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Autore: _armida    25/10/2016    2 recensioni
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo.
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave.
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”
VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA SU WATTPAD
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo XXXI: Promesse
 
Pomeriggio di sabato 25 aprile 1478

Gentile Becchi alzò il capo dal pensate manoscritto che stava leggendo, osservando propria nipote camminare avanti e indietro proprio davanti alla scrivania; prese un lungo respiro, cercando di portare pazienza. 
“Finirai per consumare il pavimento del mio studio”, disse, cercando di far apparire le proprie parole come un ammonimento; in realtà dal tono della sua voce traspariva affetto.
Elettra si fermò per alcuni istanti, osservando lo zio con sguardo vacuo: i suoi occhi fissi in quelli di lui, ma la mente altrove, a chilometri di distanza, persa tra le campagne toscane, proprio come la persona a cui quel pensiero era rivolto.
Sbattè più volte le palpebre, prima di riprende nuovamente a camminare a lunghi passi da una parte all’altra dello studio.
L’anziano consigliere della repubblica sbuffò, improvvisamente inquieto. “Elettra, stai mandando in ansia pure me”, commentò.
La giovane si fermò ancora una volta a metà del proprio percorso. Le braccia conserte, strette sotto al seno, e un broncio insoddisfatto ad incorniciarle l’ovale pallido del volto. Emise uno sbuffo sonoro, prima di lasciarsi letteralmente cadere su una delle poltrone dedicate ad eventuali visitatori. Si passò entrambe là mani sul volto, prima di cercare con lo sguardo qualcosa; dalla sua espressione, ciò che cercava pareva esserle essenziale.
Gentile Becchi sospirò, poi aprì uno dei numerosi cassetti della propria scrivania, estraendo una matita e diversi fogli bianchi. Li passò alla nipote, che si mise immediatamente a disegnare su di essi ad un ritmo che pareva umanamente impossibile.
“Quelli sono gli unici fogli che ho qui, vedi di farteli bastare per qualche ora”, disse in un tono di voce che sarebbe dovuto apparire serio, ma da cui, in realtà, traspariva uno smisurato affetto. Sul suo volto comparve un sorriso malinconico e alla mente non potè non tornare il ricordo di una bambina dai grandi occhietti azzurri che scrutavano il mondo con attenzione e i lunghi boccoli biondi, seduta a quella stessa scrivania, intenta a scarabocchiare qualcosa; chiuse per un istante gli occhi: gli sembrava quasi di sentire la sua risata infantile in grado di contagiare chiunque. Li riaprì, ritrovandosi davanti quella stessa bambina: la posa era la stessa, con le gambe incrociate e la matita tra i denti mentre pensava, la poltrona era la medesima e perfino i segni scuri di colori su guance e fronte parevano simili. L’unica differenza era che ora Elettra era un’adulta.
La osservò per un tempo indefinito e si dispiacque quando, attirata da un rumore di cavalli al galoppo, si diresse in fretta verso la finestra che si affacciava su Piazza della Signoria.
“Dragonetti è tornato”, disse con un sorriso a trentadue denti, faticando a rimanere ferma dall’emozione. “Giuliano sarà con lui”, aggiunse euforica.
Gentile Becchi non riuscì nemmeno a dire una parola, dal momento che la nipote si fiondò verso la porta dello studio, correndo poi a perdifiato per le scale che portavano all’entrata del palazzo.

