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Autore: floricienta    19/09/2016    2 recensioni
In una società governata dalla tecnologia più avanzata combinata alla forza del Mana, la divinità dell'oceano, Tangaroa, minaccia la sopravvivenza del genere umano, costringendolo a ritirarsi a vivere sulle aeronavi e obbligandolo a compiere sacrifici per beneficiare la propria benevolenza.
È in questo contesto che si intrecciano i destini e i sentimenti di due persone. Ari, un ragazzo timido e pauroso, che si è visto portar via tutto ciò che di più caro gli era al mondo, e con un potere dentro di lui che non può neanche immaginare; e Nael, un ladruncolo di strada che, per diverse vicissitudini, si è ritrovato a convivere proprio con Ari, aiutandolo giorno per giorno a diventare sempre più forte con la sua presenza.
Un insieme di turbamento, tristezza, felicità, disperazione, amore.
Sarà proprio la catena che li lega indissolubilmente a determinare la salvezza o la distruzione dell'umanità.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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CAPITOLO 2
SENTIMENTI CELATI NEL PALMO DELLA MANO


Aprile, anno 439 del XII periodo

Per quanto Ari fosse estremamente melodrammatico ed esagerato, in realtà, il trattamento riservato ai Sacrifici non raggiungeva i limiti del terribile.
Alla mattina tutti dovevano recarsi nella zona mensa, dove veniva distribuita la colazione dai Sacrifici addetti alla cucina. La mensa si mostrava come un'enorme stanza dalle pareti in ferro grigio, suddivisa in file e file di tavoli in acciaio bianco e delle colonne, che amplificavano questa divisione, nelle quali fluiva del mana a sostenere il soffitto, anch'esse di un materiale che ricordava quello del resto dell'aeronave. Tutto quel metallo dava alla testa e, dopo qualche tempo, ci si sentiva oppressi dalla monotonia della struttura.
Acciaio, ferro; ferro, acciaio.
Ormai si era dimenticato cosa si provasse sotto il calpestio della ghiaia o come fosse piacevole rimanere all'ombra di un'enorme quercia con la schiena poggiata al legno.

Dopo aver consumato la colazione, ognuno doveva raggiungere quello che veniva considerato il proprio posto di lavoro. Chi si dedicava alla pulizia della nave, chi si prodigava per la preparazione del pranzo, chi produceva gli alimenti stessi, chi si occupava di manutenzione e così via.
Ari aveva sfruttato le proprie conoscenze di contadino e allevatore e gli avevano assegnato la cura degli animali, che venivano clonati ormai da parecchi anni nella loro società per assicurare i prodotti più privilegiati, sicuri, controllati e selezionati.
A Nael era andata decisamente peggio. Quando vivevano sulla Terra, lui era semplicemente un ladruncolo di strada che non possedeva la cittadinanza in nessun paese conosciuto, non era registrato da alcuna parte. Inoltre, non aveva mai frequentato la scuola, né era mai stato assunto per un qualsiasi lavoro, dunque gli era stato assegnato uno dei compiti più pesanti: doveva girare per i diversi stabilimenti per ritirare le merci prodotte e raccattarle nel magazzino situato nel piano più basso dell'aeronave. Questo gli consentiva di andare quasi ovunque, ma nello stesso tempo era richiesto un grande sforzo fisico.
Nael, in realtà, non ne era dispiaciuto. Era contento di non dover restare fisso in un posto, magari dietro a un macchinario; per di più, se avesse fatto il giro di raccolta in tempi brevi, avrebbe potuto spendere il resto della giornata come più gli aggradava. Il più delle volte andava a far visita ad Ari, che doveva rimanere con gli animali fino alla fine del turno, e gli teneva compagnia senza che nessuno gli facesse una ramanzina.

Finito di lavorare, i Sacrifici erano liberi di dedicarsi al riposo e allo svago fino all'orario di cena, facendo passeggiate nelle zone autorizzate, leggendo prendendo in prestito i libri dalle biblioteche o qualsiasi altra cosa non andasse contro il regolamento. Dopo il pasto serale erano obbligati a ritirarsi nelle proprie celle e non potevano uscire dalla zona dormitorio fino alla mattina seguente.
Le giornate successive si ripetevano più o meno sempre uguali.
Per quanto riguardava il controllo, veniva eseguito un appello ogni mattina sul posto di lavoro da parte dei capi – gente che apparteneva alla classe dei Normali – e uno alla sera dopo cena dalle guardie, anch'essi Normali. Non vi erano allarmi, telecamere di sicurezza o qualsivoglia altra forma di sorveglianza. Solamente alcuni addetti giravano per la nave, assicurandosi che fosse tutto in ordine.
I Sacrifici non avevano idea di come funzionassero le cose sulle altre aeronavi, probabilmente il governo non voleva sprecare personale utile nelle altre pseudo-città aeree per gente che pian piano si sarebbe sempre di più decimata. Ciò di cui erano sicuri, era che dovevano comportarsi regolarmente o ci sarebbero state punizioni come conseguenza, una di queste sarebbe potuta essere quella di diventare sacrifici immediati, per quanto non fosse quello il metodo per capire chi fosse idoneo e chi no. In ogni caso, non c'erano mai stati problemi o casi estremi d'insubordinazione.
In sostanza, l'aeronave dei Sacrifici funzionava come un'enorme città-lavoro, senza troppa esigenza e con dello spazio libero per potersi ancora definire persone.




