Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: RLandH    19/10/2016    2 recensioni
Le città dimenticate era il modo carino con cui si era preso a chiamare i distretti del Muro Maria, dopo la caduta di Shingashina e la perdita dei territori compresi tra la prima e la seconda cinta muraria. Il Muro Rose aveva aperto le sue porte a quasi tutti gli abitanti che avevano cercato rifugio – sbarazzandosene poi nell'immediato dopo – ma la notizia della caduta non era arrivata alle altre città fortifica perché potessero salvarsi.
Erano stati letteralmente lasciati a morire, dimenticati.
Nascosti sotto la povere di mostri senz'anima e pile di cadaveri.
Finn ci aveva pensato, lo doveva ammettere, a tutte quelle centinaia di persone che erano rimaste lì a marcire e morire d'inedia, fame e che altro.

Si, diciamo che per tutta la lettura (e visione) di SNK mi sono chiesta: ma agli tre distretti, del Muro Maria, cosa è successo?
E da lì e venuta fuori davvero tanta ... tristezza.
Un bacio a chiunque volesse leggere.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Erwin Smith, Levi Ackerman, Nanaba, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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M O R I T U R I   T E   S A L U T A N T

 

 

A N T E   M E R I D I E M

 

 

Il viso di Lilla era, nella notte, l'unica cosa che sembrava farlo riposare in pace, assieme al suo ritmico respirare ed i mugugni che si lasciava sfuggire nel cuore del sonno, perché neanche abbandonata nel sogno completo poteva dirsi capace di tacere.
Garlef, forse, la amava per tutte quelle piccole cose.
Forse anche perché lei era una piccola cosa, che poteva avviluppare completamente tra le braccia, dandosi ancora l'illusione di poter proteggere qualcosa.
Lo sapeva ormai che il sonno era prossimo a chiamarlo, la stanchezza si era arrampicata su ogni minuscolo lembo del suo corpo ed era penetrata nelle ossa. Perfino nel suo giorno libero ciò che più lo aveva premuto era stato quel momento, quando finalmente avrebbe potuto accoccolarsi a sua moglie e chiudere gli incubi fuori.

Ma la porta era stata battuta con così tanto vilipendio d'averlo fatto scattare all'allerta immediatamente, da aver dimenticato di essere, per un momento, non nella sua bella casa a Nedlay ma fuori.

“Ma Garl, cosa …?” la voce di Lilla era stata l'unica cosa che lo aveva riportato alla ragione, perché lei era una brava, colta e diligente fanciulla di buona famiglia che neanche nelle sue più sfrenate fantasie pensava di metter un piede fuori. “Non lo so, ma chiunque sia pregherà di non esser venuto” aveva risposto placido lui, dandole un bacio sulla fronte ed alzandosi dal letto, senza neanche curarsi che si apprestava ad aprire la porta di casa con indosso gli abiti da camera. Lilla s'era rimessa nella posizione supina nascondendo anche il viso sotto le coperte, con la stessa flemma d'una bimba.
Garlef non avrebbe avuto alcuna gentilezza per chi era venuto ad importunarlo, nella casa dove mai riusciva a stare, durante la notte del suo giorno libero.
Passando per il modesto ingresso dello stabile, aveva lanciato uno sguardo un po' spento e colpevole al quadro, sistemato su un mobilio – non lontano dalla porta –, raffigurante gli uomini che avevano fatto parte, una volta, della sua squadra. Ignorando il frenetico bussare, di chi proprio quella sera ci teneva a morire, Garlef aveva illuminato i volti nel dipinto.
Di compagni ne aveva persi e molti erano stati anche uomini sotto di lui; gli era stato detto che i primi compagni morti rimanevano immagini persistenti dietro le palpebre nel cuore della notte, per non parlare dei primi sottoposti.
Uomini che ti sono stati affidati e che tu hai perso” ricordava che quella frase gli era arrivata assieme alla nomina di caposquadra.

Non mentivano, questo si.
Ma la verità era che gli uomini che tormentavano più Garlef, non erano nei primi, ne gli ultimi ed erano raffigurati lì.
Sei persone, lui compreso, erano stati dipinti in quel quadro. Schiene ritte, spalle tese ed un pessimo senso estetico del pittore che aveva riportato il nervosismo e l'indecisione sui visi.
L'ultima uscita dalla porta di Briemer.

 

Quando aveva mosso l'imposta aveva trovato due soldati ad aspettarlo, un ragazzino con ancora il puzzo di latte ad infestarlo, butterato in viso e gli occhi incapaci di scollarsi dalla punta dei suoi stivali, l'altro sembrava presentarsi con un'aria un po' più decente, la calotta rasata e nessuna espressione sul viso. Rose rosse cucite sulla patta della giacca – e neanche la decenza del saluto militare.
“Cosa vogliono due roselline da me?” aveva chiesto senza molto riguardo, incrociando le braccia sotto il petto, “Capitano Garlef Jürgen?” aveva chiesto con un certo tremore il ragazzino, “È scritto sulla porta” aveva fatto notare lui con candido disinteresse, guardando direttamente l'altro, “Il capitano Rottermeier vuole vederla” aveva detto schietto l'altro.

Una delle cose – perché erano davvero tante – che Garlef odiava del Capitano Generale della Guarnigione era la sua assoluta convinzione che tutti dovessero rispondere a lei, Legione compresa. “Dovresti dire al capitano Rottermaier che non sono un suo sottoposto” aveva sentenziato Garlef con uno sguardo piuttosto duro, mentre continuava a tenere le braccia incrociate, “Voi due, inoltre, dovreste farmi un saluto formale” invece, aveva fatto notare con un tono seccato.
I due uomini si erano guardati tra di loro con un espressione vacua, anche un po' esitante, prima di girarsi con un certo nervosismo e battersi il pugno del saluto sopra il petto, nella speranza forse di ammorbidirlo un po' e trascinarlo nel cuore della notte da quella spina nel fianco della Rottermeier. Solo il Comandante Pixies doveva sapere quando alcool dovesse aver avuto in corpo quando aveva permesso a quel satanasso di insediarsi a nord.

