorme borsa, contenente una profumeria intera. Alzò lo sguardo affaticata, incrociando il mio.
“non stare ferma lì! Aiutami!”
mi disse mollando di scatto il borsone, che toccò rumorosamente il pavimento in marmo. Sbuffando scocciata, la raggiunsi, con uno sforzo enorme riuscii ad alzarlo da terra, e, naturalmente senza l’aiuto di Vanessa, lo trascinai fuori di casa. Mia madre era già comodamente seduta nel sedile accanto al finestrino che ci guardava arrivare. Mio padre finiva di caricare gli ultimi borsoni, lo raggiunsi portando quello di Vanessa.
“sbaglio o è diventato più grande dall’ultima volta che l’avevo scaricato?”
domandò, io sorrisi e gli diedi una mano a farlo entrare nel portabagagli, missione quasi impossibile. Dopo qualche spinta ci riuscimmo, entrando anche noi in macchina. Fui costretta a sedermi accanto a mia sorella per tutto il viaggio, e mentre lei si limava per la dodicesima volta le unghie, io tirai fuori il mio I-Pod, ascoltando musica per tutto il viaggio. La mia storia parte da questo momento, precisamente da quando rimisi piede nella mia vecchia dimora a Glasgow. Era Gennaio, e quando aprii la portiera per scendere venni avvolta dal freddo tipico dell’inverno. La casa era esattamente come l’avevo lasciata, e così sembrava anche la città. Non era una vera e propria villa, però ci andava vicina, nessuna piscina (per il dispiacere di Vanessa), ma un’enorme biblioteca (per il mio piacere). Mio padre, Edwin Browning, era a capo dell’azienda omonima, la Browning Corporation, perciò i soldi non ci mancavano. Mia madre invece, Rosalie Mary Lovejoy, era un’arredatrice d’interni, e mia sorella l’aiutava nel lavoro. Io invece avevo 17 anni, penultimo anno al liceo classico Mayrose, non immaginate quanto lo detestavo. Era una scuola principalmente per ricconi, quindi trovare un amico vero in quel mucchio era come cercare un ago in un pagliaio. Anche se un amico di cui potevo fidarmi c’era, Josh. Lavorava nel supermercato dove di solito andavamo a fare la spesa, e tra uno scaffale e un altro avevamo fatto amicizia. Questo i miei non lo sapevano, a mio padre non interessava la mia vita sociale, ma mia madre, oddio ne avrebbe fatto un caso di stato. Per loro le uniche amiche che avevo erano Marilyn e Maggie, due figlie di papà che non sapevano nemmeno quanto faceva 2 più 2, ma che se si trattasse di conoscere gente saprebbero anche dirti anche a che ora il tuo vicino di casa si lava i denti. Parlavano con me solo per i miei soldi, e nonostante ogni volta dicessi loro espressamente che non le sopportavo, mi ridacchiavano in faccia e continuavano a starmi dietro. Mia sorella Vanessa, naturalmente, faceva parte di quel gruppo di gente senza cervello, solo che lei si interessava di più a gente di sesso maschile, piuttosto che a gente in generale.
“Josephine! Dai una mano a tuo padre!”
come al solito chi doveva scaricare tutto e portarlo in casa eravamo io e papà. Una volta messo piede dentro fu come fare ritorno a quei giorni vuoti del passato. Lasciai l’ultima scatola nell’atrio, e poi percossi le scale, quasi in uno stato di trance, fino a raggiungere la mia camera. Aprii la porta lentamente, uno scricchiolio e misi piede dentro. Incrinai leggermente le labbra in un sorriso alla vista del mio disegno di quando ero piccola ancora posto in bella vista nel comodino. Era coperto di polvere, vi soffiai sopra levandola via, e rimasi a vedere la mia famiglia disegnata con i pastelli. Lo misi nel cassetto, prima di posare lo zaino sul letto, ancora coperto dal telo bianco di quando l’avevo lasciato. Levai gli altri teli dall’armadio, dallo specchio e dal comò. Aprii lo zaino e ne estrassi alcuni miei oggetti, che riposi con cura nei loro appositi cassetti. Poi riscesi giù per prendere la borsa contenente i miei abiti, notai subito che il pian terreno era vuoto. Confusa chiamai prima mia madre, poi mio padre, ed anche mia sorella, nessuna risposta.
“ciao”
mi salutò una voce dietro le spalle, facendomi sobbalzare. Era Josh! Lo abbracciai sorridente.