Ari si trovava sdraiato sull'erba – che i maghi erano riusciti a ricreare grazie ai loro poteri collegati alla natura – e intorno a lui si percepiva il muggire delle mucche a cui stava badando. Tirava un leggero venticello, che fuoriusciva dai condotti d'areazione e che buttava all'interno dell'aeronave l'aria purificata proveniente dall'esterno. Per quanto fosse pura e incontaminata, c'era comunque qualcosa di strano che non ricordava per niente l'aria che era solito inspirare a fondo mentre si trovava sulla Terra. Era quasi anonima, senza emozioni da comunicare.
Con lo sguardo cristallino fissava sopra di sé la cupola in vetro, una delle poche zone dalle quali era ben visibile il Cielo, e aspettò di incontrare di nuovo l'azzurro di esso mentre la nave attraversava una nuvola candida, che ricordava vagamente la sensazione di avere davanti agli occhi della schiuma.
I suoi pensieri erano ben lontani dagli animali intorno a sé e per nulla tranquilli come quel momento apparente di beatitudine.

Che mi stia prendendo un malanno? Ho ancora le dita intorpidite, forse sono allergico a qualcosa? Per non parlare della mia caviglia...

Dopo che Nael se n'era andato dalla sua stanza, si era controllato la gamba che gli pulsava e aveva notato un evidente segno rosso della larghezza di due dita. Non aveva memoria di come avesse potuto procurarsi una ferita del genere, l'unica cosa che gli tornava alla mente era quel sogno strano che gli aveva gettato addosso un insieme di ansia e preoccupazione.

Era solo un incubo... da quanti anni ormai non faccio che incubi? Non dovrebbe essere una novità. Però era tutto così reale e strano nello stesso tempo e non capisco perché mi senta così...

Una minima parte di cielo cominciava a uscire fuori, mostrando un azzurro intenso che si rifletteva nelle iridi diventate quasi trasparenti.

Tangaroa che mi parla in sogno, colui che ci vuole tutti morti e viene a chiedere aiuto a me... era indubbiamente solo un sogno.

Allungò la mano destra verso il soffitto, con le dita ben aperte vedendo attraverso di esse. Il formicolio era presente soprattutto sulle punte e andava scemando verso il palmo. Era qualcosa che andava e veniva, ma quando ci faceva attenzione lo percepiva estremamente nitido. Aveva provato anche a toccarsi i nervi per vedere se fosse un problema del sistema nervoso, ma aveva capito che era una percezione diversa da quella di un nervo leso. Per qualche istante gli era anche venuto il dubbio che fosse un avvertimento sul fatto che sarebbe potuto diventare il prossimo sacrificio, ma non poteva essere. Sapeva bene come avveniva e quello non era mai accaduto a nessuno. Irrigidì le dita e si morse il labbro inferiore mentre lasciava vagare ancora i pensieri.

Devo smetterla di rimuginarci troppo. Sarà solo stanchezza. Se andrà avanti a lungo, vedrò di farmi controllare.

In quel momento, Nael si avvicinò da dietro, protese la mano verso quella del ragazzo dai capelli cenere e poi intrecciò le dita insieme, accostandosi a lui. Lo salutò con un sorriso, stando in piedi al suo fianco e con le mani unite insieme.
“Hai finito di lavorare?” gli chiese Ari.
“Già! Sono stato bravo, eh?” gli strinse di più la mano e si sdraiò al suo fianco senza perdere il contatto con essa. Si mise prono con il gomito poggiato sul terreno e la mano sinistra chiusa a pugno per tenere sollevato il volto.
“Buongiorno, Natanael.” una voce arrivò da qualche metro lontano da loro. Era il capo di Ari che ormai si era abituato a ricevere la visita del ragazzo moro quasi ogni giorno.
“Buongiorno a lei.” ricambiò il saluto e poi si concentrò nuovamente sull'amico. “Ti manca ancora molto?”
Ari scosse la testa e Natanael sbuffò di rimando.
“Che c'è?”
“È da qualche giorno che hai quella faccia. Che ti succede, Ari?”
“Niente. Cosa mi deve succedere?”
“Questo lo sto chiedendo io a te.”
Come al solito, Nael riusciva a capire qualsiasi cosa riguardasse Ari e quest'ultimo non se ne stupì. Scosse ancora la testa e pensò che non c'era bisogno di dirgli alcunché, dato che probabilmente si stava facendo una marea di problemi per niente.

