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Autore: Pedistalite    28/09/2016    2 recensioni
La fic è ambientata in un alternative universe non meglio precisato, nel quale SPN è uno show ormai concluso e Jared e Jensen hanno smesso di frequentarsi assiduamente.
Un crash test è una forma di test distruttivo di solito eseguito per verificare la sicurezza delle…
Genere: Angst, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jared Padalecki, Jensen Ackles
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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I

 

*** Urto frontale pieno: è solitamente un impatto contro un muro di cemento rivestito di una barriera di alluminio ad una velocità precisa, ma può essere anche un test contro un altro veicolo. Il test frontale pieno serve a valutare in particolare l'efficienza dei sistemi di sicurezza. ***



 

L’autista ti lancia un’occhiata quando si ferma di fronte al marciapiede dell’albergo: una di quelle composte da un terzo di malizia, un terzo d’invidia e da un ultimo, ma non meno fondamentale, terzo di pietà. Sta probabilmente pensando che essere a disposizione dei clienti migliori per accomodare qualsiasi loro esigenza per un piacevole e veloce spostamento - almeno così cita la patinata brochure - alle tre del mattino non è un lavoro per cui viene pagato abbastanza.

Magari ha ragione. In ogni caso la cosa ti lascia totalmente indifferente.

 

Ti tasti nelle tasche del jeans e gli lasci, o almeno speri - perché il tuo cervello fa contatto a intermittenza e non ci puoi giurare - una mancia generosa, sia per la sua pazienza sia per dimostrargli che anche se sei un ragazzotto patetico che al momento non regge troppo bene le quantità (notevoli, ne sei certo) di alcol ingurgitate, almeno sei quello che tra voi due ce l’ha più lungo. Il conto in banca, sia chiaro.

 

Quella di frugarti nelle tasche, in ogni caso, è una pessima mossa. Perché ti ricapita tra le mani la partecipazione accartocciata… e tutto il casino che ti ha spinto a uscire stasera e a tentare di dimenticare quelle strane emozioni che non riesci a sedare con la razionalità, ti si riversa addosso come un idrante. Inciampi nei tuoi stessi piedi mentre esci dall’auto scura e pensi di cogliere un’ombra di derisione sulla faccia dell’autista. Già, mancia o non mancia, penserà comunque che sei un perdente. Che si fotta.

Sopprimi un rutto, ti passi una mano sullo stomaco e con una smorfia ti viene in mente che devi assolutamente prenotare una seduta in palestra e ricominciare con più regolarità a seguire il tuo personal trainer. Non puoi rischiare, proprio ora, di afflosciarti… Dannazione, quando la tua vita ha iniziato a farti schifo? No, meglio, quando tu hai iniziato a farti schifo? Non lo sai, ma sei così nervoso in questo periodo, così arrabbiato, così frustrato… l’unica cosa che veramente desideri è impartirgli una lezione, aprirgli le gambe e infilarglielo dentro senza nessuna preparazione, con forza, senza nessuna intenzione di regalargli niente, zero emozioni, nessuna connessione. Solo svuotarti i coglioni e poi liberartene insieme a un condom usato.

 

Scuoti la testa e cerchi di concentrati.

La povera ragazza col turno di notte al posto del concierge, ti osserva con un vago timore, e se ne sta diritta nella sua uniforme impeccabile a chiederti se: “Posso esserle utile in qualche altra cosa Signore?”. Una volta o l’altra intendi rispondere a una di queste domande dicendo: ‘puoi aprire le gambe e toglierti le mutande qui sul banco della reception, forse mi andrà di fotterti.’

Sei curioso di scoprire che tipo di reazione potresti provocare…

 

Ma la ragazza in questione non se lo merita. Probabilmente questo è il suo secondo lavoro e prova a mantenersi a galla mentre finisce gli studi. È bruna, piccola e minuta, con le occhiaie e il viso tirato. Ti ricorda vagamente Genevieve. E sei veramente grato che la tua mogliettina abbia capito l’antifona e se ne sia andata dalle amiche, per un week end di pettegolezzi e shopping con la tua carta di credito. Non avresti la forza di trovarti di fronte a lei. Ti vergogneresti a morte.

 

Pensavo che la vita da sposato ti si addicesse di più, Jay-red…

 

Ti viene in mente il commento di Mike Rosenbaum, con la sua faccia da delinquente abbronzato e un cocktail colorato sotto un ombrellone di uno di quei bar di Malibù. Strano incontrarlo. Strano sentirgli fare commenti sulla tua vita. È sempre stato più amico di… Non è mai stato veramente amico tuo. E, in fondo, lui che ne sa?