“Che succede, Garl?” Lilla si era affacciata da corridoio, i capelli scuri in disordine e gli occhi verdi leggermente lucidi e non del tutto visibili dalle ciglia nere, di una palpebra ancora cadente. “Tua madre” aveva risposto e, no, non era una presa in giro.

 

 

“Dimmi un po' puttana da chi gli avrebbe prese quei capelli?”

“Sei disgustosa”
“La mamma di Charlotte è una puttana”
“Lottie è una puttana”
“Sei una disgraziata, avrei dovuto soffocarti nella culla”
“Io ...”
“Tanto quelle come te sono brave solo a starsene stese sulle schiene”
“Perchè vuoi tagliarli? Sono così belli”
“Va bene; Charlotte, come?”
I bastardi non hanno cognome.

 

 

Charlotte si era svegliata madida di sudore e con un groppo nella gola, era davvero tanto tempo che non si addormentava facendo incubi di quel genere. Quasi preferiva quando sognava di essere dilaniata dalle fauci di un gigante.
Si sentiva sempre patetica ed insulsa, come se tutta la strada che aveva compiuto non fosse mai avvenuta, come se non fosse mai uscita dai confini del paese di Madeb.

Aveva tirato via le lenzuola lanciando uno sguardo fatuo al suo corpo, sentendo la vestaglia appiccicata alla pelle.
“Che schifo di giornata” era stato il suo commento a mezza bocca, non del tutto sicura di come avrebbe potuto risolversi nel pieno del giorno. Era scesa dal letto con movimenti lenti ed affaticati, il corpo ancora intorpidito in parte, non del tutto cosciente di aver abbandonato il mondo onirico.
Si era apprestata a tirar su lenzuola e coperte per ridare un aspetto rassettato al letto, non riuscendoci minimamente, grumi fastidiosi alla vista e pieghe si erano delineate sulla stoffa e lei aveva rinunciato ben presto all'opera in favore di altro. Aveva spalancato le imposte della finestra per lasciare che il sole e la brezza primaverile entrassero in quel luogo sempre troppo odoroso di chiuso.
Davanti i suoi occhi si era aperto il cielo, ancora piuttosto scuro, ma già all'orizzonte cominciava a formarsi un leggero filo rosa, i campi dei fattori non erano ben distinguibili, così come i villaggi, e l'unica cosa che sembrava spiccare erano le montagne. Aveva fatto decisamente bene a far cambio di stanza con Erza, era decisamente più rilassante svegliarsi con una vista che desse sull'interno rispetto un muro alto cinquanta metri, lì a ricordare l'eterna e dilaniante cattività in cui i giganti avevano costretto gli uomini.
Non che avesse senso in quel momento bearsene, presto avrebbero dovuto abbandonare quasi completamente quella struttura, per trasferirsi nel quartiere di Nedlay – i traslochi, a rilento, in verità erano già cominciati– Charlotte non poteva neanche dirsi del tutto contraria. La verità era che aveva compreso perfettamente il discorso di Erwin Smith, sulle risorse, i soldi e gli sprechi, e da un punto meramente pratico ne condivideva l'ottica, ma la verità era che le era stato chiesto di lasciare casa sua e questo la atterriva davvero.

Aveva raccattato qualche vestito dal suo baule, ignorando la scomparsa di alcuni suoi capi d'abbigliamento – qualche camicia in vero – sapendo anche in chi probabilmente avrebbe dovuto cercarne la colpa. Una volta a Nedlay avrebbero dovuto non solo dividere il quartiere con i legionari della città ma anche con la guarnigione ed il suo Capitano le aveva comunicato che nonostante fosse graduata probabilmente le sarebbe toccata una stanza che non fosse singola. Allora valeva arrendersi a Shoshanna Northveit e la sua assoluta incapacità di comprendere l'elementarità d'un concetto semplice come lo spazio personale; una delle poche altre donne ad essere di stanza al confino nord.
Charlotte si era rincuorata almeno che in quella giornata non avrebbe dovuto litigare con le cinghie dell'uniforme. Si era anche ritrovata a sperare di trovare qualche secchiata d'acqua avanzata dalla notte prima e di non dover andare fino al cortile interno per prenderla dal pozzo. Non lo sapeva per quale motivo ma sembrava che quella mattina i suoi muscoli non volessero accettare l'ora in cui ella aveva abbandonato il letto, dandole un senso di intorpidimento e formicolio per le intere articolazioni.
Aveva già la mano sulla maniglia della porta quando aveva sentito il chiacchiericcio, la prima voce era quella baritonale del Gatto, con quel suo sorriso sempre furbesco poteva proprio figurarselo, l'altro non lo riconosceva, era ancora un ragazzino questo si con la voce ancora troppo acuta, che cominciava però a mutarsi in quella di un uomo.
“Dai, prima che mi becchino e mi tocchi la gogna” aveva sentito lamentarsi il Gatto e questo l'aveva trattenuta da girare il pomello della porta, “Sai non credo che ti impiccheranno per aver fatto entrare qualcuno” aveva replicato l'altro ragazzo, “No, ma qui c'è decisamente qualcuno che non vede l'ora di tirarmi frutta marcia” aveva detto Humbert, il gatto, “Si, si” aveva replicato l'altro, “Già prendo una miseria non voglio farmi ridurre ancora di più il salario” aveva ripreso il legionario che lei aveva avuto modo di conoscere abbastanza bene.
Per quasi tutta la Ricognitiva esisteva la tacita regola di non far uscire le reclute, ci voleva almeno un anno per essere preparati a ciò che vi era fuori, Breimer teneva i suoi soldati giovani almeno tre anni.
Fuori al Nord era molto più facile ti uccidesse l'ambiente che un gigante.
Ma il Gatto … il Gatto aveva avuto un solo anno di fermo.
Era bravo e fin troppo consapevole di questo.