E poi non voglio farlo preoccupare più di quanto non faccia già di suo.

“Dai, dimmelo!” insistette.
Ari si portò le loro mani unite sul proprio petto e all'improvviso si accorse che era svanito il brulichio su cui stava tanto ragionando nelle ultime ore.
“Davvero, non è niente.”
Il cielo si scoprì del tutto e una forte luce colpì intensamente il volto di Ari, che dovette strizzare gli occhi non riuscendo a sopportarla. Un istante dopo avvertì un fiato caldo che soffiava all'angolo delle sue labbra.
“So quando menti, non credere di poter evitare per sempre la domanda.” il tono che Nael aveva usato era affettuoso e delicato. Non c'era la minima punta di minaccia, a dispetto di quanto potesse essere il significato della frase stessa.
Ari provò a riaprire gli occhi, ma ancora non riusciva ad abituarsi e dovette richiuderli subito. Non sapeva come ribattere, perché era cosciente del fatto che sarebbe stato difficile evitare l'argomento con Natanael una volta che si fosse impuntato, quindi rimase in silenzio a sentire la parte destra del proprio viso continuamente colpita dal respiro caldo dell'amico. Probabilmente, a questo punto, aveva il viso arrossato e questo rossore aumentò ulteriormente appena la sua guancia fu vezzeggiata dal naso di Nael.
“Hai qualche problema qui a lavoro?” continuò il moro, lasciando la sua voce a un sussurro.
“No.” Ari venne accarezzato da quel suono e provò pace finalmente per i suoi sensi.
“Con qualcuno?”
“No, Nael. Smettila.” avrebbe voluto usare un tono tagliente, ma la situazione non glielo permetteva.
Davvero quel ragazzo oltrepassava qualsiasi barriera, lo faceva sciogliere come niente e ancora non si capacitava del perché lo lasciasse fare, o, almeno, non l'aveva mai espresso a parole per quanto lo sapesse. Se il suo capo l'avesse visto, avrebbe sicuramente pensato che quelli erano atteggiamenti poco consoni da tenere in pubblico.
“Ti ho visto troppe volte quel faccino. Non credere che sia contento di vederlo ancora senza sapere cosa ti turba.” Natanael premette il naso contro la pelle dell'altro e lo fece scivolare fino al collo, dove gli diede un piccolo bacio e rimase con il proprio viso incastrato nell'incavo tra la spalla e il collo di Ari.
“Non guardarlo, allora.” il biondo non cedette, per quanto ormai anche la sua voce non era che ridotta a un sussurro, non voleva raccontare nulla.
Era un qualcosa che percepiva dentro di sé, un qualcosa che doveva tenere per sé senza coinvolgere altri. Non era che semplice paura di riflesso. Certo, questo non spiegava il perché avesse visto quella luce in biblioteca o perché avesse un segno sulla caviglia, ma non voleva dare spiegazioni. Anche perché non esistevano nella sua mente spiegazioni tali da essere credibili e neanche che non lo fossero. Non esistevano e basta.
La bocca carnosa di Nael sulla sua gola, però, gli stava facendo dimenticare tutte quelle preoccupazioni, tanto da non riuscire più a pensare. Era davvero arrivato a questo punto senza accorgersene nei lunghi otto anni e ancora si faceva andare bene le cose come stavano. Aveva paura anche di quello che provava per Nael. Era consapevole che il loro era un rapporto strano, ma non aveva un nome. E chiederlo gli avrebbe procurato solo ansia per una risposta che non voleva sentire.
“Mi chiedi troppo. Come faccio a parlarti senza guardarti? È maleducazione.” continuò a sussurrare il ragazzo dai capelli scuri, riprendendo un percorso inverso con le labbra.
Però, quando Nael ci si metteva, andava davvero in là e il tutto lo faceva esplodere da dentro. Le loro mani erano ancora unite, talmente tanto da essere diventate ormai bianche da quanto si tenevano forte; la bocca di Natanael ancora si spostava lungo la sua pelle ed era arrivata all'orecchio e lì aveva deciso di posarsi; gli occhi erano fissi sul suo viso e poté constatarlo non appena riuscì a riaprire i propri. Era un qualcosa che non voleva assolutamente rovinare. Per quanto fosse imbarazzato e consapevole che l'altro se ne fosse reso conto – e nonostante questo non la smetteva – poteva sopportare benissimo quel lieve turbamento per poter rimanere così con Nael.
Lo fissò nelle iridi, specchiandosi in una e perdendosi nell'altra. Se qualcuno lo considerava strano anche per quel carattere, Ari, invece, lo trovava molto attraente. Una delle prime volte che l'aveva osservato con occhi non più da bambino l'aveva definito semplicemente bellissimo e ancora lo pensava, anzi, era diventato sempre più bello nel corso degli anni. La possanza del suo corpo e l'intensità del suo sguardo era andata sempre più migliorando, tanto da farsi venire complessi per il proprio aspetto per quanto non ce ne fosse bisogno e da quanti complimenti gli rivolgesse sempre l'amico.
“Mi dici adesso che ti prende?” perseverò nella richiesta.
Ari negò con il capo, facendo spallucce.
“Ah! Ma uffa!” Nael si staccò improvvisamente, lagnando come un bambino e sbattendo le gambe per terra. “Io lo voglio sapere!”
Il minore si svegliò da quel dolce momento, che era durato troppo poco, e non poté che ridere davanti a quella scena patetica.
“Bene.” Nael si rimise in piedi, lasciando andare con dispiacere la mano dell'altro e picchiettandosi sui vestiti, sempre gli stessi, per liberarsi da ciuffetti d'erba e polvere. “Ti aspetto nella tua camera allora. Ci vediamo dopo.”
“A dopo.”



