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Autore: Tessie_chan    13/10/2016    2 recensioni
Mi chiamo Aithusa Duchannes Kuruta, e non sono una ragazza come le altre. Sono una Maga, una Guardiana, e il mio unico scopo è proteggere gli umani,o come li chiamamo noi, i Mortali, dai demoni, dai Rinnegati e da tutto ciò che di oscuro e malvagio ci sia a questo mondo. Oggi ormai ho quasi vent'anni, sono trascorsi dieci anni dal giorno in cui ho perso quasi tutta la mia famiglia nell'attacco al popolo dei Kuruta, e sono sul punto di realizzare il mio destino: affrontare la Brigata dell'Illusione, e fare finalmente giustizia.
E' quasi come una roulette russa. Sto per giocarmi il tutto per tutto, potrei vincere e essere finalmente una donna libera, oppure potrei perdere e morire, abbandonando così tutte le persone che amo al loro destino.
La mia storia comincia cinque anni fa, dal mio esame per diventare Hunter. Perchè è in quell'occasione che ho incontrato le persone che hanno stravolto la mia vita.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Killua Zaoldyeck, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Aithusa sedeva rigida nella camera mortuaria che era stata allestita di fretta e furia nel castello, fissando il vuoto senza vedere nulla, senza piangere, senza muoversi. Non aveva più lacrime da versare ormai, e non aveva più neanche la forza di prendere la spada che ancora le pendeva dal fianco, quella che era appartenuta a sua madre, e usarla per porre fine alle sue sofferenze.
Era spenta, vuota, inerme. Era una donna ormai finita, quella volta era davvero finita. Non si sarebbe mai più potuta rimettere in piedi, lo sentiva.
Non era da sola in quella stanza, però. C'erano anche altre due persone con lei. Probabilmente loro stavano perfino peggio di lei, perché l'amara e crudele verità li aveva colti completamente impreparati, e la Morte aveva sorpreso loro e gli altri in quel luogo proprio quando erano più indifesi.
Avevano davvero creduto che ormai la Brigata avesse i giorni contati, che ormai non ci fosse più alcun reale motivo di avere paura... ma erano stati bruscamente riportati alla realtà.
Diverse ore prima Kurapika e Masahiro avevano cercato in ogni modo di respingere, con l'aiuto degli altri Maghi e Mortali che erano rimasti a Rusko, il nemico che si era presentato all'improvviso alla loro porta, completamente inaspettato, e più assetato di sangue che mai….
E ci erano riusciti, contro ogni previsione. Insieme avevano ucciso Nobunaga, così come tanti anni prima Kurapika aveva ucciso Uboghin. Ma ci erano riusciti troppo tardi, e le conseguenze della loro debolezza e dell'ingenuità della sorella minore ora stavano sdraiate su un gigantesco tavolo, composte, con gli occhi chiusi e i lineamenti rilassati nella loro condizione di morte, eleganti nei loro sfarzosi abiti nuovi, e sfavillanti nei loro pesanti gioielli d'oro.
Bellissimi, sembravano statue di cera. Ma morti, irrimediabilmente, dolorosamente, spaventosamente morti.
<< Chi è stato a comporli? >> chiese Kurapika con voce lontana, non sembrava interessargli davvero la risposta.
Aithusa alzò molto lentamente lo sguardò verso il fratello in piedi dietro alla sua sedia, osservandolo con aria assente. Sia lui che Masahiro erano completamente vestito di nero, come lei del resto, e avevano lo stesso sguardo vuoto e distante che aveva lei. Tutti e tre sembravano quasi in posa per un ritratto di famiglia, e non si erano mai assomigliati tanto come in quel momento.
<< Credo siano stati gli Zaoldyeck.... >> rispose alla fine la ragazza con voce incerta, non sembrava sicura di ciò che diceva << Ad un certo punto mi pare di aver sentito Zeno che diceva che era l'unica cosa buona che potevano fare, visto che non riusciti a fare nulla per impedire la loro morte... >>
<< Gentile da parte loro... >> commentò Masahiro alla stessa maniera del fratello.
<< Sì, è vero.... >> mormorò Aithusa con aria persa, tornando a fissare le salme con aria confusa di chi non capisce assolutamente niente di cosa stia succedendo intorno a sé, ma ha comunque troppa paura di chiedere spiegazioni, perchè in fondo non vuole sapere davvero.
Aithusa non sapeva nemmeno cosa fosse accaduto esattamente. Sapeva solo che, quando il giorno prima si era precipitata a casa portando tra le braccia il cadavere ormai freddo della madre, urlando e piangendo con il viso coperto dalle lacrime e dal sangue della donna morta, aveva trovato tutti sconvolti e in lacrime esattamente come lei, perché mentre lei non c'era altre due persone della famiglia erano state uccise senza pietà.
Era arrivata troppo tardi. Nonostante l’avvertimento ricevuto, non aveva fatto in tempo. Erano già morti.
E allora era stato come se si fosse rotta una diga, e l'anima di Aithusa fosse stata l'acqua al suo interno. L'acqua era scorsa con forza dirompente, e Aithusa aveva urlato forte, così forte che ad un certo punto aveva cominciato a tossire e sputare sangue perchè le sue stesse grida le avevano scorticato la gola, fino a quando le forze le avevano abbandonata, e si era accasciata.