***

Elettra osservò le persone nel grande atrio: dalla posizione in cui si trovava riusciva a scorgere Lorenzo, Dragonetti e una manciata di guardie della notte, ma nessuna traccia di Giuliano.
Il sorriso, che era spuntato sulle sue labbra non appena aveva sentito gli uomini arrivare, sfumava ad ogni singolo gradino che scendeva. Una volta in fondo i suoi occhi non brillavano più di un’emozione trattenuta a stento, come quando era uscita correndo dallo studio di suo zio, ma apparivano tristi e spenti. Osservò in viso Lorenzo, che appena la notò scosse la testa, ricambiando il suo sguardo con uno ricolmo di sconforto. “Non c’è traccia di Giuliano sulla strada per Poggibonsi”, riferì.
Elettra annuì mestamente, stringendosi ancora di più le braccia sotto al seno. Sospirò, angosciata.
Mentre Gentile Becchi scendeva la scalinata, si sedette su uno dei gradini e chiuse gli occhi; alla mente le ritornato le immagini del sogno che aveva fatto appena quella mattina: il fiume, le colline, il paesaggio...Elettra si mise di scatto in piedi, suscitando la perplessità degli altri presenti. “Avete già perlustrato la strada per il Chianti?”, chiese a Dragonetti, con l’espressione tipica di quando le veniva un’idea.
“No, non ancora”, disse Dragonetti. “La strada per il Chianti pullula di banditi, Bertino non avrebbe mai permesso a Giuliano di percorrerla”
“Ma è la più rapida”, contestò la giovane. “Per spostamenti veloci la Donati utilizzerà di certo quella”
“Una donna sola per quelle strade...ne dubito”, ribattè il Capitano, scettico.
Elettra ci pensò un po’: era certa del proprio ragionamento, anche le tempistiche lo dimostravano eppure...eppure c’era qualcosa che le sfuggiva, un piccolo dettaglio che non aveva considerato. Con un’espressione pensierosa stampata in volto, si mise a camminare avanti e indietro per l’atrio.
Si fermò di colpo, voltandosi di scatto verso Gentile Becchi. “I lebbrosi utilizzano solitamente la strada per il Chianti per spostarsi perchè è quella meno frequentata, vero?”
Il fidato consigliere di Lorenzo ci pensò un po’, prima di annuire con il capo.
“Non capisco dove tu voglia arrivare”, ammise il Magnifico.
“Potrebbe essersi travestita, nessuno oserebbe mai controllare”
Dragonetti la osservò stupito: anche a lui parve che il discorso non facesse una piega.
“Giuliano e Bertino potrebbero essere arrivati alle mie stesse conclusioni”, continuò lei, ottenendo l’approvazione dell’uomo.
“Darò ordine ai miei uomini di passare al setaccio anche la strada per il Chianti”, decretò alla fine.
Lorenzo, inizialmente poco convito, alla fine annuì. “Fate presto, Capitano”, disse prima di voltare le spalle agli altri presenti e salire a larghe falcate la scalinata. 
 
***
 
Un paio di ore più tardi...

Elettra si trovava ancora nello studio di suo zio, seduta sulla medesima poltrona, intenta a leggere l’ennesimo noioso libro che aveva preso una manciata di minuti prima dalla libreria personale di Gentile Becchi; alla sua sinistra, sul bordo della scrivania, ve ne erano una pigna già letti, che aspettavano solo di essere rimessi al proprio posto. Sbuffò, richiudendo il libro con un tonfo sordo che causò una nuvoletta di polvere.
L’anziano consigliere, dalla parte opposta della liscia superficie di legno intarsiato, tossicchiò e portò in fretta un fazzoletto bianco alla bocca. 
“Elettra, fai più attenzione”, l’ammonì per l’ennesima volta.
“Mi annoio”, protestò lei. “E questa attesa mi sta uccidendo”, aggiunse, più seria.