Natanael arricciò il naso e se ne andò, lasciandolo lavorare. Prima di raggiungere la stanza di Ari, però, fece una piccola deviazione.
Ormai si prendeva cura di lui da parecchio tempo, non avrebbe mai potuto lasciarlo solo, anche se le circostanze in cui era avvenuto il loro incontro e la loro successiva convivenza erano state molto insolite. Si era trovato davanti un ragazzino chiuso, timido e malinconico e pian piano aveva cercato di far sparire tutta la tristezza dal suo volto. Ogni volta che vedeva dei primi cenni in quegli occhi glaciali, subito si preoccupava e non poteva assolutamente rimanere con le mani in mano.
Ari era un qualcosa da dover proteggere. Tutto di lui gli urlava nella testa che doveva rimanere al suo fianco e stringerlo così forte da non farlo scappare. Così i suoi sentimenti si erano sempre di più accresciuti e, allo stesso tempo, non perdeva mai occasione di scambiare qualche piccola effusione.
Finché Ari lo lasciava fare non c'era alcun problema e Nael sperava che questo non cambiasse mai; d'altro canto, non voleva spingersi troppo oltre per quanto il suo corpo lo pregasse, ed era convinto che questo suo trattenersi fosse per il bene di entrambi. Non c'erano metodi per scoprire chi sarebbe stato il prossimo sacrificio, soprattutto negli ultimi due anni dove i rituali si susseguivano frequentemente e regolarmente, quindi non voleva dare una falsa speranza di un futuro insieme all'unica persona di cui si era fidato in tutta la sua vita, l'unica per cui aveva provato dei sentimenti di qualsiasi genere.
Il futuro era troppo incerto.
Era come una conchiglia sotterrata nel fondale marino, che improvvisamente veniva spazzata via dalla propria casa da una forte corrente e sbattuta sul bagnasciuga da un'onda dirompente e lasciata lì a seccare.
Ma non sapeva per quanto tempo ancora il proprio cuore non sarebbe esploso. Si sentiva sempre sul punto di star per valicare il leggero confine che aveva stabilito con Ari senza bisogno di parlarne e si dava dello stupido per questo. Se si era auto-imposto di trattenersi, allo stesso modo non era convinto che fosse la soluzione migliore. In ogni caso, Ari non aveva mai fatto niente di particolare per fargli intendere che volesse qualcosa di più, quindi si era accontentato del loro rapporto così com'era.
L'unica cosa che Natanael era davvero sicuro di volere, era il volto sorridente di Ari, per questo non gli dispiaceva passare anche qualche guaio se questo avesse raggiunto il suo scopo. E per questo si era ritrovato a rubare per l'ennesima volta dal magazzino.

