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Autore: KiarettaScrittrice92    04/11/2016    5 recensioni
Dopo la conclusione della prima stagione, mi sono finalmente decisa a scrivere e pubblicare la mia prima long su questo fandom...
Avviso che ovviamente se mai la serie continuerà la mia storia non avrà più nulla a che fare con gli avvenimenti che accadranno dopo la comparsa di Volpina.
Questa storia perciò la potete considerare come un seguito alternativo che mi sono immaginata io, oppure semplicemente come una fic in più da leggere che spero vi emozionerà.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Makohon Saga'
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La mamma

«Allora?» chiese l'italiana di fianco a lui, con tono impaziente.
«Sì... È decisamente il Miraculous del Pavone. – sentenziò l'anziano continuando a rigirarsi il cimelio tra le mani – Perciò era nella cassaforte di tuo padre?» chiese poi volgendosi verso di lui, facendolo sobbalzare, dopodiché annuì mesto.
«Maestro Fu, ha qualche spiegazione del come sia finito lì?» chiese Ladybug che era al suo fianco, dal lato opposto di dove stava Volpina.
«Beh, io credevo fosse andato perduto, ma ciò non vuol dire che mi stupisce il fatto che fosse in casa Agreste...» rispose con tono tranquillo, porgendo la spilla a forma di coda di pavone al suo kwami che l'andò a posizionare dentro lo scrigno.
«Perché? Cosa c'entra con la mia famiglia?» chiese di getto.
Per quale motivo si sentiva così nervoso? Era strano, come se percepisse l'arrivo di una tempesta, come se sapesse già che qualcosa dopo quella spiegazione sarebbe cambiata, che qualcosa l'avrebbe scosso nel profondo, scombussolandogli completamente la vita, allo stesso modo o ancora di più di come era stata scombussolata con l'arrivo di Plagg.
«Perché apparteneva a Monique Boyer...»
Ed eccola la verità sconvolgente, quel semplice nome arrivò alle sue orecchie come un treno investendogli il cervello e mandandolo completamente confusione.
«Mamma...» disse a mezza voce mentre percepiva le tre eroine voltare i loro sguardi su di lui, il suo sguardo felino, però, era ancora fisso sul maestro.
«Una ragazza intraprendente tua madre. – continuò lui, dopo poco – Aveva solo diciannove anni quando venne da me: aveva studiato da anni i Miraculous e la loro creazione, quando arrivò qui conosceva già molto, molto di più di quanto avete scoperto voi due. – disse volgendosi alle due neo-eroine – Mi chiese di darle un potere per intraprendere il viaggio verso il luogo in cui sono nati i Miraculous e i kwami...»
«Il Tibet.» disse d'impulso lui, ricordandosi la guida nella cassaforte di suo padre.
«Esatto.» rispose l'anziano.
«E lei gliel'ha dato?» chiese stupita l'eroina arancione.
«Come d'altronde l'ho dato a voi due, cara signorina Rossi.» le disse con un tono tra l'ironico e l'affettuoso.
«Ed è riuscita a scoprire qualcosa?» questa volta era stata JBee a parlare.
«Oh sì... Rimase in Tibet un anno intero e quando tornò aveva scoperto molto. Aveva appena vent'anni quando conobbe tuo padre, Adrien. – continuò, rivolgendosi di nuovo a lui – Si conobbero all'università, facendo lo stesso corso di moda all'Istituto Marangoni e già alla fine dell'anno universitario si sposarono, c'ero anche io quel giorno. Tua madre aveva dedicato un posto speciale nella sua vita per me, mi considerava come un'amico e non l'ho mai ringraziata abbastanza, persino quando nascesti tu, ti portò qui. Ti voleva molte bene, non hai idea della gioia che vedevo nei suoi occhi quando ti teneva in braccio, era come se avesse tra le mani la sua stessa vita.»
Sentì le lacrime pungergli gli occhi ed uscire imperterrite scivolando sulla maschera e poi sulle guance, subito dopo sentì il toccò leggero della mano di Ladybug che si poggiava sul suo pugno chiuso e lui d'istinto senza nemmeno pensarci, voltò il palmo verso di essa e gliela strinse. Intanto il maestro Fu, continuava il suo discorso.
«Cinque anni fa, venne da me dicendo che aveva scoperto il vero segreto dei Miraculous e che sarebbe tornata in Tibet per dare le ultime conferme alle sue ipotesi. Non seppi mai se partì con il monile del pavone o no, ma da quel giorno nessuno la vide più. I giornali parlarono per mesi dello scandalo: di come Monique Agreste avesse lasciato figlio e marito per partire chissà dove, di come la compagnia Agreste avesse perso una delle sue migliori modelle. Credo che nessuno abbia più saputo nulla di lei da allora, penso che nemmeno tuo padre seppe perché se n'era andata.» concluse l'uomo guardandolo con affetto.
Si sbagliava, suo padre sapeva, sapeva tutto, altrimenti per quale motivo teneva una guida del Tibet assieme alla foto di sua madre e al suo Miraculous? Lui sapeva tutto e non gli aveva detto niente facendogli credere che sua madre l'avesse abbandonato, che se ne fosse andata perché non stava più bene con loro. Invece, non era così: lei se n'era andata per uno scopo più grande e se non era tornata voleva dire che qualcosa l'aveva trattenuta lì, ma cosa?

