3.
L'anniversario (parte1)
Fort Kent, Maine; Maggio 2016
Entrò
nel Rabbit Hole
guardandosi subito intorno nella speranza di trovare Elsa, nel caso
fosse già arrivata. Avrebbe dovuto memorizzare il suo numero
in
rubrica, stupida Swan. L'interno del locale era più piccolo
di
quello che si aspettava, le luci erano basse, la musica era mandata
da due casse poste in due angoli opposti della sala, il volume
permetteva di godersi qualsiasi canzone e allo stesso tempo di
chiacchierare con il proprio vicino. Notò anche degli
strumenti e
una specie di palchetto, immaginò che venissero organizzate
anche
delle serate a tema in cui suonava qualche band o qualcosa del
genere. I tavoli erano quasi tutti pieni ma non riusciva a vedere
bene tutte le persone sedute, osservò meglio il bancone
notando
subito due baristi che servivano le poche persone che avevano scelto
di passare la serata su quegli sgabelli così scomodi.
Emma smise subito di ispezionare
quel posto con lo sguardo, interrotta da un'esuberante brunetta che
le si parò davanti così all'improvviso che quasi
non se ne accorse.
«Buonasera e benvenuta al Rabbit Hole! Sei nuova in
città, vero?
Hai ordinato un tavolo?» Quasi non prese fiato. Emma la
guardò con
gli occhi aperti senza nascondere un'espressione smarrita.
Pensò che
indossasse dei pattini al posto delle scarpe, facevano molto stile
anni 50 era vero, ma era stata così veloce che concluse
fosse
l'unica spiegazione. Abbassò velocemente gli occhi,
addirittura,
tanto per accertarsene ma, no, la ragazza era stata semplicemente
molto rapida a venirle incontro.
«Come l'hai capito?» Le
domandò come prima cosa, incrociando le braccia davanti al
petto con
fare indagatore. Era una posa e un modo di fare che si portava dietro
dall'infanzia, difficile separarsene o anche solo controllarlo.
«Comunque no, non credo almeno», non credo? Ma che
cavolo di
risposta era? «ho un appuntamento con una...»,
persona conosciuta
solo qualche giorno fa e con la quale avrò scambiato neanche
sette
battute? «amica, mi ha detto che mi avrebbe aspettato
dentro».
La bruna si aprì in un sorriso
smagliante, così da mostrare una dentatura da far invidia a
qualsiasi modella che si vedeva nelle pubblicità dei
dentifrici.
Sembrava quasi divertita. «Questa è una piccola
cittadina», rise
lei per tutta risposta «lavorando nel suo locale
più importante,
per anni, finisci di conoscere più o meno tutti i suoi
abitanti.
Dimmi, come si chiama questa tua amica? Ho accolto io tutto i
clienti, questa sera, se è già arrivata
l'avrò sicuramente già
vista.» Sembrava sinceramente cortese e pronta ad aiutare,
mentre
passava il piccolo vassoio nero dal braccio destro a quello sinistro,
posando quindi la mano libera sul medesimo fianco.
«Elsa,» rispose la bionda,
speranzosa «Elsa Sleety *».
Il sorriso
dell'altra si ingrandì maggiormente, cosa che Emma non
credeva
minimamente possibile e annuì con il capo, prima di girarsi
veloce
verso la sua sinistra, facendo svolazzare così i lunghi
capelli, dai
quali risaltava un nastro di colore rosso acceso.
«Ma certo, Elsa! Andavo in
classe con sua sorella Anna, sai? E' una brava ragazza, tutte e due
lo sono, anche se è un po' chiusa e solitaria... Elsa, dico,
non
Anna, Anna è completamente l'opposto: esuberante e
chiacchierona»,
come qualcun altro, qui, si ritrovò a pensare la giovane
Swan,
accennando appena un sorriso. «E' arrivata pochi minuti fa,
comunque. Solito tavolo, in fondo a destra», mi
indicò il tavolo –
anche se la ragazza continuava a rimanere nascosta dagli altri
clienti – neanche le avesse chiesto un indicazione stradale,
prima
di tornare a guardarla e a rivolgerle l'ennesimo sorriso «a
proposito, io sono Ruby, benvenuta a Fort Kent, miss...?»
«Swan, Emma», le due ragazze
si strinsero cordialmente la mano, prima che la nuova arrivata la
lasciasse ai suoi clienti, diretta dalla sua nuova conoscenza
«grazie
mille, Ruby.» Dopo soli pochi passi, fu già
più semplice trovare
Elsa, che stava digitando qualcosa sul suo telefono, probabilmente un
messaggio, con la testa poggiata tranquilla sul dorso della sua mano.