Aspettò con impazienza che Ari tornasse da lavoro, seduto sul letto con la schiena contro la parete e socchiudendo gli occhi per riposarsi un poco. Quando sentì il pomello ruotare, si destò di colpo e fu subito pronto ad accogliere il suo amico con un sorriso.
“Sono tornato.”
“Hai ancora la testa tra le nuvole?” gli chiese con un sorriso sghembo e il ragazzo dagli occhi celesti fece un gesto con la mano come per cambiare discorso. Nael picchiettò il materasso per fargli cenno di sedersi al suo fianco, comando che venne subito eseguito. “Sai cosa manca in questa cella?” continuò poi Natanael, guardandosi intorno.
“Che cosa?” Ari alzò un sopracciglio, non capendo dove volesse andare a parare.
“Un po' di colore!” con un balzo il moro scese dal letto e prese da sotto di esso un barattolo di vernice e due pennelli.
L'altro rimase a bocca spalancata e senza parole. Quale altro piano sconsiderato aveva attraversato la sua mente?
“Da dove li hai presi?”
“Dal magazzino.”
“Li hai rubati insomma.”
“Sono bravo in questo, no?” la sua faccia sprizzava ironia da tutti i pori mentre gli porgeva un pennello.
“Ma non possiamo dipingere la cella!” Ari prese comunque lo strumento in mano, osservando l'amico che apriva il barattolo e intingeva il pennello nel colore.
“È lavabile se la cosa ti preoccupa. Come tutto del resto.” commentò sarcastico.
“Davvero gentile da parte tua.” aggrottò la fronte, inclinando il capo verso sinistra così che i capelli gli andarono tutti davanti al volto.
“Ci divertiamo solamente un po'.” gli fece l'occhiolino e Ari sospirò esageratamente, lasciandosi andare a un sorriso.
Nael gli spostò la ciocca di capelli biondi dagli occhi, portandola dietro le orecchie, e avvicinò il proprio viso fino a sfiorare la punta dei nasi.
“Bravo bam-bi-no.” scandì ogni sillaba, sottolineando per bene la parola per poi cogliere di sorpresa il minore. Gli diede una pennellata sulla fronte, sporcandolo tutto.
Ari si portò una mano su di essa e vide gocciolare della pittura grigia metallizzata dalle sue dita. Gli ci volle qualche attimo per capire che era stato colpito, dato che non se lo sarebbe mai aspettato. “Nael!” gridò ad un certo punto e scattò in piedi.
“Ti dona quella striscia.” Natanael si stava tenendo la pancia dalle risate.
Ari si lanciò sul barattolo per intingere il proprio pennello e diede una striata sulla guancia dell'altro. Questa volta fu lui quello che scoppiò a ridere, mentre Nael sbatteva gli occhi incredulo che il minore avesse reagito così prontamente.
“Vuoi la guerra quindi!” rispose Nael, facendo il vocione e gli si gettò contro.

In men che non si dica, la stanza si trasformò in un vero delirio. Non solo avevano imbrattato la propria pelle e i propri abiti, ma anche le pareti, le lenzuola e lo specchio. Risero per tutto il tempo, con Ari che cercava di primeggiare e intrappolare l'altro per dipingergli i capelli e Nael che muoveva il pennello come se fosse una spada, sporcando ancora di più in giro.
Ad un certo punto, Ari crollò a terra ridendo a perdifiato. La sua testa era rivolta verso il soffitto, gli occhi serrati e le spalle che tremavano a ogni suono cristallino che fuoriusciva dalla sua bocca. Nael s'incantò nell'ammirarlo, contento che ogni minima traccia di preoccupazione fosse svanita dal suo volto e s'inginocchiò davanti a lui. Sentire quella risata lo faceva star bene più di qualsiasi altra cosa.
“Ho vinto.” annunciò poi fiero, guardandolo sornione.
Ari smise di ridere, rimanendo con il volto sereno e felice, subito dopo gli rivolse lo stesso sguardo e gli diede un'ultima pennellata sul naso.
“Non credo proprio.” accostò il proprio viso a quello del maggiore e proruppe nuovamente in una risata, che fu seguita subito da quella di Nael.
Dopo qualche minuto, si alzarono dal pavimento e si diedero un contegno.
“Grazie, Nael.” Ari lo prese per la manica e la strinse forte tra le dita esili.
“Non ho fatto niente.” gli scompigliò i capelli di risposta.
“Guarda che cosa abbiamo combinato...” Ari si guardò intorno, notando che la vernice aveva lasciato illese ben poche cose. Avrebbe dovuto portare tutto a lavare e, a proposito di lavare, dovevano farsi decisamente un bagno.
“Però ti sei divertito.”
Ari annuì e fu colto di sorpresa quando il ragazzo dai capelli neri lo prese per le gambe e lo tirò su a mo' di sacco.
“Cosa stai facendo?” esclamò alzando la voce.
“Ti porto a prendere dell'acqua per pulire tutto.”
“E devi portarmi così? So camminare con le mie gambe. Non sono un neonato.”
Nael lo poggiò contro la parete e gli bloccò i movimenti tenendolo racchiuso dalle braccia e lo fissò intensamente negli occhi.
“Ah, no?” rise. “Pensavo di sì, sai?”
Quanto adorava punzecchiarlo a quel modo, soprattutto se dopo averlo fatto notava comparire del rossore su quelle guance nivee così morbide al tatto. Infatti accadde anche quella volta. Le pupille di Ari si erano ingrandite leggermente, il colore dell'iride in quel momento era di un azzurrino intenso e intenso era anche l'imporporamento sugli zigomi, che li faceva apparire rosati. Era una visione di cui il suo corpo si beava, un qualcosa che gli trasmetteva l'impulso di prendergli il volto tra le mani e baciarlo per far diventare quel rosino di un rosso scarlatto. Però mantenne l'autocontrollo e si limitò a pizzicargli una guancia in modo affettuoso.
“Guarda che te sei decisamente peggio di me se stiamo a vedere la maturità.”
E Ari non si lasciava sfuggire l'occasione di ribattere quando gli era servita la battuta sul piatto d'argento. Forse non accadeva spesso, ma quando succedeva, si compiaceva di se stesso. Inoltre, questo gli faceva sviare per un attimo i pensieri dal contatto con Nael, dai suoi occhi sempre fissi nei propri, dalla sua bocca sempre così dannatamente vicina alla propria. La paura non gli consentiva di annullare quella minima distanza, non di sua spontanea volontà. L'imbarazzo faceva lo stesso, oltre a palesarlo proprio davanti al moro. Al contrario suo, Nael non trapelava nessuna emozione d'impaccio e turbamento, ma gli occhi erano lascivi quasi a imprimergli sulla pelle una bruciatura che scottava terribilmente fino a lasciargli la cicatrice. L'unica cosa che era in grado di compiere, era quella di scostare lo sguardo per qualche secondo per riprendere fiato e non cedere a quelle strane sensazioni che aveva solo letto nelle pagine dei libri.
“Sempre meglio essere un bambinone, che assomigliare a un vecchietto come te.”
“Non sono vecchio!” Ari irrigidì le braccia contro il busto e strinse i pugni, facendo il finto offeso.
“Ah, giusto... Sei un neonato. Me lo eri dimenticato, perdonami.”
Nael non riuscì a trattenere l'ennesima risata, accasciandosi sul corpo dell'altro, sentendo i suoi capelli pizzicargli le palpebre e schiacciandolo contro il muro. Ari, di rimando, lo strinse tra le proprie braccia e lo premette contro di sé, rilassandosi. Anche se la sua bocca non voleva aprirsi per dar sfogo a tutte le domande che gli opprimevano il petto, nella sua mente scorrevano una dietro l'altra e a tutte lui aveva già la risposta pronta.




