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Autore: Manu75    17/09/2016    2 recensioni
"…e tu, femmina dai capelli chiari e dagli occhi freddi e algidi, nel tuo orgoglio soccomberai…prigioniera in una cella di ghiaccio, né calore, né gioia, né amore…tutti voi sarete condannati…io vi maledico! Black, da questa sera, vorrà dire disgrazia e sofferenza e prigionia…e morte! Così è stato detto, che così accada!"
Quando il dovere e l'orgoglio ti spingono contro il tuo cuore, quando una maledizione incombe con tutto il suo potere, quando i sentimenti infuriano nel petto senza poterli placare, il destino sembra solo una gelida trappola. Narcissa Black lo sa bene.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Evan Rosier, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Severus Piton, Sorelle Black | Coppie: Bellatrix/Voldemort, Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Severus/Narcissa, Ted/Andromeda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Più contesti
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Arieccola...vi sono mancata?
Questi tre mesi son volati, vorrei dirvi che ho mucchi di capitoli pronti per essere postati ma non è così...non ho avuto un attimo di tempo, comunque conto di postare con una certa regolarità.
​Ora consentitemi di ringraziare le persone che hanno lasciato una recensione al capitolo scorso “Evan” :Morgana89Black e miss Gold_394, presenti come sempre; Phebe Junivers e The Lady of flitwick, che mi hanno lasciato due recensioni splendide! E LtMcGivers, che fa parte di quelle lettrici di un tempo alle quali speravo tanto di arrivare per dare un finale a questa storia. Grazie a tutte, ragazze, il vostro sostegno è sempre importate e, sapere che Evan ha lasciato un segno in questa storia, non può che farmi piacere! Bene, ora vi lascio a un piccolo riassunto e al nuovo capitolo!

 

DOVE ERAVAMO RIMASTI:

 

Sono passati nove anni dell’inizio della storia, Cissy ha vent’anni e si trova a Malfoy Manor, sotto la protezione di Lucius e, senza saperlo, di Severus.
Una sera il giovane Malfoy ritorna, di nascosto, dal suo viaggio in Bulgaria; é gravemente ferito e, finalmente, chiede alla ragazza di sposarlo, Narcissa accetta e i sentimenti dei due sembrano molto più chiari.
Nel frattempo, Evan, dopo il duello con Lucius, ritorna in Inghilterra e, dopo una notte d’amore con Kerenza, si lascia uccidere dagli Auror Moody e Hellen. Il giovane ha perso del tutto la voglia di vivere dopo aver compreso fino in fondo la natura distorta di Bella e aver posto fine, proprio a causa della donna, alla sua amicizia con Lucius.
Barty Crouch dichiara i suoi sentimenti a Brigid e, per dimostrarle il suo amore, le confida di aver scoperto dove si trova il secondo Breo Saighead, a lungo cercato dalla ragazza, apparentemente per donarlo a Lord Voldemort, in realtà per usarlo al fine di compiere la propria vendetta contro i Black.




 

 

Non ci sono asfodeli, né viole, né giacinti:

come parlare ai morti?

I morti non sanno il linguaggio dei fiori:

per questo tacciono,

viaggiano e tacciono, patiscono

e tacciono

nel paese dei sogni, nel paese dei sogni.

 

Se mi metto a cantare, grido,

se grido

gli agapanti m'impongono silenzio

levando una manina di azzurro bambino d'Arabia

o le palme di un'oca nell'aria.

 

È gravoso, difficile. Non mi bastano i vivi,

primo, perché non parlano,

poi perché debbo interrogare i morti

se voglio andare avanti.

Altro modo non c'è.

...

 

La prima cosa che Dio fece è l'amore

poi viene il sangue

e la sete del sangue

che il seme del corpo come un sale

pungola.

La prima cosa che Dio fece è un lungo viaggio:

...

Ma bisogna che i morti mi insegnino il cammino.

Sono questi agapanti che li tengono muti

come il fondo del mare o l'acqua nel bicchiere.

 

(Agapanti - Ghiorghios Seferis)*












 

“Un gelido destino”

 

(Agapanthus)

 

Cinquantottesimo capitolo



 

Il lungo corridoio, nel sotterraneo dell’Ospedale San Mungo, amplificava il rumore secco dei tacchi degli stivali di costosa pelle nera.
I passi dell’uomo erano rapidi, eppure non tradivano fretta ma denotavano solo una decisa sicurezza.
L’illuminazione era discreta e l’aria era umida e pesante; il forte odore di disinfettante donava a quell’ambiente lugubre un sinistro sentore di malattia o, peggio, di morte.
Lucius avanzava con ampie falcate delle sue lunghe gambe, non usava il suo inseparabile bastone dalla testa di serpente, e la gamba destra, se pur dolorante, non poggiava a nessun supporto.
I lunghi capelli chiari del giovane uomo non erano legati e si agitavano sulle sue spalle ad ogni passo, il suo volto fine e pallido era duro e impenetrabile.
Gli occhi chiarissimi ebbero un rapido guizzo quando intravidero le due figure che sostavano alla fine del corridoio, proprio davanti alla stanza che era la sua meta.
Rallentò l’andatura e rilassò le spalle, le labbra si storsero in un sorriso ironico e l’aria spavalda si incollò al suo viso aguzzo.
- Albus, Alastor…- sussurrò, con la sua voce fredda, indirizzando un lieve cenno del capo ai due uomini, che si voltarono simultaneamente verso di lui.
Silente era il mago di sempre, energico e insondabile, bardato in un abito assurdamente lussuoso color blu notte.
Moody, il potente Auror, era un uomo devastato.
Il volto era fasciato e solo un occhio e la bocca erano visibili.
- Lucius- mormorò quieto il Preside di Hogwarts, chinando lievemente il capo, gli occhi azzurri che brillavano dietro gli occhiali a mezzaluna.
- Cos’è? Sei venuto ad ammirare il risultato del vostro bel lavoro di gruppo?! Sei qui a vedere quale futuro ti aspetta, a prendere esempio dal tuo amico?!- ringhiò Moody, la cui voce possente usciva a stento dalle labbra intorpidite dal dolore.
Con il naso letteralmente esploso sul suo viso, o respirava o parlava usando la bocca.
- Sei qui per confessare le tue colpe? I tuoi delitti? La morte di quello che chiamavi ‘amico’ ti ha smosso quella cosa nera che chiami coscienza?? - la furia gli faceva tremare il corpo possente, mentre sputava il suo disprezzo su un Lucius del tutto impassibile.
- Alastor!- lo ammonì Silente, posandogli una mano sulla spalla.
- Tranquillo, Albus- mormorò Lucius, con aria imperturbabile e quasi annoiata - Conosco bene l’indole sanguigna di Moody, non sono qui per nessuna assurda confessione! - l’idea parve divertirlo un mondo e il sorriso sul suo viso si allargò - Sono qui per reclamare il diritto di ritirare il corpo del giovane Rosier; egli ha un posto riservato nella cripta dei Malfoy, non possedendo alcuna tomba di famiglia, questo privilegio gli è stato concesso molti anni fa da mia madre: Gwenhwifer Arundel in Malfoy, con l’approvazione di mio padre.-
Era stata più che altro una promessa strappata sul letto di morte, a cui suo padre non era stato in grado di opporsi, a dire il vero.
Cadde un silenzio pesante.
- Certo, non appena saranno state sbrigate le formalità e il Ministero darà il suo assenso, nessuno di noi impedirà questa sepoltura. Il Signor Rosier, altrimenti, sarebbe stato destinato ad una tomba comune, senza nome.-
Silente lo disse in tono neutro ma qualcosa suggerì a Lucius che il Preside avrebbe ritenuta più consona quella sistemazione.
- Tsé!- sbottò Moody, svicolando dalla stretta del suo amico - Lo seppellisci nella tomba di famiglia? Perché non vai e firmi una confessione, una dichiarazione di colpevolezza? Il marchio sul suo braccio sinistro parla per lui e per tutti voi! Credi che qualcuno pensi davvero che tu sia lindo e pinto, senza macchia?! - l’Auror era pieno di disprezzo - Dai, Malfoy! Solleva la manica di quella camicia di seta, se ne hai il coraggio!-
Lucius inarcò un sopracciglio, conservando la sua aria distaccata.
- Albus, dovrebbe davvero suggerire al Suo amico di mantenere la padronanza di sé. Niente di cui stupirsi se poi, con questa mancanza di autocontrollo, si fa ridurre a brandelli!- scosse la spalle, facendo ondeggiare il suo lungo mantello.
Silente scoccò una lunga occhiata penetrante all’uomo biondo e strafottente che gli stava dinnanzi, posando al contempo una mano decisa sul braccio di Moody, costringendolo a indietreggiare.
- Non capisco cosa sia più deplorevole, Lucius - la sua voce era serena e priva di inflessioni, come se parlasse del tempo - Se la perdita del controllo o la totale assenza di emozione, davanti alla tragedia di un giovane di ventisette anni che si fa uccidere nel nome di qualcuno che sparge odio e violenza.-
Lucius sostenne lo sguardo azzurro del Preside, con il mento sollevato e altero e un’aria di insofferente sopportazione.
- Aspetterò il nulla osta del Ministero- tagliò corto - Ora, se permettete…- e, così dicendo, Lucius li superò con il suo incedere regale e si infilò nella stanza mortuaria.

