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Autore: valeria78    21/09/2016    8 recensioni
Regina è una professoressa di letteratura dai modi freddi e distaccati. Emma è una studentessa sognatrice che ama la poesia e vuol diventare giornalista. Dal loro incontro, tra i banchi dell'Università di Boston, nasce una storia d'amore che va oltre ogni barriera, capace di superare ogni ostacolo che la vita porrà loro dinanzi.
Genere: Drammatico, Erotico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco qui il secondo capitolo della mia FF... Buona lettura!!! Vi ricordo che i capitoli usciranno ogni mercoledì

CAPITOLO 2

Regina se ne stava immersa nella lettura di un libro, i suoi occhi leggevano avidamente i passi di quell’autore e tutto intorno sembrava non esistere. Aveva scelto un tavolo in disparte, lontano dai giovani che si recavano quotidianamente in biblioteca per far finta di studiare. Stava trascrivendo alcune frasi su un blocco notes, quando un lampo squarciò il cielo. Alzò lo sguardo e fissò i vetri della finestra poco distante da lei, gocce di pioggia cominciarono a bagnarli.

“Un temporale in piena regola” sussurrò sospirando un po’ irritata e si guardò le scarpe non proprio adatte per una tempesta del genere. Poi qualcuno attirò la sua attenzione: una giovane donna bionda, dai lunghi capelli ondulati, stava armeggiando presso uno scaffale di libri cercando di prenderne uno che si trovava piuttosto in alto. La osservò divertita, mentre si allungava sulle punte dei piedi e sfiorava la costola del libro senza prenderlo. La ragazza si guardò intorno, sicura di non essere vista e poggiò un piede sul primo scaffale, si issò e afferrò il volume, sorrise furbescamente, ma quando si voltò incontrò lo sguardo accigliato di Regina e l’espressione di rimprovero dipinta sul suo volto. Emma colpita, riportò il piede sul pavimento e salutò la donna.

“Buonasera professoressa”.

La mora ricambiò con un sorriso appena abbozzato.

“È così che si tiene in forma miss Swan, scalando gli scaffali delle biblioteche?”.

Emma rise, ma Regina rimase impassibile.

“È la prima volta che lo faccio” si giustificò la bionda.

“Ricordi che c’è sempre una prima volta per tutto, ma questo non vuol dire che bisogna necessariamente farlo”.

Emma aggrottò la fronte: “Non sono sicura di aver capito, mi scusi”.

La mora scosse la testa: “Non importa. Che ci fa qui?” chiese infine.

“Sono venuta per questo” e mostrò la copertina del volume. Regina posizionò i suoi occhiali sul naso e lesse: “Come scrivere un romanzo di successo”.

Emma annuì.

“Lei scrive romanzi?” chiese la donna.

“Beh, per adesso racconti brevi - disse Emma – ma non è facile, insomma a volte mi capita di pensare a una bella storia, la immagino, mentalmente la racconto, ma quando provo a scriverla sul computer non riesco mai a fare un lavoro che mi soddisfi”.

“Ho capito” disse Regina e si tolse gli occhiali, facendo gesto a Emma di avvicinarsi. La bionda rimase immobile, cosa doveva fare? Avvicinarsi? Dio mio, mai! Aveva paura, paura di invadere lo spazio della donna, paura di sentirla troppo vicina, paura di svenire. Nonostante questo deglutì e si avvicinò. Un profumo buonissimo le invase le narici, chiuse gli occhi mentre Regina avvicinò le sue labbra carnose rosso fuoco all’orecchio della giovane.

“Vuole un consiglio? Butti via quel libro”.

La voce calda e leggermente roca di Regina le entrò dentro l’anima, un tuono riportò Emma alla realtà, si allontanò e, con la bocca spalancata, guardò la mora.

“Seriamente?” chiese la bionda.

“Certo che no – disse Regina – voglio dire non letteralmente. Questi libri che dicono di insegnare come si scrive un romanzo sono fasulli, bisogna leggere, leggere e ancora leggere, è l’unico modo”.

