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Autore: _Heide    29/09/2016    5 recensioni
Destiel!AU | Long | Cas!Psicologo
Dean si da sempre la colpa di tutto e non ha mai il coraggio di ammettere che, forse, anche le cose belle possono succedere.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prologo
 

«Penso di aver detto tutto.»

«Quindi non dimentichi niente?»

«Grazie. Avevi ragione. Forse non sono riuscito ancora a superarlo – forse non ci riuscirò mai – ma sto imparando a conviverci... ed è merito tuo.»

«Ti sbagli, non è merito mio. Hai fatto tutto da solo, io ti ho solo consigliato come farlo.»

 


 

Dean sedeva su una poltroncina marrone, le spalle dritte e il busto rigido, pronto a scattare. Fissava la parete color crema davanti a lui come se fosse l'unica cosa a tenerlo a galla, come se aggrapparsi a quella potesse non farlo affondare, per non perdere il controllo di tutto.

«Dunque Dean, c'è qualcosa che vorresti dire?» un uomo dai capelli corvini guardava quello che gli stava di fronte.

«No. Non ho bisogno di uno psicologo.» affermò scontroso, senza distogliere lo sguardo dal muro, non gli era mai piaciuto il contatto visivo. Soprattutto perché lui non doveva, non voleva essere lì.

«Beh, allora potresti far finta che sia soltanto tuo amico. Niente psicologo-paziente.» insistette con gentilezza l'uomo, poi continuò «Puoi semplicemente parlare di quello che vuoi, anche del wrestling, se ti va.»

«Come sa che faccio wrestling?» Dean si voltò di scatto, pugni chiusi, furioso.

«Quei segni sulle mani, sono i segni di un incontro di wrestling.»

«Chi le dice che non ho picchiato lo psicologo da cui mi hanno mandato prima di lei?» aveva bisogno di quella minaccia per essere lasciato in pace.

«Il fatto che hai anche un occhio nero. Significa che le hai anche prese.»

Dean allora non ce la fece più e posò più pesantemente gli occhi sulla figura dello psicologo, notando di sfuggita i particolari fisici di questo e fissando direttamente gli occhi in quelli blu dell'altro. Molto blu.

«Senta, mi hanno costretto a venire qui. Mi tengono sotto controllo per assicurarsi che passi almeno un' ora in questa fottutissima stanza e che parli dei miei problemi, ma sa cosa? Perde solo tempo, io non ho niente di cui parlare.» sbraitò rabbioso. «Lei non sa niente di me.»

«Aiutami a sapere.» provò l'altro, inclinando la testa da una lato e guardandolo intensamente, cercando di capire se sarebbe mai riuscito a farlo aprire veramente.

«Scriva due stronzate. Dica che sto bene!»

«Dean, parla con me» l'uomo chiuse la penna, poggiò il Molensikine nero e si tolse gli occhiali «parla di quello che vuoi. Dico davvero.»

«Fanculo.»

«È già un inizio.» disse e le sue labbra si incresparono in leggero sorriso.

 



 

«Signor Winchester? Il dottor Novak la attende dentro.» gli comunicò l'assistente – una ragazza sulla ventina, con i capelli rossi e un cartellino sul petto con su scritto “Milton” – non appena mise piede nella sala d'aspetto.

Dean rispose con un cenno del capo e si diresse verso la porta scura con la targhetta che diceva “Dr. C. Novak”.

Bussò e quando ricevette un “avanti” in risposta, attutito dal legno, aprì la porta e si addentrò nella stanza.

«Ciao Dean.»

Di nuovo, il paziente, si limitò ad un lieve cenno del capo. Si sedette sulla poltrona che aveva occupato la volta precedente, pronto a ripetere l'esperienza di un'ora di silenzio, o perlomeno a portare l'argomento lontano da lui, portarlo fuori da quel campo minato di domande a cui non avrebbe mai dato una risposta – non ad alta voce.

Gli piaceva il silenzio, per molto tempo non aveva potuto godere di quel piccolo piacere. Negli ultimi giorni non era riuscito ad apprezzare veramente quei rari momenti di tranquillità e pace portati dal silenzio perché non aveva modo di bloccare i suoi stessi pensieri – troppo dolorosi –, ma lì, in quel momento, in quella stanza sentiva qualcosa che riusciva – in qualche modo – a calmarlo. Approfittò di quelle sensazioni per rilassarsi, per mettere a riposo la mente e non pensare ad altro che al ritmo regolare del suo respiro e a quello debole – quasi come un sussurro – dello psicologo seduto a circa un metro di distanza da lui.

Chiuse gli occhi e poggiò la nuca allo schienale della poltroncina e il dottor Novak sembrò capire il suo tentativo di ricerca della tranquillità. Dopo una decina di minuti, però, Dean si sentì troppo oppresso da quel vuoto riempito solo di ricordi troppo forti, dunque sollevò lentamente le palpebre scoprendo il verde carico dei suoi occhi. «Ti senti meglio?» domandò comprensivo il moro.

Dean nascose lo stupore suscitato da quella domanda: non era abituato ad essere compreso con una facilità così disarmante. Abbassò gli occhi, non era pronto ad aprirsi davanti a qualcuno, a mostrare le sue debolezze.

«Comunque, quando vorrai parlare, potrai chiamarmi Castiel.» disse pacatamente.

Un lieve bussare alla porta fece distogliere allo psicologo lo sguardo penetrante che stava rivolgendo al paziente. «Avanti.»

«Dottor Novak, mi spiace disturbarla nel mezzo di una seduta, ma è importante.» l'espressione allarmata della signorina Milton fece incuriosire anche Dean, che osservò prima lei poi Castiel per cercare di scorgere una qualche reazione significativa. Le pupille dello psicologo si dilatarono, andando a far quasi scomparire il blu elettrico dell'iride, le labbra si strinsero con forza in una striscia sottile. Ma tutto questo accadde nel giro di qualche secondo, perché subito dopo l'uomo si ricompose e gli rivolse uno sguardo di scuse.

«Vorrai scusarmi, Dean. Ci vorrà solo qualche minuto.»

Dean annuì in risposta e cercò, con non poche difficoltà, di infondergli forza e sicurezza attraverso uno sguardo. Non conosceva quell'uomo, ma era in grado di riconoscere una persona emotivamente distrutta quando ne vedeva una. In fondo, era come guardarsi allo specchio.

“Qualche minuto” finì per diventare circa mezz'ora. Quando Castiel tornò nello studio, aveva un sorriso tirato sul volto e gli occhi erano leggermente arrossati come se avesse pianto e se li fosse sfregati con forza per nasconderlo.

«Scusami per averti fatto attendere, Dean.»

«No, ehm, tutto... bene?» domandò lui osservando lo psicologo, sentendosi come se si fossero invertiti i posti.

«Che ne dici di tornare alla nostra seduta?» Castiel distolse gli occhi dai suoi e si sedette di nuovo di fronte a lui.

 



Salve a tutti ! 
Questa è la mia prima Destiel ed anche la mia prima fan fiction nel Fandom. So che non è un grande inizio e che è molto breve, ma volevo fare un capitolo di apertura abbastanza breve per presentare a grandi righe la storia... 
Fatemi sapere cosa ne pensate e scusate per eventuali errori nel testo. 
BS22

 

   
 
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