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Autore: destroyvhvyre    23/10/2016    0 recensioni
Frank e Gerard si incontrano per la prima volta a causa di una situazione non del tutto normale e soprattutto felice; ma è da lì che inizia qualcosa che nessuno dei due può fermare.
Perchè Frank ha bisogno della presenza di Gerard.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Stava piovendo.
Piano, era gocce piccole e leggere, ma erano lo stesso fastidiose.
Le strade erano bagnate, le luci dei lampioni si riflettevano sulle pozzanghere di acqua sporca.
Il ponte su cui stavo camminando, era attraversato da tante macchine, che correvano veloci, in modo frenetico, e non c'era nessuno nei marciapiedi.
Infondo erano le dieci di notte, chi doveva esserci per strada?
Io ero uscito da casa, e vagavo per le strade da più di mezz'ora.
Stavo camminando, guardavo l'asfalto bagnato, e tirando fuori il pacchetto di sigarette e l'accendino, me ne accesi una, probabilmente già la terza che accendevo da quando ero uscito di casa.
A casa non potevo fumare, così quando ero solo ed ero fuori coglievo l'occasione per fare quello che volevo fare, cioè fumarmi un po' di buon tabacco. 
La pioggia stava andando a diminuire, ma era sempre presente, e fastidiosa.
Le mie scarpe erano bagnate, così come alcune ciocche di capelli scuri che uscivano fuori dal cappuccio alzato e che non erano al riparo.
Mentre i miei piedi continuavano ad andare avanti, indistintamente vidi una figura in lontananza, dietro l'inferriata del ponte.
Non vedevo tanto bene, c'era poca luce.
Continuai avanti, finchè quella figura non diventò più distinta, nel buio.
In quel punto la luce di un lampione si gettava, dando un minimo di luminosità.
Avevo visto bene.
C'era qualcuno dietro l'inferriata del ponte.
Voleva buttarsi giù dal ponte?
Mi avvicinai ancora di più.
Sembrava un ragazzo, aveva i capelli davanti il viso, bagnati e appiccicati, teneva le mani nell'inferriata e guardava quello che c'era sotto il ponte.
Cioè due grandi strade e tante macchine che passavano sopra esse veloci.
-Hey...- dissi con voce preoccupata, un po' indeciso. Ormai però avevo parlato.
La testa di quel ragazzo si girò di scatto verso di me. All'istante buttai per terra la sigaretta e la calpestai con la scarpa per farla spegnere.
Mi concentrai sul ragazzo.
Aveva delle ciocche di capelli avanti il viso, le pupille degli occhi dilatate e nere come due pozzi di petrolio, delle occhiaie violacee che gli incorniciavano gli occhi.
Aveva le labbra secche, di un colore pallido, quasi quanto quello del suo volto.
Il cuore iniziò a battermi veloce. Si vedeva benissimo che non stava bene.
-È tutto okay?- chiesi, con voce velata. Avevo paura per quel ragazzo.
-Allontanati!- gridò. La sua voce si incrinava, come un vetro che si infrange in mille pezzi, e i suoi occhi, appena parlò, si spalancarono un po'.
Ebbi ancora più paura. -Ho detto di allontanarti! Vai via!- sembrava disperato.
Non posso lascialo qui. Pensai velocemente, parlando con me stesso.
Mi avvicinai di un piccolissimo passo, allungando di poco la mano destra.
-Senti, non farlo.- gli occhi del ragazzo erano grandi e scuri, che mi guardavano come a dirmi "perchè dovrei ascoltarti?"  e allo stesso tempo era come se non mi stessero completamente ascoltando.
-Non farlo.- ripetei.
Allontanò gli occhi dai miei, lo vidi tremare. Guardava di nuovo le strade sotto il ponte.
Senza pensarci due volte, allungai una mano verso di lui.
Rimasi fermo in quel modo, ma lui non la prendeva. Anzi, era ancora più sporto dietro l'inferriata.
Era una sensazione terribile, volevo fare qualcosa per lui, ma era una situazione talmente delicata, non potevo fare un passo falso, quel ragazzo avrebbe perso la vita.
-Va' via.- disse, a voce bassa e rauca.-dannazione, va' via!- sta volta lo gridò.
Ma io rimasi fermò dove ero.
Lo vidi chiudere gli occhi, lasciando cadere delle lacrime sul suo volto.
-Non farlo. Afferrà la mia mano, andrà tutto bene. Te lo prometto.- ribattei ancora, con voce ferma.
Sorprendendomi, il ragazzo allungò verso di me una delle sue mani incredibilmente tremanti, staccandola dall'inferriata arrugginita.
Sporsi la mia mano ancora di più verso di lui, e afferrai la sua.
Di quanto tremava quasi non tremai anche io, quando le nostre mani ebbero contatto.
Gli sorrisi debolmente.
Riuscii a fargli scavalcare l'inferriata al contrario, facendogli riportare i piedi sull'asfalto del ponte, dove anche i miei piedi si trovano.
All'istante svenne, accasciandosi per terra, ma io lo afferrai prontamente.
Aveva smesso di piovere, fortunatamente.
Il suo viso era sudato, bagnato dalla pioggia e dalle lacrime, i suoi capelli bagnati fradici.
Indossava una felpa nera, dei jeans logori e strappati in vari punti e dei stivaletti di pelle. Notai che il suo collo e i dorsi delle sue mani erano segnati da vari lividi e ferite.
Un senso di protezione verso quel ragazzo mi avvolse all'istante, scorrendomi dentro le vene col sangue, velocemente.
Riaprì gli occhi, ancora sconvolti.
-Stai bene?- gli chiesi, preoccupato.
Lui fece di no con la testa. E delle lacrime continuavano a scendere dai suoi occhi.
-È tutto okay, è tutto okay.- gli dissi, guardandolo premuroso. Lo abbracciai, mi sembrava la cosa migliore e più sensata da fare. Lui rimase fermo, senza ricambiare l'abbraccio, ma andava bene così, era lui quello che aveva bisogno di aiuto, non io.
Dopo di che, visto che eravamo quasi seduti per terra, lo feci alzare.
-Hai un posto dove andare? Una casa?- gli domandai, perchè in ogni caso non avrei saputo dove portarlo.
Infondo era lo stesso uno sconosciuto, per me. Come io per lui d'altronde.
-Sì.- rispose lui debolmente, annuendo al contempo.
-Posso portarti lì?
Il ragazzo annuì di nuovo.
Mi feci dire la via, e dopo di che cercai di non dirgli più niente, mentre camminavamo e io lo reggevo perché camminava instabilmente.
Restandogli vicino sentii sulla sua pelle l'odore tipico dell'erba, della marijuana.
Non sapevo niente di quel ragazzo, sapevo solo che l'avevo salvato un momento prima che si buttasse giù da un ponte, visibilmente instabile e disperato, puzzava di droga e dalle occhiaie che aveva sotto gli occhi probabilmente, immaginai, non dormiva da giorni.
Ero talmente dispiaciuto e curioso allo stesso tempo che appena arrivammo davanti a quella che doveva essere casa sua mi sentii del tutto stordito, come se le mie gambe avessero percorso la strada senza che io le comandassi.
-Siamo arrivati?
-Sì.- si staccò da me. Adesso sembrava un minimo più stabile.
Aveva gli occhi grandi, e guardava a destra e sinistra freneticamente, come un cucciolo spaventato.
-Allora posso lasciarti qui?- il ragazzo annuì.
-Aspetta.- prima che potesse entrare dentro casa lo fermai. -come ti chiami?- gli chiesi ancora.
-Frank.- mi rispose guardandomi, mi sentii trafitto. I suoi occhi era carichi di tristezza, di malinconia, così pieni da risultare vuoti.
-Io sono Gerard. Qualunque cosa tu avessi bisogno, se hai bisogno di me, fatti trovare in quel ponte. Passo sempre di lì.-gli dissi, premuroso, sincero.
Non l'avrei più visto, probabilmente.
Ma ero lo stesso preoccupato per lui.
Più di quanto mi piacesse ammettere.
Il ragazzo, Frank, fece con la testa, aprì la porta scricchiolante e se la chiuse alle spalle.
Sospirai, stanco, con una strana sensazione addosso.
Mi incamminai verso casa, avevo bisogno di dormire.

