Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Marilia__88    15/09/2016    2 recensioni
A volte la vita non va come vorremmo. A volte ci pone davanti ostacoli troppo difficili da superare. A volte, quando tutto sembra andare per il verso giusto, accade qualcosa che ci porta verso nuove strade, spesso troppo oscure.
Questo è ciò che è successo a Sherlock Holmes. Un uomo che amava la sua vita. Un uomo che da un giorno all'altro ha perso tutto, anche la voglia di andare avanti. Forse l'incontro con qualcuno di speciale può fargli capire che c'è ancora qualcosa di bello nella vita, che può ancora fare qualcosa di buono e lasciare un segno indelebile del suo passaggio su questa terra.
JOHNLOCK! - Ispirata al libro "IO PRIMA DI TE".
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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                        ME BEFORE YOU







 
                                                                          Scare







… Questa volta era riuscito chiaramente a vedere quella scintilla nei suoi occhi. Questa volta non poteva essersi sbagliato.
Spostò lo sguardo verso la finestra alla sua destra e, per la prima volta dopo tanto tempo, gli sfuggì un puro e sincero sorriso.
 
 
 








 
… Quei due passavano le giornate a prendersi in giro,
eppure, quando lui lo guardava negli occhi,
il mondo si fermava…







 
 




John stava sorseggiando il suo confortante tè in cucina. Dopo quella sfuriata si sentiva decisamente meglio, come se si fosse tolto un pesante peso dallo stomaco.

Mike era nella stanza di Sherlock da dieci minuti per la sua solita visita giornaliera.

Era arrivato leggermente in ritardo, a causa del maltempo che si stava abbattendo sulla cittadina. Proprio per questo motivo si era recato direttamente da lui, senza avere il tempo di fargli le sue solite domande spiritose.

Dopo circa venti minuti, Stamford entrò in cucina con una strana espressione sul viso. Fissò John intensamente e si lasciò sfuggire un sorrisino divertito. “È successo qualcosa tra te e Sherlock?”.

Il medico sospirò ed abbassò lo sguardo. Ora che la rabbia si era affievolita, si sentiva in colpa per il suo comportamento.

Sherlock se l’era meritato, era vero, ma aveva decisamente esagerato. Non avrebbe dovuto sfogarsi in quel modo, non con un uomo nelle sue condizioni. “In effetti si…mi dispiace, Mike, credo di aver esagerato…” iniziò a dire mortificato.

“No, John, non hai capito” lo interruppe prontamente Mike “Qualsiasi cosa tu abbia fatto, è stata incredibile, davvero”.

John lo guardò con aria confusa. “Ma che stai dicendo?”.

“Erano mesi che non lo vedevo così di buon umore. Negli ultimi tempi dovevo fare i salti mortali per cavargli qualche parola di bocca, e invece oggi era stranamente loquace” spiegò Stamford incredulo.

Il medico rimase stordito da quelle parole. Non poteva credere a ciò che aveva appena sentito.

“Qualsiasi cosa tu stia facendo, John, continua a farla, ti prego” continuò Mike, dandogli un’orgogliosa pacca sulla spalla.   
 







 
 
Da quel giorno, in effetti, il modo di porsi di Sherlock nei confronti di John cambiò radicalmente. Non solo non chiedeva più al medico di lasciarlo in pace, come faceva quasi sempre nei giorni precedenti, ma sembrava anche più disponibile a parlare.

Naturalmente non aveva perso il suo fastidioso atteggiamento da ‘stronzetto arrogante’, e spesso non perdeva occasione per lanciare una delle sue solite frecciatine.

La differenza, però, stava nel suo sguardo. Non c’era più ostilità, mentre ostentava la sua innata acidità, anzi tutto il contrario. Sembrava divertito da quella situazione tra loro.

John d’altro canto non faceva che rispondergli a tono. Spesso lo rimproverava per i suoi comportamenti, mostrando la sua rigida tenacia da soldato.

E la cosa sorprendente, di tutta quella ridicola e assurda situazione, era che questo loro nuovo modo di approcciarsi, faceva stare bene entrambi.











