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Autore: MaDeSt    27/09/2016    4 recensioni
Non è necessario leggere il prologo ma è caldamente consigliato.
Sei ragazzini provenienti da un villaggio sperduto, cresciuti in un piccolo paradiso, ignoranti dell'orrore che li circonda, si ritrovano ad avere tra le mani sei uova di drago, di cui poi diventeranno amici... e la loro leggenda ha così inizio.
Dovranno salvare il mondo, ecco ciò che ci si aspetta da loro. Ma ne saranno all'altezza? Riusciranno a capire chi è il loro vero nemico prima che questo li distrugga?
[Pubblicazione interrotta. Non aggiornerò più questa storia su EFP, non aggiornerò i capitoli all'ultima versione, pubblicherò solo in privato per chi realmente è interessato a seguire la storia a causa di plagi e ispirazioni non autorizzate non tutelati a discapito del regolamento apparentemente ferreo. Trattandosi della mia unica storia, a cui lavoro da anni e a cui sono affezionata, non vale la pena rischiare. Chi fosse interessato a capire come seguire la storia troverà tutte le informazioni nelle note all'inizio dell'ultimo capitolo pubblicato. Risponderò comunque alle recensioni qualora dovessi riceverne, ma potrei accorgermene con del ritardo.]
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dargovas'
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NOTE DELL'AUTRICE
Volevo ringraziare: Testechevolano, che ha lasciato recensioni costruttive su prologo e primo capitolo; Sagas, che commentano ogni capitolo e m'illuminano la giornata; e DarkLqser che si è recentemente unito alla ciurma.
Un grazie veramente dal profondo... ehm sì, sarebbe meglio tagliare le smancerie e lasciarvi alla storia. Enjoy!

Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

FROM HOUSE...

La voce di quanto accaduto la notte fu rapida a spargersi al villaggio, fin dalle prime luci dell’alba; chi ancora non aveva saputo nulla, perché abitava troppo lontano magari – come Andrew e la sua famiglia – lo venne a sapere non appena varcata la soglia di casa. Chiunque fosse fuori era in preda all’ansia e all’agitazione, alcuni avevano seguito i soldati a piedi, perdendoli di vista perché quelli galoppavano verso sud.
Gerida tenne in casa sia Jennifer che Mike, sconvolta dalla scomparsa di Jelena e Deren, e anche di Susan. Nessuno era stato realmente in grado di dirle che fine avesse fatto, ma sembrava nozione comune che non fosse coi genitori, e quindi nemmeno coi soldati.
Moriel obbligò tutti e tre i figli a rimanere chiusi in casa, sebbene il più grande avesse quasi vent’anni, ma nulla avrebbe potuto convincerla a lasciarli uscire almeno per quel giorno. Andrew cercò di protestare invano, perché voleva andare a cercare Susan, o almeno ad avvertire gli altri loro amici in comune, ma sua madre fu irremovibile: nemmeno lei uscì di casa, per controllare che tutti e tre i figli rimanessero al sicuro.
I genitori di Layla ed Emily invece si unirono alla gente nelle strade e parteciparono attivamente alla ricerca della ragazzina, dunque sia Emily che Layla poterono unirsi a loro, ma senza allontanarsi per non farli preoccupare. Non poterono ergo discutere del perché secondo loro quei soldati avessero preso di mira proprio lei, anche se pensavano di saperlo, e non avevano la minima idea che Cedric fosse coinvolto; perciò non riuscivano a immaginare dove fosse o cosa le fosse successo.
Cercarono in ogni edificio, compresi i magazzini del grano e i granai sopra i campi a ovest del fiume, ma Susan sembrava essere sparita da Darvil. Solo quando, insieme ai genitori e col permesso di Jorel, ispezionarono la stalla – badando bene che i resti delle uova non fossero visti da nessuno – notarono la mancanza del cavallo nero e chiesero al fabbro dove fosse Cedric.
L’uomo fece dunque mente locale e ammise di non averlo visto, ma non seppe dire loro se fosse andato a caccia o meno.
E Layla scosse la testa: «Era a casa mia. Insieme a Lily. Se lei è tornata e lui no...» s’interruppe pensierosa.