Becchi allungò la mano sulla scrivania ed immediatamente la nipote la strinse nervosamente. Le dispiaceva non poterle dare rassicurazioni in quel momento, nemmeno lui sapeva nulla sulla sorte del proprio pupillo e, sotto sotto, anche lui, come Elettra, temeva il peggio. Qualsiasi parola di conforto non avrebbe fatto altro che apparire falsa e vuota, aggravando solo la situazione.
Un bussare alla porta distolse entrambi dai propri pensieri.
“Avanti”, disse Gentile Becchi, cercando di far sparire dal proprio volto ogni traccia di turbamento ed assumendo un’aria più professionale.
Lorenzo comparve sulla soglia: la sua espressione era cupa, portatrice di cattive notizie.
“Hanno trovato un corpo”, rivelò.
Elettra si alzò di scatto di scatto dalla propria seduta. Una mano premuta sulla bocca e il volto mortalmente pallido.
“Giu...”, tentò di mormorare.
“No”, la interruppe subito il Magnifico. “Non è lui”
L’espressione della giovane si fece per un istante più distesa.
“Io...vado a parlare con il Capitano Dragonetti”, continuò l’uomo, augurandosi che gli altri invece restassero lì, nello studio. Le sue speranze si infransero non appena Elettra aprì bocca. 
“Vengo con voi”, disse, facendo alcuni passi verso la porta.
A Lorenzo non restò altro che annuire e seguirla lungo la scalinata.
“Ho fatto allontanare Clarice, per risparmiarle qualunque tipo di emozione alla vista del corpo”, spiegò, mentre scendeva velocemente i gradini. Sperava di essere ancora in tempo per far desistere Elettra, ma la giovane, invece, non parve nemmeno notare il velato invito a seguire l’esempio della Madre di Firenze.
Nell’atrio, esattamente come prima, vi era il Capitano Dragonetti; di fianco a lui, quattro uomini reggevano una barella ricoperta da un velo nero. 
“Non esitate, fate vedere”, lo incitò Lorenzo.
Dragonetti tolse il velo dalla parte superiore del corpo del morto, scoprendo un volto in parte ricoperto da sangue e terriccio. “È l’ufficiale Bertino che è stato trovato sulla strada per il Chianti”, spiegò, anche se i presenti lo avevano capito non appena aveva mostrato il viso.
Elettra chiuse gli occhi di scatto e piegò la testa di lato, nascondendola sul petto dello zio.
Gentile Becchi si premurò immediatamente di stringerla a sè, accarezzandole i soffici capelli nel tentativo di darle un minimo di conforto; sapeva fin troppo bene che in quel momento più che di parole la nipote aveva bisogno di sentire il calore e l’affetto di un altro essere umano.
Nel frattempo, Lorenzo prese a studiare il corpo. “Ferito a morte”, constatò, incontrando il consenso del Capitano. “Banditi?”, azzardò, ben sapendo che era l’ipotesi più plausibile.
“Molto probabile”, rispose Dragonetti. “I loro corpi sono appena qui fuori, fate ancora in tempo a dare un’occhiata prima che i miei uomini si occupino di loro”
Quelle parole risvegliarono in parte Elettra, che si staccò da Gentile Becchi, si asciugò le lacrime dalle guance e si diresse fuori, nella Piazza della Signoria.     
Gli uomini la seguirono con lo sguardo finchè non scompare oltre il portone d’ingresso, poi ripresero a parlare tra loro.
“Tuttavia non abbiamo trovato tracce di Giuliano”, rivelò il Capitano.
Lorenzo prese un lungo respiro, incapace di decidere se ciò fosse positivo o meno: Giuliano poteva essere riuscito a fuggire ai banditi, come poteva essere stato ucciso e il corpo fatto scomparire. “Radunate più uomini, trovatelo. Riportatelo vivo o morto, devo conoscere la sorte di mio fratello”, decretò alla fine.