“Grazie professoressa” disse Emma e si allontanò per sedersi a un tavolo poco distate dalla donna. La giovane alzava lo sguardo ogni tanto per cercare di carpire i movimenti della prof. Era talmente bella immersa nella sua lettura, quegli occhiali con la montatura nera la rendevano ancora più interessante, la classica prof intellettuale che sotto sotto sapeva far eccitare anche un cieco. Ma cosa stava pensando? Si domandò allarmata! Lei non aveva mai fatto discorsi del genere. Perché Regina le faceva quell’effetto? Cosa voleva dire? Provava forse qualcosa per quella donna?

Si fecero le sette e mezza, la biblioteca stava per chiudere. Emma, che si era concentrata sul suo libro da una buona mezz’ora, alzò lo sguardo e notò che Regina non era più al suo posto. Era andata via e non l’aveva neppure salutata. Si sentì molto delusa, prese la sua borsa, se la mise a tracolla e uscì all’esterno dell’edificio. Stava piovendo.

“Merda!” disse imprecando. Guardò il suo Maggiolino che si trovava dall’altra parte della strada. Si strinse nel suo giaccone e corse verso la macchina, aprì lo sportello ed entrò all’interno. I suoi capelli erano bagnati, i suoi jeans erano bagnati. Imprecò. Inserì la chiave nell’accensione ma la macchina non si accese, riprovò ma niente.

“Andiamo, andiamo” la incitò la giovane. Sbatté le mani sul volante e chiuse gli occhi. Qualcuno bussò al suo finestrino. Emma si girò e scorse il volto di Regina. La donna, che teneva un ombrello in mano, fece cenno alla bionda di abbassare il vetro.

“La vedo un po’ in difficoltà Emma, che succede?” si sporse in avanti per guardare la ragazza.

La giovane sospirò: “È colpa di questo ammasso di ferro, non vuole partire”.

“Ha bisogno di un passaggio?” chiese.

Emma impallidì. Loro due in macchina da sole? Lei nella macchina con la sua prof?

“Non è necessario, grazie, prenderò l’autobus” disse gentilmente la giovane.

“Oh andiamo, non dica sciocchezze, la mia macchina è proprio lì perché aspettare l’autobus e bagnarsi ancora di più?”.

La bionda sospirò, effettivamente aveva ragione. Uscì dalla vettura e Regina avvicinò l’ombrello permettendo alla ragazza di ripararsi, quindi indicò la Mercedes nera parcheggiata all’angolo della strada. Emma entrò nella vettura e riconobbe subito il profumo che indossava la donna. Regina si mise al posto del guidatore.

“Dove devo portarla?” chiese e guardò Emma negli occhi.

La bionda abbassò lo sguardo verso le labbra della donna e titubante indicò l’indirizzo dell’abitazione.

“Vive da sola Emma?” chiese Regina mentre inseriva la freccia e si immetteva nella strada silenziosa.

“No, vivo in un piccolo appartamento con un’amica, la ragazza che lavora con me da “Granny’s” disse.

La mora annuì e si concentrò sulla guida. Emma ogni tanto, con la coda dell’occhio, cercava di carpire qualche movimento della guidatrice. Era sceso il silenzio tra le due, solo il rumore delle gocce di pioggia sul tergicristallo e il suono del cuore di Emma che batteva forte, facevano da colonna sonora a quel momento.

“Mi dica Emma, oltre a lavorare, seguire le lezioni al college e scrivere racconti fa anche altro?” e si girò per una frazione di secondo verso la bionda che abbozzò un sorriso imbarazzata.

“Poesie, scrivo anche qualche poesia”.

“Quindi il suo sogno è diventare una scrittrice” concluse Regina.

“Una giornalista, vorrei diventare una giornalista”. La mora accostò la macchina al marciapiede e spense il motore.

Emma guardò la donna con un’espressione interrogativa. “Ho detto qualcosa che non va?”.

Regina la osservò divertita: “No, si è espressa in un corretto linguaggio, senza errori grammaticali o di tempo, quindi no”.

La bionda non capiva, allora Regina indicò oltre il finestrino: “Siamo arrivate, quella non è casa sua?”.

Emma sorrise e quel sorriso le illuminò il volto come non era mai successo, gli occhi verdi della ragazza risplendettero come il sole e la mora per una frazione di secondo ebbe un sussulto.

“Credevo che mi volesse scaricare in mezzo alla strada perché le avevo confessato di voler diventare giornalista”.

Regina ricambiò il sorriso: “Sì, lo avevo capito”. Il silenzio cadde di nuovo tra loro. Emma non voleva scendere da quella macchina, voleva rimanere lì al fianco di quella donna e guardarla per ore e ore.

