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Autore: Awesomissima123    08/10/2016    0 recensioni
Ho fatto un esperimento. Ho chiesto al fandom di darmi due sole direttive: un pair (o un pg) ed un particolare. La sfida è crearci la storia intorno.
I - (Het!SpAus): "Nessuno sa la verità, neppure il cielo che ci guarda da lassù".
II (PruAus): "Io mezzo morto e tu mezzo vivo e dimmi tu com'è possibile."
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[ Dunque, dunque, dunque.

Con le introduzioni faccio davvero pena ma credo che qui sia d'obbligo.

Davanti a cosa vi trovate? Semplice, una raccolta. Ah-ah. 

Più che altro, mentre venivo schiavizzata dalla mia migliore amica per scrivere una fanfiction, m'è venuto il lampo di genio, qualcosa per dare una spinta all'ispirazione. Ho chiesto alla bella gente sul fandom di facebook di darmi una Ship/pg ed un particolare (canzone, oggetto, periodo storico, laqualunque), per ogni proposta, io proverò a scrivere un pezzo di questa raccolta.

Quindi, bando alle ciance ed iniziamo.

Mi hanno assegnato:

SHIP: Het!Spaus; Antonio Fernandez-Carriedo, Roselind Edelstein.

Particolare: una canzone, "Parla più piano", nella versione di Placido Domingo.]

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Nel 23 ottobre 1530, Carlo V, viene incoronato imperatore del Sacro Impero Romano.

«Non dovete volermi bene per forza.»

Le aveva detto quelle parole, un pomeriggio dopo averla accompagnata in una delle loro silenziose passeggiate nei giardini. Austria aveva gli occhi imperturbabili di una donna e l'alone austero che stonava quasi con l'aspetto da ragazza che scavalcava da poco l'adolescenza. Non gli aveva risposto, lui non aveva mai capito se lo ritenesse immeritevole delle sue parole, dei suoi pensieri, persino del suo sguardo ma s'era fatto bastare il dubbio e la possibilità di starle accanto, seppure in silenzio (questo sì, ogni tanto risultava particolarmente difficile).
L'aveva vista la prima volta, sull'altare eppure prima aveva provato a scriverle, con parole dei trovatori. Uno scambio epistolare a dir poco deludente: anche sulle pergamene, la donna era risultata un muro e lui aveva pensato ingenuamente si trattasse di timidezza ma -per quanto gli si rimproverasse di non saper leggere l'atmosfera- incontrati gli occhi, dopo aver alzato il velo, gli era stato chiaro che Austria non era timida: Austria era impietosa. 

[Parla più piano e nessuno sentirà
il nostro amore lo viviamo io e te.
Nessuno sa la verità
neppure il cielo che ci guarda da lassù.]

S'era impegnato a scanagliare oltre la coltre di ghiaccio che lei aveva costruito intorno a sé, come fosse un artista, come avesse un piccolo scalpello, in maniera quasi certosina, dava un colpetto ed un po' di difese cadevano. Difese? Era la parola giusta? Roselind aveva bisogno di difese?

«Voi avete mai amato qualcuno?» 
«Sono arrivata illibata al matrimonio, se vi preme saperlo.» 
«Non intendevo dire questo, scusatemi. Vi ho offesa?» 
«No, affatto.»

Aveva ripreso a suonare l'arpa e lui era rimasto di nuovo in silenzio ad ascoltare la melodia, 'chè pur non avendo risposto alla sua domanda a lui sembrò di capire ed ebbe una speranza: se lei aveva amato una volta, poteva tornare a farlo.

«Non ho mai pensato voi fosse solo un cavillo politico per arrivare ad una maggiore potenza. E non ho intenzione di esporvi come un trofeo, Roselind. Dovreste permettermi di dimostrarvelo.»

 

[Insieme a te, io resterò, amore mio.
Sempre così.]

Capì di dover conquistare le sue attenzioni, s'impegnò a parlarle con parole della sua lingua, s'impegnò a farsi ascoltare con la stessa melodia e ogni partenza, ogni lontananza, fu scandita da alte missive, imparò la maestria della metrica, la musicalità delle rime e la potenza reale delle parole. 
Ed ogni volta che tornava, lei gli concedeva una piccola dimostrazione: ora uno sguardo, ora un lembo di pelle del polso, ora una parola. Gli sguardi diventarono intrecci, la pelle carezze e le parole diventarono discorsi. Laddove Antonio risultava fantasioso, astratto e sognatore, Roselind preferiva la freddezza della praticità, della realtà. Qualcosa, però continuava a cambiare: sospirava ogni volta che lui apriva la bocca. Non sospiri d'amore, ma sospiri teneri e snervati di chi conosceva quali voli pindarici potevano uscire da quelle labbra e -a ben vedere- Spagna li preferiva ai sospiri d'amore: erano la palese dimostrazione che Roselind l'aveva ritenuto degno di conoscerlo e nel conoscerlo, non seppe mai se volontariamente, o involontariamente, lei aveva iniziato a farsi conoscere.