 
 
John stava aiutando Sherlock a finire il suo tè. Negli ultimi giorni non aveva fatto altro che pensare a tutti quegli articoli, che aveva trovato in soggiorno. Si chiedeva come dovesse essere quell’uomo prima dell’incidente.

“È fastidioso vederti pensare, John!” esclamò all’improvviso Holmes “C’è qualcosa che vorresti chiedermi. Vai pure con le domande”.

Il medico si ridestò da quei pensieri. “Cosa facevi prima…?” chiese titubante, lasciando la domanda a metà.

“Prima dell’incidente?” lo incalzò Sherlock “Secondo te?”.

“Direi l’investigatore privato…”

“Ma?”

“Ma la polizia non chiama gli investigatori privati”.

Holmes sorrise. “In effetti ero un consulente investigativo. Ho inventato io questa figura professionale”.

“Cosa significa?” chiese John curioso.

“Che quando la polizia brancolava nel buio, ovvero sempre, allora consultava me”.

Il medico ridacchiò divertito. “La polizia non consulta i dilettanti!”.

Sherlock divenne improvvisamente serio. “Afghanistan o Iraq?” chiese a bruciapelo.

“Afghanistan” rispose John perplesso “Oh, aspetta. Non ci casco. Tuo padre sa dell’Afghanistan! Potrebbe avertelo detto”.

Negli occhi di Holmes si accese un’intensa scintilla di sfida. “So che sei un medico militare, che sei stato ferito in Afghanistan, ma come hai giustamente precisato, potrei aver avuto questa informazione da mio padre” disse, spostando lo sguardo sul cellulare del medico, che giaceva sul tavolino al suo fianco “So, però, che hai un fratello che si preoccupa per te, ma non hai voluto chiedergli aiuto, nonostante le tue evidenti difficoltà economiche, perché non lo approvi, probabilmente perché è un alcolista, o meglio, perché di recente ha lasciato la moglie. E so inoltre che la tua analista pensa che il tuo zoppicare sia psicosomatico, diagnosi corretta temo”.

Il medico rimase senza parole. Nessuno conosceva quelle informazioni, neanche Mike. Come aveva fatto quell’uomo a scoprirle?

“Come fai a sapere queste cose su di me?”.

“Non le sapevo. Le ho capite” rispose Sherlock con noncuranza “Ti ho osservato bene in questi giorni. Ho notato che zoppichi mentre cammini, ma non hai l’esigenza di sederti quando stai fermo, come se te ne dimenticassi, quindi almeno parzialmente il tuo disturbo è psicosomatico”.

“Come sai che ho un’analista?”.

“Se hai un problema psicosomatico, è ovvio che tu abbia un’analista! Poi c’è tuo fratello. Il tuo telefono, costoso, con e-mail e lettore MP3, eppure, come mi hai detto qualche giorno fa, hai bisogno di questo lavoro. Non sprecheresti tanti soldi per comprarne uno, quindi è un regalo. Ho notato, mentre lo utilizzavi, che ha parecchi graffi. Stava sicuramente nella stessa tasca con le monete e le chiavi; un tipo come te non tratterebbe un oggetto di lusso così, quindi ha avuto un altro proprietario. Il resto è facile. L’incisione sul retro dice tutto”.

John afferrò il suo cellulare e lo girò. “L’incisione…” ripeté pensieroso, osservando con attenzione la scritta.


 
Harry Watson
From Clara
XXX


 
“Già. Harry Watson. Chiaramente un parente che ti ha donato il suo vecchio telefono. Non tuo padre, è un oggetto per un uomo più giovane, magari un cugino, ma sei un eroe di guerra che non aveva un posto dove vivere, è improbabile che tu abbia una grande famiglia, o almeno non ne sei in contatto, quindi è un fratello. Ora Clara. Tre baci dicono che c’è un rapporto sentimentale; il costo, che è una moglie e non una fidanzata. Deve essere un regalo recente, questo modello è uscito solo sei mesi fa. Un matrimonio in crisi, dato che sei mesi dopo lui lo ricicla. Lo avrebbe tenuto se fosse stata lei a lasciarlo. No, deve essere stato lui a lasciarla. E lo ha dato a te, perché vuole che rimaniate in contatto. Hai delle difficoltà economiche, ma non hai chiesto aiuto a tuo fratello, quindi avete dei problemi. Forse volevi bene a sua moglie, forse non approvi il suo alcolismo”.