***

Si stava cominciando a radunare una piccola folla in Piazza della Signoria. Le voci del ritrovamento del corpo di un ufficiale dei Guardiani della Notte si diffondevano in fretta per la città, attirando un gran numero di curiosi; quella macabra manifestazione assumeva dimensioni ancora maggiori se vi erano anche dei colpevoli da punire. In questo caso i colpevoli erano già periti, ma tuttavia si poteva ancora infierire sui loro corpi.
La folla voleva spettacolo e sangue. I compagni di Bertino, vendetta.
E così che veniva giustificato il fare letteralmente a pezzi quei cadaveri.
Ad Elettra veniva il voltastomaco solo al pensiero che in una città all’avanguardia come Firenze si compissero ancora atti di una tale barbarità.
“Vi conviene rientrare, madonna. Certi spettacoli non sono adatti al vostro stomaco”, si fece beffe di lei uno dei Guardiani della Notte, scatenando le risa dei tre compagni che lo stavano aiutando a scaricare uno dei corpi da un misero carretto. Fecero alcuni passi verso il centro della piazza, lasciando malamente andare la presa sul cadavere, che cadde a terra. Uno di loro gli diede un calcio, facendolo rotolare alcuni metri più avanti, in direzione della sempre più numerosa folla.
Elettra cercò di ignorarli, seppure quelle parole le bruciassero più di quanto volesse dare a vedere. Si diresse verso il carretto, sul quale erano stati ammucchiati altri tre corpi.
Li osservò con attenzione, certa che qualcosa non le tornasse: forse era la corporatura a non convincerla appieno; difficilmente si potevano trovare banditi con una forma fisica perfetta come quella di quei quattro cadaveri. I banditi solitamente erano dei reietti della società, gente ridotta alla fame e alla miseria, oppure ubriachi.
Le saltò immediatamente all’occhio un piccolo particolare: quello in cima al mucchio portava alla cintura un pugnale.
La giovane si guardò in giro, per controllare che nessuno in quel momento la stesse guardando e velocemente glielo sfilò, nascondendolo poi sotto alla giacca. Fece alcuni passi, portandosi verso il perimetro della piazza, in una posizione secondaria, e si concesse qualche secondo per rigirarselo tra le mani e studiarlo: era leggero, probabilmente in acciaio, la fattura era pregiata e sulla lama, vicino all’impugnatura, spiccava il simbolo del marchio pontificio. Era un pugnale di ordinanza, di quelli che venivano dati in uso alle Guardie Svizzere.
Le ci volle appena una frazione di secondo a capire che quelli che tutti credevano banditi in realtà erano i mercenari al soldo di Roma, travestiti.
Dalla rabbia, strinse l’impugnatura dell’arma fino a sentire dolore. 
Voleva delle risposte.
E sapeva chi era perfettamente in grado di dargliele.