“Perchè quando prendi?” aveva chiesto con una certa curiosità l'altro ragazzo, si certamente era un maschio. “Otto monete” aveva risposto spiccio il Gatto.
“Oh be al sud ne prendono dodici” aveva commentato quello, “Oh Vergini Mura, non è giusto” era stata la lagna di Humbert. “Comunque è assurdo come le puttane sappiano sempre tutto” aveva aggiunto il Gatto, “Veramente...” aveva cominciato l'altro, ma lei aveva battuto il piede sulle assi del pavimento per annunciare ai due che era sveglia, che si stava muovendo ed aveva potuto semplicemente udire uno scalpitare fuori la porta accompagnata da bisbigli sommessi. “Giovani” aveva detto, prima di aprire l'uscio e vedere con la coda nell'occhio qualcuno scivolare giù per le scale, che non possedeva la chioma chiara di Humbert.
“Speriamo non abbiano combinato qualche danno” era stato il suo spento commento, mentre si approssimava a raggiungere la stanza da bagno.
In realtà avrebbe dovuto ritrovare quel soldato, avrebbe dovuto scrivere un rapporto disciplinare e si valutare se il suo crimine – se così poteva essere chiamato – fosse degno di un provvedimento disciplinare, perché così doveva fare un attento superiore, ma giacché Erik, con il suo nuovo titolo fresco di pomposità, era a Nedlay e Briemer era sempre stata nota per fare quel che voleva, Charlotte aveva deciso di chiudere gli occhi a quella trasgressione.
E sperare non avessero fatto alcun danno.


Il quartiere della Legione di Breimer era un vecchio casolare in pietra dura, che era stato esteso in qualcosa di più grande tramite costruzione di legno e pietra meno resistente – dovendo perciò impiegare continua manutenzione – nei pressi del villaggio di Hanneke non lontano dal distretto di Breimer.
Ed era tutto dannatamente fatiscente, ma in base a ciò che aveva capito, e visto, sembrava essere una sorta di assoluto paradigma che non vi fossero mai abbastanza finanze per la ricognitiva. E quello forse era il motivo per cui il nuovo comandante aveva ben pensato di ridurre gli stanziamenti solo in due. Ignorando apertamente la questione, però, dove gli uomini si sarebbero sistemati e come.
Quando aveva allungato quella questione ad Erik, il Facente veci del Comandate e sovrintendente del Nord, aveva replicato che aveva tutto sotto controllo, con un sorriso largo, gli incisivi ingranditi ben in vista e gli occhi chiari fin troppo ottimisti. Se non fosse stato il suo mentore, l'uomo che l'aveva aiutata ad erigersi dalla polvere, certe volte Charlotte lo avrebbe preso a testate.
Però, e forse questo era il motivo per cui Charlotte sentiva quel trasferimento davvero fastidioso, la legione di Briemer aveva, in un certo senso, imparato a provvedere a se stessa, avendo animali da pascolo, soma, una produzione di uova personale ed una di latte piuttosto indigente da aver cominciato a rivederlo, inoltre erano riusciti a strappare anche alcune zolle di territorio per la coltivazione di patate ed altri tuberi resistenti al freddo.
Inoltre gli era arrivata voce che anche Trost avesse in parte cominciato ad applicarsi in una maniera incredibilmente simile alla loro.
Poteva solo immaginare lei di chi fosse stata l'idea; era gente bizzarra quella di cui il capitano Erwin Smith si era circondato, ma doveva ammettere che quell'uomo l'aveva colpita: Levi.

Aveva osservato con estrema costernazione che non c'era rimasto neanche un briciolo d'acqua da usare per riempire la tinozza e questo l'aveva sconfortata non poco, aveva valutato se privarsi delle vesti notturne ed indossare almeno una parte degli abiti da giorno per andare a prendere qualche secchio d'acqua al pozzo, oppure non curarsene ed andarsene con le gambe nude. Il nord aveva la sfortuna d'essere particolarmente bigotto e non amante dei cambiamenti; la misoginia radicata nel carattere, assieme al freddo ed il temperamento orgoglioso, non che a lei fosse mai importato qualcosa – e neanche a Shoshanna, Frejya e la compianta Milah – , si era sempre ritrovata addosso una nomea per cui non aveva fatto nulla per avere ed alla fine se ne era pure fatta vanto.
 

Aveva lasciato i vestiti posati su una sedia in legno ed era uscita dal bagno, prendendo a camminare per il corridoio che sfilava tra i dormitori e l'infermeria, ed era scesa per le due rampe di scale per sboccare nell'enorme sala della mensa, completamente svuotata, c'era l'enorme tavolata, con le sedie capovolte su di essa e qualche soldato che faceva il resoconto dei viveri.
“Caporale Schwarz” aveva esclamato immediatamente uno di questi, facendo il saluto d'ordinanza, pugno rovesciato sul cuore e sguardo fiero. Aveva capelli cortissimi di un colore che le ricordava il grano giallo, quello che si coltivava per lo più a sud. Aveva delle spalle ampie ed era piuttosto impostato, sebbene non fosse poi d'altezza molto slanciato, aveva un espressione dura. Vestiva una camicia scura ed i pantaloni bianchi d'ordinanza, gli stivali e le cinghie, sebbene non esibisse ne l'attrezzatura ne le giacca. “Riposo, Sal” aveva risposto pacata lei, non preoccupandosi neanche dello sforzo che il giovane stava impiegando per non guardarle il corpo in alcuna maniera, aveva attraversato la stanza in silenzio assoluto per prendere la porta per entrare nel cortile sul retro, dove era il pozzo.
A Briemer si conoscevano tutti, il che sarebbe potuto risultare vagamente strano agli altri corpi militari – aveva sentito che a Trost quasi raggiungevano l'ottantina di persone – ma lì, il piccolo casolare di Hanneke aveva ospitato nel corso degli anni in cui Charlotte era stata un soldato un massimo di una quartina di persone, per la precisione in di quei tempi – prima dell'ultima uscita, in vero – ventisette soldati, di cui solo quattro donne e otto veterani in pensione, rimasti a prendersi cura del bestiame.