 

Gelosia.
Quello era il sentimento che aveva provato quando sua madre aveva deciso di ospitare, sotto il loro tetto, un altro bambino; uno  sconosciuto incontrato ad una festa dove lui, Lucius, non aveva ottenuto il permesso di partecipare.
Quando Evan aveva messo piede a Malfoy Manor, il bambino aveva notato che era più grande di lui, anche molto più alto a dire il vero, e aveva i capelli e gli occhi scuri, come si conveniva ad un uomo.
Non biondi come lui, che li aveva chiari in modo imbarazzante.
Lucius aveva solo sei anni all’epoca ma era abbastanza sveglio da capire quanto Evan fosse bello e quanto fosse innamorato di Gwen.
Lo capiva dal modo in cui la guardava e ascoltava, lo capiva dall’antipatia che il ragazzino aveva per Abraxas.
Poi quella gelosia era scemata, quando Lucius aveva compreso che l’affetto per Evan non toglieva nulla a ciò che sua madre provava per lui.
E aveva scoperto che, avere un fratello, era divertente.
Evan era coraggioso, spiritoso, selvaggio e spericolato, in un modo che a lui non era mai stato consentito essere.
Così la sua vera natura era riuscita ad emergere e Lucius aveva provato un gran divertimento nell’infrangere le regole, nell’ideare piani e metterli in atto sotto il naso di suo padre.
Specie dopo che Gwen era morta.
Ad un certo punto, però, Abraxas aveva compreso che l’influenza del giovane Rosier non era ciò che auspicava per suo figlio e così aveva mandato Lucius a Durmstrang, per frequentare un anno di scuola lontano da Hogwarts e da Evan, e, nel frattempo, aveva sistemato quest’ultimo in una specie di collegio, garantendogli vitto e alloggio fino ai diciassette anni.
Poi se ne era lavato le mani.
Quella separazione forzata, i ricordi dell’infanzia, l’amore per Gwen e il legame che si era poi instaurato con Kerenza, non aveva fatto altro che unire maggiormente i due giovani.
Una volta che si erano ritrovati, i ragazzi avevano superato tutte le tappe della crescita insieme.
Insieme eppure divisi, simili ma diversi, uniti ma conflittuali.
E ora, separati per sempre.
Evan aveva deciso così.

 

“Credevi davvero che mi sarei tolto la vita qui, davanti a te, con qualche orribile veleno? Hai avuto paura di non riuscire a salvarmi?...Hai avuto tanta paura vero, Lucius? E fai bene ad avere paura amico mio. Se io schiatto tu resti davvero molto solo, lo sai si?”

 

La bocca di Lucius si strinse in un’unica linea sottile e livida.
Su quella specie di barella, giaceva il corpo di una delle poche persone che aveva importanza nella sua vita.
Niente più parole e battute, niente più scherzi, niente risate. Ma quelle, comunque, erano cose di un tempo lontano e passato.
Niente più preoccupazioni, turbamenti, ansie.
Ecco, queste si che erano cose recenti, tutte le emozioni che Evan gli aveva regalato in quegli ultimi anni.
Fissò il volto cereo e rigido del suo amico d’infanzia, sui cui tratti modificati dalla morte aleggiava ancora un sorriso.
Quel viso non era nemmeno familiare, senza il luccichìo di quegli occhi scuri, furbi e sfrontati.
I bei capelli castani erano opachi.
Morti, come lo era Evan. Morto. Spento. Finito.
La mano di Lucius tremò.
Il volto era inciso in ogni singolo tratto; sentiva un peso enorme sullo sterno, la sensazione di deja-vù che gli ricordava un’altra veglia: quella per sua madre.
Quel dolore gli esplodeva nel petto, come una deflagrazione che doveva contenere e arginare.
- Così…- la sua voce cadde nel silenzio di quella stanza scura - Alla fine, sei andato da lei. Hai scelto la via più facile, hai scelto la pace. Mi hai lasciato qui, da solo…Mi hai lasciato indietro, con i lividi e i segni sulla pelle, la tua potenza a devastarmi i muscoli...la tua abilità ad umiliarmi per l’ennesima volta...-

 