***

Un’ora più tardi...

Era da quando era rientrata a Palazzo che si trovava seduta sui primi gradini della scalinata che dall’atrio conduceva al resto della corte. 
Elettra sbuffò, passandosi le mani sul volto per l’ennesima volta; il pugnale che aveva preso ad uno dei morti, se al primo acchito che era sembrato leggero, ora le pesava sulla coscienza come un macigno: avrebbe dovuto mettere Lorenzo al corrente delle proprie conclusioni nell’istante stesso in cui le aveva formulate, eppure non lo aveva fatto. Nella propria testa si sentiva colpevole tanto quanto la persona che aveva dato l’ordine. E sapeva perfettamente chi fosse a dare ordini alle Guardie Svizzere.
Mentre era a Roma aveva detto a Leonardo che non avrebbe esitato a scegliere Firenze rispetto a Girolamo, ma ora, tacendo su quelle informazioni, stava facendo proprio l’esatto opposto.
Prese dei lunghi respiri, cercando di farsi coraggio e lentamente si mise in piedi, con tutta l’intenzione di dirigersi al più presto dal Magnifico, quando il portone d’ingresso si aprì ed una Guardia della Notte entrò a lunghi passi.
A giudicare da quanto era in affanno, doveva aver cavalcato parecchio.
“Dove si trova il Magnifico?”, le chiese con un filo di voce, riprendendo fiato tra una parola e l’altra.
“Nel suo studio”, rispose prontamente lei, seguendolo sù per la scalinata. “Portate notizie di Giuliano?”, domandò nel mentre.
La Guardia si voltò verso di lei. “È vivo, mia signora”

***

Poco dopo....

“Dragonetti sta scortando Giuliano all’andatura che le sue ferite permettono”, spiegò la Guardia della Notte. “Vista l’entità del danno dovranno certamente fermarsi per la notte ed arrivare a Firenze domani mattina”
Lorenzo, dalla propria seduta, annuì. Il suo volto decisamente più disteso di qualche minuto prima. 
Anche Gentile Becchi, alle spalle del Magnifico pareva di umore migliore.
Elettra, invece, appoggiata allo stipite della porta aveva i lineamenti tesi e la testa altrove; aveva a malapena ascoltato le parole del messo, troppo concentrata a trovare un modo per tornare alla tenuta di campagna dei Pazzi per parlare con Girolamo senza apparire come una visita troppo sospetta.
“Mio fratello vi ha detto qualcosa?”, chiese Lorenzo.
“Ha rivelato al Capitano Dragonetti il nome dell’aggressore”, rispose la Guardia della Notte. “È stata Lucrezia Donati a ferirlo”
“Che cosa?”, disse Elettra di getto. Non si aspetta di certo una risposta di quel tipo.
“Pare che i banditi l’abbiano aggredita lungo la via e Giuliano e Bertino siano intervenuti in suo aiuto ma...”, la Guardia si fermò un attimo e si morse la lingua, come a trattenere un’imprecazione. “Sappiamo già come sono stati ricompensati”
“Oddio”, sfuggì dalle labbra del Magnifico. Il suo sguardo ferito attraversò involontariamente l’intero studio, fermandosi infine su di un cavalletto da disegno, ricoperto da un telo bianco: sotto ad esso, vi si trovava il ritratto della Donati che Da VInci stava dipingendo. “Toglietelo dalla mia vista”, ordinò a Becchi, con un tono che non ammetteva repliche.
Elettra osservò suo zio prendere il dipinto sotto braccio ed uscire a lunghi passi dalla stanza.
Anche la Guardia della Notte, probabilmente intimidita dal modo di fare di Lorenzo, non vedeva l’ora di andarsene; allo giovane sembrò quasi di sentire il sollievo dell’uomo quando il Magnifico lo congedò con un cenno della mano. Fece un inchino e sparì anch’egli oltre la porta.
La giovane studiò ancora per alcuni secondi Lorenzo: forse aveva trovato un modo per risolvere il proprio dilemma. 
L’uomo la guardò a sua volta con fare interrogativo, chiedendosi mentalmente perchè fosse ancora lì.
“Immagino vogliate informare Francesco Pazzi dell’accaduto”, disse lei.
Il volto del Magnifico non accennò a distendersi, restando con la fronte corrucciata e le labbra leggermente arricciate, invitandola così a proseguire.
“L’assenza di Giuliano al banchetto immagino sia stata interpretata dai Pazzi come un affronto, se fossero informati quanto prima dell’aggressione sono certa che la situazione si farebbe meno tesa”, concluse, piegando le labbra in un convincente sorriso.
Lorenzo annuì. “Manderò un messo con una lettera quanto prima”
“Potrei...”, affermò Elettra, con una punta di indecisione nella voce. “...potrei consegnarla io. L’attesa non è una delle mie doti, almeno avrò qualcosa da fare mentre aspettiamo Giuliano”
L’uomo di fronte a lei si voltò ad osservare la finestra, nuovamente pensieroso. “Dovrai promettermi che tornerai prima del tramonto, altrimenti chi lo sente Becchi?”
Quando tornò ad osservarla nei suoi occhi vi era un lampo di contagiosa ironia che fece ridere la giovane.
Elettra incrociò le dita della mano. In volto un’espressione simile a quella di una bambina. “Promesso”, disse, con voce infantile.
 