Aveva i capelli raccolti in uno chignon basso e appena spettinato,
indossava un top blu monospalla e dei pantaloni neri, nessuno strappo
come ormai andava di moda tra le ragazze – ed Emma
apprezzò
immensamente quella mancanza.
«Ciao Elsa!» La salutò subito
Emma, posando la borsa sopra una delle tre sedie vuote e sedendosi
sopra un'altra, quella situata davanti la ragazza «Perdona il
ritardo», mormorò dopo, guardandosi intorno in
cerca di Ruby, o di
un altro cameriere così da ordinare da bere. Qualcosa di
fresco
magari, visto che nel locale si moriva di caldo.
Elsa aveva già incurvato gli
angoli della bocca verso l'alto, vedendola arrivare, e si era
affrettata a chiudere la conversazione con sua sorella, Emma non
aveva intenzione di curiosare nei suoi affari, ma era riuscita a
leggere il nome sullo schermo, prima che l'altra chiudesse la
finestra dei messaggi. «Oh no, Emma, tranquilla»,
esclamò questa,
riponendo il cellulare nella borsa, color argento che sicuramente non
passava inosservata, che teneva attaccata allo schienale della sua
sedia «sono arrivata da poco anche io, non preoccuparti. E'
stato
difficile trovare il posto?» Scosse appena la testa, posando
i
gomiti sul tavolo.
Parlarono
per una buona oretta e mezza, senza interruzioni o pause
imbarazzanti. Elsa sapeva fare le giuste domande, soddisfacendo la
propria curiosità ma senza essere inopportuna o entrare
troppo nella
vita privata di Emma. L'altra rispondeva spontaneamente, ricambiando
le sue domande o facendone di nuove. Elsa, scoprì, era nata
nel Maine, ma aveva poi passato la sua adolescenza in Canada, nel Québec, per motivi di lavoro dei genitori. Le
raccontò del freddo, davvero pungente una volta arrivata,
quando
aveva solo tredici anni, e che poi aveva imparato ad amare e ad
apprezzare. Emma rise tra sé, trovando buffo l'accostamento
tra il
suo cognome e il clima che tanto amava. Una volta grande, aveva
ottenuto una borsa di studio dalla prestigiosa università di
Princeton,
era quindi tornata negli USA e lì vi era rimasta. Si era
laureata in
economia e, adesso, viveva a Fort Kent, lavorando come assistente del
sindaco. Sua madre e sua sorella erano rimaste in Canada e le vedeva
raramente.
Emma
aveva ascoltato la ragazza sinceramente interessata, fino a quando un
tono di voce piuttosto brusco non interruppe il clima di
ilarità di
gran parte della sala, e fece sobbalzare i presenti più
vicini al
suo proprietario. «Cerchi rogne, amico?» Anche Emma
e Elsa si
voltarono, quasi in sincronia, per vedere cosa stava succedendo. Alle
spalle di quest'ultima, a qualche metro di distanza, si trovavano una
ragazza piuttosto minuta, di lei potevano notare solamente i capelli,
rosso fiamma, perché era girata dall'altra parte, ma non
era,
comunque, l'attrazione principale della scena. Un uomo basso e
robusto, calvo, dagli occhi scavati che trasudavano di stanchezza e
da una barba piuttosto folta, più grigia che nera, e
punteggiata da
un po' di bianco qua e là, fronteggiava una delle ultime
conoscenze
della giovane Swan.
Killian
Jones, il nome dell'uomo le scattò in automatico nella
mente, le
sembrò piuttosto alticcio e visibilmente infastidito. Era
stato lui
a inveire, poco prima, l'altro sembrava tranquillo, rosso in viso ma
tranquillo, forse provava a trattenersi. «Ehy, fratello,
rilassati.
Ti ho solo detto di spostare l'auto, intralcia l'ingresso»,
ribatté
quello, stringendo appena i pugni. Elsa volse la testa verso Emma e
la guardò preoccupata, ma l'altra non la notò,
impegnata com'era a
seguire la discussione, non per farsi gli affari loro, ma per
intervenire se necessario.
«E io ti ho già detto di
andare al diavolo!» Esclamò Jones, prendendolo in
giro con
un'espressione irriverente sul volto «E poi sei dentro, no?
Se
avesse ostruito l'ingresso non saresti riuscito ad entrare»,
allargò
le braccia con fare ovvio e un sorriso sfacciato, in seguito gli
diede completamente le spalle e, seppur rivolgendosi ancora lui,
tornò a guardare la ragazza profondamente «stavo
conversando con
questa splendida creatura, se non te ne fossi accorto.»