 

Stava seduta sulla sedia girevole in pelle bianca che stava davanti al maxi schermo della sua stanza, mentre lo continuava a fissare: era sdraiato sul letto, immobile. Più volte aveva tentato di rivolgergli la parola, di spronarlo a sfogarsi, a parlare, ma nulla. Tutto quello che diceva o era inutile o le sembrava talmente banale che avrebbe preferito non dirlo.
Lo vedeva lì, inespressivo, pensieroso, sapeva esattamente cosa gli stava passando per la testa: probabilmente erano le stesse cose che passano in testa a lei, con la particolarità che era lui che aveva perso una madre, era lui che aveva scoperto la verità ed era lui che aveva un padre che gli stava nascondendo qualcosa.
«Ora basta moccioso! Sei ridicolo!» lo rimproverò il piccolo gatto nero, mollando il suo triangolino di camembert sulla scrivania e iniziando a volare verso il suo padrone.
«Plagg...!» lo rimproverò la kwami rossa cercando d'inseguirlo.
«No Tikki... – disse irritato il felino, voltandosi verso la sua simile – È assurdo che si comporti così.»
«È soltanto scosso, lascialo stare, gli passerà.»
«Senti lo conosco meglio di chiunque altro qua dentro, è da quasi un anno che sopporto le sue paranoie e sono stufo di vederlo comportarsi come un'automa appena c'è un problema...» a quell'ultima protesta del kwami nero, ad Adrien scappò un verso stizzito, tra il riso ironico e il sospiro.
Marinette si voltò di nuovo verso di lui e lo vide mettersi seduto.
«Adrien stai bene?» chiese nuovamente, cercando di essere gentile, non sapeva nemmeno se avvicinarsi a lui.
«Ho la domanda del giorno Marinette...» disse con tono piatto continuando a fissare le sue ginocchia.
«Eh...? Sì... D-dimmi...» rispose lei presa alla sprovvista.
«Cosa ti ha spinto a fidarti di Tikki e diventare una super eroina?» chiese.
A quella domanda rimase paralizzata: nella sua testa tornò il terrore di ciò che aveva combinato la prima volta che aveva indossato gli orecchini, di come si era arresa e di come avrebbe voluto lasciare il suo Miraculous ad Alya.
«Io... Ero terrorizzata...» disse, e subito vide gli occhi verde smeraldo posarsi su di lei stupiti.
Rimase qualche secondo in silenzio, sentendo il calore inondarle le guance a quello sguardo profondo che sembrava sondarle l'anima, come volesse chiederle perché, senza usare le parole.
«Sono sempre stata maldestra, impacciata... Ero sicura di non avere la stoffa dell'eroina. Poi, dopo il danno che ho fatto con Ivan e Cuore di Pietra, mi sembrava di aver avuto la conferma, nonostante Tikki m'incoraggiasse, avevo paura di deluderla di nuovo e il giorno stesso mi tolsi gli orecchini, convinta che non li avrei più indossati...»
«Cosa?!» il ragazzo sembrava sempre più sconvolto.
Imperterrita, ignorò lo stupore del giovane modello e continuò il suo racconto, tenendo però gli occhi bassi.
«Volevo darli ad Alya... Lei era sempre così entusiasta dei super eroi che sicuramente avrebbe fatto un lavoro migliore del mio... Anche quando tornai ad essere Ladybug, ci tornai solo perché vedevo te ed Alya in pericolo, ma non ero convinta di quel che facevo... Non era la fiducia in Tikki quella che mi mancava, ma la fiducia in me... Eppure...» si bloccò, non sapendo se continuare o no.
«Eppure...?» chiese il biondo sempre più curioso, girandosi con tutto il corpo verso la scrivania, ma rimanendo sul letto, con le gambe incrociate.
«Eppure... Quello stesso giorno, dopo l'ennesima frecciata da parte del capitano Roger che mi ricordò di aver combinato solo danni... Qualcuno mi sostenne.»