La traversata, ed il ritorno, fino al grande lago salato che gli aveva tenuti fermi un mese fuori, aveva privato dell'avamposto di due persone e ne aveva toccate almeno tre.
Al momento il conteggio degli uomini era ventiquattro di Briemere, gli otto pensionati e i tre di Nedlay.
Il capitano Erik, colui a cui i soldati di Briemer facevano capo, anzi del Nord e presto anche dell'ovest, era partito al galoppo assieme ai soldati di Nedlay per riportare i rapporti, che ad onor del vero avevano dovuto scrivere lei ed Ezra come i bravi galoppini che erano, probabilmente anche farsi anche appuntare qualche medaglia sull'uniforme d'ordinanza, visto che era ufficialmente sovraintendete del nord.
E probabilmente ne avrebbe approfittato per farsi una cavalcata fino a Trost per andare a festeggiare con il nuovissimo comandate della Legione, o cercare di circuirlo – apprezzabile di Erik era la sua assidua capacità di non demorde sui suoi piani, come convincere Erwin a ritrattare sulle sue posizione o trovare a lei un marito.
Ammirabile che nonostante il continuo fallire davvero non rinunciasse mai.

La brezza del mattino era fastidiosa, pungente e presa così in pieno le aveva fatto venire la pelle d'oca, forse quello era una delle peggiori parti del profondo Nord, il freddo che sembrava imprimersi nelle ossa anche nella primavera.
Ezra Winkler era accomodato per terra, anche lui quel giorno non aveva indossato l'uniforme militare, preferendone i pantaloni scuri ed una camicia sottile, non sembrava per nulla curato della brezza fredda della mattina, una sigaretta tra le labbra lucide e gli occhi verdi un po' persi.
L'aspetto sempre di solito ordinato e preciso, sembrava risentire un po' della giornata libera, i capelli scuri appena un po' scossi e le guance ombrate da fili sottili di barba scura.
“Da che letto sei scesa, questa volta?” aveva domandato con una punta di cattiveria Ezra, alcuni segni di zampe di gallina cominciava a delinearsi ai lati degli occhi verdi. Charlotte aveva emesso un ringhio in sua risposta, apprestandosi a sciogliere la corda dalla trave di legno che sosteneva il secchio, per permette a quest'ultimo di calare all'interno del pozzo.
L'uomo si era sollevato in piedi, passandosi una mano tra i capelli scuri, la sigaretta che si consumava con estrema lentezza tra le labbra, senza che lui facesse qualcosa di attivo per consumarla.
Ezra era più grande di lei, di altezza, di età e di grado, un uomo fin troppo fastidioso per comprendere perché tanto Erik lo avesse a cuore. “Ti serve una mano, Lottie?” aveva chiesto, imprigionando la sigaretta tra le dita, per non farla cadere mentre parlava, “No, tranquillo” aveva risposto serafica, non turbata dalla finta cortesia che lo animava.
Lei ed il Sergente Maggiore Winkler non si erano mai troppo presi bene caratterialmente, anche se doveva ammettere che quando erano al freddo, nelle terre oltre le mura, sapeva con certezza di potersi fidare di lui.
Era strano, no, fidarsi di qualcuno che non le piaceva.
“La Legione ha una certa reputazione e tu, con questo tuo ...” aveva cominciato quello, mentre Charlotte tirava la corda, che grazie alla carrucolava aveva preso a tirare su un secchio di un certo peso, ormai straripante d'acqua, “Si, la mino, perché sono una sgualdrina, no?” aveva replicato lei, con un sorriso sofista sulle labbra.
Se l'era sentito un po' per tutta la vita che era una poco di buono, perché non potesse permettersi di esserlo. “E sicuramente sto svendendo la mia sessualità andando in giro in sottoveste nel mio giorno libero” gli aveva fatto il verso a lui.
Quanto cuore sembrava avere sempre Winkler al fatto che dovesse tenere le cosce chiuse.

Aveva raccolto il secchio, cercando di non farlo rovesciare né di far cadere un numero eccessivo di acqua per terra, per fare un bagno avrebbe dovuto prenderne di più, ma per una spugnatura veloce, sarebbe potuto bastare, “Sono serio, Lottie” aveva detto Ezra con un sorriso pacato sul viso, mentre si applicava per fermare il manico di ferro, che riteneva fin troppo ballerino nelle mani della ragazza. Perchè infondo lei non era un caporale, che alla sua prima uscita oltre le mura era riuscita ad abbattere un gigante da sola, no, era una fanciulletta dalla presa d'argilla secondo la mente sempre savia di Ezra.
Charlotte aveva roteato gli occhi, cercando di ignorare quel fastidio persistente, “Anche io” aveva replicato con un sorriso spiccio, tirando il secchio verso di lei, che aveva tremolato facendo cadere una certa quantità d'acqua gelida sulla sua gamba sinistra.
Ezra aveva perso il sorriso calmo, per fare una strana piega con le labbra, “Potresti almeno evitare di … uhm … giacere con il dottore?” aveva chiesto, mentre Charlotte ignorava deliberatamente le sue parole, dandoli le spalle.
“Lo sai, no, Winkler …” aveva mormorato lei, mentre si allontanava, “Lottie” aveva replicato lui, per ammonirla, ma lei lo aveva ignorato, di norma era una persona molto disciplinata e cercava di mostrarsi sempre mansueta davanti a graduati più alti di lei, ma Ezra rendeva le cose sempre difficile.
“Mi faccio inforcare da chiunque non sia te” aveva replicato, dandogli definitivamente le spalle.

 

Aveva rifatto la strada inversa, percorso le due rampe di scale, aveva incrociato il Gatto bighellonare per le scale, con quel suo sorriso certosino, “Caporale” l'aveva salutata quello, facendole il saluto per riprendere la sua discesa.
E lei lo aveva fermato per riferirgli fosse compito suo – e di tutta la squadra di cui era parte - occuparsi delle stalle, cavalli e mucche. “Ma non è il suo giorno libero?” l'aveva sentito lamentarsi, mentre si chiudeva la porta del bagno alle spalle, notando che i suoi abiti erano finiti arricciati da qualche parte e qualcuno era entrato a rovistare in cerca di qualcosa.
“Si sono svegliati” era stato il suo spento commento, mentre si applicava per togliersi la sottana, recuperare una spugna che non fosse troppo sgretolata ed un panno pulito, anche solo provare a cercare del sapone sembrava utopia.
Charlotte si era potuta concedere per se stessa davvero poco tempo, prima che effettivamente l'intera base si fosse risvegliata e lei aveva intenzione di entrare in città il prima possibile.
Aveva indossato gli abiti civili, una lunga tunica bianca, su cui sopra aveva sistemato un altro vestito, di una stoffa leggera e grigia, che non aveva le maniche. Due lacci come cinto.
Non aveva uno specchio in cui riflettersi ed aveva ignorato totalmente la cosa, senza perdere neanche un minuto per pensare come dovesse apparire e si era limitata a ritrovare la sua camera, adorava incredibilmente essere salita di grado al punto da avere una camera, propria per infilare gli stivali d'ordinanza.
Incredibilmente nessun altro calzare sembrava starle comodo.
Non era mai stata una donna da profumi, stoffe pregiate e monili, l'unica volta che aveva indossato qualcosa che fosse degno d'esser considerato degno erano stati quasi interamente prestati. Lo ammetteva s'era sentita strana, anche diversa, con abiti lisci, brillanti e forse fin troppo pomposi, che l'avevano fatta sentire per tutta la sera come un pesce fuori d'acqua.