Alla fine però l'acqua aveva smesso di scorrere, e lei si era calmata. E ora la sua anima era come un lago causato dalla rottura di una diga. Immobile, innaturalmente calmo, fuori posto, tutto ciò che restava della diga che c'era stata, e che non sarebbe mai tornata come prima. L'acqua non sarebbe mai tornata nella diga, si era sparsa ovunque, e non poteva più essere recuperata.
Era andata perduta. Non si poteva fare più nulla.
Aithusa si alzò molto, molto lentamente, come se il solo muoversi le causasse un dolore indicibile, e si avvicinò al grande tavolo, per osservare i tre cadaveri da vicino.
Aveva trascorso tutta la notte precedente in piedi vicino a loro, e ormai conosceva così bene il loro aspetto attuale che avrebbe potuto disegnare le fattezze dei loro cadaveri riccamente vestiti ad occhi chiusi... eppure non riusciva a fare a meno di osservarli ancora, in continuazione, come se stare a guardarli potesse aiutarla ad accettare ciò che era accaduto.
Concorda, Taranis, Selina... erano caduti per mano della Brigata. E lei non era riuscita ad impedirlo.
Lo so, della morte di Concorda vi ho già raccontato. Ma quella degli altri, vi chiederete voi? Cosa è accaduto? Chi è stato?!
Be', che è stato Nobunaga ad uccidere gli altri tre l'ho già accennato. Ma non vi ho ancora raccontato cosa è successo esattamente...
Be', se volete sapere cosa è accaduto a Rusko mentre ad Avalon Sua Maestà la Morte mieteva più vittime di quanto si fosse mai visto, dobbiamo tornare indietro di circa ventiquattro ore.

Ventiquattr'ore prima, città di Nimea....

Silenzio. Il silenzio più totale. Immobilità, tutto era perfettamente immobile…
Senza sangue, senza urla…. niente lì era naturale, tutto era più sbagliato che mai.
Aithusa non era stata a Nimea così spesso come si potrebbe pensare. Sì, lo so che era una Maga, ma ormai sappiamo bene tutti che aveva quasi sempre vissuto sulla Terra, ad eccezione di qualche breve periodo trascorso insieme al cugino a casa Duchannes, che però era in aperta campagna, ben distante dalle grandi mura della capitale.
In vent’anni di vita era stata in quella grande città solo un paio di volte o poco più, e solo per procurarsi ingredienti o testi così rari da essere reperibili solo lì, in quella grande e luminosa giostra pulsante di ingegno e magia, dove viveva la maggior parte dei Maghi viventi. Non aveva mai avuto occasione di passeggiare per quelle strade solo per il gusto di farlo, non aveva mai ammirato lo stile degli edifici, i grandi negozi di armi, di tomi antichi, di pozioni varie, non si era mai mischiata in mezzo ad una folla di Maghi riuniti tutti insieme non per respingere dei demoni, ma per il semplice piacere di vivere tutti insieme.
No, Aithusa non aveva mai fatto niente del genere, e non sapeva bene cosa si provasse a camminare per una città magica come Nimea. Al contrario era invece piuttosto sicura di sapere cosa significasse camminare per una città in fiamme, lacerata dalle lame di cento spade e dalla magia di decine di Rinnegati, disseminata di cadaveri mutilati e di feriti che invocavano la morte affinché mettesse fine alle loro sofferenze, e attraversata da grida di agonia capaci di far gelare il sangue perfino a dei combattenti consumati come lo erano i Maghi.
Sì, quello era il genere di esperienza che Aithusa aveva già fatto, quando aveva a malapena nove anni, e il ricordo di quel momento era ancora ben scolpito nella sua memoria. Per questo era piuttosto convinta di non essersi sbagliata quando aveva pensato che la città che le si stava mostrando non corrispondeva affatto all’idea spaventosa che si era fatta di ciò che avrebbe trovato una volta attraversato quello squarcio nelle mura.
Sì, decisamente quello che stava vedendo era molto diverso da quello che si era aspettata. La cosa probabilmente avrebbe dovuto tranquillizzarla, ma stranamente non era così. Al contrario, Aithusa era più terrorizzata che mai davanti a quella scena.
Non c’erano demoni. Non c’erano Rinnegati, né Maghi. Non c’erano cadaveri, né feriti, né sangue. Non c’era niente, assolutamente niente, a parte un silenzio assordante.
Niente era stato distrutto. Niente.
Aithusa costeggiava le grandi case intatte camminando lentamente, con la vista annebbiata per le lacrime, la stanchezza, la perdita di sangue e il dolore alla spalla, barcollando inferma sulle gambe e seguita a poca distanza da Hisoka e Desirée, e si guardava convulsamente intorno alla ricerca di un qualsiasi movimento, un qualsiasi respiro o battito di vita.
Ma non c’era niente. Non c’era nessuno.
<< Che diavolo significa? Dove l’esercito? Dove sono i demoni?! >> chiese nervosamente Daisy, aggrappandosi al braccio di Hisoka senza rendersene neanche conto. Il Rinnegato contro ogni previsione non reagì in nessun modo, e sul suo volto non comparve la minima traccia di malizia.
<< Voi non credete che si siano teletrasportati da qualche parte, vero? >> chiese Hisoka a propria volta.
<< Non credo. Devono essere qui, da qualche parte… >> sussurrò Aithusa << Ma io non so dove cercare… non conosco questo posto… >>
Hisoka si voltò a guardarla allibito <<Tu non conosci questo posto? >>
<< Vivo sulla Terra. >> rispose Aithusa a mo’ di spiegazione.