“Seppelliscimi accanto a mia madre…”
L’urlo di Evan aveva squarciato la notte bulgara, la sua bacchetta calata con forza e frustrazione su di lui, il colpo inferto con rabbia ma trattenuto all’ultimo secondo. La volontà di fargli male, di ferirlo e danneggiarlo ma l’incapacità di ucciderlo.
“Sei sempre il solito bastardo molto furbo...Lu-Lu...ti sei evitato una morte rapida. Adesso, se hai voglia di vivere, va e cerca di curarti, ti ho risparmiato l’emorragia che ti soffoca e ti inonda da dentro...il tuo sangue fuoriesce da te; ti do la possibilità di salvarti, nel nome del nostro comune passato: nel nome di Gwen. Ti do una chance e lo faccio per Narcissa. Ma, se minaccerai o ti avvicinerai ancora a Bella, ti ammazzerò come un cane e sai che lo farò. ”
Lo aveva fissato con gli occhi scintillanti e Lucius aveva appena potuto ricambiare quello sguardo, piegato su se stesso per il dolore.
I loro occhi si erano incatenati per qualche lungo istante, l’aria fresca e profumata della sera li aveva accarezzati.
“Addio Lucius…”
“Arrivederci…” gli aveva sussurrato, con la voce soffocata dalla sofferenza che il suo corpo martoriato gli portava.
Ma Evan era già sparito e lui era rimasto lì per qualche secondo, cercando di capire cosa fare di se stesso.
Alla fine si era aggrappato ad un’unica visione, un solo pensiero.
Si era rialzato, era rientrato alla villa, aveva fatto del suo meglio per guarire le ferite meno gravi, si era cambiato e poi, con immane fatica, era andato dalla sua unica ragione di vita.

 

Lucius chiuse gli occhi, cercando di fuggire da quel volto inerme e gelido.
- Avrei preferito saperti vivo ed essere consapevole di dover guardarmi le spalle da te, piuttosto che lasciarci in questo modo. Ma forse, per te, è meglio così- mormorò.
Meglio per Evan, con il suo animo lacerato e tormentato...e per lui?
Cercò dentro di sé qualcosa di caldo, di bello e luminoso che potesse contrastare quel freddo che sentiva addosso.

 

Il tocco lieve delle sue mani sulla pelle; la sua voce dolce e imbarazzata che declamava quel particolare incantesimo curativo, le sue labbra calde che lo sfioravano.
La sua voce, tanto amata, che diceva un semplice ‘si’.
Qualcuno che lo aspettava e si prendeva cura di lui: Narcissa.

 

Riemerse da quello stato di acuta sofferenza e provò un caldo sollievo.
- Addio fratello mio, presto riposerai accanto a colei che abbiamo amato entrambi…-
La voce si spezzò per un attimo, si chinò a posare un bacio sulla fronte bianca e gelida di quel corpo che ormai non conteneva più nulla; posò una delicata carezza su quegli occhi che non si sarebbero aperti mai più.
Poi si voltò e se ne andò, chiudendo la porta silenziosamente.

 

Il giorno del funerale, il cielo era plumbeo e un vento scuro spazzava l’aria.
Il feretro fu accompagnato solo da Lucius e Narcissa, una breve sosta davanti alla cripta diede loro il modo di porgere omaggio anche al luogo dove riposavano le spoglie di Gwen.
Se la tomba dei Black era maestosa, quella dei Malfoy era un vero e proprio inno alla famiglia purosangue.
Narcissa osservò con dolore la bara procedere lentamente e poi venire adagiata nel luogo dell’eterno riposo.
Si strinse a Lucius, nonostante la stagione calda fosse alle porte, la temperatura era autunnale e lei rabbrividì.
Rievocò dentro di sé il volto bello e sorridente di Evan, i suoi occhi colmi di sofferenza quando Bella lo tormentava, la sua risata contagiosa.

 

“La mia bambina, qui, si preoccupa per me? La mia dolce Ninfa dei ghiacci!”

 

Scoccò un’occhiata a Lucius, ma il profilo del suo fidanzato era del tutto impassibile, gli occhi freddi come sempre, le labbra tirate.
Quando tutto ebbe fine, si allontanarono lentamente, passeggiando in silenzio.
- Se per te va bene, avrei pensato a settembre come mese adatto al matrimonio.-
La voce del giovane la colse di sorpresa.
- Mh, si certo, va bene-  gli disse - Hai pensato a che tipo di cerimonia vuoi?-
Lucius le rivolse un piccolo sorriso.
- Desideri un matrimonio in grande, come quello che ebbero Bellatrix e Rodolphus?- si fermò e la strinse lievemente a sé - Del resto, il nostro sarà il matrimonio del secolo, quello che unirà le due casate purosangue più potenti in assoluto, le più prestigiose.-
Cissy sbuffò piano e lui rise.
- No, tutt’altro, davvero- gli tolse un granello di polvere inesistente dalla manica - Della mia famiglia non ho quasi nessuno: non so se Bella vorrà presenziare; la zia Walburga sta molto male, Regulus potrebbe essere l’unico interessato.- sospirò.
Lucius l’attirò sotto il suo mantello con fare protettivo.
- Ti dispiace l’idea di una cerimonia intima?- le sussurrò.
- No, sono consapevole che la maggior parte delle famiglie importanti hanno lasciato Londra e dubito che ci tornerebbero per un matrimonio anche se “del secolo”!- fece una smorfietta e Lucius ghignò, divertito - Mi piacerebbe chiamare Beb ma dubito che possa muoversi, resta solo Kerenza ma è talmente schiva che non voglio turbarla. Tutto sommato mi basta che ci siamo noi due e tuo padre…- esitò, rimpiangendo Dorothy - Voglio avere un bel vestito, questo si, desidero essere ritratta in modo impeccabile. Sarà sciocco ma ci tengo.-
Lucius si chinò a posarle un lieve bacio sulla fronte.
- Ma certo, la tua bellezza dev’essere immortalata, non ci sono dubbi.- i suoi occhi azzurri ammirarono il bel volto di lei e si incupirono, pieni di desiderio - Se solo potessi ti sposerei oggi stesso, comincio ad essere davvero impaziente...voglio che tu sia mia moglie…-
Lo disse in un modo così caldo che Narcissa si sentì sciogliere e gli restituì uno sguardo altrettanto ardente: era stufa di aspettare.
Eppure c’era sempre qualcosa che faceva slittare tutto.
Se solo avesse potuto...
Ma non poteva, la ragazza sapeva che qualcuno controllava in modo continuo i movimenti del giovane. Dopo che lo aveva curato, la notte in cui lui era comparso all’improvviso, ferito in modo grave, si era trattenuto appena il tempo di riprendersi e poi era ritornato in Bulgaria.
Il Signore Oscuro, ignaro che il suo seguace aveva fatto quella sortita notturna in Inghilterra, gli aveva concesso di rientrare ventiquattro ore dopo, quando la notizia della morte di Evan era trapelata.
- Tranquillo, davvero- gli sussurrò, stringendosi a lui e aspirando il suo profumo - A questo punto, attendere ancora un po’ cambierà ben poco.-
- Si vede che non ragioni come un uomo…- la rimproverò, con un sospiro impaziente.
Lei si morse la lingua, per evitare di rimarcare di chi fosse la colpa per il ritardo del loro futuro insieme.
Lucius riprese a camminare e si guardò attorno, cercò qualche indizio della presenza di Kerenza ma, se anche lei aveva ricevuto il suo messaggio e si era presentata al funerale, era rimasta ben nascosta.
Alla fine, i due giovani rientrarono a Malfoy Manor in silenzio.