Aveva imboccato il corridoio per raggiungere l'infermeria, quasi del tutto disabitata – e considerabile un miracolo visto il ritorno da una missione a lunga distanza come quella compiuta qualche settimana prima – incrociando per primo gli occhi celesti del dottore. “Caporale Schwarz” l'aveva salutata lui, con un sorriso gentile, tornando a dedicarsi al suo lavoro con minuzia, senza degnarla poi di un particolare interesse.
Aveva ricordato a Lottie il loro primo incontro, nella sfavillante Capitale, durante l'annuale festa a casa del comandante Dot Pixis e la premura che Erik aveva voluto che avesse per l'occasione, più che per sfoggiare una bella dama come compagnia intenzionato come suo solito, sarebbe stato meglio dire: incaponito, a trovarle un marito.
Erik, il suo capitano, il suo mentore, sembrava nutrirsi dell'assoluta certezza che il giorno che si fosse decisa a maritarsi avrebbe dismesso le Ali e la mantella senza batter ciglio.
Quella sera poi si era proprio impegnato per fargli conoscere tutti i buoni partiti che le alte cariche avevano da offrire e come sempre Lottie aveva scelto il meno adatto ai criteri di Erik.
Si era lasciata sedurre come una ragazzina dalla bellezza sfacciata del Capitano Friedhelm Müller della Gendarmeria di Stohess. In assoluto l'uomo più bello con cui avesse mai avuto l'occasione di parlare, e non solo.
Il dottore comunque l'aveva conosciuto quella sera, era stato proprio Friedhelm a presentarlo, frettolosamente ed in maniera anche piuttosto improvvisa, mentre cercavano loro due di abbandonare la sala da ballo in cerca di una camera, attenti a sfuggire agli occhi attenti del capitano Schimdt, si erano imbattuti nell'incantevole sorella di Friedhelm e nel suo accompagnatore.
Charlotte doveva ammettere di aver prestato attenzione al giovane, quanto lui ne aveva prestata a lei: alcuna.

“Buongiorno dottor Meier. Come stanno i nostri soldati?” aveva chiesto con un tono gentile, erano solo tre i letti occupati, “Ora che ti vedo sto molto meglio, Lottie” si era sentita dire, aveva voltato appena lo sguardo trovando Friedrick Engle cercare posato alla finestra, aveva un braccio completamente fasciato, ma lei sapeva bene fosse a causa di un brutto taglio e nessuna rottura.
Charlotte si stava ancora chiedendo come diavolo avesse fatto quel pessimo soldato – di Nedlay, chiaramente – a ferirsi con le proprie stesse lame, un momento lo aveva visto passare da un albero all'altro e poi per terra con il sangue che non smetteva di uscire.
Ed il dottor Meier con i nervi saldissimi prendersi cura del suo braccio senza minimamente farsi intimorire dal quindici metri che era stato attirato dal sangue, dalla caduta, da loro concitati.
“Caporale Schwarz, per te” aveva replicato lei con una certa freddezza, mentre poteva vedere la labbra del ragazzo perdere il sorriso per assumere un smorfia mortificata. Non era un brutto ragazzo Engle, era alto, con la spalla larghe ed i pettorali ampi, solo che aveva i capelli neri e Lottie non poteva soffrirli.
Il dottor Meier aveva ridacchiato senza vergogna, mentre l'amico gli rivolgeva un'occhiataccia offesa, “Voglio vedere come riderai tu quando Nina ...” aveva cominciato quello, “No, basta!” la risposta era arrivata da uno dei letti occupati, un uomo dal viso arrossato ed una matassa di capelli cenere era emerso da sotto un lenzuolo, “Se parlate ancora di questa Nina giuro che vi defenestro” aveva piagnucolato, strofinandosi poi una manica sugli occhi.
Il dottore aveva scosso il capo, i riccioli scuri erano scivolati sulla fronte chiara, “Come vede: la febbre di Adin è scesa” aveva commentato, ammiccando proprio a quell'ultimo.
L'idiota che aveva pensato bene di farsi il bagno nel grande lago salato, nonostante le temperature, quando lo avevano raggiunto, non si fossero ancora alzate del tutto.
L'unico motivo per cui Erik – e soprattutto Ezra, la voce del buon comportamento – glielo avevano permesso era dovuto al fatto che avevano raggiunto probabilmente il posto più a nord che fosse possibile, di giganti se ne vedevano fin lì uno o due e quasi tutti di una certa lentezza o stazza, praticamente impossibile farsi cogliere di sorpresa.