“Penso che sia il caso che vada” disse infine, sempre più imbarazzata, salutò la donna e scese di macchina. Regina non ripartì subito, la guardò salire le scale e trafficare, sotto la pioggia, davanti alla porta di casa per poi allargare le braccia, guardare la prof con aria sconsolata e tornare verso la macchina.

“Che succede Emma?” chiese Regina dopo aver abbassato il vetro del finestrino.

“Credo di essermi dimenticata le chiavi dentro casa” e fece una smorfia. La pioggia cadeva incessante e lei era ancora più bagnata.

“Salga in macchina” le disse la donna.

“Ma…”.

“Salga le ho detto!” ripeté con tono intimidatorio.

La giovane aprì lo sportello e si sedette sul comodo sedile.

“Non c’è nessuno in casa?” chiese Regina.

Emma scosse la testa. “Ruby non è ancora tornata, ma non si preoccupi per me, l’aspetterò qui, tornerà da un momento all’altro”.

“E se così non fosse?” disse la mora. Dopo aver esitato un attimo sul da farsi, disse: “Venga a casa mia”.

Emma si girò verso Regina come se l’avesse appena sentita pronunciare la parolaccia più volgare di questo mondo.

“C…c…cosa? No, no, non si deve disturbare!”, sembrava spazientita, quasi offesa da quell’invito.

“Non la lascerò fuori di casa. Con questa pioggia, bagnata com’è rischia di prendere una polmonite – quindi guardò la bionda dritto negli occhi – Venga da me, più tardi telefonerà a Ruby e se sarà a casa la accompagnerò io”, la voce della donna era tranquilla e controllata.

La ragazza sospirò e annuì.

“E sia!” si limitò a dire Regina che accese il motore e schiacciò l’acceleratore.

 

*************

Regina accese le luci di casa e fece accomodare Emma nel soggiorno, chiedendole di consegnarle il giaccone.

Emma ringraziò e si guardò attorno: la casa di Regina era davvero bellissima, davanti a lei si apriva un corridoio che proseguiva nel soggiorno, le pareti erano dipinte con un bianco panna e c’erano vari quadri appesi, avanzò e scoprì sulla destra la cucina.

“Prego – disse la mora – faccia come se fosse a casa sua”.

“È difficile – rispose Emma – casa mia è grande quanto la sua cucina”.

Regina abbozzò un lieve sorriso.

“È pur sempre un tetto” rispose la donna che si era allontanata un attimo.

“Sì, vero, un tetto con grandi chiazze di muffa, ma pur sempre un tetto” alzò la voce la giovane.

Regina ricomparve con alcuni asciugamani. “Mi segua, Swan, immagino voglia farsi una doccia”.

Emma seguì Regina al piano superiore, attraversarono il salotto e dovettero salire due rampe di scala e la bionda che era dietro, non poté fare a meno di osservare il fondoschiena rotondo e sodo della sua professoressa. La donna la fece entrare nella sua camera da letto. Per Emma fu come entrare in un luogo proibito: c’era un grande letto matrimoniale e un armadio in ebano posto in un angolo della parete; dal lato opposto, una finestra e accanto una porta che conduceva al bagno. Appesa al muro una cornice con una foto in bianco e nero che ritraeva Regina insieme a un bambino che sorridevano. La mora poggiò gli asciugamani sul letto e aprì l’anta dell’armadio. Emma si sfregò le braccia, cominciava a sentire freddo. Regina tirò fuori un paio di pantaloni appartenenti a una tuta e una felpa con cappuccio.

“Questo dovrebbe andarle bene – disse squadrando la giovane dall’alto al basso e constatando che aveva un fisico impeccabile – lei è un po’ più alta di me, ma non si dovrebbe notare”. Poggiò tutto sul letto e indicò la porta del bagno.

“Prego, faccia con comodo, io intanto vado a preparare qualcosa da mangiare. Le vanno degli spaghetti?”.

Emma annuì: “Sì, grazie”.

Regina uscì dalla stanza e socchiuse la porta. Restò qualche secondo davanti all’uscio, poi discese le scale verso la cucina.