«Pensi che Susan sia con lui?» domandò sua madre speranzosa.
«Lo spero, sì. Meglio con lui che da sola, o con quegli invasori.» sussurrò tenendo lo sguardo basso.
Non prestò attenzione alla discussione che nacque poi tra gli adulti, aveva in testa solo il fatto che se quella sera non li avesse invitati a casa sua non avrebbero incontrato i soldati. O non in quel modo. Magari un altro giorno e alla luce del sole, così avrebbero potuto chiedere aiuto agli abitanti, e i suoi genitori non ci avrebbero rimesso.
«È stata la peggiore festa della nascita della mia vita.» sussurrò abbattuta, e solo Emily la sentì, prendendola poi tra le sue braccia per consolarla in un caloroso abbraccio che tuttavia ebbe solo l’effetto contrario, perché Layla si sciolse in un pianto silenzioso.

Appena sveglia, Susan si rese conto di tremare. Aveva freddo e non era sdraiata sul suo comodo letto, bensì seduta su qualcosa di duro e gelido. Aprì pigramente gli occhi, pronta a sbadigliare, ma invece lanciò un grido strozzato quando si rese conto di trovarsi in mezzo a un bosco. Si guardò intorno confusa e vide Cedric, a cui era abbracciata, erano entrambi coperti dal suo mantello e indossava la sua giacca.
Cosa sta succedendo? si domandò allontanandosi rapidamente dal ragazzo, e quindi svegliandolo. Ripeté la domanda a lui.
Anche Cedric si guardò intorno spaesato, poi la fissò con eloquenza notando che aveva addosso la sua giacca, ma alla fine decise di concentrarsi sui ricordi della sera precedente. Era tutto molto confuso, ricordava solo di essere fuggito da qualcuno, ma non chi o la ragione.
Le disse incerto quelle uniche cose che ricordava, e lei lo guardò con occhi sgranati. Le era sembrato solo un sogno, invece era successo davvero; ricordava tutto perfettamente, e non riusciva a capire come mai lui invece non ricordasse nulla. Il senso d’impotenza e la disperazione furono rapidi a tornare, tanto che cadde in ginocchio e ricominciò a piangere con lo sguardo perso nel vuoto.
Cedric interruppe il suo racconto tentennante e la guardò perplesso e preoccupato, ma pensò che non fosse il momento giusto per chiederle cos’avesse; probabilmente aveva smesso di ascoltarlo e non avrebbe sentito le sue domande comunque. Si sentiva terribilmente debole, aveva nausea e mal di testa, sentiva dolore ovunque come se uno o più cavalli gli fossero passati sopra, doveva sforzarsi di respirare e il suo battito cardiaco era irregolare. Cominciò a essere certo che qualcosa fosse andato storto solo quando se ne rese conto, e finalmente chiese a Susan di raccontargli cosa fosse successo.
Dopo alcuni attimi di silenzio, in cui dubitò che lo avesse sentito, la ragazzina lo guardò e cominciò a raccontare tutto con voce flebile, proprio come se stesse descrivendo un sogno, qualcosa di astratto.
Cedric in qualche modo sapeva che ciò che diceva era successo davvero, ma non conservava altro che ricordi confusi, non rimembrava le parole, i volti, i pensieri, ma solo tracce di eventi. E questo era un problema, se voleva capire cosa gli fosse successo e perché stesse così male. Quando lo chiese a lei, Susan non fu in grado di dargli una risposta.
Le venne in mente all’improvviso del fumo e del sangue sulla tempia, glielo disse, e gli disse anche che quindi, probabilmente, quei due soldati l’avevano picchiato. I colpi subiti potevano spiegare il dolore, il fumo la difficoltà a respirare, e il fatto che avesse vomitato poteva spiegare nausea e debolezza. Ma niente di tutto ciò poteva spiegare gli altri sintomi.
«Pensi sia sicuro tornare a Darvil adesso?» gli chiese con voce flebile «Quei soldati dovrebbero essersene andati...» si zittì prima di completare la frase, perché non riuscì ad esprimere ad alta voce ciò che pensava fosse successo a sua madre e suo padre.
«Se è come dici e molte persone erano presenti davanti a casa tua, allora sì i soldati avranno tagliato la corda per evitare il linciaggio.»