Essere a casa e non essere a casa. Viaggiare e finire sempre in albergo.

Hai passato più tempo nei letti delle suite, che in quello di casa tua. E per quanto sai che Genevieve ama seguirti e non ne sente il peso, vorresti ritornare a quei tempi in cui la tua vita consisteva nello svegliarsi in un freddo boia, sempre sotto le stesse coperte, alle cinque e mezzo del mattino, per lavorare sullo stesso set e tornare a casa giusto in tempo per accasciarsi sul cuscino e il giorno dopo ricominciare daccapo. Bei tempi. Vita semplice. Stabilità.

La tua casa, un lavoro che ti piace, i tuoi cani, un personaggio che ami. Professionisti che stimi.

Radici.

 

Ti viene da vomitare e ti guardi nelle porte a specchio dell’ascensore. Da fuori sei sempre il solito: abbronzato e in forma, con un taglio di capelli da cinquecento dollari che ti ricadono, volutamente scomposti, sulla fronte.

Dentro invece non sai cosa sei. Vorresti gridare e prendere a pugni un muro, perché nessuno ti aveva detto che certe scelte sono troppo vincolanti, e che non è mai come lo si immagina. Vorresti fottere qualunque cosa che si muova e comandare al tuo uccello di stare a riposo quando si tratta di una certa bocca… Vorresti ubriacarti fino a rischiare il coma etilico, senza per questo finire la mattina dopo su qualche giornalaccio con la faccia impiastricciata del tuo vomito.

Ma hai troppa paura per rischiare. Hai investito troppo, fin da sempre, nel proiettare al mondo questa apparenza di ragazzo solido e perbene, con i piedi per terra e con dei valori di cui essere fieri. No, la tua famiglia non si merita questo. Nemmeno tua moglie. E mentre premi il bottone per l’ultimo piano, ti dici che dovresti pensare a lei un po’ di più, essere grato della sua devozione. Ti riprometti di farle un bel regalo, per rassicurarla che va tutto bene. Per non farti troppe domande.

 

Quando inizia a squillare il tuo cellulare, estrarlo dalla tasca posteriore si rivela troppo difficoltoso. Hai la lingua incollata al palato e in bocca un sapore stantio.

Rinunci, mentre le porte dell’ascensore si aprono al tuo piano, ma il dannato aggeggio ricomincia.

Ti fermi nel corridoio, e ringrazi la lungimiranza dell’arredatore di interni che ha deciso che sarebbe stata una buona idea piazzare lì una poltrona. Speri di non sfasciarla, quando ci crolli sopra con tutto il tuo peso e ringhi “Chi è?” senza guardare.

“Ackles,” risponde la voce dall’altra parte. E cominci a sudare freddo, mentre tutto il sangue che hai in corpo si affretta verso il basso in un rush impulsivo.

Niente, non fa che disubbidirti: tra te e il tuo uccello non c’è più fiducia.

“Ehy Jen…” esali, sperando di sembrare come al solito: di buon umore, equilibrato, solo un po’ stanco. Fingi così bene che alle volte nemmeno tu ti accorgi dei tuoi veri stati d’animo.

 

Jensen non dice più nulla per qualche istante di troppo, avvolto da uno strano silenzio. Mentre ti sistemi svogliatamente l’erezione (l’ultima cosa di cui avevi bisogno, accidenti…), te lo immagini semi-sdraiato nel suo letto, a Los Angeles, con qualche luce dimenticata accesa in giro per la casa e la tv muta sullo statico.

Poi si schiarisce la gola e ti chiede: “Dove sei big boy?”

Sospiri di sollievo, perché tutto è improvvisamente normale. Avrà paura del grande passo, forse ti vorrà chiedere qualche consiglio dell’ultimo minuto, o forse ti vuole dare i dettagli per la serata del suo bachelor party. Non vi vedete da un po’, almeno dal tour di convention di commiato per la fine dello show, se non ricordi male…

“Mah…” stai per dirgli la verità... Sono stato un po’ in giro, cercavo di affogarmi nel Johnny Walker, poi a metà competizione tra me e la bottiglia ho perso interesse nel vincere... Quando non sai cosa ti fa cambiare idea, e replichi: “Niente di che, in albergo, giù a Malibù. Volevamo approfittare di qualche giorno di riposo per stare un po’ in spiaggia. Anzi, amico, Gen sta dormendo affianco a me, ti spiace se ti richiamo domani?”