 

Nel piccolo cottage situato ai margini del bosco, poco lontano da Hogsmeade, nulla lasciava intendere che ci fosse qualcuno al suo interno.
Il camino non emetteva il solito fumo nero, la porta di legno era chiusa con il chiavistello e la pesante tenda nera era stata ritirata, non era all’esterno, segno che la padrona di casa non era a casa.
Anche le finestre erano sprangate.
Le studentesse del sesto anno di Tassorosso guardarono la piccola casa con profonda delusione: si erano spinte fino a la per nulla.
Si allontanarono confabulando tra di loro, chiedendosi quando l’affascinante veggente avrebbe fatto ritorno al villaggio, visto che era già il secondo sabato che non si faceva trovare in casa.
All’interno, la stanza principale era illuminata appena da qualche candela e nemmeno uno spiraglio, del luminoso sole di fine maggio, riusciva a penetrare all’interno.
Il grande focolare era spento e il silenzio assoluto.
Kerenza stava sprofondata nella sua vecchia e comoda poltrona, le gambe sollevate, portate al petto, e i piedi nudi posati sul bracciolo.
Il volto era reclinato in avanti, la fronte posata sulle ginocchia.
Ad un occhio esterno avrebbe potuto sembrare che riposasse, ma lei era ben sveglia e gli occhi fissavano la stoffa del suo abito, senza vederla.
Non aveva la forza di muovere nemmeno un muscolo, non riusciva quasi a respirare, la mente era annebbiata e incapace di formulare alcun pensiero che non fosse legato ad Evan.
Non faceva che pensare a lui, non riusciva a vedere e sentire altri che lui.

 

Rammentava il loro primo incontro, avvenuto proprio in quel cottage, quando Lucius l’aveva condotto da lei per farglielo conoscere.
Ovviamente ne aveva sentito parlare, sapeva molte cose di quel Rosier grazie a Gwen e grazie ai racconti che Lucius stesso le aveva fatto, ma non si erano mai incontrati prima di allora.
Lucius frequentava il quarto anno ad Hogwarts, era appena rientrato dalla sua esperienza a Durmstrang; lei aveva appena deciso di intraprendere la sua attività di veggente ad Hogsmeade, di lasciare la Cornovaglia per stare accanto al figlio di sua cugina, cercando di non pensare al perché fosse così importante essergli vicina.
Lucius aveva quattordici anni, Evan sedici e lei diciannove.
Quando il giovane Rosier era entrato nella stanza aveva l’aria palesemente annoiata: le mani ficcate in tasca, i capelli lunghi e incolti ancora umidi per la doccia mattutina.
- Andiamo Lu - Lu! Mi fai perdere la prima giornata dell’anno a Hogsmeade per andare a trovare una tua vecchia zia?! - aveva sbuffato in modo sonoro - Dimmi solo che non ha i capelli biondi come quelli di Abraxas e i classici occhi pallidi dei Malfoy…una tua versione incartapecorita, insomma! Come uomo non sei male ma come donna...sai che preferisco le brune! -
- Ti sbagli e sei poco attento, come sempre- aveva riso Lucius - E’ una cugina, non zia, ed è mia parente da parte Arundel…-
Evan l’aveva scorta e si era bloccato sulla soglia, con gli occhi sgranati e il volto esangue.
Poi lei si era ritrovata stritolata nell’abbraccio del giovane, che l’aveva stretta e, infine, baciata appassionatamente sulle labbra.
Il tutto era avvenuto con tanta rapidità che Kerenza era rimasta per diversi minuti tra le sue braccia, incapace di reagire, mentre Evan si insinuava nella sua bocca.
Gli aveva tirato un calcio poderoso, costringendolo a lasciarla.
- Sei impazzito! Come ti permetti! Lucius, sono questi gli amici che frequenti?!- si era pulita la bocca con un fazzoletto, indignata.
Il volto era paonazzo e la rabbia era cresciuta a dismisura, vedendo suo cugino che rideva di gusto, molto soddisfatto.
Evan si era massaggiato il ginocchio, continuando a fissarla e, con la voce carica di sgomento, aveva mormorato: - Tu non sei Gwen!-
Lucius aveva sorriso amaramente, come se avesse ordito quell’incontro per avere una qualche conferma.
- Certo che no!- aveva esclamato Kerenza, cominciando a intuire qualcosa - Visto che mia cugina è morta da quattro anni!-
Il viso del giovane si era come gelato e poi un lampo di furbizia gli aveva attraversato lo sguardo.
- E così mi sono guadagnato un bel bacio del tutto gratis...valeva la pena lussarsi il ginocchio...così,  tu saresti la zietta di Lucius?-
Si era sollevato in tutta la sua altezza, avvicinandosi con aria spavalda.
- Credo che, da oggi in poi, frequentare Hogsmeade sarà assai più interessante!-

 