“Come diavolo fai a sapere che beve? Come l’hai intuito?”.

Sul volto di Sherlock apparve un’espressione soddisfatta. “Beh, diciamo che ho tirato a indovinare. Ho notato che la presa del caricabatteria ha dei piccoli graffi. Quando lo metteva in carica gli tremavano le mani. Non ho mai visto il cellulare di un alcolista senza questi segni sopra. Quindi come vedi avevi ragione”.

“Ragione? Su cosa?” chiese il medico ancora più confuso.

“La polizia non consulta i dilettanti”.

John rimase a fissare il suo cellulare incredulo. Poi sposto lo sguardo sul detective. “È stato…è stato incredibile! Straordinario…veramente straordinario…”.

Sherlock sorrise e spostò lo sguardo verso la finestra.

Incredibile. Straordinario. Era così che lo definivano prima del suo incidente.

Durante quella miriade di deduzioni aveva avvertito un fremito, una scarica di pura adrenalina lungo tutto il corpo. Dio, quanto gli mancava quella sensazione!

Gli mancavano i riflettori, il pubblico, l’ammirazione. Gli mancava il suo lavoro, le scene del crimine, le folli corse per le strade di Londra per inseguire i criminali.

Gli mancava Baker Street, la sua poltrona, il suo violino, i suoi assurdi esperimenti.

Gli mancava tutto ciò che era prima. Gli mancava essere l’infallibile Sherlock Holmes.

Sentì un improvviso nodo in gola. Deglutì a vuoto nel tentativo di attenuare quella fastidiosa sensazione. Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente. Non poteva lasciarsi sopraffare in quel modo dalle emozioni. Doveva darsi una regolata.

Al medico non sfuggì quel repentino cambio di espressione. “Stai bene?” chiese, poggiando la mano sulla sua spalla.

Holmes si voltò e sforzò un sorriso. I suoi occhi, solitamente freddi e taglienti, erano lucidi, inondati da un’intensa tristezza. “Si, sto bene”.

“E comunque hai commesso un errore” precisò John con l’intento di farlo ridere.

“Un errore? Quale?”.

“Harry…sta per Harriet”.

Sherlock alzò gli occhi al cielo. “Oh, è tua sorella! Dannazione, c’è sempre qualcosa!”.

“Quindi hai sbagliato…hai sbagliato…” canzonò il medico divertito.

“V-va bene…ho sbagliato!” ammise Holmes con difficoltà “Non accadrà più…” aggiunse, mettendo un finto broncio.

I due si guardarono negli occhi per qualche istante. Poi scoppiarono entrambi in una fragorosa risata.
 










 
 
“John, per fortuna sei rientrato!”.

Il medico venne accolto nella dependance da un preoccupato Siger Holmes.

Era uscito per la sua solita pausa pranzo, approfittando dell’intensa nevicata che aveva ormai imbiancato la tranquilla cittadina.

Adorava stare all’aperto e osservare i candidi fiocchi di neve posarsi con silenziosa grazia su ogni cosa.

Il paesaggio innevato aveva un qualcosa di magico ai suoi occhi. Riusciva a trasmettergli una piacevole sensazione di calma e benessere.

“Che succede?”.

“Non lo so. Sherlock mi ha chiesto di aiutarlo a mettersi a letto. Ha detto che si sentiva stanco, ma mi sembra più pallido del solito. Credo che abbia anche qualche linea di febbre” iniziò a raccontare Siger “Mia moglie è fuori con delle amiche. Non l’ho chiamata. Non volevo che si allarmasse”.

“Ha avvisato Mike?”.