Sono tutte cazzate, ovviamente. Non ne hai nessuna intenzione. Ne spari un po’, nel mucchio, incespicando su qualche consonante. Hai veramente un mal di testa della madonna.

per un momento ti domandi se ti abbia creduto. Il suo silenzio è piuttosto eloquente,che si fotta anche lui, non ti importa.

 

“Dove sei veramente Jared?” insiste Jensen,con quella fermezza un po’ esasperante.

 

Non puoi farci niente, non riesci a controllare la tua reazione a quel tono: te lo senti diventare più duro, e ti chiedi quanto sarebbe imbarazzante se qualcuno ti vedesse, se non ci siano magari telecamere di sicurezza…

E poi non è questo il momento.

Da come pronuncia il tuo nome, Jensen sembra serio, di quell’umore che implica la scarsa propensione nel fingere di credere alle tue stronzate. Jensen, anche se alle volte ha l’accortezza di non mostrarlo, e la pazienza di glissare, ha sempre avuto quel talento: vedere al di là di ciò che disperatamente vuoi che gli altri vedano di te.

Ancora adesso, anche se hai sposato qualcun altro (una ragazza), continui a sospettare che lui sia l’unico a spingersi oltre la superficie e a non averne paura.

Jensen vede i tuoi scatti, le tue imperfezioni, gli anabolizzanti e le tue menzogne. Ma non volta la testa dall’altra parte, semplicemente ti fa capire, con un gesto del capo o una pacca sulla spalla, che gli vai bene così come sei. Che tutti gli sforzi che fai, l’impegno con cui ti affanni a mostrare solo e sempre la parte migliore di te, sono superflui, non necessari. Secondo lui saresti comunque all’altezza delle aspettative degli altri. Tutte le volte in cui ha provato a fartelo capire, dio ci crede davvero… e tu non te ne capaciti, ma per questo pensi che potresti amarlo per tutta la vita.

E non è così semplice.

Ridacchi, e ti senti orribilmente triste e improvvisamente troppo ubriaco per avere qualunque genere di conversazione che abbia un valore, con chiunque in questo momento.

 

“A Malibù, nel corridoio dell’albergo,” ammetti, pur di tagliare corto la conversazione. Sogni già una doccia bollente, per strapparti via l’odore dell’alcol dalle cellule. La mano attorno al tuo uccello, per avere un momento di tregua.

“Ok.”.  

Ti sembra di vedere un sorriso tra le parole di Jensen, forse la soddisfazione nell’averti fatto capitolare così presto stanotte. Ma la verità è che ti manca, e che sei troppo arrabbiato, e troppo ingabbiato. E che è tutto come una catena di scelte che si susseguono e di cui hai perso il controllo oramai tanto tempo fa, e nessuno te lo aveva detto. Nessuno ti aveva avvertito che sarebbe finita così...

 

“Jared?”

“Mmm?”

“Dov’è Genevieve?”

Scrolli le spalle, ma Jensen non può vederti, “Non ne ho idea, da qualche sua amica a LA, per qualche giorno.” Ti alzi dalla poltrona e tiri fuori la card della tua camera. Il corridoio ti si proietta davanti nella sua infinita lunghezza e ti incammini, meglio tardi che mai.

Dai un’occhiata all’orologio del cellulare e scopri che tu e Jensen siete al telefono nel complesso da sette minuti e cinquantotto secondi a dirvi un bel nulla, se non ad ascoltarvi respirare. Che è un po’ strano, oltre che disturbante. Sono quasi le quattro del mattino.

Lo ripeti anche a lui e poi gli chiedi, “Non prenderla nel verso sbagliato, ma che vuoi a quest’ora?”

 

Perché, pensi, se non sei qui e non intendi succhiarmi il cervello attraverso l’uccello, tutto quello che puoi dirmi non mi interessa, o comunque può aspettare fino a domani. Fino a quando avrò voglia di sentirti.

 

Ed è in quel momento che nell’universo accade una di quelle cose misteriose e imprevedibili. Una stella nasce da qualche parte. Un’altra muore. Un’altra si trasforma in una super nova.

Un incidente. Una collisione. Qualcosa ti ha perforato il fegato, i polmoni. Non puoi respirare, perché te lo senti. E sembra che la Terra si riassesti velocemente sul proprio asse, e per un attimo, un solo brillante istante prima del caos, tutto è immobile e per-fet-to.

Per-fet-ta-men-te orribile.

 

Jensen ride. E poi dice: “Apri questa fottuta porta, Jay.”

Il mondo riprende a girare.

 

E un buco nero t’inghiotte.


 
   
 
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