«No, me ne stavo andando via»,
affermò lei risoluta, passò davanti ad entrambi e
si avviò verso
l'uscita. Emma non riusciva a staccare gli occhi di dosso da quei
tre, Elsa aveva capito che non sarebbe riuscita a distrarla per
nessun motivo al mondo, così anche lei tornò ad
osservarli,
lanciando poi delle veloci occhiate alla sua nuova amica.
«Ecco, vedi Leroy? Sei riuscito
a infastidire anche lei!» Così dicendo, Killian
Jones prese ad
incamminarsi verso la rossa, barcollando a vista d'occhio. Vedendo
che Leroy non aveva la minima intenzione di impicciarsi oltre, Emma
scattò in piedi, pronta a raggiungere i due che avevano
quasi
raggiunto l'uscita. Ormai nessuno prestava loro molta attenzione.
Elsa, invece, afferrò di scatto
il polso destro della bionda con entrambe le mani, mormorandole un
soffocato «Emma, no!». Emma non la
guardò nemmeno, sentiva guai
nell'aria, quell'uomo non le era piaciuto da sobrio, figuriamoci se
le sarebbe piaciuto da ubriaco! I clienti erano tornati a farsi gli
affari propri e a lei questa cosa non andava giù, odiava
l'indifferenza della gente. Scrollò appena il polso, Elsa
lasciò la
presa scoraggiata e sospirò. Emma raggiunse i due quel tanto
che
bastava ad ascoltare ciò che si dicevano, ma non intervenne
subito.
Elsa, alla fine, si alzò anche lei e raggiunse la donna,
restando
qualche passo più indietro.
«Andiamo Sirenetta,
l'altra volta ti era piaciuto», sentirono
l'uomo, che con
fare sornione si era avvicinando alla ragazza, credendo di risultare
affascinante «casa mia è qui vicino, ma questo lo
sai già»,
sorrise divertito, prima di inumidirsi le labbra e avvicinarsi
maggiormente alla ragazza. Questa volse appena il capo, simulando
un'espressione disgustata, probabilmente per via dell'alito del suo
interlocutore.
«L'altra volta non eri ubriaco,
Jones», ribatté questa, con una calma che Emma le
invidiò.
Sembrava sapere quello che facesse, sembrava conoscerlo e, a dirla
tutta, sembrava anche attratta da quell'uomo, ma era sempre risoluta
a non accontentarlo, quella volta, non con lui in quelle condizioni.
Non sembrava avercela con lui, la Swan si domandò che
problemi
avesse quella ragazza, lei avrebbe già dato di matto, si
disse. «Non
ho intenzione di venire a casa tua.»
L'uomo rise, visibilmente
divertito da quello che era appena stato affermato
«Oh», partì,
pronto a colpire in pieno la sua compagna «ma l'altra volta
lo hai
fatto eccome. E più volte, devo dire», concluse
allusivo e con una
sfacciataggine tale da disgustare completamente Emma, come se
già il
loro primo incontro non fosse stato abbastanza. Elsa, invece, alle
sue spalle, restava impassibile e silenziosa, l'altra neanche si era
accorta della sua presenza.
Anche la rossa apparve
disgustata da quella affermazione, anzi, infastidita più che
altro.
Roteò gli occhi verso l'alto e girò i tacchi,
decisa a lasciarlo lì
senza nemmeno concedergli una replica. Killian, però, le
prese la
mano di getto, neanche si accorse di quello che aveva fatto o,
comunque, neanche ebbe il tempo di accorgersene, dato che Emma non ci
aveva visto più, gli aveva messo una mano sulla spalla e con
un
«Ehy» lo aveva richiamato affinché lui
si girasse. Non appena,
questi, ebbe girato completamente il capo nella sua direzione, mossa
da una sorta di solidarietà femminile, o forse dall'immensa
voglia
che aveva di colpirlo fin da quando l'aveva palpata qualche giorno
prima, gli tirò un pugno in pieno volto. Elsa
strillò, la rossa
trattenne il respiro, Jones aveva ancora addosso un'espressione
più
che confusa, che presto si tramutò in una stordita. Cadde a
terra
svenuto, le tre donne lo osservarono neanche fosse la scena al
rallenty di un film. «Wow, non credevo di averlo colpito
tanto forte
da spedirlo al tappeto», commentò la bionda, la
mano ancora ferma a
mezz'aria, aperta però, il viso contratto in uno sguardo
sorpreso.
«Colpa dell'alcol», commentò
la ragazza dai capelli rossi, che nel frattempo si era chinata verso
Jones «sarebbe crollato da un momento all'altro»,
aggiunse poco
dopo, prima di voltarsi, seguita da Emma e Elsa, verso Ruby e altri
due camerieri che erano subito accorsi a vedere cosa stava
succedendo.