<< Anch’io, ma un po’ Nimea la conosco… >> borbottò Hisoka tra sé.
<< Basta. >> li interruppe Daisy con voce decisa << Proviamo ad andare a vedere nella piazza principale. Forse lì c’è qualcuno… >>
Senza aspettare la risposta degli altri, la più giovane del gruppo cominciò ad incamminarsi con aria sicura verso est; dopo qualche attimo di esitazione Aithusa e Hisoka la seguirono << Ma almeno sai dove stai andando? >> chiese il giullare.
<< Ti prego! A differenza vostra, io sono cresciuta qui. >> replicò Daisy senza voltarsi << Ecco, dovremmo esserci quasi… >> continuò, indicando la fine del vicolo in cui si erano infilati…
E quando ne vennero fuori, si presentò loro la più assurda delle scene.
La prima reazione che ebbero i tre Maghi fu di lasciarsi andare al più liberatorio dei sospiri di sollievo. L’esercito, o quel poco che ne era rimasto, era radunato tutto lì, e i Maghi non solo erano tutti vivi, ma sembravano addirittura essere illesi. E, cosa ancora più incredibile, non sembrava esserci la benché minima traccia di demone.
Sì, sembrava essere finita, pensò Aithusa con il cuore che scoppiava per la felicità. Erano salvi, i demoni erano scomparsi, le grida di battaglia e morte sembravano essersi finalmente placate del tutto… c’era molto di cui essere sollevati.
Ma allora perché tutti i Maghi avevano il viso ricoperto di lacrime di dolore, e gli occhi pieni del peggiore orrore che si possa immaginare?
L’entusiasmo della ragazza si spense all’istante, così come si era acceso.
<< Che sta succedendo qui? >> chiese la giovane a voce alta, ma tremante ed esitante, avvicinandosi ai margini della folla.
Tutti i Maghi si voltarono di scatto verso di lei, e sul volto di ciascuno di loro comparve una luce di compassione e di solidarietà che faceva più male di qualsiasi crudeltà.
Aithusa non riusciva a sopportare quegli sguardi dispiaciuti << Cosa è successo?! >> chiese spaventata, cominciando a tremare senza neanche sapere il motivo << Parlate, per l’amor del cielo! >>
<< Tess… >> la chiamò flebilmente una voce maschile.
Aithusa si girò, e si ritrovò faccia a faccia con uno scarmigliato e turbato Lysandro.
<< LYS! >> gridò Aithusa sollevata, e, dimenticando per un momento la sua paura, gettò le braccia al collo del ragazzo, mentre Desirée li raggiungeva di corsa e avvolgeva il busto del fratello con le braccia, singhiozzando contro il suo petto << Fratellone, grazie a Dio… eravamo così preoccupate… >>
Il Mago aveva un aspetto terribile: la pelle del viso era ricoperta da schizzi di sangue, che nascondevano quasi completamente l’eccessivo e insolito pallore delle sue guance; i vestiti erano impolverati e strappati in diversi punti, come se fosse rotolato giù da una rupe; inoltre, anche se non sembrava essere ferito, il ragazzo si muoveva con difficoltà, come se gli facessero male tutti i muscoli. Chissà cosa aveva fatto per ridursi in quel modo…
Lysandro ricambiò a malapena la stretta delle due donne, che alzarono confuse gli occhi pieni di lacrime verso di lui << Fratellone, che c’è? Cosa c’è che non va? >> chiese Daisy.
Lysandro non rispose, si limitò a rivolgere ad Aithusa lo stesso sguardo compassionevole e dispiaciuto che le avevano riservato tutti gli altri.
Aithusa non capiva: cosa stavano cercando di dirle quelle persone guardandola con quella faccia?
Cercò gli altri due compagni con lo sguardo, sperando che loro invece potessero aver capito cosa stava succedendo, ma non ne guadagnò molto. Desirée non aveva ancora neanche notato l’espressione turbata del fratello, e lo stava ancora stritolando guardandolo con occhi pieni di lacrime, e Hisoka stava scrutando uno ad uno i visi dei presenti con uno sguardo inquisitore: chiaramente anche lui stava cercando di capire cosa doveva essere accaduto lì.
Aithusa sentì un brivido ghiacciato correrle lungo la spina dorsale, la peggiore sensazione che avesse mai provato in vita sua.
Sin da quando avevano lasciato il castello, quel turbamento sgradevole l’aveva accompagnata senza mai lasciarla. Al contrario, più il tempo passava, più si intensificava.
Un sospetto, un presentimento, un vago sentore di tragedia che le pungolava i pensieri… era quasi come una grossa spina incastrata nel piede.
Avete presente? Non sai quale sia il problema, ma percepisci chiaramente la sua presenza, e più cammini, più quella sgorbia finisce in profondità, causandoti sempre più dolore, fino a quando è ormai troppo in fondo per tirarla fuori senza doversi fare male davvero.
Ecco, adesso Aithusa si sentiva proprio come se la spina fosse penetrata nella carne ad almeno due centimetri di profondità: troppo tardi per prevenire la tragedia usando le pinzette, ora sarebbe stata costretta ad usare il bisturi.
<< Cosa è successo? >> chiese per l’ennesima volta, senza rivolgersi a qualcuno in particolare.