 

*************

Il getto di acqua calda risollevò Emma. Quella doccia le ci voleva proprio per lasciarsi alle spalle tutti i brividi che le avevano attraversato la schiena a causa della pioggia. Utilizzò lo stesso shampoo che usava Regina, respirò il suo aroma e per un istante la immaginò lì, con lei, entrambe nude che si sfioravano e sentì lo stomaco torcersi. Non riusciva a credere a quanto le stava succedendo, non riusciva a pensare che fosse lì, a casa di quella donna così maledettamente sexy, per fortuna che quel sabato sera non doveva lavorare da “Granny’s”, non avrebbe potuto perdere un’occasione del genere. Si stava innamorando di quella donna, era inutile negarlo ancora, lo aveva fatto semplicemente perché sperava che non ammettendolo, quel sentimento sarebbe svanito, ma non era così. Più la vedeva, più stava a contatto con lei e più il desiderio di possederla aumentava. Chiuse l’acqua della doccia e uscì, si asciugò, mentre incuriosita si guardava attorno. Era un bagno come tanti altri, eppure in quel bagno Regina Mills si era spogliata, truccata, lavata milioni e milioni di volte. Prese il phon e si asciugò i capelli lasciandoli leggermente umidi in modo che sembrassero ancora più mossi e morbidi, prese i pantaloni che le aveva dato la donna e se li portò al viso per scoprire quale fosse l’odore che aveva la mora quando si trovava a casa. Respirò quell’aroma inebriante che sapeva di rose e di lavanda e poi si vestì. Scese da basso ed entrò in cucina.

Regina stava mettendo la pasta fumante nei piatti. Prese un ramaiolo e lo immerse nel sugo di pomodoro, poi lo versò abbondantemente sopra la pasta.

Alzò lo sguardo verso Emma e rimase a osservarla per qualche istante senza parlare, piacevolmente sorpresa dal look della ragazza, da quei capelli color grano che le ricadevano sulle spalle e da quegli occhi verdi che sembravano nascondere un grande segreto.

“Emma, si sieda - disse indicando il suo posto – spero che le piacciano le tagliatelle al sugo, purtroppo ho finito gli spaghetti”.

La bionda guardò il piatto con sguardo famelico, si sedette e Regina le porse il formaggio.

“Lo metta, sentirà che buono. Mia madre ha vissuto molti anni in Italia e mi ha trasmesso un po’ delle sue ricette”.

“Buon appetito” disse Emma e si mise a mangiare. Per qualche minuto nessuna delle due parlò più.

Regina versò del vino rosso nel bicchiere della studentessa.

“Lei beve signorina Swan?”.

“Non spesso” si limitò a rispondere. Alzò il bicchiere e guardò Regina, per la prima volta sostenne veramente il suo sguardo, la osservò attentamente, i suoi occhi in quelli marroni della donna che alzò il bicchiere e ricambiò lo sguardo.

“Alla mia professoressa che mi ha salvato da una polmonite certa”.

Regina rise. Per la prima volta da quando Emma l’aveva conosciuta, quella corazza che la proteggeva sembrò farsi meno impenetrabile.

“A Emma – disse Regina – che mi stupisce ogni volta e che è davvero una persona interessante”, si portò il calice alle labbra e bevve. Emma rimase sbalordita, senza parlare, aveva capito bene? Aveva detto che la trovava interessante. La bionda arrossì e tornò a gustarsi le tagliatelle. Finita la cena Emma aiutò Regina a lavare i piatti, poi la prof la lasciò da sola per qualche minuto, il tempo di togliersi gli abiti da lavoro e indossare qualcosa di più comodo, ricomparve con un paio di pantaloni larghi e un maglione molto grande che le pendeva da un lato lasciando scoperta una spalla e rivelando l’assenza del laccio del reggiseno.

“O ha un reggiseno a fascia, oppure sotto non ha niente” osservò Emma tra sé e si sentì invadere da un forte calore. 

Passarono nel salotto, sedute sul divano le due donne parlarono molto, mentre il fuoco nel camino scoppiettava e illuminava i loro volti. Regina era molto più rilassata, scherzò e rise ed Emma si trovò di fronte una persona completamente diversa dalla professoressa Mills, una donna che era molto simile a quella che aveva già conosciuto al ristorante insieme a Zelena.

“Quindi quando mi farà leggere qualcosa di suo?” chiese Regina.