Dopo quel giorno Evan si era presentato spesso al cottage, in compagnia di Lucius o anche da solo.
Pian piano, Kerenza si era sciolta nei suoi confronti, imparando a cogliere il suo lato in ombra, più profondo di quello che mostrava al mondo.
Lui la ricopriva di complimenti smaccati e un pochino sfacciati, ammiccava, ma si teneva a debita distanza.
Anche dopo aver lasciato Hogwarts si era presentato spesso da lei, il più delle volte in preda al delirio dovuto all’alcool, in cerca di conforto e di cure.
Il loro era divenuto un legame profondo, di comprensione reciproca e di sostegno assoluto e, per molto tempo, non era sfociato in null’altro che questo.
Una sera però, il giorno del suo ventiquattresimo compleanno, Kerenza aveva ricevuto la visita, del tutto inaspettata, di Evan.
- Buon compleanno!- le aveva sorriso con calore: era incredibilmente sobrio e tranquillo.
Le aveva porto un mazzo di splendidi e piccoli fiori dalla delicata tonalità di azzurro.
- Agapanthus!- aveva esclamato lei, stringendo a sé quei fiori meravigliosi e profumatissimi - Te ne sei ricordato, incredibile!-
- Mi sono mai scordato del tuo compleanno?- aveva sbuffato il giovane, roteando gli occhi castani - Non potrei mai scordarmi di te e di tutto ciò che ti riguarda, tesoro mio dolce…- le aveva sorriso con una passione tale che il suo cuore aveva perso un battito.
- Sono talmente belli che non posso sopportare che appassiscano!- aveva esclamato la ragazza, affondando il volto arrossato in quella delicata composizione - Proverò a piantarne un po’ qui, anche se dubito che il clima scozzese sia adatto…-
- Andiamo, puoi piantarli in Cornovaglia, no? E’ questione di un attimo…-
- Mh, cercherò di farli fiorire anche qui, del resto anche la Scozia è casa mia, ormai.-
- Pff...per favore! Non fosse stato per quel blocco di ghiaccio umano chiamato Lucius, non ti saresti mai spinta così a nord! A ridosso della culla magica che ha contribuito all’estinzione della tua razza!-
Evan si era avvicinato di un passo, con l’espressione furba che gli era così tipica.
- La smetti? Vuoi farmi innervosire anche il giorno del mio compleanno?- lo aveva rimproverato, un pochino scossa.
Era rientrata al cottage con fare combattivo, dandogli le spalle mentre sistemava gli Agapanthus in un vaso.
- Sono così belli!- si era voltata verso di lui, con gli occhi sfavillanti che brillavano sul bel volto.
- Per questo sono perfetti per te…- le aveva fatto un piccolo inchino - Però sono anche complessi e hanno molteplici significati, no?-
- Per questo sono perfetti se vengono donati da te…- si era inchinata in risposta.
Si erano guardati per qualche istante, in silenzio.
- Gwen mi parlava sempre di questa poesia babbana...lei li trovava così affascinanti ed eclettici, i sanguesporco…- il leggero disprezzo di Evan aveva ferito Kerenza, ricordandole che tipo di strada si erano scelti lui e Lucius.
- Mi declamava questa poesia dove gli Agapanti venivano visti solo come il simbolo dell’esilio e della costrizione. Mi raccontava ciò per ammonirmi del fatto che, anche una cosa così bella, può essere vista in una luce d’odio e insofferenza; io l’ascoltavo e annuivo, ma pensavo solo al momento in cui, finalmente, avrei potuto osare zittirla con un bacio…-
Aveva riso piano davanti alla faccia scandalizzata di Kerenza.
- Faceva benissimo a metterti in guardia! Per la nostra famiglia, gli Agapnthus sono il simbolo dell’impossibile che diventa possibile: hanno il colore dei fiori che amano l’ombra ma vivono nutrendosi di luce e sole; crescono e svettano anche sui terreni brulli e sopportano il freddo e l’assenza d’acqua, si nascondono al gelo e, ai primi tepori primaverili, riemergono più forti che mai!-
Aveva sollevato il mento con orgoglio e Evan l’aveva guardata, serio in volto.
- E’ il simbolo delle donne straordinarie…- aveva sussurrato il giovane, con una voce bassa e vibrante - Sono poche ma portano in loro le luci e le ombre dell’amore, della forza e della vita stessa…-
- Non paragonare questi fiori stupendi alla tua donna!- era sbottata, con rabbia.
Evan si era avvicinato di un passo, sfiorando il corpo di Kerenza con il suo.
- Non parlavo di Bella, infatti.- la sua voce era ipnotica.
- B-bene…- non era riuscita a staccare gli occhi dal bel viso di lui.
- L’Agapanthus è considerato anche il fiore dell’amore, eppure è una pianta schiva, che mal sopporta i cambiamenti…- l’aveva afferrata dolcemente per un braccio, attirandola a sé fino a che i loro corpi avevano aderito delicatamente - Smettila di aspettare colui che non arriverà mai: il suo cuore non sarà mai libero, lo sai.-
- N-non...io n-non…- per una volta non aveva trovato di che controbattere.
- Lascia che ti insegni io cosa significa l’amore e che ti faccia capire per quale motivo sei nata: sei così bella, sei così...donna…-
L’aveva baciata con una passione tale che si era sentita sciogliere, non aveva nemmeno opposto resistenza ma, anzi, aveva allacciato le braccia al suo collo e si era lasciata sollevare e condurre in camera da letto.
Evan era stato il suo primo uomo e, da quel momento in poi, anche l’unico con il quale avesse condiviso una tale intimità.
Si era fermato al cottage per una settimana: una delle più felici della propria vita, aveva pensato lei.
Poi lui era ritornato alla sua vita, alla donna che amava, alla distruzione.
Si erano amati ancora tante volte: Evan arrivava e lei l’accoglieva.
E, pur amando persone diverse, le loro menti e i loro cuori, non solo i loro corpi, si toccavano in quei momenti di abbandono.
In quegli istanti si amavano con tutta l’anima.
Durante una di quelle notti d’amore, mentre il gelido vento scozzese ululava tutto intorno al cottage e spazzava il terreno indurito dal ghiaccio, Evan le aveva lasciato un dono.
Un dono minuscolo e palpitante del quale non avrebbe mai saputo l’esistenza.



 