<< Maestra Aithusa… >> cominciò un giovane Mago di appena quindici anni, che si era avvicinato a lei in assoluto silenzio << Siamo tutti davvero molto addolorati per la vostra perdita… una tragedia, una terribile tragedia… >>
Aithusa si voltò a guardarlo con uno scatto ferino della testa, e tutto ad un tratto cominciò a vedere rosso, mentre i battiti del suo cuore acceleravano bruscamente.
Senza neanche rendersi conto di ciò che stava facendo, afferrò il ragazzino per il bavero della camicia e cominciò a scuoterlo con così tanta violenza che si sentirono chiaramente le sue giunture cozzare con forza << DI CHE DIAVOLO STAI PARLANDO?! COSA È SUCCESSO?! >>
Tutti sgranarono gli occhi, sconcertati da quell’improvviso raptus violento, e Aithusa gridò ancora << ALLORA?! QUALCUNO SI DECIDE A PARLARE O NO?! >>
Poi arrivò. Fu come un fulmine a ciel sereno, come una scossa di terremoto di almeno 6.0 gradi sulla scala Richter, come uno tsunami in piena pianura.
La più terribile delle intuizioni, il peggiore dei sospetti si concretizzò all’improvviso, scuotendola nei più profondi recessi della sua mente, facendo l’effetto di blackout.
<< Dov’è mia madre? >> chiese la ragazza, mollando quasi in trance la presa sul ragazzino, con gli occhi vuoti e la voce atona. Era come se il suo cervello si fosse spento, parlava come un automa.
Nessuno rispose, e quel silenzio valse più di mille conferme.
<< MAMMA! >> urlò Aithusa con voce altissima e acuta, che risuonò come un tremendo lamento di agonia nell’aria, per poi gettarsi in mezzo alla folla spintonando e colpendo chiunque si trovasse sulla sua strada. Non molti, in realtà, perché tutti si affrettarono a cederle il passo togliendosi dalla sua traiettoria, e così ben presto Aithusa si ritrovò al centro della folla, dove era stata lasciata una bolla libera di spazio, che nessuno osava violare, come se fosse sacra.
E al centro di quello spazio c’erano due donne, entrambe bionde, entrambe mature, ma completamente diverse nella loro condizione.
Aithusa riconobbe subito la prima delle due: era Ofelia.
La Maga era inginocchiata sul pavimento della piazza con gli occhi bassi e stranamente asciutti, e il suo viso, che fino a qualche ora prima aveva riacquistato luce e vigore grazie all’esaltazione della battaglia, ora sembrava più grigio e sciupato che mai, contratto in una smorfia di orribile incredulità, e di profonda vergogna, come se avesse commesso il peggiore degli errori.
Ma Aithusa non studiò il viso della donna per neanche cinque secondi, perché la sua attenzione fu immediatamente focalizzata sull’altra donna bionda, che giaceva per terra in maniera davvero poco rassicurante, con la testa poggiata sulle ginocchia di Ofelia, che le accarezzava dolcemente i capelli con le mani tremanti.
Era chiaramente morta, Aithusa non aveva dubbi: si vedeva da come il rigor mortis aveva già paralizzato i suoi muscoli, dal petto inequivocabilmente immobile, e dal colorito violaceo dei polpastrelli.
Aithusa però non riusciva a vederla in faccia, per cui si avvicinò ancora. Lysandro nel frattempo le era arrivato alle spalle, e l’aveva afferrata nel tentativo di trattenerla, come se volesse impedire all’amica di guardare.
Ofelia però dovette percepire la loro presenza, perché alzò gli occhi di scatto e istintivamente si tirò indietro con la schiena per poterli guardare in faccia, permettendo così alla giovane di vedere.
Sulle prime Aithusa non riconobbe la donna: il suo viso era molto gonfio, di un orribile colorito viola scuro misto a nero, e con gli occhi fuori dalle orbite con le sclere rosso vivo. Il busto invece era ricoperto di sangue che ormai aveva cominciato a rapprendersi, che doveva essere sgorgato da ferite che, seppur gravi, non erano però state la causa della morte, Aithusa ne era quasi certa.
Morte per soffocamento… concluse Aithusa alla fine, dopo aver analizzato con cura il corpo. Poverina. Deve aver sofferto parecchio…
Poi il suo sguardo di posò sul dorso di una delle mani, e Aithusa sussultò tra le braccia di Lysandro.
Che strano. Quella donna ha il simbolo del Legame nello stesso punto di…
<< MAMMAAAAAAA! >>gridò Aithusa, crollando in ginocchio accanto al cadavere della madre.
Non è possibile… non può essere vero…
Aithusa cominciò a graffiarsi con forza il viso con le unghie, ringhiando e ansimando convulsamente, e affondò il viso nel grembo della madre, macchiandosi con il suo sangue.
Quel ventre che l’aveva generata, dove era stata nutrita, amata…
Aithusa accarezzò il viso della donna, le palpebre, le guance, le labbra…
Quelle labbra che centinaia di volte l’avevano baciata, che centinaia di volte avevano cantato per lei…
Poi toccò le sue mani, percorrendo con cura ogni centimetro delle sue dita….
Quelle dita che centinaia di volte l’avevano accarezzata, che centinaia di volte avevano sfiorato i tasti di un pianoforte, che centinaia di volte le avevano asciugato le lacrime…
Mai Aithusa avrebbe pensato di rivivere un momento simile, di rivivere quel dolore... Mai avrebbe creduto che un giorno avrebbe guardato ancora una volta il cadavere della madre, strappata alla vita troppo presto, uccisa ancora una volta da…
Kuroro Lucifer.