«Quindi dovremmo poter tornare.» sussurrò.
Si scrollò la neve di dosso e gli allungò la giacca, che lui si riprese quasi con riluttanza. Allora si rese conto che sembrava fare più fatica della notte precedente a coordinare i movimenti, e per un attimo si domandò se fosse moralmente corretto chiedergli lo sforzo di tornare al villaggio.
Tuttavia il ragazzo non si mostrò infastidito dall’implicita richiesta e Susan decise di aiutarlo sia ad alzarsi che a salire in sella al cavallo, dato che aveva l’impressione che da solo non sarebbe riuscito, per poi arrampicarsi sulla groppa dell’animale a sua volta, dietro di lui.

Il loro ritorno al villaggio fu accolto in maniera esemplare: chiunque fosse abbastanza vicino da vederli o riconoscerli corse incontro al cavallo nero, infastidendolo, esclamando domande a raffica per accertarsi delle condizioni di Susan. Nessuno in realtà sembrava essere interessato a Cedric, ma né lui né la ragazza alle sue spalle risposero ad alcuna domanda, immersi ognuno nei propri pensieri.
Susan gli chiese in un sussurro di riportarla a casa, e il ragazzo non fermò il cavallo finché non furono davanti alla porta, a costo di rischiare di travolgere la gente che in continuazione cercava di fermarsi davanti a loro o ai lati, senza smettere di vociare come uno sciame di api impazzite attorno a un calabrone.
E sempre ignorandoli, Susan scese da cavallo e serpeggiò tra gli adulti tutti più alti di lei, per poi aprire la porta di casa sua, entrare e richiuderla alle proprie spalle. Si sentì finalmente sola, tutte quelle voci sparirono lasciandola immersa in un silenzio che le parve surreale. Si guardò intorno e quasi non riconobbe casa sua, non volendo accettare che di lì in poi sarebbe stata vuota a tempo indeterminato. Forse per sempre.
Vide come in un sogno ad occhi aperti sua madre salutarla allegramente; una figura diafana dietro la quale riusciva a intravedere la parete opposta all’ingresso, indossava il suo abito preferito color acquamarina e teneva i lunghi capelli biondi legati in una coda, come sempre. Comparve anche suo padre che la salutò gagliardo senza emettere un suono, i corti capelli biondi tagliati tutti alla stessa altezza poco sopra le larghe spalle, addosso aveva la sua camicia perennemente imbiancata dalla farina, come anche parte dei pantaloni e le punte degli stivali.

Non resistette più di un minuto prima di lasciarsi andare in un pianto senza freni, percorse a fatica il corridoio tenendo una mano poggiata alla parete, ma appena arrivò in sala le due figure scomparvero, privando la stanza della loro luminosità. Le ginocchia cedettero e cadde a terra, senza nemmeno la preoccupazione di essersi fatta male. Si strinse nel mantello e si sdraiò sul pavimento di legno raccolta in posizione fetale, dilaniata dal dolore della certezza di aver perso i genitori soltanto per colpa sua, senza sapere se li avrebbe mai più rivisti.
Le parve passata un’eternità quando si riscosse ed ebbe l’occasione e la forza di pensare che tornare lì non fosse stata una buona idea, ma non sapeva dove poter andare a vivere ora per non restare da sola: chi mai avrebbe accolto in casa la figlia di due persone che erano state bersaglio di un gruppo di sconosciuti armati? Lei stessa era stata un bersaglio, e la gente lo aveva visto nel momento in cui i soldati l’avevano seguita quando Jelena le aveva gridato di mettersi in salvo.
Sconsolata e senza speranze si rialzò da terra asciugandosi il viso e cercando di farsi forza. Scacciò con decisione il pensiero dei suoi genitori che l’angosciava con costanza, e pensò che forse Gerida l’avrebbe accolta in casa, se solo non avesse già avuto Mike a cui badare: era improbabile che avesse posto in casa anche per lei. La famiglia di Layla era un’altra opzione, ma qualcuno avrebbe dovuto dormire per terra o sulla poltrona, e non le sembrava cortese chiedergli una cosa simile.