Kerenza represse un singhiozzo, respirò a bocca aperta per frenare il dolore e impedirgli di emergere.
Rammentava la loro ultima volta insieme, avvenuta una settimana prima. Lui si era presentato, senza preavviso, in piena notte; l’aveva stretta a sé e poi si erano amati con passione, come sempre.
Pur vedendo quanto fosse sconvolto, quanto fosse fragile, non era riuscita ad aprirsi con lui nemmeno quella volta, non era riuscita a dirgli quella cosa così importante.
Evan le aveva donato, senza rendersene conto, la cosa più preziosa che lei possedesse al mondo.
E non l’avrebbe mai saputo.
Il senso di colpa le contorse le viscere e l’incredulo stupore in cui era caduta si infranse per l’ennesima volta.
Mai, mai, mai più avrebbe potuto dirglielo, mai avrebbe saputo, visto, conosciuto.
Forse quel dettaglio, quel segreto così importante, gli avrebbe salvato la vita; forse avrebbe trovato la forza di non costruirsi un destino così oscuro e lasciarsi morire.
Aveva sempre rimandato quella confessione e ora era troppo tardi.
Si dondolò su se stessa, troppo affranta per smettere di piangere.
Rimase così a lungo, prostrata come lo era da giorni.
Finché non calò la notte.
Ad un certo punto, la donna fu svegliata da un rumore, come due schiocchi secchi, poco lontano, fuori dalla sua porta.
Se pur intorpidita dal sonno, Kerenza si mise subito in allerta: qualcuno si era materializzato lì vicino.
I suoi sensi si attivarono e la mano scattò a prendere la sua bacchetta, si alzò con un gesto rapido, ma le sue gambe erano indolenzite dalla posizione scomoda.
Con una certa fatica afferrò una lunga collana e se la mise al collo, poi si mosse per andare alla porta: la tenda nera era ancora appesa all’interno ma lei sapeva che, per mettersi al sicuro, doveva staccarla del tutto.
Non ebbe mosso nemmeno due passi che la porta d’ingresso del cottage si spalancò con furore, facendo sventolare il pesante tendaggio e due figure si introdussero nella stanza esagonale.
Con sgomento scorse una figura nera e incappucciata, il cui volto era coperto da un’orribile maschera.
Kerenza sentì le sue gambe farsi molli per il terrore, ma cercò di non lasciarsi sopraffare dalla paura.
- Chi sei? Come osi entrare in casa mia!- esclamò, per prendere tempo.
Subito dopo notò l’altra figura che avanzava nella stanza: indossava un lungo mantello bianco e un velo nero le nascondeva il volto.
Una lunga cintura, tempestata di rubini e diamanti, le cingeva la vita sottile.
- Oso in nome di colui che regnerà sul mondo magico e non solo…- sussurrò una voce di donna, volando attraversò la cortina di velo nero.- Dammi il Breo Saighead e non ti faremo alcun male…-
Kerenza deglutì, percorsa da lunghi brividi.
“Forse rivedrò Evan prima del previsto...avrei dovuto parlare con Narcissa, in qualche modo…” pensò angosciata, poi si rammentò il motivo per il quale non poteva permettersi di morire.
Doveva essere prudente e furba. Doveva sopravvivere.
- E’ lì, sul mio tavolo…- mormorò: non poteva permettere che qualcuno prendesse il Breo, furba o no, non poteva proprio, non senza lottare. - Prendilo, se è ciò che vuoi...Rubinia…-
La figura ammantata di nero ebbe un piccolo scatto e cadde il silenzio.
- Quello che si trova la è un falso - mormorò la ragazza vestita di bianco - Ma sento che è qui vicino: dammelo e vivrai.-
- Aloise ti ha insegnato bene - proseguì Kerenza - Del resto tua madre era una strega Toad di prim’ordine.-
- Sta zitta e fai come ti ha detto.- le intimò l’uomo mascherato.
La giovane dal mantello bianco sollevò una mano per metterlo a tacere, poi si tolse il velo scuro e mostrò il suo volto all’altra donna.
- Naturalmente sai chi sono e sai chi era mia madre, non serve che menta o mi nasconda ma, se sai chi sono, sai anche per conto di chi agisco e, se rammenti mia madre, sai che lei rinnegò le Toad e il Dio Bucca, sia quello bianco che quello nero, e scelse il Concilio. - le sorrise, inclinando la testa - Se credi di intenerirmi perché possediamo lo stesso sangue e le nostre madri erano cugine, ti sbagli. Rubinia Alderman non esiste più da anni, non posseggo nostalgie nelle quali crogiolarmi.-
Fece un lieve cenno verso il suo compagno e lui agitò la bacchetta, lo fece con un leggero movimento del polso, come se disegnasse qualcosa nell’aria.
La Maledizione Cruciatus volò da Kerenza con la forza di una tempesta.
Non aveva mai provato un simile dolore, durò un’eternità e lei si contorse per terra, senza nemmeno rendersi conto di essere caduta sul pavimento di pietra.
Alla fine l’uomo diede uno strappo con la bacchetta e il dolore cessò.
Quando Kerenza riuscì a connettere di nuovo con la realtà, vide la veste bianca ondeggiare davanti ai suoi occhi.
- Voglio il Breo.- la voce era fredda e spietata.
- T-tua madre rubò un Breo e se ne andò, lasciando e rinnegando la famiglia...ora tu li vuoi unire- sussurrò la veggente - T-tanto morirò comunque, quindi non vedo perché debba assecondarti...Farfalla di Tintagel…-
- Ancora insisti con queste cose…- Brigid sospirò e fece un cenno a Barty Crouch, che non si fece pregare.
Altro dolore piombò su Kerenza e solo la protezione della sua collana, fatta con le vertebre di serpente, le impedì di impazzire o morire.
Quando si riprese era distesa sulla schiena e i due svettavano su di lei.
- Finché sarà nel suo ambiente, con le protezioni e l’indulgenza del Dio Bucca Gwydder, il bianco e benevolo, non avremo vittoria facile…- sussurrò Brigid - Per quanto rischioso, dobbiamo trascinarla fuori di qui…-
Barty si avvicinò e puntò la propria bacchetta su Kerenza, facendola levitare leggermente nell’aria, poi la sospinse verso l’uscita. La donna comprese che, una volta all’aperto, non avrebbe avuto scampo; la sua mente lavorò alla velocità della luce.
Sospirò piano, inerme, mentre il suo corpo veniva pilotato verso la pesante tenda nera.
“Come pensavo: la mia permanenza in Scozia è giunta alla sua naturale conclusione…”
- A-aspetta…- sussurrò, rivolta a Brigid - Non sono sciocca, nel mio ambiente sono protetta, fuori non ho speranza e io non voglio di certo morire…-
Ad un cenno dell’altra ragazza, l’uomo fermò il volo leggiadro di Kerenza.
- Allora parla, se collaborerai avrai salva la vita.- la Pellar fissò con i suoi occhi pallidi il bel viso sofferente della veggente.
- Nella ciotola di azzurrite c’è il falso, quello che espongo quando non lavoro. Il vero Breo, il gemello del tuo, lo troverai nel focolare...sotto la cenere- la voce della donna era tranquilla.
Mentire sarebbe stato inutile: lei doveva vivere, aveva un’ottima ragione per farlo.
Brigid si avvicinò al focolare e, con un gesto delle mani, scavò nel piccolo cumulo di fuliggine, estraendo una piramide identica a quella che lei possedeva.
Sorrise, facendola ondeggiare davanti ai suoi occhi chiari; fece un cenno al suo compagno, che permise a Kerenza di posare nuovamente i piedi per terra.
Brigid rigirò tra le mani il Breo, cullandolo con lo sguardo.
- Sei una donna saggia...ma lo sono anch’io - sussurrò, storcendo la bocca - So quale legame ti unisce al figlio di Gwen; so che lo ami, lo vedo riflesso nei tuoi occhi. Capirai che non posso permetterti di vincere certi vincoli e, magari, rivelare troppe cose a quell’uomo. Tu sai che io non posso permettertelo.-
Kerenza non si era aspettata nulla di diverso e, prima che Barty potesse cogliere l’invito di Rubinia, si gettò ai piedi della ragazza, singhiozzando.
- Ti prego! Non uccidermi! Te ne prego, sparirò, me ne andrò ma risparmiami!- le baciò la veste bianca, si aggrappò alle sue braccia.
Brigid fece un passo indietro, infastidita, ma, prima che potesse staccarsi del tutto, l’altra donna estrasse dalla propria tasca una piccola e appuntita scheggia di Tormalina nera e graffiò la superficie del Breo.
Un segno leggerissimo.
La piramide cristallina si incrinò, crepandosi in ogni sua faccia, sfigurando la superficie liscia e perfetta.
- Nooo!- l’urlo pieno di rabbia della ragazza lacerò l’aria.
Kerenza fu svelta e si lanciò verso l’uscita, superando la tenda nera; Barty e Brigid si smaterializzarono fuori dal cottage, parandosi dinnanzi alla donna, proprio davanti alla porta di ingresso.
- Maledetta! Hai rovinato in modo irrimediabile il Breo!- la ragazza vestita di bianco era fuori di sé.
Barty puntò la bacchetta contro l’altra donna e la investì in pieno con il suo Crucio, potente e preciso.
Kerenza fu sbalzata all’indietro e urlò in preda al dolore ma, nell’ultimo barlume di coscienza che le rimaneva, si aggrappò alla pesante tenda nera, nascondendosi tra le sue pieghe, poi tirò con forza e la strappò via.
E allora Rubinia comprese e gridò con quanto fiato aveva nei polmoni, colma di rabbia.
Barty interruppe il flusso della sua maledizione e fissò incredulo l’ingresso del cottage, il cui aspetto era del tutto mutato: le pietre erano erose dal tempo e ricoperte di muschio, la pesante porta in legno era marcescente e i perni arrugginiti.
L’intero cottage era ridotto solo ad una vecchia struttura centenaria con il tetto quasi inesistente e le finestre prive di vetri.
Niente tetto viola, niente muri in calce bianca.
Solo un vecchio edificio pericolante e decadente.
- Cosa?! - Crouch si tolse la maschera, esterrefatto - Era una Passaporta?-
- No…- la voce di Brigid era sepolcrale e il volto rigido e duro - Solo voi parlate di Passaporte...questa è magia avanzata e antica, non ciarpame incantato! Non so come abbia fatto a non rendermene conto…- sospirò contrita, stringendo a sé la piramide rovinata - La tenda nera era il veicolo d’accesso a un luogo lontano...il cottage non è mai stato qui, era solo un’illusione. Entrando al suo interno, di fatto, si arrivava in un luogo diverso e distante dalla Scozia…la Cornovaglia, immagino.-
- E’ incredibile quello che sapete fare.- Barty era ammirato e si avvicinò a Rubinia, accarezzandole la guancia. Lei si irrigidì e lui sorrise.
- Andiamo, ancora mi respingi? Sai che farei qualsiasi cosa per te e per convincerti che puoi fidarti. Non te l’ho forse dimostrato venendo qui a insaputa del nostro Signore?-
La ragazza evitò di guardarlo in viso e il sorriso del giovane si fece più ampio, tuttavia non insistette.
- Già, è un bene che lui non sappia che eri con me. - gli occhi chiari della ragazza erano torvi - Ora dovrò andare da lui e dirgli che non potrò unire i due Breo o che, anche provandoci, probabilmente non vedremo e capiremo nulla.-
Barty si accigliò.
- Non voglio che ti punisca, l’ira del Signore Oscuro non è mai auspicabile.-
Questa volta le circondò le spalle e lei non si oppose, si concentrò sulla piramide che stringeva al petto e sospirò.
Avrebbe dovuto usare ogni singola goccia di abilità per sopravvivere, adesso più che mai.
Ignorò la sensazione di benevole calore che la mano del giovane le trasmetteva, attraverso il leggero tessuto della tunica, e mormorò un semplice ‘Andiamo’, gettando un ultimo sguardo al vecchio cottage in rovina.
Questa volta era stata lei a venire ingannata ed essere manovrata.