Aithusa alzò gli occhi, come se qualcuno l’avesse chiamata. E il suo sguardo si incatenò all’istante a quello di Kuroro, come se non aspettasse altro.
Lui era lì. Era sempre stato lì, a guardarle da lontano, dalla cima delle mura.
Aithusa pensò che forse avrebbe dovuto infuriarsi, gridare alla vendetta, attaccarlo, torturarlo, e infine ucciderlo. Era ciò che avrebbe fatto chiunque altro, no?
Invece lei non si mosse. Rimase a guardarlo con aria persa, come se si fosse svegliata all’improvviso dopo la più epica delle sbronze, incapace di ricordare chi era e dove si trovasse.
Alla fine fu Kuroro a raggiungerla. Balzò giù dalle mura e le si avvicinò lentamente, mentre tutti si facevano da parte per lasciarlo passare, troppo sorpresi per fare qualcosa per fermarlo.
Quando infine fu accanto a loro, le guardò tutte e tre negli occhi, una dopo l’altra. Prima Aithusa, poi Ofelia, e per ultima Concorda, che fissava il vuoto con occhi pesti e rossi, perché nessuno glieli aveva chiusi.
<< Non ho mai voluto che finisse così. >> mormorò Kuroro. Aithusa non gli rispose, si limitò a guardarlo inespressiva.
<< Dico davvero. Quando ero un bambino volevo bene a Concorda. >> continuò il Rinnegato, mantenendo un tono serio, ma non distaccato << Le cose… sono degenerate. Ho perso il controllo della situazione, ero così arrabbiato, lei aveva appena ucciso Machi… non sono neanche riuscito a realizzare cosa stava accadendo davvero… non fino a quando non l’ho vista morta. Sono stato io a portare qui il suo corpo. >>
<< E perché avresti dovuto farlo? >> chiese Aithusa, la sua voce era ancora atona.
<< È stata la mia Maestra, in passato. Merita una degna sepoltura. Sono un Rinnegato, non un animale. >> rispose Kuroro in tono grave, per poi voltarsi per andarsene. Fece qualche passo, ma poi si voltò di nuovo verso la mora << Ah, a proposito: credo ti convenga tornare a casa. Se non l’hai notato, uno dei miei non è qui ad Avalon. Dove pensi che sia, mentre la tua casa e la tua famiglia sono praticamente indifese? >>
Uno dei miei non è ad Avalon. Dove pensi che sia, mentre la tua casa e la tua famiglia sono praticamente indifese?
Aithusa trattenne bruscamente il fiato, riscuotendosi dal torpore. Non vorrà dire che…?
<< DAISY! LYSANDRO! HISOKA! >> urlò Aithusa <<DOBBIAMO ANDARE A CASA! ADESSO! >>
I ragazzi erano già accanto a lei, e Aithusa si aggrappò forte al braccio di Hisoka come se ne stesse valendo della propria vita.
<< Non possiamo teletrasportarci direttamente al castello! >> gridò Hisoka << Ci sono gli incantesimi di protezione! Dobbiamo andare al confine! >>
<< Va bene, basta che ci sbrighiamo! >> urlò Aithusa isterica, e Hisoka, senza perdere altro tempo, mormorò la formula che li avrebbe teletrasportati a casa.
Un attimo prima di dissolversi la Maga sentì Kuroro pronunciare queste parole:
<< Non volevo andasse così, Tess. Non mi piace quello che sta succedendo, ma è necessario. Tu hai colpito la mia famiglia, io colpisco la tua. Finirà solo quando uno dei due non avrà perso tutto. Non dimenticarlo. >>

Mezz’ora prima, castello di Rusko…

C’era davvero una gran brutta atmosfera nel castello di Rusko.  Molto, molto brutta.
Così brutta che non so proprio come potrei descriverla, dico sul serio. Vabbe’, ci provo.  Avete presente quelle scene da manuale dei film, quelle in cui c’è sempre un ferito grave, o un ammalato terminale, che sta per esalare l’ultimo respiro mentre il medico cerca di strapparlo alla Morte quasi strattonandolo per i capelli, mentre nel frattempo un notevole numero di parenti e amici si riunisce in un soggiorno illuminato a malapena da una luce molto fioca, come se all’improvviso, neanche a farlo apposta, se ne fosse andata via la luce, e si rendesse necessario usare le lampade ad olio come nei secoli bui, o come se fosse in corso una cena romantica con finale già scritto. Ecco, questi se ne stanno lì con questo tipo di atmosfera,  in un misto di trepidazione e angoscia, fissando la porta della stanza dell’ammalato quasi fosse il centro del mondo intero, aspettando notizie. Sia positive che negative, dipende da quanto i parenti siano bastardi, e da quanto sia ricco il moribondo, questo mi sembra ovvio.
Allora, avete presente?
Ecco, più o meno l’atmosfera che c’era nel castello di Rusko in quel momento era questa, solo amplificata per almeno dieci volte.
Ovviamente Taranis e Killua erano quelli che stavano peggio, ma neanche Kurapika e Masahiro scherzavano. Stavano tutti e quattro seduti in cerchio sul pavimento, con gli occhi sgranati rivolti al pavimento, le mani tremanti e la testa china, e tutti e quattro guardavano al centro del cerchio, mentre tutti gli altri presenti nella stanza fissavano a loro volta i quattro uomini, non avendo la possibilità di fissare direttamente il punto che stavano fissando gli interessati.