«Non l'ho mai visto così
ubriaco», commentò a bassa voce Ruby, mentre gli
altri provavano a
svegliare l'uomo, invano tra l'altro. «E' inutile ragazzi, ne
avrà
per un bel po'», fece poi, mordendosi un labbro forse non
sapendo
come risolvere la questione o cosa farne di lui, visto che non le
sembrava fosse entrato accompagnato nel locale. Decise allora di
spostarlo da lì e di portarlo nell'ufficio del loro capo
che,
fortunatamente, non si trovava in sede per una volta tanto.
Invitò i
clienti a tornare a gustarsi la loro serata, scusandosi per quanto
accaduto, dopo di che si allontanò in direzione
dell'ufficio. Emma
li seguì, dopotutto era in parte responsabile, ed Elsa le
andò
dietro, non potendo sopportare un secondo di più gli sguardi
curiosi
della gente che parlottava tra loro. «Solitamente se ne
occupa
David...», sembrava stesse solamente riflettendo ad alta
voce, ma
Emma non poté fare a meno di ascoltarla e chiederle curiosa
«David?»
Ruby si voltò a guardarla con occhi aperti e sopracciglia
alzate,
quasi si fosse appena accorta della presenza delle due donne.
«Sì,
David Nolan, un suo amico. Solitamente vengono insieme, David
è
astemio, a quanto ne so, e non beve. E' lui a riportarlo a casa ogni
volta così da non farlo guidare. Se non è qui
stasera, probabilmente è di turno in
ospedale... magari può assentarsi per qualche minuto, giusto
il
tempo di riportarlo a casa...», provò a ipotizzare
ancora la
ragazza, col dito sul mento.
«E' un'idea sì,» annuì Emma,
incrociando le braccia «potete contattarlo?» Si
affrettò a
domandare, non sapendo bene perché sentiva che sarebbe
rimasta
fregata in qualche modo. Proprio non poteva farsi gli affari suoi e
rimanersene seduta al suo posto come Elsa le aveva, tra l'altro,
intimato di fare? Doveva proprio mettersi in mezzo e improvvisarsi
paladina, difendendo una ragazza che, forse, neanche ne aveva tutto
questo bisogno visto che era andata via più che tranquilla?
«No, non ho il suo numero e
immagino che il telefono di Killian abbia un codice di
sblocco...»,
uno degli uomini riuscì a trovare il telefono, accese lo
schermo e
mostrò la tastiera bloccata «appunto. Penso
proprio che non rimanga
altro da fare se non portarlo noi stessi da David.»
Emma prese ad annuire
silenziosamente, gli occhi puntati su Jones che, ormai bello comodo
su una vecchia poltrona, aveva cominciato a russare, quasi a voler
farsi beffe di tutto quel casino che aveva creato. O che aveva creato
Emma. Oh no, decise di declinare quella responsabilità
cominciando a
togliersi l'aria colpevole dalla faccia; alla fine se lui non le
avesse scocciato tanto qualche settimana prima, lei non sarebbe mai
partita con un tale pregiudizio e non avrebbe mai reagito in quel
modo. Smise di annuire nel momento in cui percepì gli occhi
di ogni
persona nella stanza fissi su di sé, si voltò a
guardare Ruby e
notò il suo sguardo implorante e ammagliatore, le lunghe
ciglia che
sbattevano piano. «Cosa?» Domandò
istintivamente la bionda, che
però aveva già capito tutto «Volete che
ce lo porti io?»
«Se non ti crea disturbo»,
tentò l'altra, mentre incurvava le labbra in un piccolo
sorriso che
forse voleva mostrare gratitudine «è sabato sera e
noi siamo di
turno fino a domani mattina, non possiamo allontanarci», si
morse il labbro guardandola supplichevole, incrociò le mani
a mo' di
preghiera e molleggiò lievemente sulle ginocchia. Ad Emma
ricordò
tanto una bambina che chiedeva una bambola nuova. «Per
favore,
l'ospedale non è molto lontano da qui»,
provò ancora ma Emma alzò
gli occhi al cielo, provando in tutti i modi di non sbuffare e
soprattutto ad uscire da quella situazione «se lo farai tutti
noi
chiuderemo un occhio su quanto accaduto. Alla fine si è
trattato pur
sempre di un'aggressione, lo hai colpito davanti parecchi testimoni e
potresti aver macchiato il buon nome del locale. Gli affari caleranno
e saremmo costretti a chiudere, e poi...»