Pochi minuti dopo si recarono in un'area dove potevano riempire i propri catini d'acqua e utilizzarla per lavarsi nella propria stanza. Infatti, i bagni non erano muniti di docce, ma in ogni cella vi era un canale di scolo che raccoglieva tutta l'acqua utilizzata dai Sacrifici e i maghi si premunivano di depurarla per usarla per diversi cicli consecutivi. Dopo aver riempito le catinelle, tornarono nella camera di Ari per pulire prima il macello che avevano combinato e successivamente presero altra acqua per lavare loro stessi.
Stranamente, la nudità era un problema gestibile per entrambi. Si erano visti per così tante volte anche prima che nascessero i loro sentimenti, che era quasi normale. Certo, Ari si riscopriva ad ammirare di nascosto molto spesso i muscoli scolpiti dell'altro. Partendo dalla linea del collo scendeva ai pettorali e alla tartaruga abbastanza evidente su quell'addome degno del David di Michelangelo, ma sicuramente più caldo e morbido. Le braccia ormai le conosceva bene da quante volte si era sentito racchiuso da esse ed erano possenti, forti e rassicuranti; le gambe davano la stessa impressione. Per pudore non si era mai soffermato a lungo su altro, nonostante quando si ritrovava Nael girato di schiena, l'occhio non poteva che cadere ai suoi glutei, ma poi alzava il viso e notava le spalle ben piazzate e la linea della schiena perfetta. Aveva un corpo da invidiare e si sentiva in qualche modo sollevato che lui avesse il privilegio di goderne la vista quando più gli pareva.
“Dai, vieni che ti lavo.” Nael prese uno sgabello e si sedette davanti al catino dell'altro, che si immerse dentro, inginocchiandosi per quanto fosse piccolo da riuscire a contenere il corpo solo in parte. Era davvero un metodo scomodo per lavarsi, soprattutto in inverno quando faceva più freddo, ma non c'erano altre alternative.
Subito dopo, Ari sentì le mani del maggiore sulle proprie spalle che cercavano di grattare via la pittura e che lo massaggiavano dolcemente. Poi si dovette girare per permettergli di pulirlo in volto, dove era più sporco in assoluto, compresi i capelli. Natanael gli prese il viso tra le mani e strofinò sulla sua fronte.
Il ragazzo dagli occhi cristallini sentì le gocce d'acqua tiepida scivolare sulle ciglia e colare via appena sbatteva le palpebre, la vista era leggermente annebbiata e al di là poteva scorgere quell'occhio profondo e abissale concentrato nel suo lavoro. Infatti, Nael cercava di non essere distratto dal corpo nudo dell'amico. Lo trovava così bello nella sua interezza e forse Ari non capiva che potere seducente ed attraente avesse su di lui. Ringraziò se stesso di riuscire a mantenersi lucido anche in certe circostanze e a rigettare indietro gli impulsi animaleschi che sentiva crescere e che lo picchiettavano con insistenza. Forse non eccedeva in quanto muscolosità, ma a Nael non importava niente perché quel corpo aveva proporzioni perfette per un ragazzo come Ari: dalle guance leggermente paffute, alle lunghe dita, agli addominali che comunque non mancavano, a quel sedere che tante volte si era immaginato di tastare con le proprie mani per capire se fosse davvero morbido come quello di un bambino. Scrollò la testa a quel pensiero, non volendo crearsi qualche disagio, e continuò a lavarlo con cura.
“È quasi passato un mese...” disse ad un certo punto Ari.
“Non ci devi pensare, stai tranquillo. Tangaroa non vorrà te.” Ari trovò quella frase molto ironica a giudicare dal sogno che aveva fatto pochi giorni prima e sorrise tra sé e sé. “Troverà qualcun altro come sacrificio per il prossimo mese.” continuò Nael, facendolo alzare dalla bacinella e asciugandogli i capelli. “Certo neanche me.” rise infine.
“Sei davvero così tranquillo?”
“Che altro posso fare? Non è di certo colpa mia che venga scelto un Sacrificio al mese per offrirlo alla divinità. Posso solo sperare che non sia io, no?”
“Immagino di sì...”
“Via! Via quella faccia! Non la voglio vedere più per almeno un anno.” gli agitò un dito davanti al volto per poi prendergli il naso tra indice e medio.
“Sembra che abbia solo questa.”
“A me invece piace quella che avevi mentre pitturavamo in giro.” ammise provando un lieve imbarazzo. La sua attenzione poi si spostò sulla gamba sinistra dell'altro dove vide un livido. “Che hai fatto?” si preoccupò subito.
Lo sguardo di Ari andò alla propria caviglia, sapendo già che si stava riferendo a essa. “Non lo ricordo.” si grattò la parte di testa quasi completamente rasata e accennò una piccola risata.
Nael lo fissò storto per poi abbassarsi su di essa e prenderla per esaminarla con accuratezza. Questo fece perdere l'equilibrio all'altro che dovette aggrapparsi alle sue spalle per rimanere in piedi.
“Nael!”
“Ti sei fatto medicare?”
“No...”
“Non è possibile che non te ne sia accorto. È come se qualcuno ti avesse stritolato la caviglia.”