“Si, ha detto che sta arrivando”.

“Bene” rispose secco John, recandosi velocemente verso la stanza di Sherlock. 

Aprì lentamente la porta e si addentrò nella camera.

Holmes giaceva nel letto, gli occhi chiusi e il respiro visibilmente affaticato. Era pallido, molto più del solito.

Si avvicinò e notò alcune goccioline di sudore che scendevano dalla fronte e ricadevano sul cuscino.

“Sherlock…” lo chiamò con dolcezza “Sono John…”.

Sherlock sorrise debolmente. “Lo so…la tua camminata è inconfondibile” rispose con voce flebile.

Il medico si lasciò sfuggire un sorriso. “Come ti senti?” chiese, poggiando la mano sulla sua fronte per controllare la temperatura.

“Sto bene, non preoccuparti”.

“No, non stai bene! Hai la febbre alta!” esclamò il medico visibilmente preoccupato.

Afferrò il cellulare e avviò la telefonata al numero di Mike.

“John, che succede?” rispose Stamford dall’altro capo.

“Dove sei?”.

“Sto arrivando. Sono imbottigliato nel traffico a causa di un incidente”.

“Sherlock ha la febbre alta. Non mi sembra pienamente cosciente e respira a fatica. Vorrei dargli un antipiretico, ma non so se può prenderlo” disse John con urgenza.

“Si puoi darglielo, ma prima devi far abbassare la temperatura. Sherlock ha gravi problemi di termoregolazione, basta una leggera infreddatura e tutto il suo sistema va in tilt” spiegò Mike con fare professionale “Scoprilo e togligli la maglia. Poi prendi dei panni bagnati e mettiglieli intorno al collo. Usa anche un ventilatore se necessario. Io cerco di arrivare prima possibile”.

“Va bene”.

“Ah, John, la febbre potrebbe alzarsi notevolmente e Sherlock potrebbe entrare in uno stato confusionale. Non è la prima volta che succede. In tal caso non esitare a somministragli una fiala di tranquillante. La trovi nell’armadietto, in alto a destra”.

Il medico ascoltò le istruzioni con attenzione e chiuse la telefonata.

Si avvicinò a Sherlock e fece esattamente ciò che gli era stato detto. Lo scoprì e gli tolse la maglietta con attenzione. Fu allora che notò delle visibili cicatrici sui polsi. Capì subito come se l’era procurate e il perché, e il solo pensiero lo fece rabbrividire.

Cercò di non pensarci, non poteva lasciarsi distrarre. Prese due piccoli asciugamani e si recò velocemente in cucina per bagnarli.

“Come sta?” chiese Siger, alzandosi di scatto dal divano.

“Starà bene, stia tranquillo” cercò di rassicurarlo John “avrei bisogno urgentemente di un ventilatore”.

“Vado a prenderlo subito”.

Quando ritornò nella stanza, Holmes aveva gli occhi aperti e si guardava intorno con circospezione. “Dove sono?” domandò, visibilmente confuso.

Il medico tentennò qualche istante prima di rispondere. “Sei nella tua stanza…” disse, mettendogli gli asciugamani bagnati intorno al collo.

“E tu chi sei? Perché mi stai mettendo questi cosi addosso?” sbottò Sherlock irritato, provando ad alzare il braccio per fermarlo.

Il braccio naturalmente non si mosse. Soltanto la mano ebbe un lieve tremito.

Sul suo volto apparve un’espressione di puro terrore. “Che mi sta succedendo? Perché non riesco a muovermi?”.

Nel sentire quelle parole il cuore di John perse un battito. Stato confusionale. Era questo che intendeva Mike. “Sherlock, hai la febbre alta. Stai tranquillo, andrà tutto bene” disse, continuando a tamponargli il collo.

“Levami le mani di dosso!” esclamò Holmes “Che cosa mi hai fatto? Perché non riesco a muovermi?” aggiunse, ansimando pesantemente.

“Sherlock, ti prego, devi restare calmo”. Ogni parola era dolorosa, ogni parola lo colpiva dritto al cuore.