Ma non aveva altre alternative. Forse il medico aveva posto in quella parte di casa che fungeva da sanatorio, oppure Ilion l’avrebbe accolta come accettava di badare ai bambini quando i genitori non potevano; ma in quel caso si trattava di ore, di un pomeriggio, o al massimo un paio di giorni, non certo mesi.
Si volse verso la porta d’ingresso e le venne l’ansia al solo pensiero di quella folla che le faceva domande alle quali non aveva nemmeno prestato attenzione. Accostò l’orecchio e non sentì voci, quindi aprì la porta lentamente per sbirciare fuori e difatti non vide nessuno, c’era solo Cedric in groppa al suo cavallo nero, praticamente sdraiato sul suo collo.
Le venne da piangere di nuovo quando si rese conto per la prima volta che non stava bene per davvero e nonostante ciò gli aveva gridato contro la notte precedente. Riuscì a trattenere le lacrime e si avvicinò a Hurricane, decisa a portarlo da Gerida perché gli desse almeno un’occhiata, sperando che non si sarebbe concentrata prima su di lei.
Afferrò le redini e cercò di trascinarlo, ma l’animale non si mosse e anzi scosse la testa infastidito, risvegliando Cedric che si guardò intorno spaesato finché non vide Susan.
Il ragazzo ora non ricordava nemmeno il suo nome, ma era certo di aver avuto a che fare con lei negli ultimi giorni. Gli sembrava di averle parlato non più di due ore prima.
«Mi hai aspettata.» gli disse guardandolo dal basso «Perché?»
Dal momento che lui si limitò a rispondere con una scrollata di spalle, Susan si arrampicò di nuovo in sella, senza ricevere alcun aiuto, ma alla fine riuscì a sedersi dietro di lui. E gli disse di andare questa volta da Gerida.
Cedric girò la testa quel tanto che gli bastò per vederla con la coda dell’occhio, come per chiederle il motivo, ma non attese una sua risposta prima di spronare Hurricane a camminare. Tuttavia dovette lasciare che lei lo guidasse perché, sempre più preoccupato, non aveva idea di chi fosse questa Gerida.
Lungo la strada non furono più disturbati come prima, ma la gente li indicava e guardava da lontano; probabilmente si era sparsa la voce che la ragazzina non se la sentisse di dare risposte a nessuno.
Lei si strinse nel mantello e ricominciò a tremare, questa volta anche per il freddo, poi scosse la testa e si strinse a Cedric in cerca di conforto, sperando che ciò l’aiutasse a non piangere nuovamente, ma il ragazzo non reagì, e Susan si sentì in qualche modo definitivamente sola e abbandonata a se stessa.
Solo il fatto che di lì a poco furono davanti a casa della guaritrice le impedì di scoppiare in lacrime, e si affrettò a scendere dalla sella lasciandolo di nuovo da solo in mezzo alle strade fangose. La porta era aperta, come al solito nonostante il clima teso diffuso in tutto il villaggio. Quando l’aprì un sonaglio tintinnò, e in pochi attimi Gerida fu dall’altra parte del corridoio.
La donna aveva i capelli rossi in disordine e ombre scure le cerchiavano gli occhi. In un primo momento sgranò gli occhi e aprì la bocca incredula, poi le corse incontro e la strinse forte in un abbraccio così caloroso che alla fine Susan non resse più e pianse di nuovo. Gerida le tenne una mano dietro la nuca, accarezzandole i capelli e coccolandola affettuosamente, felice e sollevata nel vederla sana e salva.
Infine Susan si staccò dall’abbraccio, sicura di aver ritrovato la forza di parlare, ma prima che potesse chiederle di dare un’occhiata a Cedric dovette spiegarle tutto ciò che era successo la sera che i soldati avevano rapito i suoi genitori, perché lei sembrava non voler sapere altro. Disse a Gerida tutto quello che sapeva, escludendo naturalmente i draghi e quindi la causa di quel putiferio. Mentre parlava sentì Jennifer e Mike scendere le scale, e poi la ragazzina le corse incontro per abbracciarla, interrompendo il suo racconto per un lungo momento. Ma alla fine Susan concluse la storia con anche i due amici presenti e poté finalmente chiederle di dare un’occhiata al ragazzo.