E cosa c’era nel cerchio? Be’, ovviamente non c’era una porta che nascondeva la stanza di un moribondo (anche perché in casa non c’era nessun moribondo),  ma  erano sistemati i cellulari di Killua e Taranis, in attesa che squillassero, portando notizie.
Ai due uomini era stato affidato il compito di comunicare con i Maghi che erano partiti. Certo, in teoria sarebbe stato più logico che di quell’aspetto si fossero occupati Nex e Selina, eppure, quando Aithusa aveva stabilito che invece i responsabili sarebbero stati Taranis e Killua, nessuno aveva protestato.
Il motivo era più che ovvio. Taranis e Killua potevano anche non essere Maghi, ma erano le due persone più legate a Concorda e Aithusa. Loro avrebbero percepito eventuali problemi ancora prima di dare al telefono il tempo di squillare.
Per questo quando Taranis balzò in piedi, tremante da testa a piedi per il dolore, e con gli occhi scarlatti, tutti lo imitarono spaventati, consapevoli del fatto che doveva essere accaduto qualcosa di molto grave.
Non era la prima volta che accadeva; un paio di ore prima era stato Killua a sussultare spaventato, ma, quando gli erano state chieste spiegazioni, Killua aveva risposto solo << Va tutto bene. È stata ferita, ma non in maniera grave. È davvero strano, è come se non fosse davvero in pericolo... >>
Ma stavolta era diverso: Taranis aveva un’espressione spaventosamente allucinata, e sembrava stare davvero soffrendo a livello fisico, come se stesse patendo lo stesso dolore fisico che evidentemente stava sopportando Concorda.
<< Padre? >> lo chiamò Kurapika terrorizzato, cercando di scuoterlo dallo stato di trance in cui sembrava essere caduto.
<< L’hanno ferita... >> mormorò Taranis << È molto grave… non riuscirà a vincere… >>
<< Chi? Concorda? >> chiese Kikyo, con l’espressione confusa tipica di chi non aveva mai compreso fino in fondo la potenza di un Legame. Tutti le rivolsero un’occhiata che avrebbe potuto fondere il vetro, e Kikyo fu abbastanza saggia da non aprire più bocca.
<< Dobbiamo fare qualcosa! >> continuava a gridare Taranis << Dobbiamo… >>
Il resto delle parole di Taranis fu coperto da un rumore assordante.
Era uno strano rumore, davvero strano. Ricordava lo schianto che fa un vaso di porcellana quando cade a terra e si rompe, solo che era almeno cento volte più forte, al punto da far tremare le pareti del castello, e da far sbriciolare i vetri delle finestre.
<< Ma cosa diavolo…? >>
<< Gli incantesimi di protezione sono caduti! >> gridò allarmata Selina, per poi precipitarsi fuori.
<< Madre, aspettate! >> gridò Nex, affannandosi dietro alla madre… per poi fermarsi subito, raggelato da un rumore peggiore del precedente.
Il sibilo di una lama, seguito da un rantolo misto ad un gorgoglio.
<< MAMMA! >> urlò Nex, che aveva sentito quel rumore innumerevoli volte, e aveva già capito cosa fosse successo.
Anche gli altri avevano capito e, ignorando ogni regola di buon senso, corsero fuori a vedere. E quando videro, lanciarono un grido di orrore.
Selina Duchannes giaceva supina per terra, con la gola tagliata, con il suo assassino che incombeva su di lei. Anzi, era più appropriato dire decapitata, poiché la lama della katana era penetrata nella gola così in profondità che la testa per metà si era staccata dal collo, e giaceva piegata in una posizione innaturale con gli occhi rovesciati, mentre il terreno si inondava di sangue. Nex corse verso di lei, ma venne centrato in pieno da un potente colpo magico, che lo mandò a sbattere violentemente contro il muro, facendogli perdere i sensi.
Per un infinito istante nessuno si mosse, tutti fissavano il responsabile di quell’efferato omicidio. Era un Rinnegato sulla trentina dai lunghi capelli neri, dai tratti solo vagamente orientali, vestito come un samurai, che stringeva in mano la katana da cui ancora gocciolava il sangue di Selina Duchannes.  
Per un attimo il dolore li paralizzò tutti; poi la rabbia prese il sopravvento.
Masahiro lanciò un ringhio selvaggio da battaglia, e si lanciò contro il Mago, pronto a sferrargli un pugno potenziato. Il Rinnegato, che rispondeva al nome di Nobunaga, riuscì a schivare il colpo, e i due cominciarono a lottare furiosamente.
Era più che evidente che Masahiro gli fosse infinitamente inferiore. Il principe non era mai stato portato per il combattimento, e in più era un Mortale che se la stava vedendo con uno dei peggiori Rinnegati viventi. Non poteva vincere.
Kurapika, dopo aver esitato solo un attimo, si lanciò in aiuto del fratello maggiore. Le catene del più giovane dei fratelli tintinnarono, cercando di imprigionare il nemico, ma il Rinnegato non sembrò avere alcun problema a schivare anche quelle.
Nessuno riuscì più a trattenersi: tutti si lanciarono contro quell’uomo.