Secondo Erik esisteva un modo per andare più a nord, ma non erano mai riusciti a trovare l'ansa per circoscrivere il lago, era una sterminata distesa di blu che non sembrava aver fine alcuna, ne si vedeva la costa opposta, anche sforzandosi, nelle giornate di cielo più chiaro, ne seguendone il percorso si trovava l'argine.
Una distesa che mangiava ghiaia bianca, con onde alte nelle giornate ventose e sale.
Ed oltre Nedlay del lago salato non si era mai fatta parola, o meglio della legione di quel luogo, ma era stato chiaro a tutti che quel luogo nascondesse più insidie effettive di quante sembrassero, non solo la leggerezza dell'acqua, la presenza di strani pesci che non avevano mai visto, ma anche altri animali. Parevano grossi insetti che vivevano nelle acque o saltuariamente sulla nervatura, camminavano su un lato, avevano una polpa estremamente saporita, ma una corazza portentosa di sfumature dal tenue arancio al rosso bruno, non si erano mai impegnati a trovarli un nome. La verità era che se la Legione meridionale si occupava di indagare la strana natura dei giganti; quella di oriente di raccogliere il sale dalla miniera –; di quella di occidente di fatti nessuno aveva capito lo scopo – quella – ; quella settentrionale sembrava gravitare intorno a quella massa d'acqua.
I giganti sembravano incapaci di attraversarla mentre Erik si era incaponito di poterlo fare, non l'aveva mai detto a Lottie chiaramente, ne lei lo aveva mai chiesto, ma sapeva che il suo capitano osava pensare cose assai più ardite di quelle che diceva.
Però di fatti, nonostante le imbarcazioni preparate alla buona non erano mai riusciti ad abbandonare in toto la costa, ricacciati indietro dai venti e dalle onde avverse, quello forse era stato il motivo per cui si era dovuto ricorrere a qualcosa di diverso.

 

“Riguardo a Wolfang invece dovrebbe continuare a prendere rimedi di melissa” l'aveva distratta invece il dottor Meier, ammiccando ad uno degli altri uomini che occupavano il letto, pallido in viso e dormiente, non sembrava mal messo, ma Lottie preferiva affidarsi al parere del dottore.
Non che lei pensasse che un indigestione di funghi potesse davvero recare danni ad un uomo del Nord. “E Fischer?” aveva chiesto invece lei, avvicinandosi all'ultimo letto, dove a tutti gli effetti il dottore era operato.
“Se non si muove ...” aveva risposto il ragazzo dal crine scuro, mentre posava lo sguardo su una delle gambe del ragazzo a letto, quella che non era coperta dalle lenzuola, dal ginocchio in giù delle stecche di legno erano state fissate con spago e fil di ferro, garze strettissime avvolgevano l'arto. Mentre erano fuori, Lottie aveva potuto vedere le ossa dello stinco spezzate ed aperte all'area esterna.
Fischer aveva riso, ma si era dovuto tenere il ventre per il dolore, lei aveva potuto riconoscere che nelle parole del dottore ci fosse stato un tono di una certa predica, sottile e ben nascosta, già che di fatti Fischer fosse un suo superiore. “Va bene, Fritz” aveva concesso l'uomo ferito, con un sorriso sornione sulle labbra, “Sono serio, Leon” aveva ripreso il dottore, non c'era più quella predica bonaria nella voce, ma un tono serio, sebbene carico di una certa confidenzialità, erano ambe due della divisione di Nedlay – non che questo ormai avesse più importanza - “Se non stai cautamente fermo la gamba non si riprenderà mai bene” aveva raccomandato il dottor Meier.
“Tanto senza un cavallo, zoppo o meno da un gigante non scappo” era stata la pratica risposta di Leon Fischer, passandosi le dita affusolate tra i capelli bronzei. “Ora lasciatemi sono stanco” aveva commentato il malato, affondando di nuovo il capo sul cuscino, chiudendosi il viso tra le mani, “È giorno, raggio di sole” lo aveva preso in giro Engel, “Se non volete che lo dica a Garlef, smettetela” aveva rimbeccato Leon, girando il capo nel tentativo di nascondere anche il viso nel cuscino. “Che uomo a nasconderti sotto la gonna del capitano Jürgen” aveva gracchiato Engle, fornendo a Lottie la bizzarra visione del suo amico Garlef, che conosceva dai tempi dell'accademia, con indosso uno degli abiti merlettati di sua moglie Lilla – in particolare quello rosso dai ghirigori neri, che le era stato prestato per la cerimonia di Dot Pixis.
Fritz aveva lanciato uno sguardo verso il suo amico, gli occhi azzurri avevano una vena di serietà in aspettata, “Lasciamoli riposare” aveva concordato, posando le mani sulla fronte di Leon, prima di spostarla dopo qualche minuto.
“Ho la febbre?” aveva chiesto quest'ultimo, aprendo un occhio, erano verdi come olive mature, “Riposati, e per la grazie delle mura, non muoverti” aveva impartito Fritz, prima di allontanarsi.

Lottie aveva lasciato l'infermeria con lui ed Engle, che invece non sembrava avere alcun problema evidente al suo braccio, “Mi serviranno delle erbe per abbassargli la febbre” aveva commentato Fritz guardandola, gli occhi del ragazzo erano grandi, limpidi, di un azzurro chiaro come un cielo sereno, che gli davano un'aria forse fanciullesca.
“Comunque c'è da chiedersi perché sta mani, il caro Leon, avesse le garze allentante” aveva detto con una certa malizia Frederick Engel, attirando il loro sguardo.

Il viso di Fritz si era per un momento impomatato di un rosso brillante, “Sicuramente il dolore gli ha agitato il sonno” aveva aggiunto poi il dottore con un certo imbarazzo, grattandosi con la mano il retro della nuca, tra i riccioli morbidi.
“Dottore, viene con me?” aveva domandato Lottie, fermando qualsiasi costa stupida Engel avesse intenzione di dire, anticipando la domanda, al che il giovane si era congedato dall'amico con qualche famigliare convenevole, lei invece aveva ignorato il commilitone a pie pari.