Frank p.o.v.

Ci avevo riprovato.
Avevo provato di nuovo a togliermi la vita.
Ma quel ragazzo? Come aveva detto di chiamarsi? Gerard? Sì, forse sì.
Aveva voluto che io afferrassi la sua mano.
E mi aveva allontanato dalla morte a cui tanto anelavo.
Le ferite mi bruciavano, le contusioni e i lividi mi facevano male.
Era come una tortura.
La scuola era una tortura.
Ero entrato dentro casa mia, quella vecchia casa, ed era tutto al buio.
Andai semplicemente nella mia camera, e mi buttai sul letto, che scricchiolò, con i vestiti addosso, con i capelli umidissimi e vari dolori sparsi per tutto il corpo.
Tanto non avrei dormito.
Non ci sarei riuscito.
Non sarei voluto tornare dentro quella casa, dove a nessuno importava di me.
Ma dovevo, perchè, se non andavo lì, allora dove sarei dovuto andare? Non avevo nessun altro posto.
A nessuno importava di me, ormai neanche più a me stesso.
Sentivo la testa leggera e pesantissima allo stesso tempo.
Chiusi gli occhi, sentendoli bruciare, sentendomi schiacciato dal masso che sapevo di avere dentro di me.

Dovevo sopportare ancora.
   
 
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