***

Villa Pazzi...

Girolamo Riario osservò soddisfatto la Guardia della Notte in piedi davanti a lui: l’aveva inviata il Capitano Dragonetti per mettere i congiurati al corrente del ritrovamento di Giuliano de Medici; gli aveva rivelato che era stata Lucrezia Donati a ferirlo e che, a dispetto del compito che aveva affidato ai suoi uomini, anche lei era viva. 
In fuga da tutto e da tutti. Ma pur sempre viva.
La Guardia lo aveva rassicurato che il più giovane dei fratelli Medici non sarebbe vissuto abbastanza da rivedere Firenze, ma il Conte non ne era pianamente convinto: vista la facilità con cui in una mattinata era naufragato un piano messo appunto da mesi e curato fin nei minimi dettagli, non era più certo di nulla.
Francesco Pazzi, anch’egli in piedi a pochi passi da lui, lo osservava con malcelata impazienza, in attesa di una qualche direttiva: Riario aveva più volte sottolineato l’importanza di uccidere i due fratelli quando erano insieme, ma ora si apprestava a dare il proprio consenso a Dragonetti, andando contro l’idea base del proprio piano.
Il Conte prese un lungo respiro, poi lentamente si tolse i propri occhiali da sole. “Alla messa di Pasqua”, disse, in tono di voce non dissimile dal sibilo di un serpente, in grado di far accapponare la pelle anche ai più temerari. Forse era riuscito ad intimidire anche sè stesso. “All’alba di domani avveleneremo Lorenzo nell’istante esatto in cui farà la santa comunione. Superando il Cardinal Orsini e le sue pie esitazioni sembrerà che Dio stesso abbia deciso di deporre il tiranno”, concluse, lasciando quasi senza parole Pazzi. Sorrise, soddisfatto del risultato, poi concentrò là propria attenzione sulla Guardia della Notte, impassibile nella propria pozione, ma che non potè fare a meno di irrigidire la postura quando si accorse di aver attirato su di sè lo sguardo del Conte. 
“Come vi chiamate?”, gli chiese.
“Capaldi”, rispose lui, seppur la sua voce non appariva sicura e decisa come quando aveva riferito il messaggio del Capitano.       
“Trovate Padre Bagnone e Padre Maffei, fate sii che preparino l’ostia per Lorenzo e sua moglie e tutte le loro figlie. Poi tornate da Dragonetti e verificate che Giuliano abbia incontrato la sua fine”
L’ordine pronunciato da Riario era stato riferito in modo freddo e spietato, troppo spietato perfino per una creatura che si credeva senza cuore come il Conte. Era una sentenza di morte: avrebbero avvelenato il Magnifico, mutilando così la stirpe dei Medici, ma non solo. La morte di Clarice poteva essere definita come un danno collaterale, la tragica fine della moglie devota che pur di non abbandonare il marito sceglie di morire con lui. Ma le figlie? Tre creature innocenti condannate in questo modo: era troppo perfino per Riario.
La Guardia della Notte restò per qualche istante in silenzio, lo sguardo basso, concentrato al suolo, a rammentarsi perchè lo stesse facendo, poi ricordò: aveva giurato fedeltà al Capitano Dragonetti e ai Guardiani della Notte, li avrebbe dovuti seguire, in ogni loro scelta. “Consideratelo fatto, Signore”, disse infine, congedandosi.
Il Conte lo osservò allontanarsi, poi si mise più comodo sulla panchina sulla quale era rimasto sempre seduto, accavallando le gambe. Pulì gli occhiali in un raffinato fazzoletto dai bordi di pizzo nero, dopodichè li indossò. “Tra qualche ora avremo in pugno Firenze”, commentò, osservando in volto Francesco Pazzi, che era rimasto insolitamente silenzioso per quasi tutto il colloquio.
L’uomo annuì, attento: appariva come intimorito dal proprio interlocutore. 
Dopo quello che aveva detto alla Guardia, Riario non era poi più di tanto stupito da quella reazione anzi, non era stupito affatto.
Prese dal basso tavolino al lato della seduta un calice di cristallo pieno per metà di vino rosso e lo portò lentamente alle labbra. Un rumore di passi sulla ghiaia del vialetto gli arrivò alle orecchie, portandola ad alzare nuovamente lo sguardo verso il porticato da qui l’uomo di Dragonetti era appena uscito; probabilmente quel giovane si era dimenticato di riferirgli qualche altro dettaglio e stava tornando appunto indietro. Con una punta di dispiacere per non aver indovinato, Girolamo osservò uno dei servi procedere a lunghi passi verso di loro.
“C’è qui un messo da parte di Lorenzo de Medici”, disse quest’ultimo dopo un profondo inchino, riprendendo fiato tra una parola e l’altra.
“Un messo?!”, sbottò Francesco Pazzi, in modo quasi isterico.
Il pover uomo annuì, terrorizzato dal tono di voce del proprio padrone, prima di voltarsi nella stessa direzione dalla quale era arrivato.
“Salve, signori”, disse una voce che sia Pazzi sia Girolamo conoscevano fin troppo bene. 
Elettra sorrise ad entrambi, mentre si avvicinava a lenti passi; portava tra le mani una lettera con impresso lo stemma mediceo.
“È una lettera di Lorenzo, nella quale espone ciò che è accaduto a Giuliano e si scusa per la sua assenza”, spiegò lei, passando la lettera a Pazzi. “Credo che ci siano scritte le stesse cose che vi sono state riferite dalla Guardia che è appena uscita dalla tenuta. È stato carino da parte di Dragonetti inviarne una anche da voi. Quell’uomo pensa sempre a tutto”
Se il suo sorriso appariva quello di sempre, con quella punta di ironia di cui Girolamo non riusciva più a fare a meno, quando lei si avvicinò non potè dire lo stesso del suo sguardo: c’era qualcosa in esso, che non lo convinceva appieno, una sfumatura di blu anomala. Che avesse ascoltato qualcosa del discorso di poco prima o che la Guardia della Notte si fosse lasciata sfuggire qualcosa?
La osservò attentamente negli occhi mentre il Pazzi era distratto a leggere la lettera del Magnifico. 
No, si convinse, non sarebbe stata quella la sua reazione...non sarebbe stata controllata come in quel momento. Doveva essere altro.
Francesco poggiò la lettera sul basso tavolino, studiando a sua volta i due; alla fine, non riuscendo ad attirare semplicemente così la loro attenzione, tossicchiò leggermente.
“Grazie per essere accorsa con tale tempestività, madonna”, disse, facendo mostra dell’ennesimo falso sorriso di circostanza. “E ringraziate anche Lorenzo per questo chiaro gesto d’amicizia”
Elettra fece un cenno di riverenza con il capo. “Sarà fatto”
Lo sguardo del Pazzi passò da lei a Riario più volte, prima di riprendere nuovamente la parola. “Vi conviene tornare al più presto a Firenze, presto farà buio. Sono certo che al Conte non dispiacerà accompagnarvi fino all’uscita”
“Sarà un vero piacere per me”, disse prontamente il diretto interessato, offrendo il proprio braccio alla giovane, che però lo accettò con un certo contegno.