Lo so. Lo so perfettamente dato che è andata proprio così, anche se era in sogno.

Avrebbe voluto dirlo, ma sarebbe stato preso per matto ancora una volta.
“Vado a prenderti del ghiaccio.” Natanael lo lasciò andare e fece per rivestirsi, tuttavia, fu bloccato dal braccio dell'altro.
“Lascia stare, non mi fa male.” ormai Nael era entrato in modalità allarme, sarebbe stato difficile farlo desistere. “Dico davvero e poi ora devi lasciarti lavare.” prese la spugna tra le mani e gliela lanciò dritta in faccia. A causa di quel gesto, Nael decise di far partire l'ennesima lotta e si lanciò contro Ari, atterrandolo in men che non si dica.
Successivamente tornarono lindi e profumati nei loro vestiti, si recarono in quella che poteva venir considerata la lavanderia dell'aeronave, cenarono e andarono a dormire insieme nella cella di Nael, molto più presentabile di quella del biondo.




Ari camminava sulla sabbia bagnata, davanti a lui si estendeva l'oceano talmente limpido da potersi rispecchiare perfettamente e poter vedere al di sotto i piccoli pesciolini sguazzare a destra e sinistra. Sentiva della malinconia in quel posto, nonostante fosse bellissima la sensazione dell'acqua fresca che si insinuava tra le dita dei piedi e si ritirava a ritmo costante.
Cambiò posizione per non sprofondare sul posto ed entrò nell'oceano, camminando passo passo verso le acque più profonde, completamente vestito. I pantaloni si allargavano a causa della leggera corrente che si sprigionava dal di sotto e la maglietta gli si era incollata alle braccia, allo stomaco e al petto, così da far intravedere la propria pelle candida sotto la stoffa bianca.
“Bentornato, Ari.”
All'improvviso gli parve di udire una voce familiare.
“Tangaroa!” urlò al vento, avanzando sempre di più, fin quando arrivò a non toccare più il fondale e rimase a galla agitando un poco le braccia e i piedi. Pronunciare quel nome gli aveva procurato un piccolo brivido lungo la schiena che gli fece venire la pelle d'oca.
“Palesati!” continuò a parlare non ricevendo alcuna risposta.
“Devi svegliarti e salvarmi.”
Ancora la stessa storia. Salvare una divinità, un povero essere umano. Da chi? Da cosa?
“Non hai ancora risposto alla mia domanda.”
“Perché tu stesso non me lo permetti.”
Ari si sentì confuso. Quel discorso non aveva un contesto, neanche un senso logico e non ne riusciva a venire a capo.
D'un tratto esplose come un fulmine qualcosa lontano da lui, molti metri più avanti, e vide una pinna fuoriuscire dall'acqua.


Uno squalo!