«D'accordo, d'accordo», sbottò
la bionda, sbrigandosi a chiudere quel soliloquio così
melodrammatico che la brunetta aveva messo su. La paura di beccarsi
una qualche denuncia per aggressione le saltò per la mente e
decise
di abbassarsi ad accompagnare quel tale che proprio non riusciva a
digerire. Perfino vederlo dormire le scatenava della rabbia dentro di
sé. «Elsa, tu sei venuta a piedi vero? Ti do un
passaggio in
macchina.»
Si era scusata con
Elsa
un'infinità di volte mentre la riaccompagnava a casa. Non si
sentiva
in colpa per aver colpito Jones, che non smetteva di russare disteso
malamente nei sedili posteriori del maggiolino giallo, quanto
piuttosto di aver rovinato una piacevole serata e aver messo anche
l'altra donna in imbarazzo. Ad Emma non importava molto di quello che
le persone pensavano di lei, ma Elsa se ne era rimasta in disparte
visibilmente a disagio per tutto il tempo, e di questo se ne
dispiaceva, e molto. L'altra l'aveva rassicurata e le aveva detto di
non preoccuparsi, prima di scendere dall'auto le aveva anche detto
che sarebbe passata a trovarla in libreria così da
organizzare
un'altra uscita. Emma si domandò quanto di quelle parole
fosse vero,
immaginando che una persona normale non avrebbe più voluto
avere niente a
che fare con lei dopo una serata tanto disastrosa.
Non le risultò difficile
trovare l'ospedale, Elsa le aveva spiegato dettagliatamente la
strada. Parcheggiò vicino l'entrata principale e corse
dentro, non
prima di aver lanciato una rapida occhiata al suo passeggero,
l'ultima cosa che voleva era che se ne andasse in giro
chissà dove e
da solo, ubriaco fradicio. Domandò di David Nolan e un
infermiere fu
tanto gentile da andarlo a chiamare personalmente; Emma gli disse,
prima di andare, che lo avrebbe aspettato fuori, vicino la macchina.
E così la trovò David, circa 5 minuti dopo,
mentre se ne stava
appoggiata col sedere sul cofano, le gambe allungate in avanti e le
mani infilate nelle tasche della giacca.
Emma lo aveva notato subito
mentre si precipitava di corsa fuori dall'ospedale, il camice bianco
che svolazzava all'indietro, gli occhi chiari preoccupati per le
condizioni del suo amico. Quando le fu abbastanza vicino si disse che
quell'uomo poteva benissimo passare per un suo famigliare, per non
dire suo fratello, con quei capelli biondi e quella carnagione
così
chiara come la sua. «Sei
David?»
Domandò tanto per essere sicura. Quello annuì,
così scivolò
rapida e andò ad aprire lo sportello del passeggero, tirando
in
avanti il sedile così da mostrare Jones «Eccolo
qui, dorme da
parecchio ormai».
«Si è preso una bella sbornia,
eh», commentò, lui, abbassandosi in modo da poter
controllare
Killian, una mano appoggiata sul sedile e l'altra sul tettino
dell'auto. Emma non poté trattenersi troppo e gli
domandò se fosse
una cosa che accadeva spesso, David si voltò a guardarla,
alzandosi,
e scosse la testa «No, solitamente beve qualche drink, sono
anni che
non si spinge così oltre, a quanto ne so.» Chiuse
lo sportello
della macchina, guadagnandosi un'occhiataccia smarrita da parte della
Swan. «Deve essere colpa dell'anniversario di
domani...», pensò a
voce alta, prima di guardare la bionda ed essersi reso conto di non
aver tenuto quei pensieri per sé «oh,
beh», cominciò imbarazzato
«lunga storia.»
«Non
mi interessa», affermò Emma sincera, anche se la
parola
'anniversario' aveva acceso non poca curiosità dentro di
lei. Jones
era sposato? Era a quello che si riferiva David? O magari era
divorziato e quel turbamento nasceva proprio da questo? Al diavolo,
non doveva importarle niente che riguardasse quell'uomo.
«Puoi
riportarlo a casa?» Notò l'espressione accigliata
del dottore, dal
camice che indossava doveva essere un chirurgo e immaginò
che
chiedergli di allontanarsi dall'ospedale, durante un turno di notte
addirittura, non era una cosa possibile. «O magari puoi farlo
stare
qui... non so, come paziente o cose del genere»,
tentò lei, ma
l'altro aveva già cominciato a scuotere il capo.
«No,
mi dispiace Emma, non si può fare. Se cominciamo a
ricoverare gente
per una semplice sbronza si creerebbe il caos, no.