Tempi di tumulto, portarono battaglie e nostalgie, lei gli concesse il proprio fazzoletto da portare sul fronte e lui lo portava al naso ogni volta che il marciume gli arrivava ai capelli, ogni volta che era troppo distante, ogni volta che il sangue gli sporcava l'anima e gli pareva che fosse un detergente perfetto. Assenza prolungata, nessuna lettera e nessuna notizia: nessuna notizia che potesse o dovesse arrivare ad una donna, lui sapeva -senza alcuna presunzione- lui sentiva l'ansia annichilente dell'attesa, di lei che non lo vedeva tornare e che non poteva sapere, non poteva immaginare che il fazzoletto restava stretto tra le dita.

La immaginava guardare le grandi porte, la immaginava scivolare tra i corridoi umidi ma non avrebbe mai immaginato di trovarla nelle sue stanze, la notte del ritorno. Non c'era stato bisogno di parole, di spiegazioni anche se lei aveva provato a parlare. Lui l'aveva zittita passando un indice sulle labbra sottili e l'aveva sentita tremare quando l'aveva baciata, senza accorgersi che anche lui tremava. 

[Parla più piano 

e vieni più vicino a me. 

Voglio sentire gli occhi miei dentro di te.]

S'accorse, lui s'accorse di averle lasciato un pezzo di anima. S'accorse che con l'unione dei corpi, il proprio spirito aveva raggiunto le più alte vette di appagamento e tenendola a sé, nella mollezza del mattino, nel torpore seguente il piacere carnale, s'accorse anche di quanto lei fosse alta, più alta di qualunque madonna, più luminosa e irraggiungibile di qualunque astro e quasi provò vergogna d'averla toccata, timore d'averla sporcata, donna angelo più che creatura. S'accorse che avrebbe potuto fare qualunque cosa solo per arrivare a lei, che l'aveva già fatto e che avrebbe continuato pur restando un gradino più in basso e più in ombra di una tale presenza celeste. 

S'accorse troppo tardi di essere stato accecato. S'accorse troppo tardi che troppa luce inebetisce i sensi. 

Troppa luce ma non abbastanza per colmare il buio che aveva dentro. Quando il seme del dubbio, inizia a rosicare dall'interno, c'è poco da fare: la vox populi cozzava con l'immagine che Antonio aveva di Roselind. E preferì ancora stare in silenzio, ancora tacere e covare all'interno il marcio, perché non doveva toccarla, perché i pensieri solo avrebbero potuto offendere. I pensieri, però, iniziarono ad annichilirlo, a snervarlo, a tendere all'infinito i suoi nervi. La vox populi si scagliava esattamente dove anche il suo esercito perdeva legioni. Non ricordava bene se fu il fuoco che scoppiettava nel camino, se la freddezza dei gesti di Austria nel voltare le pagine del suo libro. Nel guardarla, iniziò a notare delle ombre che le danzavano sul viso. E provò a calmarsi, lui provò a calmarsi e a tornare alla realtà solo che la realtà che lui desiderava sembrava iniziare a schernirlo, due figure della stessa donna lo portavano alla nevrosi e quando le prese il braccio per farla alzare dalla poltrona, capì che aveva messo troppa irruenza dal verso strozzato della donna. Non riuscì, lui non riuscì ad allentare la presa, la strinse maggiormente mentre s'abbassava a guardarla negli occhi. 

Aveva avuto ragione, Austria era imperturbabile.

«Voi non sopportate più la mia vista. Vi annoio? Vi spavento in questo momento? I vostri pensieri sono rivolti a qualcun altro.»

E lo sussurrò senza aggiungere altro, senza muoversi. Neanche lei si mosse, non lamentò alcun fastidio al polso, assottigliò lo sguardo e non rispose ma smise di essere imperturbabile 'chè schiuse le labbra per prendere aria. Spagna corrucciò le sopracciglia ed improvvisamente la luce si fece più fioca, lei iniziava a perdete le ali: impossibile, non era possibile. Doveva esserci qualche problema, lui doveva avere qualche problema. Poggiò entrambe le mani ai lati delle spalle dell'altra e si chinò ancora su di lei per osservarne meglio il volto.

«Voi non avete paura di me. Voi temete quello che potrei dire. Ho fatto qualunque cosa per voi, v'ho amata come nessun'altro sarebbe capace, v'ho stimata come persona. E voi... Non c'è bisogno rispondiate.»

L'aveva lasciata, perché il disgusto s'era unito ad in dolore lancinante, il sogno s'era accartocciato e bruciava da solo, lo specchio s'era rotto. Non riuscì a guardarla, non più, la luce era di fiamme cocenti ed ustionanti, le diede le spalle e quando la sentì muoversi alzò una mano, tra le dita strette a pugno, il fazzoletto immacolato.

[Nessuno sa la verità
è un grande amore e mai più grande esisterà.]

«Non avvicinatevi. Eravate la mia Madonna, la mia rosa celeste ed ora non riesco a vedere altro che una volgare prostituta degli ottomani.»

Aprì la mano, il pezzo di stoffa scivolò a terra.

«É sporco. Addio.»

Era un grande amore e mai più grande esisterà.

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A belli, semo arrivati fin qui, eh?

Complimenti! Insomma. Grazie a chi ha letto, grazie a chi recensirà e grazie pure a chi se ne passa per l'anticamera del cervello.

Grazie alla mia migliore amica che m'ha messo sotto torchio (no in realtà, te pozzino.).

E nulla, belli. Ci si vede presto, si spera.

Nu bacion!

   
 
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