A prima vista sarebbe potuto sembrare uno scontro decisamente impari: da tutte le parti piovevano colpi su di lui, tutti gli scagliavano colpi di Nen di ogni genere, pugni, calci, pugnalate…
Eppure non serviva a niente. Non riuscivano a sopraffarlo. Schivava tutti i loro colpi come niente, o in alternativa li intercettava con altri colpi, e in quella confusione a volte i Mortali finivano addirittura con il colpirsi fra di loro per sbaglio.
<< Dobbiamo attaccare tutti insieme! >> gridò Kurapika, e tutti si lanciarono simultaneamente contro Nobunaga. Il Rinnegato però, con il volto contratto in una smorfia annoiata, si limitò a sollevarsi in fretta in volo, e l’attacco andò a vuoto.
<< È inutile. >> dichiarò il samurai << Non avete nessuna possibilità contro di me, lo sapete benissimo. >>
<< Perché non sei con i tuoi compagni? >> urlò Kurapika, ignorando il suo commento << Perché non sei ad Avalon? >>
<< C’ero. Ero ad Avalon, e ho anche ucciso un bel po’ di gente... ma non riuscivo a concentrarmi, né a divertirmi. Non desideravo altro che venire qui, per colpire dove avrebbe fatto più male a quella bastarda mezza Mortale. E per vendicare il mio migliore amico.>> disse Nobunaga << Così ho pregato il mio Danchou di lasciarmi venire qui, per realizzare il mio desiderio, e lui me l’ha magnanimamente concesso. E ora ho finalmente l’occasione per attuare la mia vendetta! >>
Detto questo lanciò una specie di saetta magica contro Kurapika, che però riuscì ad intercettarla con la sua catena della Prigionia, e i due cominciarono una lotta furiosa senza esclusione di colpi uno contro uno.
Masahiro osservava la scena, sconvolto. Sì, Kurapika aveva già sconfitto un membro della Brigata, e sicuramente negli ultimi cinque anni doveva aver fatto progressi enormi nel combattimento… eppure come poteva sperare il maggiore dei principi Kuruta, anche solo per un momento, che il fratello minore riuscisse una seconda volta in un’impresa che la prima volta aveva portato a termine probabilmente solo perché era stato aiutato dalla fortuna?
<< Figliolo… >>
Masahiro si voltò, e vide il padre che si stava reggendo alla sua spalla come se non riuscisse a stare in piedi.  Il volto del re era pallido per il dolore, e all’addome aveva una ferita molto profonda che sanguinava copiosamente.
<< PADRE! >> gridò Masahiro incredulo, mentre sosteneva il padre per non farlo crollare << Ma cosa…? >>
La ferita era grave. Un taglio molto profondo, che però aveva l’aria di non essere mortale. Nobunaga doveva aver cercato tagliarlo a metà, e Taranis doveva essersi tirato indietro appena in tempo.
<< Forza padre, state tranquillo. La ferita non è mortale, ce la farete… Leorio, vieni qui! >> chiamò Masahiro, e il giovane medico corse ad esaminare le condizioni del padre.
<< Non pensare alla mia ferita. Vai ad aiutare tuo fratello! >> replicò Taranis con voce strascicata, mentre Leorio faceva pressione sul taglio.
<< Stai tranquillo Hiro, tuo padre se la caverà, devo solo riuscire a fermare l’emorragia . Ora corri ad aiutare Kurapika! >> gridò Leorio in preda all’ansia. Gli occhi del giovane medico saettavano dalla ferita del re al giovane principe biondo, come se stesse vivendo un terribile dilemma interiore.
Masahiro decise che avrebbe approfondito successivamente la questione, e si lanciò in aiuto del fratello. Kurapika aveva l’aria di essere esausto mentre continuava ad attaccare senza fermarsi… perdeva colpi, non avrebbe resistito a lungo.
Masahiro era arrivato alle spalle del Rinnegato, e stava per colpirlo, approfittando di un momento di distrazione… quando un urlo disperato squarciò l’aria, scuotendo tutti loro fin nelle viscere.
Era stato Taranis a gridare, stringendosi forte il pugno al petto, come se sopra vi ci fosse stato gettato dell’acido. Non era stato un grido insensato o vuoto, ma un’invocazione, una disperata chiamata, come se urlando il suo nome Taranis avesse potuto strapparla alla morte che se l’era appena portata via, lasciandolo solo al mondo, una sola metà di ciò che sarebbe dovuta essere una cosa sola.
Concorda. Non c’era più.
Nobunaga scoppiò a ridere, mentre il simbolo del Legame scompariva dalla mano di Taranis, sfrigolando e fumando.
Il Legame era stato spezzato.
<< Allora, vecchio buono a nulla, che ti succede? Hai perso qualcosa, per caso? >> chiese divertito il Rinnegato, che evidentemente doveva aver capito.
La scena si svolse a rallentatore, come in un sogno.
Taranis aveva già perso parecchio sangue, ed era molto debole; ma, sentendo le parole beffarde del Rinnegato, che lo prendeva in giro per il suo dolore per la morte della moglie, l’uomo lanciò un ringhio di rabbia che sembrava essere uscito direttamente dall’inferno, e balzò in piedi sfuggendo alla presa di Leorio con l’energia di un ragazzino di quattordici anni, e il colore dei suoi occhi spaventò persino i due figli: erano di un rosso impossibile, dalle mille sfaccettature, che andava dall’arancio infuocato al cremisi insanguinato, ed erano folli di rabbia.
<< ASSASSINI! BASTARDI! >> gridava Taranis come impazzito, menando fendenti alla cieca con le sue spade di legno mentre Nobunaga continuava a ridere con cattiveria.