 
***

Elettra non aveva detto una parola da quando si erano incamminati.
Avevano scelto la via più lunga per arrivare all’uscita, in modo da avere più tempo a disposizione per restare in compagnia. La strada era poco più che un sentiero in terra battuta che inizialmente correva parallelo al piccolo laghetto artificiale, per poi allontanarsi ed addentrarsi in una pineta.
Girolamo osservò attentamente la giovane, qualche passo davanti a lui: la sua postura appariva nervosa, le spalle tese e i sensi in massima allerta.
“Siamo soli, Elettra”, disse, rompendo così il surreale silenzio del bosco.
La ragazza arrestò la propria camminata, guardandosi intorno per accertarsi che dicesse la verità.
“Non ci può sentire nessuno”, ripetè lui, facendo qualche passo incerto verso di lei.
Se prima l’idea che ci fosse qualcosa che non andasse fosse solo un presentimento, ora ne era sempre più convinto.
“È successo qualcosa?”, chiese cauto.
“Invero, sì”, rispose lei, uscendo dal sentiero e poggiando una mano al primo albero che trovò. “Ci sono dei dettagli dell’aggressione a Giuliano che non mi tornano”
Girolamo la osservò chiedendosi mentalmente cosa Elettra sapesse o meno: le era stato riferito che era stata Lucrezia Donati a ferire il giovane de Medici o Lorenzo credeva si trattasse ancora di banditi? 
“Cosa non ti torna?”
La giovane portò una mano dietro alla schiena, estraendo qualcosa. “Questo...”, mormorò appena, conficcando il pugnale che aveva trovato addosso ad uno dei presunti banditi nella corteccia dell’albero.
Lo sguardo del Conte passò dal Sigillo Pontificio, che spiccava sulla lama dell’arma, agli occhi azzurri di lei: apparivano come mare in tempesta. Una tempesta in cui un capitano spera di non voler mai incappare perchè sa che il mare reclamerebbe la sua nave e la sua vita.
Restò in silenzio ad osservarla.
“Non...non hai niente da dirmi?”, disse lei, con un filo di voce.
“Niente...”
Elettra si staccò di scatto dall’albero, facendo alcuni passi tra il soffice terriccio formato dagli aghi di pino. “Certamente, ogni bandito porta un pugnale della Santa Romana Chiesa con sè”, sbottò, impregnando ogni singola parola di pungente sarcasmo.
Girolamo la osservò stupito, ma non osò aprire bocca.
“Voglio sapere come è andata veramente”, mormorò lei, dandogli le spalle e stringendo nervosamente le braccia sotto al seno. 
“Io...”, tentò di dire lui, tutt’altro che certo di raccontarle tutta la verità.
“Me lo devi, Girolamo”, lo interruppe lei.
L’uomo prese un lungo respiro. “Avevo mandato i miei uomini ad uccidere Lucrezia Donati, Giuliano de Medici deve essersi messo in mezzo per qualche motivo a me ignoto”. Avrebbe voluto aggiungere che lo considerava un incosciente, ma si trattenne dal dirlo apertamente.
“Volevano giustizia”, ribattè amara Elettra.
“Un corpo da esporre nella pubblica piazza non gli bastava?”
“Un processo, Girolamo. È in questo che consiste la giustizia: un processo nel quale anche l’accusato abbia comunque la possibilità di difendersi”. La sua voce appariva irritata dalla mentalità del Conte.
“Sarebbe morta comunque”, disse lui, in tono piatto, indifferente alle argomentazioni della giovane. Non doveva rendere conto a lei dei suoi ordini, Elettra questo avrebbe dovuto capirlo molto tempo prima.
“Ma dopo un giusto processo”, ribattè comunque lei.
Girolamo prese un lungo respiro: aveva creduto che dopo la tentata accusa di sodomia all’artista la questione circa le proprie mosse contro Firenze fosse acqua passata.
“Perchè volevi la tua spia morta? Che utilità poteva mai avere per te da morta?”, chiese lei, in un misto di perplessità e collera.
“I sentimenti verso l’artista l’avevano compromessa, non aveva più alcuna utilità per me”
Lo sguardo con cui Elettra lo osservò gli apparve offeso, immensamente deluso. “Non è più compromessa di quanto lo sia tu”, disse, in un tono di voce freddo, estraneo al suo solito calore.
“Io ragiono lucidamente”, ribattè immediatamente lui.