Gerida si guardò intorno spaesata, poi indicò la porta e Susan in risposta annuì. Mentre la guaritrice andò ad aprire la porta con un pesante sospiro, Jennifer prese Susan da parte e la condusse in sala per farla sedere davanti al camino, avendo notato il mantello ancora fradicio.
Seguì un lungo silenzio imbarazzato, durante il quale poterono sentire la breve conversazione tra Cedric e la guaritrice, loro malgrado, ma né Jennifer né Mike se la sentivano di fare altre domande a Susan, la quale ora fissava le fiamme con aria triste e assente; stava cercando di distrarsi fissando il camino che l’era sempre piaciuto, essendo aperto anche sulla stanza di fronte – che Jennifer chiamava la stanza delle medicazioni – quella a destra del corridoio d’ingresso.
Era lì che in questo momento si trovavano Gerida e il ragazzo, ma lei non era interessata a quel poco che si stavano dicendo. Al contrario dei due amici che invece non avevano sentito quella parte della storia, ma si dovettero accontentare dei pochi dettagli che lo stesso Cedric aveva saputo da Susan.
Lei fece in tempo a riprendersi e tornare alla realtà prima che Gerida finisse i suoi controlli e avesse pronta una diagnosi, ma non la comunicò al ragazzo. Invece la sentirono mormorare qualcosa, attendere, e poi uscire dalla stanza per rivolgersi direttamente a Susan.
Dopo qualche attimo d’indecisione alla fine si decise a sussurrare: «Mi è parso evidente che quei soldati non avevano la minima idea di cosa stessero facendo. Cedric non sa chi sia io e nemmeno si ricorda il tuo nome, però non è grave, si riprenderà in fretta e ricorderà di nuovo tutto. Ma solo grazie a te e al tuo incredibile tempismo. È stata una gran fortuna che tu abbia assistito.» quando la vide arrossire tornando a guardare il fuoco, Gerida aggiunse: «Non gliel’ho detto.»
Susan si lasciò sfuggire un mezzo sospiro di sollievo e tornò a guardarla, quando le sorse una domanda: «Perché sei venuta a dirlo a me?»
E la donna sembrò in difficoltà. Spostò il peso da una gamba all’altra più di una volta, nervosamente, e alla fine rispose sempre a bassa voce: «Ho pensato che... Insomma, che con lui potresti essere al sicuro. Indubbiamente avranno spazio per te in casa, non sarai d’impaccio. Sempre meglio che qui dove dovreste dormire in due in una stanza, o sulla poltrona.» notando il suo disagio si affrettò ad aggiungere: «Se tu lo vuoi, naturalmente. Lui ha detto che puoi.»
«Lui ha detto così?» domandò sorpresa, a mezza voce.
Gerida annuì: «E sarebbe anche un buon modo per assicurarsi che si riprenda bene. Di sicuro non gli permetteresti di trascurarsi.»
«Credo di doverci pensare.»
La guaritrice si morse il labbro prima di dire: «Pensa in fretta, non hai molto tempo purtroppo.» e poi tornò nella stanzetta delle medicazioni richiudendosi la porta alle spalle.
Dopo alcuni secondi, quando sentì la madre parlare con Cedric, Jennifer s’inginocchiò accanto a Susan e le disse a bassa voce, cercando di sembrare entusiasta: «È una buona idea, non ti pare? Avresti già trovato una valida sistemazione! Lo sai che ti ospiterei per tutto il tempo necessario, ma Sirela ha espressamente chiesto a mamma di badare a Mike...»
«Sì, lo so. Il problema è che... insomma...»
«Lo trovi imbarazzante?»
Susan arrossì: «Beh, sì.»
«Ma hai visto casa sua quanto è grande! Mamma ha ragione, non gli causerai alcun problema!»
«Forse non per la stanza, ma nemmeno li conosco... credi che i suoi accetterebbero di ospitare il bersaglio di un gruppo di soldati?»
«Ma se lui ha già detto sì immagino abbia già pensato di occuparsene di persona, non credi?»
Susan scosse la testa: «Forse ha detto che posso solo d’impulso, perché sa che ne ho bisogno. Non sa nemmeno chi io sia al momento! Sa solo quello che gli ho detto questa mattina!»