Ascolta...», Emma
era già pronta a ribattere ma, insieme a David, si
bloccò sentendo
una sorta di bip,
provenire da una delle tasche dell'uomo. Lui tirò fuori un
piccolo aggeggio
che doveva essere un cerca persone, ora che ci pensava Emma non ne
aveva mai visto davvero uno, quella era la prima volta
«Maledizione!»
Esclamò quello, voltandosi di getto verso l'ospedale, pronto
a
tornarsene dentro «Ho un'emergenza, mi dispiace.
Ascolta», ripeté
tirando fuori, dall'altra tasca, un blocchetto e una penna dove vi
scribacchiò sopra qualcosa «questo è il
suo indirizzo, è qui
vicino, non saranno neanche 400 metri. Prosegui dritta fino
all'incrocio, poi gira a destra. Le chiavi di casa le tiene nella
tasca interna della giacca, se non dovessi trovarle sono dietro a un
vaso vicino la porta. Okay? Grazie mille, ti devo un favore!»
Furono le ultime parole che le
disse, poi corse via non lasciandole neanche il tempo di dire di no,
o accettare il fatto che non ci fossero altre alternative. La giovane
Swan rimase lì, con la bocca aperta e gli occhi spalancati,
il
cervello in moto che cercava di metabolizzare quegli ultimi
avvenimenti. Alla fine salì in macchina e chiuse lo
sportello con
violenza, facendo sussultare anche Jones che però non si
svegliò.
Maledisse il giorno in cui quell'uomo era entrato in libreria e mise
in moto, dopo aver dato un'occhiata all'indirizzo scarabocchiato di
fretta dal dottor Nolan.
Proprio in quell'istante, in
ospedale, mentre imboccava per la sala operatoria, David si rese
conto di aver dimenticato qualcosa, qualcosa di importante, da dire a
quella donna, ma ben presto quello divenne l'ultimo dei suoi
pensieri.
Rockford, Illinois; Gennaio 2001
Sapeva che
il giorno dopo, al
suo risveglio, sarebbe stato costretto a fare i conti con un tremendo
mal di testa. Liam gli avrebbe rotto le palle in tutti i modi, sapeva
anche quello, disturbandolo con ogni mezzo a disposizione
così da
fargli rimpiangere di aver bevuto tanto. A volte suo fratello si
dimostrava una vera piaga, così rigido con le sue buone
maniere e il
suo continuo disprezzo per ogni forma di divertimento. Era sempre
stato così, anche da bambino, Killian amava sporcarsi nel
fango
mentre lui se ne rimaneva per tutto il tempo chiuso in casa a leggere
libri. Molto spesso lo aveva apostrofato col nome di
“femminuccia”,
abitudine che aveva perso col tempo, con la crescita. Ma non con la
maturità, come diceva Liam, la maturità non era
ancora giunta per
il suo fratellino e spesso era costretto a tirarlo fuori dai guai.
Come quella sera, si era raccomandato così tante volte di
non
lasciarsi trasportare dai suoi amici e di controllarsi con l'alcol
che quasi gli aveva fatto venire la nausea. “Non mischiare
gli
alcolici, Killian. Non fumare, Killian. Divertiti, ma con il
cervello, Killian. Non commettere casini, Killian”. Poteva
benissimo dirgli di non vivere, sarebbe stato uguale.
E, comunque, si trovava ad un
addio al celibato, cosa pretendeva suo fratello? Non poteva mica
restarsene in disparte a bere acqua per tutta la sera. Non poteva
mica rifiutare quello spinello che i suoi amici, più grandi
di pochi anni, gli avevano passato. Non poteva mica non fingersi lo
sposo
per incitare la spogliarellista a mettere su uno spettacolino nel
privè solo per lui. Beh, quest'ultimo punto forse non
avrebbe dovuto
farlo per davvero, ma poco male, Will si era subito messo in mezzo,
scansandolo
via, sfregandosi poi le mani nell'attesa che la ragazza cominciasse a
mettersi all'opera. Come se Anastasia non lo soddisfacesse
già
troppo, pensò Killian mentre si faceva versare dell'altro
rum –
Dio, quanto amava il rum –, o almeno così amava
vantarsi Scarlet
da quando l'aveva conosciuta. Killian lo invidiava parecchio, su
questo fronte, solitamente tutte le sue ragazze dopo un paio di mesi
cominciavano a stufarlo, perfino il sesso dopo un po' lo stancava.
Invidiava Will, e non per il matrimonio, per quello mai lo avrebbe
fatto. Lo invidiava perché era riuscito a trovare una
persona come
Anastasia, una ragazza bella, divertente, sexy, intelligente, sexy,
alla mano, incredibilmente sexy... aveva detto sexy troppe volte,
vero?