Le labbra della giovane si piegarono in un sarcastico sorriso, che aveva come unico intento quello di deriderlo. “Certo, ogni tua scelta in tutti questi mesi era volta unicamente al bene della tua carissima chiesa, non mi hai mai messa in primo piano”
Il Conte fece per aprire bocca, ma lei fu più veloce, continuando il proprio discorso. “L’arresto di mio zio, non ti dice niente? Togliere di mezzo il consigliere della Signoria sarebbe stato più che positivo per Roma: senza il suo braccio destro Lorenzo si sarebbe sentito perso, invece tu hai deciso di rischiare la tua reputazione pur di aiutarmi. Roma aveva bisogno di un’amante? O eri tu ad averne bisogno?”
“Eri pronta a tutto, avresti finito per metterti nei guai. Non potevo permetterlo”, rivelò lui con un filo di voce,  abbassando lo sguardo.
Per un istante l’espressione di Elettra parve addolcirsi, ma tornò immediatamente seria. “Non posso non notare una discrepanza tra quello che tu e i tuoi uomini potete fare. Tu non hai dei soldati  alle calcagna che vogliono ucciderti”
“Elettra...”, tentò o mormorare.
“Dovresti”, disse, facendo una breve  pausa per amplificare le sue successive parole, decisamente più pensati delle precedenti. “Oppure potresti andare direttamente alla fonte ed eliminare me. Chi mi potrebbe dare la certezza che non lo farai un giorno?”
“Non potrei mai nemmeno immaginare di farti del male”, mormorò lui.
“Farmi del male...”, ripetè le, sbuffando alla fine. “Ti sei mai fermato un istante a pensare alle conseguenze dei tuoi ordini? Alla gran quantità di persone che stai facendo soffrire?”. Elettra chiuse gli occhi e prese dei lunghi respiri per ricacciare indietro le lacrime che si stavano formando. Scosse la testa, amareggiata. “No, certo che no”, si rispose da sola, sarcastica. “Tu non hai mai pensato che le persone che fai uccidere potrebbero avere una famiglia: fratelli, sorelle, figli o genitori che piangono per loro”
“Se mi fermassi a quello non riuscirei più a fare il mio lavoro”, rispose Girolamo, serio. Dalla sua voce però traspariva una nota amara, di tristezza: lui non aveva mai potuto avere possibilità di scelta, quello era ciò che Sisto gli aveva imposto. Ed era l’unica cosa che sapeva fare.
“Cosa...cosa dovrei dire io ora ai genitori di Bertino?”, mormorò Elettra, lasciandosi scappare oltre alle lacrime anche alcuni singhiozzi.
Girolamo non ce la faceva a vederla in quello stato e, dopo alcuni istanti di tentennamento, la raggiunse a grandi passi, stringendola in una morsa decisa ma tenera allo stesso tempo. Le accarezzò più volte la schiena per tutta la sua lunghezza, fino a quando non la sentì smettere di tremare e singhiozzare.  “Era il suo lavoro, Elettra, sapeva quali erano i rischi”, sussurrò a pochissima distanza tra le sue labbra, prendendole in viso tra le mani e asciugandole delicatamente le guance umide di lacrime con i pollici.
Elettra lo guardò con i suoi grandi occhi azzurri, che in quel momento non apparivano più ricolmi di una rabbia trattenuta a stento, ma solo portatori di una tristezza immensa. “Promettimi..”, mormorò, prima di essere costretta a fare una pausa per controllare la propria voce, che appariva più tremolante del solito. “Promettimi che non farai più nulla del genere, che non darai più ordini del genere, che non ucciderai più nessuno”
A quelle parole Girolamo ruppe il contatto che si era creato tra i loro occhi: la sua mente era andata lontana, al giorno dopo, a quello che sarebbe successo nel Duomo fiorentino. 
No, non poteva farlo.
“Promettimelo”, ripetè lei. “Promettimelo guardandomi negli occhi”
La giovane prese il suo viso tra le mani, costringendolo ad osservarla.
Saranno stati quello occhi, quello sguardo ricolmo di tristezza al quale non si poteva dire di no, ma le parole gli uscirò dalla bocca come dotate di una vita propria.
“Lo prometto”, disse con un filo di voce.


Nda
Salve a tutti :D
Rieccomi qui dopo tanto tempo con il capitolo numero -2. Ancora poco e L'Altra Gemella sarà conclusa 
Ho appena iniziato l'università e sono un po' sempre di fretta, ma cercherò di postare gli ultimi due a breve, promessso :) 
Un saluto e alla prossima 
   
 
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