«Però è vero, non dovresti gettare all’aria quest’opportunità.» intervenne Mike «Per lo meno sai che c’è, puoi provare e se proprio non va... beh io potrò dormire sulla poltrona.»
«Ma figurati, ci dormirei io.» farfugliò in imbarazzo.
Mike le sorrise sperando di distrarla un po’ dai dolorosi pensieri, poi gli venne in mente un gioco di carte che avrebbe potuto tenerla occupata abbastanza a lungo, e corse a cercare il mazzo in camera di Jennifer. Tornò in pochi minuti e le convinse a sedersi attorno al ceppo di legno che fungeva da poggiapiedi o tavolino da salotto, spiegò loro il gioco e i punteggi delle carte, quindi le interrogò per accertarsi che avessero capito e memorizzato.
Una volta che le ragazzine furono pronte, Mike distribuì le carte e cominciarono a giocare. La prima partita fu solo di prova, perché le due, soprattutto Susan, sbagliarono infrangendo diverse regole. Ma la seconda andò meglio, e la terza fu una partita molto accesa e competitiva, alla quale partecipò attivamente anche Susan che finalmente era riuscita a lasciarsi andare.
A metà della sesta finalmente Cedric e Gerida uscirono dalla stanzetta a lato del corridoio, lei andò a preparare il pranzo in tutta fretta perché erano passate le due del pomeriggio, mentre il ragazzo si avvicinò con passo malfermo per studiare il gioco. Non chiese di potersi unire, ma non rifiutò quando prima Susan e poi anche gli altri due lo invitarono a giocare.
Giocando in quattro cominciarono a volare falsi insulti e false minacce, soprattutto quando al proprio turno qualcuno prelevava una carta dal tavolo che serviva a quello dopo, per accentuare lo spirito competitivo del gioco. Cedric era l’unico a non fiatare, si limitava a cercare di concentrarsi quel tanto che bastava a non fare errori o infrangere regole, ma era certo che le sue condizioni gli facessero sembrare il gioco molto più complicato di quanto in realtà non fosse. Susan gli lanciava spesso occhiate preoccupate, che un paio di volte lui ricambiò, e in entrambe le occasioni lei arrossì tornando rapidamente a concentrarsi sulle proprie carte.
Mangiarono tutti lì, tanto che sul tavolo da pranzo in cucina a malapena c’era spazio, e Jennifer era ansiosa di tornare a giocare a carte. Ma finito di mangiare Cedric disse di dover tornare a casa e guardò Susan con fare incerto, chiedendole implicitamente se l’avrebbe seguito o meno.
Lei cascò dalle nuvole; il gioco di carte l’aveva tenuta impegnata e non aveva riflettuto sulla sua proposta quanto avrebbe voluto. Lo guardò quasi con terrore, poi guardò Jennifer che le fece impercettibilmente cenno di accettare. Quindi alla fine tornò a guardare il ragazzo e annuì timidamente.
Gerida si alzò in fretta da tavola, sollevata che Susan avesse accettato perché così non sarebbe rimasta in casa da sola, e diede a entrambi istruzioni su come utilizzare l’antidoto. Soltanto allora la ragazza venne a sapere che si era trattato di un avvelenamento e guardò la guaritrice con occhi sgranati, incapace di proferire parola. La donna al contrario continuò a parlare nonostante avesse colto la sua occhiata sgomenta, ma aveva l’impressione che in realtà l’unico che la stesse ascoltando fosse Cedric – il quale al momento aveva diverse probabilità di sperimentare lievi amnesie a breve termine. Per questo motivo ripeté ogni cosa da capo appena fu certa che anche Susan ascoltasse.
Susan capì dunque la vera ragione per la quale Gerida sembrava così desiderosa che si fermasse a casa da lui, e si sentì a dir poco terrorizzata data la portata della responsabilità che aveva. Ma sperò di poter contare sul fatto che non era detto che Cedric dimenticasse qualcosa, tantomeno proprio quella chiacchierata. Non poté tuttavia fare a meno di sentirsi una stupida egoista per come si era rivolta a lui la notte precedente, e le fu estremamente difficile non guardarlo nemmeno una volta durante il breve viaggio da una casa all’altra.

  
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