Sherlock chiuse gli occhi per un istante, cercando di controllare i propri respiri.

Quando li riaprì, subito dopo, sembrò riconoscere l’uomo che aveva di fronte, nonostante sembrasse ancora visibilmente confuso “John…portami a casa” disse con voce rotta.

“Sei già a casa…”.

“Questa non è casa mia! Non voglio stare qui…” mormorò Holmes con gli occhi lucidi.

“Andrà tutto bene, cerca di stare tranquillo” ripeté John. Non riusciva a dire nient’altro oltre a quelle parole. Forse le stava dicendo più a sé stesso. Forse era lui che ne aveva un disperato bisogno.

“No, non andrà tutto bene. Voglio solo alzarmi da qui e tornare a casa. Per favore” supplicò Sherlock mentre una lacrima gli rigava il viso.  

“Ecco ciò che mi ha chiesto”. Siger entrò nella stanza, porgendo un piccolo ventilatore.

John annuì semplicemente. Afferrò l’oggetto con le mani tremanti e lo azionò. Poi corse verso l’armadietto e prese una fiala di tranquillante.

“Questo ti farà stare meglio” spiegò a Sherlock mentre gli faceva l’iniezione al braccio.

“Ti prego, John, aiutami. Voglio tornare a casa mia” ripeté Holmes.

Il medico non rispose. Si limitò ad accarezzargli dolcemente la testa, aspettando che il calmante facesse effetto.

Dopo qualche minuto Sherlock si addormentò.

“Ho fatto prima che ho potuto! Come sta?” esclamò Mike entrando di corsa nella stanza.

“Ho fatto ciò che mi hai detto. Ho dovuto somministrargli anche un calmante” rispose John con voce tremante.

Stamford osservò il medico con attenzione. “Stai bene?” chiese, notando il suo evidente pallore.

“Si, sto bene. Scusatemi, ho bisogno di prendere un po' d’aria” rispose prima di zoppicare velocemente fuori.

Appena si ritrovò all’esterno della dependance, chiuse gli occhi e fece dei profondi respiri. Stava leggermente ansimando e sentiva il cuore battere all’impazzata.

Lui era un medico militare. Durante i suoi due anni in Afghanistan, aveva visto di tutto, aveva visto l’inferno. Ferite mortali, malattie terribili. Eppure niente era mai riuscito a sconvolgerlo tanto.

Vedere Sherlock in quelle condizioni gli aveva provocato una dolorosa fitta al petto, delle assurde e inspiegabili sensazioni che non riusciva a spiegarsi.

Sapeva quanto soffrisse a causa della sua invalidante condizione. Immaginava quanto profondo potesse essere il suo disagio. Spesso, infatti, gli era capitato di vedere i suoi occhi divenire improvvisamente tristi, persi in qualche suo malinconico ricordo lontano.

Tuttavia, avere una vaga idea del suo dolore, non era neanche lontanamente paragonabile a vederlo con i propri occhi. Le sue suppliche, la sua paura, quella lacrima sfuggita al suo controllo.

In quel momento la sua sofferenza e la sua profonda tristezza erano divenute quasi tangibili, le aveva avvertite sulla propria pelle, gli erano entrate dritte nel cuore.

La verità era che non riusciva a sopportare di vederlo soffrire.

La verità era che teneva a lui più di quanto avesse mai immaginato, più di quanto avesse mai voluto.

E questo faceva paura. 













Angolo dell'autrice: Salve! Eccovi il quarto capitolo. 
In questo capitolo ho cercato di fare un vero e proprio remix tra il libro e la serie BBC, prendendo un pò dall'uno e un pò dall'altro. 
Nella parte finale, inoltre, ho voluto mettere un elemento completamente estraneao (la parte delirante di Sherlock), giusto per rendere la storia un pò più angosciosa (come se non lo fosse già!). Scusate non ho saputo resistere. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Grazie a chi continua a seguire la storia e a chi vuole lasciare un commento. Alla prossima ;)

 
   
 
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