 

“Quali erbe ti servono?” aveva chiesto quando avevano raggiunto l'esterno del casolare, dall'ingresso era possibile vedere la porta di Briemer, raggiungibile da lì a piedi, aveva tutta l'intenzione di andarci per trascorre la giornata libera che le era stata concessa. “Valeriana, elleboro, eucalipto ...” aveva cominciato il Fritz, prima di cominciare a tastarsi il corpo, anche lui non indossava l'uniforme standard, ma aveva pantaloni morbidi, una camicia crema ed un gilet marrone, nella tasca di quest'ultimo aveva tirato fuori un foglietto di una carta gialla, “Mi ero già fatto una lista” le aveva illustrato, con un sorriso luminoso.
Lottie aveva preso il foglio ripiegato con un movimento cauto, quasi cercasse di accarezzare una bestia feroce e non s'era saputa dare una motivazione precisa neanche lei, “Vuole accompagnarmi a fare quattro passi, dottor Meier?” aveva chiesto lei con un tono forse più mellifluo di quanto avrebbe dovuto.
Fritz aveva schiuso le labbra per un momento, poi aveva annuito, non si poteva dire fosse imbarazzo quello che colorava il suo viso, ma di certo il giovane non sembrava navigare nella sicurezza. “Comunque puoi chiamarmi Fritz, il dottor Meier è mio padre” aveva sputato fuori lui mentre prendevano il sentiero che andava nella direzione opposta rispetto Briemer, quello che passava per Hanneke, un villaggio minuscolo per lo più composto da fattori, veterani in pensione e famiglie dei legionari, non vi era neanche un vero e proprio commercio.
“Potrei chiamarti Sergente Meier, non è il tuo grado?” aveva risposto Lottie, mentre poteva vedersi lo stupore dipingersi sul viso del suo interlocutore.
La verità era che lei non aveva la minima idea di quanto fosse bravo il Dottor Meier padre, rispetto il figlio, quindi non riusciva neanche a poterlo immaginare un complesso di inferiorità verso il proprio parentado, lei che in parte si poteva dire che non ne aveva avuto uno per molto tempo, ma il dottore che le si figurava davanti aveva il suo perché, nervi saldi ed una tecnica impeccabile. Aveva salvato la gamba di Leon, lì dove il precedente medico – pace all'anima sua – avrebbe amputato senza porsi domande, Fritz Meier che aveva salvato l'insalvabile; la verità era che non conosceva le ragioni per cui Levi lo aveva raccomandato con tanta insistenza, ma aveva avuto ragione era bravo.
“Il nord è inospitale, si dice che rifiuti gli uomini” aveva cominciato Lottie, il motto diceva in verità altro, solamente che Fritz veniva dal sud e forse non lo avrebbe capito a pieno – o meglio se ne sarebbe sentito offeso, probabilmente - “Rende in ospitabile la vita agli uomini, per esempio la strada principale per Nedlay frana un giorno si e l'altro pure. L'unica altra strada passa per Gersenshinka e l'inverno è impraticabile per neve. Alla fine di febbraio il fiume che divide le regioni meridionali dalle occidentali è esondato, ha travolto due villaggi e completamente cancellato una strada, siamo rimasti completamente tagliati fuori, già che è impossibile arrivare da oriente” aveva fatto un momento di pausa, chiedendosi se fossero riusciti a sistemare la Via del Sale, che partiva da Pereta, toccava Shingashina, Renin e giungeva per ultimo a Briemer, non riuscendo a valicare i monti però non riusciva a chiudere il cerchio ed era dunque percorribile solo in quel verso. E loro erano tagliati fuori dall'unica linea commerciale del territorio di Maria, non andava bene.
“Uno dei motivi per cui il Comandante Smith ha voluto ridistribuire i soldati” era stato il commento di Fritz, fin troppo tronfio, fin troppo fedele al sud, lui che già chiamava Erwin Smith comandante prima ancora che il seggio di Shadis si raffreddasse. Non era comunque un mistero, per tutto il tempo che era stato a Briemer, e fuori, il dottore non aveva fatto altro che riferire quanto volesse lasciare di fretta il nord per raggiungere il sud, voleva essere stanziato a Trost ed un motivo ricorrente di scherno tra i suoi commilitoni pareva che ogni volta che chiedesse un trasferimento finisse sempre più a nord.
“Consolati” gli aveva detto Garlef Jürgen con una certa cattiveria, “Più a nord di Briemer non c'è nulla” quando avevano trovato rifugio nella città sospesa.
Presto non sarebbe più stato così.
“Io ed Erik abbiamo convenuto di chieder al Comandante Erwin Smith di trasferiti permanentemente nel nostro nucleo, assieme ai rapporti, il capitano Schimdt riporterà anche tale richiesta” Lottie era stata pragmatica e decisa, si era sforzata di guardare l'entroterra e non il giovane, ma con la coda dell'occhio aveva potuto vedere prima lo stupore manifestarsi in quei grossi occhi da fanciullo, poi il viso s'era temprato di rabbia, poi delusione ed in parte tradimento.
“Perchè?” il tono era apparentemente calmo, ma sarebbe stato da stupidi non cogliere tutto il risentimento che lo adornava, che ribolliva sotto come in una pentola a pressione. “Perchè sei bravo ed i dottori bravi servono anche a nord” era stata la sua lapidaria risposta.
Era stata certa quel giorno che Firtz Meier l'avrebbe odiata da lì alla fine delle loro vite.

Ma poi il mondo aveva fatto il suo corso.

 

Il primo urlo non aveva avuto un origine che Lottie aveva potuto identificare, non erano stati neanche vere e proprie parole, quanto in realtà un'imprecisa e confusionaria cacofonia di suoni, che sembrava essersi dilagata a macchia per l'intera zona.