Emma la guardò meravigliata: “Veramente?”.

La mora alzò la mano: “Certo”.

“Anche subito se vuole”.

La prof annuì. Emma si alzò e prese la sua borsa, vi rovistò all’interno e tirò fuori un quaderno, sfogliò freneticamente le pagine sotto lo sguardo indagatore di Regina, le porse il blocco notes. La donna inforcò gli occhiali e lesse ad alta voce: “La luce”

Sembravano rincorrersi le voci,

dentro tutto era quiete,

il brontolio del fuoco, l’unico rumore.

L’anziana signora

disegnava cerchi smeraldini nell’aria,

fili d’oro si snodavano

inondando le pareti.

Poi fu buio

e l’anziana signora sparve,

pronta a tornare all’alba.

 

Il silenzio cadde nella stanza. Emma sentiva il suo cuore battere forte nel petto. Regina si tolse gli occhiali e la guardò.

“Molto bella, miss Swan”.

Emma che per tutta la durata della lettura aveva avuto il volto tirato, si rilassò.

“Dice davvero?”.

“Certo, è molto delicata, ha un bel suono, complimenti” e le sorrise, poi guardò l’orologio: “Vedo che ne ha scritte diverse - si alzò – ma credo sia arrivato il momento di andare a dormire”, consegnò il quaderno alla sua proprietaria.

Ruby aveva risposto al messaggio di Emma, ma sarebbe rientrata tardi a casa, si trovava al ristorante e aveva molto da fare. La giovane aveva optato per andare da “Granny’s” e prendere le chiavi così non avrebbe disturbato oltre Regina ma lei aveva negato, dicendo che, anzi, le faceva piacere avere compagnia.

Quando si presentò il momento di andare a dormire la bionda fu presa dall’imbarazzo, Regina le aveva lasciato il suo letto matrimoniale, nonostante Emma avesse insistito per dormire sul divano. Non ebbe altra scelta di fronte al no categorico della mora, si infilò sotto le lenzuola e cominciò a fantasticare su quel letto dove dormiva la prof. Poi si addormentò.

 

**************

Regina passò davanti alla sua camera per recarsi all’altro bagno e si fermò davanti alla porta socchiusa. Sentì gemere, spinse la maniglia e fece capolino rimanendo affascinata: la luce della luna che filtrava dalla finestra illuminava il corpo addormentato di Emma. I capelli biondi ricadevano sparsi sul cuscino. La ragazza aveva allontanato le lenzuola e le sue gambe erano ben in vista così pure i suoi slip. Regina sentì un lieve rossore comparire sulle guance, sapeva che non avrebbe dovuto starsene lì a guardare la ragazza eppure il suo corpo l’affascinava.

“Regina” sussurrò la giovane. La mora temette che si fosse svegliata e che l’avesse vista sulla porta, ma stava solo sognando. Accostò la porta e si allontanò. Controllò che tutto fosse in ordine in casa e poi si distese sul divano e si addormentò.

 

*******************

Qualcuno la destò dal suo sonno. Emma aprì gli occhi e la luce del giorno la costrinse a socchiuderli. Si trovò davanti un bambino di circa nove anni.

“Sì è svegliata! Sì è svegliata” urlò e corse via.

La bionda si passò una mano tra i capelli e si guardò attorno spaesata. Da basso sentì la voce calda di una donna, una voce familiare, ebbe un tuffo al cuore: si trovava in un letto matrimoniale disfatto, il letto di Regina Mills, avevano dormito insieme? Avevano fatto l’amore? Sentì la gola chiudersi e poi tirò un sospiro di sollievo, adesso ricordava, aveva dormito da sola in quel grande letto. Si alzò meccanicamente, andò in bagno per lavarsi il viso e fare pipì e poi scese soffermandosi sulla porta della cucina e appoggiandosi allo stipite a osservare Regina indaffarata a preparare la colazione. Seduto al tavolo c’era il solito bambino, aveva un grosso cucchiaio in una mano e lo batteva delicatamente sul tavolo.

“Co-la-zio-ne! Co-la-zio-ne!” urlava. La mora sorrise, allungò le braccia e mostrò al piccolo i pugni chiusi .

“Quale scegli?” chiese.

Il bambino sfiorò il pugno destro, la mora girò la mano, aprì il palmo e mostrò una pallina colorata.