<< PAPÀ, FERMO! >> gridò Kurapika spaventato. Il re stava chiaramente colpendo senza alcuna logica, fendendo semplicemente qualunque cosa si trovasse davanti. Aveva evidentemente perso la ragione, non era in grado di affrontare un combattimento.
<< Oooh, quanta rabbia… >> rise canzonatorio Nobunaga.
<< STA’ ZITTO! >> urlò Taranis con voce incrinata, e fu come se avesse recuperato improvvisamente la lucidità. Sferrò un colpo preciso, lucido e molto potente, e Nobunaga, colto alla sprovvista, indietreggiò bruscamente, ma non fu abbastanza veloce da tirare indietro anche il braccio sinistro, che venne mozzato di netto dalla spada del re.
A quel punto fu il turno di Nobunaga di urlare in un misto di dolore e furia; fu urlo lungo e intenso, che ricordava molto quello di animale colpito a morte, e che salì di almeno tre ottave quando Kurapika completò l’opera piantandogli entrambe le sue spade nel petto.
Il Rinnegato cadde in ginocchio, con le mani strette sull’elsa della spada che gli aveva trapassato il cuore, e guardò negli occhi Kurapika, mentre agli angoli della bocca gli scorrevano due rivoli di sangue << No-on cre-dere di aver vi-into, bastardo. Oggi siete stati voi a perdere più amici… >>
Kurapia lo fissò senza capire, e Nobunaga fece un cenno impercettibile con il mento << Va’ a dire addio a tuo padre, bastardo-o… >>
L’ultima parola gli uscì in un rantolo, e poi i suoi occhi si rovesciarono, e morì crollando con la faccia sulla terra dei Kuruta.
Eppure nessuno ci fece caso: tutti stavano guardando Masahiro con gli occhi spalancati e pieni di lacrime, mentre il principe dei Kuruta teneva tra le braccia il padre, che stava morendo dissanguato. La ferita non era stata tamponata, e ora lui era così pallido che la sua pelle era quasi traslucida.
Non si poteva fare niente per salvarlo.
Kurapika gli si avvicinò barcollando lentamente, e cadde in ginocchio al suo fianco appena in tempo per sentire le sue ultime parole.
<< Moglie mia, mio amore… aspettami, sto arrivando… >>
<< Papà? >> chiamò Kurapika con voce spezzata.
Ma non c’era più nulla da fare. Era già morto.
***
Aithusa sospirò, mentre ripensava a ciò che era successo.
Lei era arrivata praticamente dieci minuti dopo, in preda al panico e sperando di poter fare qualcosa per salvare i suoi familiari… ma era arrivata tardi, troppo tardi. Il cadavere della zia era già freddo, il padre era spirato da poco, e Nex era accasciato contro un muro, sanguinante.
Aithusa non aveva trovato la forza di andare ad aiutarlo, si era limitata a gridare con il tutto il fiato che aveva sui cadaveri del padre e della zia, fino a quando non era svenuta per lo shock. Prima di chiudere gli occhi però era riuscita a vedere Desirée caricarsi Nex sulle spalle, e portarlo in casa per medicarlo.
Si era svegliata più di dodici ore dopo, quando ormai era notte inoltrata, e Masahiro e Kurapika erano seduti accanto a lei, con il viso coperto di lacrime.
I tre fratelli si erano abbracciati forte, cercando di trarre forzagli uni dagli altri. Ma sembrava essere inutile, perché nessuno dei tre sembrava averne più. Erano stati sconfitti, fisicamente ed emotivamente.
E ora erano lì insieme, a vegliare sui loro morti, incapaci di fare altro. Non riuscivano a pensare al destino che li aspettava, e nemmeno volevano farlo.
Stavano lì e basta, a crogiolarsi nel loro dolore, quasi aspettando che la Morte, che già tante vite aveva preso quel giorno, decidesse di completare l’opera portandosi via anche loro.
Avevano perso i genitori per la seconda volta, e ora non c’era più vita in loro. E forse neanche un miracolo sarebbe bastato a farli riprendere, questa volta.




Angolo autrice:
Ciao ragazziiii! Vi sono mancata? <3
Lo sooooo, sono imperdonabile. Fate di me carne da macello, me lo merito! :'(
Lo so, sono quasi due mesi che non pubblico. Ma non preoccupatevi, c'è una spiegazione.
Dovete sapere che, circa una settimana dopo la pubblicazione dell'ultimo capitolo, mi sono chiusa le dita nella portiera della macchina. Bilancio della tragedia: due dita rotte, sei settimane di convalescenza con il gesso.
Capitano tutte a me, accidenti! XD
Ora, dovete sapere che io non scrivo a penna la bozza del capitolo, la batto direttamente su un documento di Word. Di conseguenza non ho più potuto scrivere, visto che per usare la tastiera in maniera decente servono entrambe le mani.
Lo so, avrei dovuto avvisare. Solo alcuni di voi lo sapevano, perchè li avevo avvisati per non farli preoccupare più del necessario, e io non volevo che la cosa fosse troppo di dominio pubblico.
In ogni caso ormai la mia mano è guarita, e ho potuto finalmente pubblicare il nuovo capitolo, che mi ha fatto sudare quattordici camicie. Spero vi sia piaciuto, alla prossima! ( e sarò puntuale stavolta! )
Un bacio grande! <3
Tessie
   
 
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