La torta esplose, un'altra
ragazza dal top crop nero, rosso e dannatamente scollato, e dal
perizoma in pizzo dei medesimi colori, ne uscì fuori con le
braccia
rivolte verso l'alto, urlando a squarciagola. Pezzetti di torta
colpirono i ragazzi, la maggior parte di loro prese ad esultare, gli
altri si limitarono ad abbracciarsi a gruppi di due o di tre e a
godersi lo spettacolo, a Killian, invece, quell'odore di crema,
panna, cioccolato e pan di Spagna mischiati all'alcol gli diede la
nausea. Cominciò a sentire muoversi qualcosa dentro di lui e
sapeva
che per una volta tanto non era dovuto all'eccitazione. Quando
percepì tutto il liquido che aveva ingerito in quelle poche
ore,
risalirgli su per la gola, si precipitò fuori dal pub in
fretta e
furia, una mano sulla pancia e una sulla bocca, come se sperasse di
trattenersi in quel modo.
In seguito Liam gli domandò
perché non fosse andato semplicemente in bagno, lui stesso
si diede
del coglione dopo quella domanda, ma in quel momento era fin troppo
brillo per poter decidere lucidamente. Arrivò sullo
spiazzale, si
avvicinò ad una fontana di marmo, con una grossa palla
proprio nel
centro che illuminava i due piani inferiori pieni d'acqua, e
vomitò
tutto quello che aveva in corpo, le mani, adesso, sulle ginocchia
piegate.
La prima cosa che vide di lei
furono i suoi tacchi a spillo neri, quasi non sentì il suono
che
fecero mentre lo raggiungeva a passo lento ma deciso, senza nessuna
fretta, gustandosi quasi lo spettacolo. Si fermò esattamente
davanti
alla sua faccia, Killian se ne rimaneva immobile col fiato corto
ancora per qualche secondo, poi si pulì la bocca sulla
manica
sinistra della sua camicia (bianca, tra l'altro, buttata il giorno
dopo) e alzò lo sguardo piano piano, salendo con gli occhi
per
quelle gambe lunghe coperte da calze nere e trasparenti, arrivando
alla minigonna nera che quasi gli fece mancare il respiro di nuovo,
le mani poggiate sui fianchi con fare minaccioso, unghie laccate di
un inusuale viola e una giacca nera con la zip abbassata fino a
metà,
che lasciava intravedere un maglioncino a girocollo color panna.
Lunghi capelli mori incorniciavano il suo viso duro, dal quale
risaltavano sicuramente gli occhi verde chiaro.
Davanti a sé si trovava la
donna più bella che aveva mai visto.
«Era la mia giornata libera»,
esordì scandendo ogni parola, con la voce scocciata, rivolta
più
che altro a se stessa «mi sembrava strano che non fosse
successo
ancora niente», continuò alzando gli occhi al
cielo prima di
puntarli di nuovo su Killian che, nel frattempo, si era rizzato in
piedi e la fissava incantato. Ma sembrava che lei non ci stesse
facendo caso. «Dovevi per forza farlo sotto ai miei occhi?
Aspettare
cinque minuti ti costava troppo?» Cominciò a
trafficare nella
borsetta alla ricerca di qualcosa, Killian non pareva farsi troppe
domande anzi, era più che divertito di vederla inveirgli
contro come
una matta «Ovviamente dovrò multarti,
adesso», finalmente quelle
parole fecero scattare qualcosa nel cervello del ragazzo, che adesso
notava il blocchetto in mano alla mora.
«Cosa?» Fece lui, allargando
le braccia «Mi sono sentito male, dovrei essere multato per
questo?»
Domandò retoricamente, omettendo la parte in cui si era
ubriacato
fino a rimettere tutto quello che aveva ingerito nelle ultime ore. Si
avvicinò maggiormente alla donna, doveva avere non
più di 25 anni,
al massimo 26, aprendo le labbra in un sorriso, nella speranza di
incantarla tanto da convincerla a lasciar perdere. «Infondo
è la
sua serata libera, no? E nessuno ha assistito alla scena, chiuda un
occhio... resterà il nostro piccolo segreto.»
La poliziotta si allontanò di
mezzo passo non appena lui le fu più vicino, non
riuscì a resistere
a quel mix di vomito e alcol che si portava dietro e probabilmente la
sua espressione schifata non si premurò di nasconderlo.