 

 

La stanza del Signore Oscuro era nella penombra, come sempre.
Brigid era chinata dinnanzi a lui, i due Breo posti l’uno accanto all’altro, ai piedi di Voldemort.
- Capisco…- la voce di lui era fredda ma quieta - Mi hai sempre servito bene, non mi arride l’idea di non poter verificare di persona la potenza di questi due manufatti magici...Ma riconosco anche che l’abilità di voi streghe corniche, e la capacità di eseguire antiche magie, sia del tutto al di fuori dell’ordinario. E’ normale che in uno scontro alla pari l’esito sia incerto.-
- Non esiste parola al mondo che possa esprimere  la mia costernazione...se Vorrete punirmi lo capirò, sono pronta.- la figuretta esile e bianca della ragazza spiccava in quell’assenza di luce. - Tuttavia, vorrei almeno tentare di unire le due piramidi, vorrei capire fino a che punto sono state danneggiate e, se permettete, vorrei farlo dinnanzi a Voi, mio Signore.-
- Procedi.- una sola parola.
Lei si alzò e raccolse i due oggetti: il suo, ancora integro, e quello che era appartenuto a Kerenza, danneggiato.
Brigid era del tutto schiacciata dall’aura potente che l’uomo davanti a lei emanava; il suo corpo, sotto la leggera tunica bianca, era fradicio di sudore.
Ma il suo volto non lasciava trapelare nulla e la sua mente era ben chiusa.
Con molta delicatezza fece combaciare i due lati dedicati al destino e le due piramidi si illuminarono di una luce azzurrina.
Il Breo rovinato si illuminò a intermittenza, la sua luce era tremolante, ma i due oggetti riuscirono a  fondersi per qualche istante, rilucendo argentei nella stanza.
Lord Voldemort si alzò si avvicinò, osservando rapito un fenomeno che un solo, antico, testo di magia descriveva.
- Affascinante…- sussurrò, stringendo gli occhi - Riesci a vedere qualcosa?-
Ciò che la ragazza vide, quando il Signore Oscuro si riflesse nella superficie liscia del prezioso manufatto magico, fu qualcosa di indescrivibile.
Un abisso di orrore, un nero gorgo di terrore, un oscuro vento di violenza.
Ma ciò che le fermò quasi il cuore fu la visione, netta e chiara, di un animo lacerato e spezzato, strappato in più punti in modo irreparabile.
In quello stesso istante, il Breo unificato prese a scottarle nelle mani e lei dovette lasciarlo cadere, mentre si divideva nuovamente in due.
La metà rotta si sgretolò del tutto e si annerì, l’altra metà ritornò ad essere uguale a prima.
Brigid sentì su di sé lo sguardo di Lord Voldemort e comprese che lui attendeva ancora la sua risposta.
Solo la sua cintura, tempestata dalle pietre che una volta avevano ornato la collana di Aloise Alderman, riuscì a darle la forza e la protezione per celare ciò che la sua mente aveva colto in quella breve visione.
Sollevò gli occhi sull’Oscuro Signore, con molta calma.
- Ciò che sono riuscita a cogliere è che ad Hogwarts e ad Hogsmeade, in questi due luoghi, avverrà qualcosa di determinante per Voi, per il Vostro futuro, per la Vostra esistenza, mio Signore- sussurrò la giovane, regolando il battito del suo cuore - In quei luoghi dovrete inviare il Vostro uomo più fidato, senza indugi, e lì lui dovrà rimanere finché un segno potente arriverà e determinerà le sorti di questa guerra.-
Voldemort la fissò a lungo e lei sostenne l’esame.
- Ha a che vedere con Albus Silente?- la voce era liscia, fredda e affilata come una stalattite.
- Si…- sussurrò la ragazza - E, molto presto, un nuovo adepto vi porterà un aiuto insperato per smuovere le acque immobili di questo conflitto...i prossimi mesi saranno del tutto fondamentali…-
Lui annuì e poi si allontanò, volgendole le spalle.
- Sei davvero preziosa, Brigid. Puoi andare.-
La giovane raccolse il proprio Breo e, dopo un breve inchino, uscì dalla stanza.
Si allontanò lentamente e poi, sempre più velocemente.
Finché non giunse nella stanza che aveva il permesso di occupare in casa Smith.
Ad attenderla c’era Barty, che le andò incontro, preoccupato.
Lei osservò il volto lentigginoso e anonimo del ragazzo e, senza opporre resistenza, si lasciò abbracciare delicatamente.
Ciò che aveva visto l’aveva sconvolta ma, allo stesso tempo, le aveva aperto un enorme spiraglio: grazie a ciò che aveva veduto molti destini sarebbero cambiati e sarebbero stati decisi.
Sorrise, facendosi cullare dal giovane Crouch, ma serbando solo per sé ciò che il Breo le aveva mostrato.