Pensò e fu preso dalla paura. D'istinto cominciò a nuotare verso la riva notando che l'animale si stava dirigendo proprio verso di lui.
“Aiutami Tangaroa!” esclamò affannato, mentre le sue braccia e le sue gambe si dimenavano il più velocemente possibile.
“Sei tu che devi aiutare te stesso. Altrimenti non potrai sottrarti a un destino doloroso.”
Tutte quelle parole non facevano che accrescere l'ansia dentro di sé. Voltò appena lo sguardo e vide lo squalo a pochi centimetri di distanza. La bocca era aperta e puntava direttamente al suo corpo. Concepì all'istante l'idea che per lui fosse la fine.
“Svegliati, Ari!”
Al contrario delle altre frasi, questa era stata pronunciata con un tono imponente, quasi spaventoso e Ari si sentì ancora più turbato.
Non si rese neanche conto di star inalando acqua e che pian piano stava affogando sommerso dall'immenso oceano.
Dello squalo neanche l'ombra.





Si svegliò di soprassalto, boccheggiando alla ricerca d'aria.

Ancora... un altro incubo. Di nuovo Tangaroa.

Sentì accanto a sé la presenza di Nael, che stranamente non si era svegliato a causa sua; doveva essere molto stanco.
Ari ripercorse l'intero sogno, cercando di ricordare ogni singola parola. Il cuore gli batteva all'impazzata, alle dita era tornato il formicolio e cominciò a credere che quel fastidio fosse causato dalla paura stessa, anche se non gli era mai successo, il respiro non era ancora del tutto regolare.

Salvarlo... che voglia dire... essere il prossimo sacrificio?

Un mese ormai era quasi passato, questo significava che a breve sarebbe stato scelto qualcun altro e portato via per compiere il rituale e consacrato alla divinità. Forse quello era un segnale che lo avvisava che sarebbe stato il prossimo. Non ne aveva la minima idea, ma più rifletteva sulle parole di Tangaroa e più quella era l'unica opzione sensata.
Percepì un qualcosa di bagnato sul proprio viso. Erano lacrime che sgorgavano dapprima silenziose dai propri occhi e scivolavano via sulle guance.
Il timore che sarebbe stato il prossimo a morire e che non avrebbe più rivisto Nael l'aveva sfiorato per un momento e questo aveva innescato quel pianto senza poterlo controllare. Si portò la mano alla bocca per contenere i gemiti, ma si accorse comunque che Nael si stava svegliando. Prontamente si girò verso il muro, così da non farsi vedere, tuttavia alle sue orecchie giunse comunque una voce parecchio assonnata.
“Ari, stai piangendo?”
“No.” negò con la testa per enfatizzare la risposta.
“Certo, come no... sai cosa sono le domande retoriche?” Natanael lo girò verso di lui e vide gli occhi dell'altro arrossati. “Non dirmi che hai fatto un altro incubo.”
Ari annuì.
“E questo ti fa stare così male da piangere?”
“Ho paura.”
In quel momento, Nael vide nel suo amico proprio quel lato che voleva proteggere da tutto e tutti. Si sentì stringere il cuore a quella vista. Perché nella sua vita doveva sempre esserci qualcosa che lo preoccupasse o che lo spaventasse? Come poteva cancellare tutte le sue sofferenze dall'animo?
Sospirò e gli asciugò le lacrime con la propria manica. “Di cosa hai paura?”
“Di non rivederti mai più.”
“Sciocco! Che diavolo stai-...”
Non riuscì a finire la frase, che Ari gli cinse le braccia al collo e lo abbracciò così forte da non permettergli di parlare. Il corpo del biondo tremava sotto il suo, era scosso da piccoli tremiti che gli fecero decidere di non domandare più niente per non far intristire ancora di più quel ragazzo. L'unica cosa che fece fu abbracciarlo a sua volta e lasciargli qualche schiocco sulla guancia per tranquillizzarlo. Poi lo incitò a riaddormentarsi prima di dargli un leggero bacio a fior di labbra.
 




NOTE DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti! Bentornati insieme ad Ari e Nael! :)
Scusate per il primo paragrafo forse un pochino noioso, ma c'era da spiegare alcune cose direi ahah giusto per fare il quadro della situazione in un contesto che non si può associare a niente di reale, spero di essere stata chiara.
A parte questo, avete avudo modo di scoprire qualcosa in più sui due protagonisti! *-* Awww quanto sono bellissimi! So che non è successo molto a livello di trama, ma date tempo ancora un capitolo, massimo due, ed entreremo nel pieno della storia. Per ora vi beccate il loro amore così palese e così nascosto (così come suggerisce il titolo del capitolo). Come li trovate? Non sono forse bellissimi? *sospira persa in un mondo di unicorni e arcobaleni*
E spero di avervi incuriosito con l'ennesimo sogno di Ari! Cosa sta succedendo a quel povero ragazzo? Davvero Tangaroa vuole farne il prossimo Sacrificio? Voi come la pensate?
Ringrazio tutti quelli che la leggeranno, commenteranno e aggiungeranno nei preferiti ecc! Vi chiedo cinque minuti del vostro tempo per farmi sapere se vi sta piacendo con una piccola recensione e ci vediamo la prossima settimana!
Un bacio.
Flor ^w^

 

  
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