“Josh! Da quanto tempo!”
mi sciolsi dall’abbraccio, rimanendo a fissarlo negli occhi, quasi come se fosse una visione, una bellissima visione.
“come facevi a sapere che sarei tornata oggi?!”
domandai stupita.
“ho un intuito speciale per queste cose... e poi ho visto la vostra macchina parcheggiata qui fuori”
scossi la testa dandomi della stupida, logico, aveva visto la macchina...
“noto con piacere che la casa non è cambiata”
mi mossi per la stanza, perlustrando curiosa la zona.
“la famiglia che vi ha abitato durante la vostra assenza è rimasta per soli due mesi..”
mi spiegò, seguendo il mio incedere per la casa. A quelle parole però lo guardai confusa.
“ma come.. una casa così bella e chiccosa come questa rimasta occupata per soli due mesi?”
domandai, imitando il tono altezzoso di mia madre. Josh rise raggiungendomi.
“se non hai troppa paura di narrerò il motivo..”
mi sussurrò, con tono di voce spettrale, risi indietreggiando.
“lo sai che non credo nei fantasmi vero?”
“in questo caso non si tratta di fantasmi, beh non proprio..”
continuò con voce bassa.
“allora di cosa si tratta?”
chiesi con lo stesso tono di voce, un po’ prendendolo in giro ed un po’ curiosa. Aveva tutta la mia attenzione in quell’istante.
“beh, tutto è...”
“Josh Peacock, che piacere”
fummo interrotti dalla voce smielata e falsa di mia sorella, che con il cellulare in mano ci fissava con sguardo truce. Josh era l’unico ragazzo che aveva rifiutato le sue avances, e questo a mia sorella non era mai andato giù.
“Vanessa... credo che sia meglio che vada, sai ho una cosa, lì.. ehm da fare, ciao”
mi diede un lieve bacio sulla guancia, prima di sparire di fretta nel freddo clima di Gennaio.
“complimenti, l’hai fatto scappare”
la beffeggiai, superandola e raggiungendo il borsone contenente i miei vestiti. Mi guardò con biasimo, continuando a premere i tasti del cellulare.
“che ci posso fare se è troppo bambino per i miei standard?”
feci per ribattere ma fui interrotta da mio padre che portava dentro le ultime borse. Già pronto ad interrompere la lite sul nascere.
“calma ragazze, vi ricordate cosa vi abbiamo detto prima di tornare qui?”
annuimmo in contemporanea, “niente litigi, niente insulti, fate le brave”, come potevamo dimenticare le regole di casa Browning? Regolarmente infrante quando i genitori non erano presenti. La superai sbuffando infastidita, prima di raggiungere nuovamente camera mia, questa volta con la borsa caricata in spalla. La posai nel letto, aprendola ed iniziando ad esaminare i miei vestiti, ed a riporli con attenzione nell’armadio. Come presi una maglia di colpo cadde a terra una busta, contenente probabilmente una lettera. La presi e l’aprii, all’interno vi era un ciondolo con una pietra color blu cobalto, bellissima, e poi una lettera, attentamente piegata. Davanti vi era scritto “da aprire solo al momento giusto”, confusa fui tentata di aprirla, poi però vidi la firma di chi me l’aveva mandata, nonno Joseph Kyle Browning, puoi anche firmare solo “nonno”, lo avevo rimproverato più volte, “un Browning è sempre fiero del suo cognome!”, mi rispondeva sempre. Se quello era un suo volere allora doveva avere un significato per forza. I miei genitori lo chiamavano sempre “quel pazzo”, ma io sapevo che c’era sempre un fondo di verità nei suoi discorsi. All’apparenza poteva pure sembrare che nonno Joseph non sopportasse avere gente attorno, che adorasse la vita solitaria, ma io sapevo che adorava quando lo venivo a trovare. E non era una coincidenza che il mio nome fosse così simile al suo, “così avevamo la certezza che saresti stata speciale come il nonno”, mi disse mio padre quando gli domandai il motivo. Almeno quella era l’opinione che aveva prima che il nonno decidesse di rompere i ponti con la famiglia e passare mesi e mesi in solitudine. Le cose erano cambiate, ed in peggio...
“Josephine! Vieni il pranzo è pronto!”
la voce di mia madre mi risvegliò dai miei pensieri, avevo passato così tanto tempo persa nella mia mente? Ancora in parte assente, scesi le scale, ripensando alle parole di mio nonno, da aprire solo al momento giusto, d’obbligo erano le domande, quale momento? Perché in quel momento? E soprattutto, perché io?


   
 
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