“Mamma! Una pallina, grazie!” disse il piccolo e i suoi occhi brillarono di felicità.

Regina sorrise e scrollò dolcemente i capelli al figlio, poi sollevò lo sguardo e vide Emma sulla porta, la colpì la sua bellezza, in particolare le sue gambe lunghe e dalla carnagione rosea che uscivano da sotto una maglietta larga che le faceva da mini vestito. Risalì con lo sguardo e si soffermò sul volto e sui capelli un po’ spettinati della ragazza che ricadevano sui seni.

Emma si accorse di quell’attenzione prolungata e arrossì.

“Buongiorno Emma” disse Regina regalando un sorriso alla bionda. “Spero che Henry non l’abbia buttata giù dal letto”.

“Buongiorno Regina” rispose la studentessa avvicinandosi al tavolo di cucina e rivolgendo un sorriso al piccolo che ora la guardava con il grosso cucchiaio colmo di cereali al cioccolato e latte.

“E quindi questo è tuo figlio” disse rendendosi conto di aver dato del tu alla sua professoressa.

La mora non sembrò sorpresa o comunque fu brava a nasconderlo, non rispose e versò il caffè in una tazza che aveva preparato per Emma.

“Forse sarebbe il caso che lei si mettesse dei pantaloni” disse Regina lanciando uno sguardo alle gambe della bionda. Emma arrossi.

“Credevo di aver buttato via quella maglia, ma evidentemente…”.

“Sì, beh, ieri sera stavo cercando qualcosa di più comodo per dormire e…” balbettò.

“E ha pensato bene di frugare nel mio armadio” disse Regina alzando il sopracciglio.

“Mi dispiace” disse la ragazza.

“Si sieda – ordinò la mora – non è così grave”.

Quella donna era così maledettamente irritante a volte, si divertita a punzecchiarla solo per il gusto di vedere come avrebbe reagito, era perfida, eppure le piaceva da impazzire anche quel lato del suo carattere.

Mentre facevano colazione, Henry mostrò la pallina a Emma.

“Hai visto che bella?” sorrise, aveva gli occhi di sua madre e pure il sorriso era di Regina. Emma si sentì invasa da un tale amore per quel piccolo esserino, sebbene lo conoscesse appena.

“Ti piacciono le palline che rimbalzano?” chiese la bionda aprendo il palmo della mano e lasciando che il piccolo vi mettesse la palla.

“Oh, lui le adora letteralmente – rispose la madre – ne avrà un centinaio di sopra – poi guardò Henry – su racconta a Emma delle tue palline”.

La giovane osservò Regina e suo figlio e sentì una stratta al cuore, era convinta che avrebbe amato anche lui, oh no, in realtà già lo amava.

 

**************

Emma si fermò sulla porta di casa. Henry le corse incontro e l’abbracciò.

“Vai già via?” chiese. Regina guardò quel siparietto divertita e meravigliata.

La bionda annuì. Allora il piccolo le consegnò la sua pallina.

“Non posso accettare, questa è tua, è un regalo di tua madre” disse la ragazza inginocchiandosi per guardare il bambino negli occhi.

“Puoi tenerla per un po’ – disse Henry – così hai una scusa per tornare” e scappò via.

Regina alzò il sopracciglio e sorrise.

“Tuo figlio è proprio una forza!”.

I loro sguardi si incontrarono, gli occhi verdi di Emma persi in quelli marroni della professoressa.

“Suo figlio, volevo dire suo figlio” si corresse.

Regina scosse la testa: “Non si preoccupi”.

“Bene – disse Emma abbassando lo sguardo, era un po’ imbarazzata – grazie per tutto, persino per aver lavato e asciugato i miei vestiti”.

“Figurati Swan”. Emma alzò lo sguardo, le aveva dato del tu. “Ci vediamo a lezione, domani… puntuale” e scandì bene l’ultima parola.

La bionda sorrise e annuì, uscì nel caldo sole di quella domenica. Si sentiva bene, terribilmente bene. Sospirò guardandosi attorno, respirò l’aria di quella giornata tiepida di metà aprile e si avviò lungo la strada con le mani infilate nelle tasche del suo giubbotto.

Qualcuno però osservava la scena dall’interno di una macchina. Non appena Emma scomparve dietro l’angolo, la vettura si allontanò. 

   
 
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