Charlotte aveva dovuto sforzare gli occhi per capire da che lato arrivasse, non trovando però molta fortuna. Poi valicare le poche colline a sudovest rispetto ad Hanneke aveva potuto vedere solitarie figure sfrecciare, discendere dalle vallate: persone, attraversavano senza vergogna alcuna di rovinare i campi coltivati, con l'unica possibile direzione della porta di Briemer.
Fritz aveva crucciato le sopracciglia: “Ma cosa succede?” aveva chiesto a lei, un filo di nervoso era udibile nella sua voce, nonostante egli si sforzasse di restare calmo, ma sembrava che privo d'una ferita sanguinante sotto gli occhi, la sua compostezza fosse meno solida. “Non ne ho idea” aveva risposto lei con pochezza; doveva ammetter di provare in quel momento una paura atavica, guidata forse della confusione e l'ignoranza, per un breve momento si era sentita spaesata come quando per la prima volta aveva valicato la porta esterna per vedere il mondo fuori.
Dalle case di legno e mattoncini di Hanneke i contadini si erano fatto improvvisamente vispi, gli animali nei recinti brucavano in pace, non turbati dagli schiamazzi. L'intero villaggio s'era riversato all'esterno, non accingendosi però a correre come gli altri conterranei, un brusio di voci s'era sparso, tutti si chiedevano le medesime cose: “Che è accaduto?”
Perchè sarebbe stato ingenuo pensare che nulla potesse essere successo a scuotere gli animi dei villaggi limitrofi.
“Lukas!” aveva chiamato Lottie allontanandosi, senza curarsi di chiamar il dottore a seguirla, non che questo non l'avesse fatto di sua iniziativa. Lukas era un uomo anziano, il viso farinoso, contornato di flaccida pelle sotto il viso ed occhi stanchi, lucidi e screziati di rosso, indossava sempre un buffo copricapo giallo che il tempo aveva rovinato; Lottie lo conosceva perché era solito l'uomo era solito scambiare il suo grano con il loro latte. “Caporale” aveva detto questo, la sua voce era un filo, per di più sembrava avesse la bocca impastata di saliva e la lingua tremolante, “Lukas, tu sai qualcosa?” aveva chiesto lei, prendendolo per le mani. Quello aveva scosso il capo, gli occhi liquidi bassi sull'erba verde, mentre con movimenti decisi era costretto a negare di avere conoscenza. Lottie aveva sciolto la presa da lui, prima di mettersi a corre; aveva afferrato con forza i lembi della gonna bruna per tirarla in su ed evitare che l'orlo lungo la facesse inciampare, maledicendo che giusto poche ore prima avesse deciso in favore di quell'abbigliamento che dell'uniforme.

 

Aveva preso svelta la via dei campi, “Caporale! Caporale! Charlotte!” la voce di Fritz era appena udibile nel mezzo di quella cacofonia, lei s'era voltata appena, per guardare il viso un livido del giovane che come lei aveva intrapreso la via dei campi, entrambi incuranti di calpestare e rovinare la semina che doveva esserci appena stata. “Si muova, Fritz!” urlò lei, riprendendo la sua corsa, proprio mentre alcuni dei pastori, che forse erano di Hanneke o di qualche altro villaggio, ed i giovani mandriani attraversavano perpendicolari loro il territorio, diretto alla città fortificata.
Nessuno di loro era ritornato con il bestiame con cui all'alba probabilmente s'era allontanato, non che quello potesse essere d'alcuna importanza. Lottie aveva afferrato un giovane, dal viso spauracchio, pallido e lentigginoso, occhi gonfi di lacrime, un bambino, non più grande forse delle reclute che era abituata a vedere, un uomo forse di fatto, che in quel momento sembrava nulla più di un infante. Tremava come una foglia scossa dal vento, “Mi lasci, signora!” aveva detto cercando di divincolarsi, ma aveva braccia sottili che non riuscivano a sottrarsi alla presa di Lottie; la camicia del giovane era rovinata, macchiata e strappata, come di continue cadute che non avevano fermato comunque la sua avanzata. “Calmati!” impartì e la sua voce forse non era sembrata troppo autoritaria, ma perché non aveva avuto presa sul giovane che aveva ancora cercato di svicolarsi, tentando anche malamente di colpirla – fallendo miseramente – mentre lacrime e gemiti di pianto si erano fatti strada.

“Io sono Fritz e lei è Charlotte” aveva detto il dottore, cogliendola di sorpresa, perché non si era accorta del fatto che lui le si fosse accostato, “Siamo membri della Legione esplorativa” aveva aggiunto, il suo tono non era rude, anzi era forse fin troppo morbido, ma quelle parole sembravano sul giovane aver avuto un effetto palliativo.
O per le mura, grazie! Siete della Legione! O santissime mura grazie” aveva piagnucolato quello, il suo tono sembrava quello di un angosciato, ma aveva arrestato il suo divincolarsi per scendere sulle ginocchia nel terreno, le lacrime s'erano fatte più ingombranti, ma i suoi occhi sembravano brillare di una rinnovata speranza. “Ragazzo, cosa è avvenuto?” aveva allora chiesto Lottie, cercando di usare un tono che fosse più cortese ed accomodante di quanto avesse fatto fino a quel momento, il giovane l'aveva guardata nel viso, mentre attorno a loro la corsa folle non sembrava arrestarsi, gente che spingeva e spintonava altri, anche Hanneke s'era lasciata impadronirsi di quella follia.
La risposta, oh quella, Lottie era certa mai l'avrebbe dimenticata.
I giganti sono nel Muro Maria!

 































 

 

 

N.B.

No, io sono lenta negli aggiornamenti, mi dispiace, mi dispiace proprio. Ringrazio chiunque abbia letto, messo nelle seguite e Chemical Lady (e per aver betato, di nuovo) e Lechatvert per aver recensito <3.
Ed inoltre vi chiedo scusa perché A) Questa storia avrà un numero imbarazzante di OC – ma, ei, faranno quasi tutti una fine orribile e B) Non hanno ancora lasciato la città – e non lo faranno per molto.
Ed ho cercato un po' di descrivere come è la vitta di Briemer in un giorno bello e tranquillo all'incirca. Riguardo al pezzo iniziale, spesso ci saranno momenti in Prolessi rispetto la parte narrata, ma non sempre, spesso ci saranno capitoli di analessi (Per esempio sull'ultima missione e la questione del Lago Salato) di avvenimenti – come Levi a Briemer – o delle vite dei personaggi. Qui la vita di Lottie non è trattata neanche per sommi capi, ma giusto un po' accennata.
Si il narratore del secondo pezzo del prologo era Fritz Meier, che ricordo essere una comparsa (piuttosto fitta nella storia di Chemical Lady che trovate QUI, dove in realtà compaiono anche Erik, Lottie e Garlef – anche se lui è senza nome – sono anche sue le disposizioni di Erwin a cui fa riferimento Lottie)
E si c'è un capitano che si chiama Rottermaier, dovete capire che era una citazione che non potevo evitare LoL

Grazie per aver letto,
RLanD

Ps – Il titolo vuol dire Prima di Mezzogiorno, in questo caso il Mezzogiorno rappresenterebbe il “Cambiamento del mondo”, quindi posso anticiparvi che il prossimo capitolo, probabilmente, con molta originalità si chiamerà Post Meridiam.

 

 

   
 
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