Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: Afterthestorm93    06/11/2016    0 recensioni
Estratti della storia:
~ Era senza dubbio il ragazzo più bello che avessi mai visto.
~ Mi fiondai a piedi scalzi in camera sua, inciampando e colpendo mobili più volte.
Spalancai la porta, e lo stato in cui si trovava il ragazzo mi fece rabbrividire.
~ "Non ti abbandonerò Justin, te lo prometto. Per nulla al mondo. Tu ce la farai, devi farcela"
~ "Voglio fare l'amore con te Meg, voglio farlo ora".
Quella frase mi uscì di getto, ma era realmente quello che desideravo di più in quel momento.
~ Devo dirglielo. O oggi, o mai più. È già passato un mese, non posso aspettare oltre o se ne accorgerà da solo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sveglia mi stava implorando di alzarmi. Era già la quarta volta che suonava e la terza che la spegnevo con un colpo di mano.
Dopo qualche mugolio e svariati sbadigli, mi alzai dal mio comodo letto matrimoniale e mi diressi verso la cucina. 
La mia casa non era nulla di che, una semplice abitazione su un piano per una ragazza universitaria lontana dalla sua famiglia. Ebbene si, vivevo da sola. I miei li avevo lasciati a New York, il mio paese natale. Per poter studiare sociologia e psicologia, materie fondamentali per diventare assistente sociale, mi ero dovuta trasferire a Boston, accompagnata soltanto dalla mia Ford e da due valige. 

Mi preparai una tazza di yogurt bianco e müesli con fiocchi di cioccolato fondente che divorai in cinque/sei cucchiaiate. La sera prima non avevo mangiato granchè. Sistemai tutto nel lavandino e corsi in bagno a lavarmi e cambiarmi. Indossai un outfit comodo, giusto per stare ore e ore seduta ad un tavolo. Maglioncino bianco con scollo a V, jeans chiari, stivaletti beige e tracolla in cuoio con dentro tutti i miei libri.

Sulla strada che portava alla facoltà, ascoltai la musica sulla mia stazione radio preferita. 
Un quarto d'ora dopo, parcheggiai l'auto nel vasto spazio apposito e, a grandi falcate, imboccai il viale che conduceva all'entrata principale.
Appena in tempo Margaret.
Già, perché nello stesso momento in cui entrai io, entrò anche il professore di Scienze Sociali, Ramirez. 
"Buongiorno ragazzi, oggi come sapete, vi dirò ad uno ad uno dove inizierete il vostro tirocinio" 
Non stavo più nella pelle, il mio sogno di lavorare insieme ai bisognosi si stava finalmente realizzando. 
Ero talmente elettrizzata, che quando chiamò il mio cognome non me ne accorsi nemmeno, tanto ero presa a immaginare il primo giorno di lavoro. Chissà dove sarei finita. In un ospizio? O magari in un orfanotrofio? O forse...
"Price? Margaret Price?" tuonò la voce di Ramirez.
"Si, sono qui mi scusi" sussurrai timidamente alzando la mano. Mi alzai e mi avvicinai alla cattedra, tremante ed agitata, per ritirare i fogli con tutte le indicazioni. 
"In bocca al lupo signorina Price, la situazione che le è stata affidata non è delle più semplici" bisbigliò l'uomo di fronte a me, più a se stesso che alla sottoscritta. 
E dopo questa affermazione, devo dire che il mio entusiasmo scese sotto terra. 

Cercai di non pensare a quelle parole nelle ore seguenti; non valeva la pena agitarsi, dopo tutto era il lavoro che desideravo fare e sapevo bene che nessuna situazione sarebbe stata facile, altrimenti a cosa servivano gli assistenti sociali?

Mezzogiorno arrivò dopo ore che sembrarono mesi. Andai in cortile intenta a cercare una panchina libera, e non al sole, per poter gustare l'insalata di riso che avevo preparato la sera precedente. Non trovandola, mi misi seduta sotto un enorme cigliegio in fiore. 
Approfittai di quel momento di pausa per sfogliare le documentazioni per il tirocinio.
"22, Rosemunde Road" 
Non avevo idea di dove fosse, così decisi che, alla fine delle lezioni, sarei passata a dare un' occhiata per non rischiare di perdermi il primo giorno. 
Così, terminata l'ultima ora e recuperata la macchina, impostai il navigatore e mi diressi verso la mia meta. 
La strada che la voce meccanica mi suggeriva di percorrere, era tutta dossi e buche, tant'è che quando costeggiai immensi campi di girasoli e granoturco, pensai di aver sbagliato direzione. Stavo per imprecare e fare una folle e proibita inversione a U, quando il navigatore mi segnalò l'arrivo con una bandierina rossa a 200 metri di distanza. Proseguii quindi lentamente fino alla destinazione e arrestai l'autovettura. 
Ciò che mi si parava davanti era un'enorme villa coloniale. Impossibile fosse il posto giusto. 
Scesi dall'abitacolo per controllare se almeno la via fosse quella indicata sulla documentazione. Su di un palo, a pochi metri di distanza, si innalzava la targa che confermava il mio dubbio. Tornai indietro e notai che anche il numero civico, posto accanto al cancello, era esatto. 
Dunque, il mio "sfortunato paziente" era un riccone sfondato. 


   
 
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