«Non è la prima
volta in cui ho a che fare con una sbornia di voi ragazzi»,
“voi
ragazzi”? Ma si sentiva? Sembrava un'anziana signora che
rimproverava degli adolescenti «uscite a fare i vostri comodi
addosso a statue o ancora meglio dentro delle fontane»,
continuò a
dire, mentre nel frattempo aveva preso a riempire il foglietto di
scritte «e poi ci guardate con la coda tra le gambe e gli
occhi da
cucciolo impaurito, nella speranza di impietosirci tanto da lasciarvi
andare, ma no,
questa storia non attacca la maggior parte delle volte. Carta
d'identità?»
«Ho gli occhi da cucciolo?»
Chiese divertito, senza nascondere un sorriso soddisfatto
all'occhiataccia che ne seguì. «E' rimasta nella
mia giacca, dentro
al locale», rispose poi serio, vedendo che la donna proprio
non
aveva intenzione di smuoversi «immagino che non mi
lascerà andare
dentro a prenderla, vero?» Domanda retorica, quella
già aveva
scosso piano la testa con un sorrisetto ironico sulla faccia
«Può
venire dentro con me, le offro anche da bere. Del rum, o forse lei
è
più un tipo da cocktail... un sex on the
bitch, magari»,
suggerì con tono furbo, rimarcando con forza la parola
“sex”.
La poliziotta non poteva dirsi
più scandalizzata «Ma ce l'hai l'età
per bere, perlomeno?» Chiese
retoricamente, colpendo Killian nell'orgoglio che subito si offese.
Aveva quasi 19 anni, sembrava ancora un ragazzino? No, tutti i suoi
conoscenti gli dicevano il contrario, evidentemente quella donna
vaneggiava. «Ti pregherei di non peggiorare la tua
situazione,
comunque. Ora, dammi i tuoi dati così da risolvere questa
faccenda e
tornarcene entrambi alle nostre serate. E senza allusioni sessuali,
magari, o sarò costretta a sbatterti in cella per questa
notte.»
«Oh», si illuminò il ragazzo,
che proprio non riuscì a trattenersi o a darsi una calmata
(magari a
mente lucida avrebbe saputo darsi un freno, stupido Jones, dovevi
proprio bere così tanto?) «Allora è
così? Vorrebbe sbattermi?»
Si pentì subito di aver parlato, vedendo lo sguardo di fuoco
che gli
arrivò e le manette che spuntavano fuori dal nulla,
così parve a
lui almeno, che un secondo dopo si ritrovò ai polsi, braccia
dietro
la schiena.
Stupido, stupido Jones. Non
poteva proprio controllarsi? E stupido Liam e le sue raccomandazioni,
chi lo avrebbe sentito d'ora in avanti? E stupido Will col suo addio
al celibato, era costretto a passare la notte al fresco per colpa
sua. E stupida poliziotta. Stupida e sexy poliziotta. Bellissima
poliziotta. Anche se, pensandoci, quale sano di mente se ne andava in
giro con delle manette nella borsetta?
* dopo aver passato vari minuti a pensare a un cognome adeguato per Elsa (escludendo subito Frozen perché... beh, perché no e basta) ho cercato un po' di parole su internet e mi divertiva l'idea di accostarla alla parola Nevischio, per l'appunto sleet/sleety in inglese
Note dell'autrice:
Hola people! Speravo di metterci
di meno ma ormai siete abituati ai miei tempi di aggiornamento eh
^^'' Ho preferito dividere il capitolo in due parti arrivata alle 10
pagine di word, tante cose devo ancora raccontare, compreso un
secondo flashback sul passato di Killian, tante scene Captain Swan da
scrivere, e non potevo di certo postarvi un capitolo di 20 pagine,
no? Così eccovi qui la prima parte, nella speranza di non
metterci
troppo con la seconda.
Abbiamo conosciuto parecchia
gente e visto il primo incontro tra Killian e Milah. Cosa ve
n'è
parso? E cosa ve n'è parso del secondo, disastroso, incontro
tra lui
ed Emma?
Fatemi sapere quello che ne
pensate perché, momento serio, ultimamente mi sembra di
andare da
tutt'altra parte rispetto a dove vorrei. Scrivo, scrivo parecchio,
poi rileggo e tutto quello che vedo mi fa abbastanza schifino. Non
so, forse è un periodo mio, forse sto facendo veramente
schifo e la
storia ne risente. Ditemi voi cosa ne pensate, soprattutto se
è il
caso di continuare visto che i capitoli sono lunghi e mi portano via
parecchio tempo, se la storia non piace, per un motivo o per un
altro, perché portarla avanti? :') Davvero, fatemi sapere i
vostri
pareri, anche consigli o critiche, magari riesco a tornare sulla
carreggiata giusta.
Grazie mille a chi ha letto fino
a qui, un bacio a tutti!
Sà