 

La vide alzare lo sguardo verso di lui, uno sguardo mostruosamente espressivo, talmente penetrante che per un attimo gli sembrò che il suo cuore si fosse fermato, per poi cominciare a battere all'impazzata.
«Un micio pieno di sé, ma mostruosamente leale, mi mise le mani sulle spalle e mi disse che ce l'avremmo fatta e che mi dovevo fidare di lui...» continuò, mentre si alzava dalla sedia e si avvicinava al letto.
Si mise di fianco a lui, per poi poggiare la testa sul suo petto. Lui era completamente in stato confusionale, non si aspettava davvero una risposta del genere. Aveva fatto quella domanda perché in quel momento si sentiva un'idiota, incapace di fare qualsiasi cosa, incapace di ritrovare sua madre, incapace di comprendere le menzogne di suo padre, incapace di sopportare i rimproveri del suo kwami. Voleva sentirsi compreso, voleva sentirsi dire dalla sua lady coraggiosa che lei non aveva mai avuto paura, che come lui appena scoperta la possibilità di dare una svolta alla sua vita e al mondo, si era buttata a capofitto nell'avventura: elettrizzata dai suoi nuovi poteri, invece non era così.
Aveva completamente rimosso quell'episodio, si ricordava dei momenti in cui la vedeva bella e decisa, ma si era dimenticato di quel momento di sconforto in cui stava per arrendersi proprio davanti a lui.
«... e da quel giorno mi fidai di lui... Sempre...» concluse lei accucciandosi di più sul suo petto, facendogli spuntare un leggero sorriso, subito dopo azlò la mano per accarezzarle i capelli.
«Continua a farlo coccinellina. Ti giuro che finché ti fiderai di me, nessuno potrà mai farti del male e saremo imbattibili.» disse, finalmente di nuovo sollevato.
La gioia però durò davvero pochi secondi perché all'improvviso Nathalie sbucò dall'angolo, chiamandolo e facendo sobbalzare entrambi.
«Signorino Adrien, mi duole disturbarla, ma suo padre vuole parlarle.» disse guardando con aria insospettita e un po' superiore la ragazza, ancora tra le sue braccia.
«Oh, sì... Subito. – disse staccandosi dalla corvina e tirandosi su – Torno subito...» concluse poi, dandole un lieve bacio sulla fronte e vedendola arrossire, dopodiché seguì la segretaria fuori dalla sua stessa camera, che lo condusse nella sala da pranzo.
Suo padre era seduto al tavolo, con di fronte parecchi book fotografici e riviste. Lavorava spesso in sala da pranzo, quando doveva visionare gli abiti, diceva che c'era più luce e che riusciva ad abbinare meglio i colori.
«Volevi vedermi papà?» chiese il biondo attirando l'attenzione del padre.
Lo vide alzare lo sguardo e rimanere solo per qualche secondo in silenzio, poi parlò e in un attimo il mondo gli crollò di nuovo addosso.
«Hai aperto la cassaforte nel mio ufficio, Adrien?»
Non seppe cosa rispondere, si voltò verso Nathalie, ma era impassibile, tornò di nuovo verso suo padre e il suo sguardo severo di ghiaccio lo colpì come un pugno in faccia.
«Io...» iniziò, ma nessun'altra parola uscì dalla sua bocca.
«Adrien rispondi!» lo rimproverò di nuovo suo padre alzando la voce.
All'improvviso sentì la rabbia percorrergli tutto il corpo fino ad arrivare alla bocca e uscire, ma non con tono alto e furioso, piuttosto indignato e deluso.
«Sì, l'ho fatto... E lo rifarei... Da quando è sparita mamma non ne hai più voluto parlare, ma io ne ho bisogno... Sapere di lei, sentirne parlare, mi fa star bene... Non riesci proprio a capirlo?»
«Dove sono il libro e la spilla?» chiese nuovamente suo padre, come se non avesse sentito nulla di quello che aveva appena detto.
«Ma mi hai sentito?» protestò irritato da quel comportamento, ma si pentì subito della sua sfrontatezza, a suo padre bastò sbattere la mano sul tavolo per far sobbalzare, sia lui che la segretaria.
«Adrien dove sono le cose che erano in cassaforte?»
E adesso? Cosa doveva rispondere? Non poteva certo dire che entrambi gli oggetti erano dal maestro Fu. Suo padre poteva sapere, come poteva non sapere di cosa era seriamente accaduto a sua madre e di cosa rappresentassero quel libro e quella spilla: in entrambi i casi non poteva certo rivelargli la verità.

  
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