 

Lucius risalì il breve viale che conduceva alla tomba di famiglia dei Malfoy.
La fronte era corrugata per la preoccupazione: da due settimane non aveva notizie di Kerenza.
Non solo, il suo cottage aveva ripreso le sue originali sembianze, ciò lasciava intendere che la donna non fosse intenzionata a fare ritorno.
- Malfoy!- una voce lo chiamò, cogliendolo di sorpresa.
La mano era già scattata e aveva estratto la bacchetta.
Ma uno sbuffo spazientito gli uscì dalle labbra sottili, quando vide chi era la persona che lo stava chiamando.
- Non sei troppo giovane per girovagare per un cimitero? Non hai paura dei fuochi fatui?- i suoi occhi azzurri scrutarono il bel volto di Regulus.
Il ragazzo finse di non sentirlo e raccolse quella sfida di sguardi con insolita spavalderia.
- Risparmiati i soliti convenevoli, Malfoy - gli rispose, scostandosi una ciocca dei neri capelli dalla fronte.
Lucius strinse le labbra: quel moccioso insolente somigliava davvero molto a sua cugina, per sua fortuna.
- Sono qui per stringere un patto con te…-
Questo non se l’era aspettato; Lucius alzò un sopracciglio.
- Ci sono cose che io so, cose delle quali sono venuto a conoscenza, che cambieranno in meglio la vita di entrambi…- respirò lentamente - Cosa credi, so che l’avvento di Snape nella vostra schiera ti ha danneggiato- sorrise, in risposta all’espressione gelida che si dipinse sul volto del suo rivale - Hai puntato sul cavallo sbagliato...lascia che te lo dimostri...aiutami e io aiuterò te a riprenderti il posto che ti spetta.-
“E tu aiuterai me a prendermi l’amore della mia vita...!” pensò Regulus, sentendo quella meta vicina come non mai.
- Ma che bel discorsetto preparato a puntino...Bene, sono curioso di vedere quanto del mio tempo riuscirò a sprecare…- sibilò Lucius, svettando sul ragazzo - E dì al tuo elfo disgustoso di tenersi a debita distanza…- concluse, lanciando uno sguardo a Kreacher.
- Lui sta vicino a me, serve i Black, di sfiorarti il mantello non sa che farsene…- lo rimbeccò Regulus e il vecchio elfo domestico lo fissò adorante, con i suoi occhi a palla.
Lucius agglomerò quel poco di pazienza che possedeva e, per amore di Narcissa, si apprestò ad ascoltare i deliri del giovane Regulus.

 

Mezz’ora dopo, Lucius arrivò alla cripta di famiglia e si fece strada in quel triste mausoleo; lasciò un mazzo di rose bianche sulla tomba di sua madre e poi si voltò verso quella di Evan.
Un mazzo di azzurri Agapanthus, ancora bagnati di rugiada, era appoggiato alla lapide di marmo.
Il giovane chiuse gli occhi e sospirò di sollievo: sua cugina aveva trovato il modo di portare lì quei fiori, in qualche modo era riuscita a introdursi la dentro e lasciare quell’omaggio per Evan.
Non sapeva come avesse fatto ma, una cosa era certa, quei fiori significavano una cosa sola: Kerenza era viva.



 

*La poesia di apertura è quella a cui poi si riferisce Evan quando parla con Kerenza.E’ dello scrittore greco, premio Nobel per la letteratura, Ghiorghios Seferis ed è stata scritta in un periodo di esilio dalla terra natia: gli Agapanti, in questo caso, essendo fiori tipici di quei luoghi d’esilio forzato, vengono visti da lui come il simbolo della sofferenza sua e del suo popolo, costretto a subire l’imposizione della guerra e del dolore.

 

(L’Agapanthus (agàpe (amore) e ànthos (fiore) ) è una pianta erbacea originaria dell’Africa, nata per i climi caldi eppure incredibilmente tenace e bella, nonché profumata. Come spiega Kerenza, sopravvive alle gelate, rifiorisce e svetta su tutti gli altri, mentre, come dice Evan, pur essendo considerato il fiore dell’amore, è una pianta che non sopporta facilmente di essere interrato altrove, i cambiamenti ed è schiva.)



Angolino simpatico (ossia le note dell’autrice): Bene, vi ho tediato abbastanza? Capitolo lunghissimo che, spero, possa farsi perdonare per l’assenza prolungata e che porta in sé la presenza di Evan, così difficile da lasciar andare del tutto...ma ditemi, avete capito cos’è il dono che Evan ha lasciato a Kerenza in modo inconsapevole? Capirai che mistero...io spero di non tardare troppo con il prossimo capitolo, ma sarà lungo, denso e pieno di eventi….quindi potrei metterci un pochino. Abbiate fede, sono tornata… (*ride diabolicamente*) A presto!
  
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