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Autore: Sarah M Gloomy    09/11/2016    0 recensioni
Terzo libro della serie The Exorcist. Amabel e gli altri esorcisti hanno appena esorcizzato uno spirito di ottavo livello e, ancora spossati, sono costretti a confrontarsi con una persona che ha avuto un ruolo fondamentale nel loro passato. Johannes, o una persona che gli somiglia molto, si trova davanti a loro e sembra intenzionato a ripristinare il vecchio Ordine. Altro sta succedendo e Bel non sa a chi chiedere aiuto, perché oltre a salvare gli spiriti, la città e le persone che ama, deve salvare anche se stessa da un passato che tenta di ucciderla.
Genere: Commedia, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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            Ci sono … non so, un miliardo di città al mondo? Ci sta? Ma con che botta di culo ci siamo reincarnati nell’unica che aveva al suo interno luce e tenebra in latino? Voglio dire, proprio ci siamo impegnati! Il che spigherebbe, però, il motivo per cui ho sempre odiato il nome della mia città. Chiaro. Ovviamente a livello inconscio avevo già compreso la fregatura.
Abbiamo lasciato Marco davanti alla scuola, con la promessa di metterci in contatto con lui appena la situazione ci fosse stata più chiara. Immagino avesse un vago sospetto che io fossi l’esorcista della menzogna, perché l’ultima volta che l’ho guardato non era molto fiducioso nei miei confronti.
Interessante anche la conversazione tra Warren e Chase, in cui il primo, senza tanti giri di parole, ha mostrato la pistola al secondo, chiedendo se poteva usala contro Marco. Così, a sangue freddo. Non che mi fidassi di questo fantomatico pro-pro che so io nipote, ma un colpo di pistola alle spalle non mi sembrava consono alla nostra natura. Né la risposta ambigua di Chase, «Non ora», era molto confortante. Forse qualche volta anche noi non siamo proprio buoni.
Sono tornata a casa, infilandomi nella doccia senza neppure passare per la mia stanza. Mamma è andata a prendere Edward. Meglio per me. Mi sfilo la maglia e poi i pantaloni. La collana, regalo di Chase per controllare gli esorcismi, è decisamente usurata al mio collo. Me la sfilo, sentendola solo come un pezzo di metallo. Benedizione finita, si ritorna a patire le pene dell’inferno.
Il metallo è bruciacchiato in più punti, passandoci sopra con il dito mi rimane attaccato il nero del carbone. Confortante pensare che io tutte quelle fiamme me le tengo dentro. Appoggio la collana sopra agli indumenti sporchi. Alla prima occasione vado in chiesa e immergo la collana nell’acqua benedetta. Dovrebbe portare allo stesso risultato. O, meglio, potrei darla a Chase e dirgli che la protezione è finita.
Mi sfilo le bende dalle gambe. Okay, ora sono preoccupata. Le ferite si stanno allegramente arrampicando sulle mie gambe, facendosi più aggressive e profonde. È chiaro che continuo a bruciare nel fuoco come nel mio passato. Meno chiaro è come, con quelle gambe, io non senta dolore. Muovo i piedi, storcendo il naso. Niente. Sono più preoccupata adesso della prima volta che mi sono svegliata nel sonno con i primi segni di ustione.
Sento la porta di casa che si apre, d’istinto mi infilo dentro la doccia. Porcamerda. Apro l’acqua, pensando che sarà un bel problema uscire dal bagno solo con l’accappatoio. Di certo noteranno due o tre cosette. Mi friziono i capelli, un pezzo di cemento cade sul piatto della doccia. Addirittura! Neppure un muratore ha così tanto feeling con il suo lavoro. Strofino con forza, togliendo tutta la giornata. Ormai so a mie spese che per quanto io cerca di togliermi dalla pelle la sfortuna, questa si è insinuata nella mia vita.
Chiudo l’acqua, i capelli gocciolanti davanti agli occhi. Quanto è passato da quando credevo di essere una semplice sedicenne? Solo un mese fa vivevo la mia vita, correvo a scuola e, seppur limitata, avevo una vita sociale. Adesso sono rinchiusa in un mondo fatto di esorcismi e fantasmi. A sfondo della questione, rimane il mistero di quel Marco. Non ho percepito menzogne, da lui, ma che probabilità abbiamo di incontrare un erede di Johannes nel ventunesimo secolo? Qualcuno deve essersi impegnato parecchio per metterci tutti quanti vicini.
   «Tutto è tornato alla normalità.»
Scivolo un po’, appoggiandomi alla parete della doccia con gli occhi sbarrati. Sto iperventilando e un sacco di imprecazioni, molte delle quali insegnate da Jamar nell’ultimo giorno, mi vogliono uscire dalla bocca. Apro un po’ le porte scorgendo Lie, il mio vizio, seduto sul bidè. Brutto marmocchio spettrale! «Lie! È … imbarazzante farsi vedere nuda! Lo sai.»
   «Ti ho già vista nuda.» Brutto maleducato. Alza un sopracciglio, sedendosi meglio. Gli mancano un pacchetto di pop corn e poi siamo al cinema. «Non mi consideri così tanto umano da violare la tua intimità, quindi deduco che le tue ferite siano peggiorate. La croce benedetta ha smesso di fare effetto?»
Colpita e affondata. «Evitiamo di parlarne.»
Sospira. «Come vuoi. Ho parlato con Endive.»
Endive è il vizio di Philippe. Direi che è invidia allo stato puro, ma ho così tanto feeling con quello spettro che cerco di pensare a lei il meno possibile. Solo vedendola, a metà tra donna e serpente, ho ringraziato per il fatto che Lie ha acquistato un corpo più umano. Nel passato, la maggior parte degli incubi infantili erano causati a causa sua. Non era piacevole neppure nel 1400 essere svegliati dalla copia del Nano Nero. Allungo la mano per prendere l’accappatoio. Lie si sistema meglio sul bidè, socchiudendo gli occhi e osservando le mie gambe. «Dice che ho una manifestazione strana.»
Prendo l’asciugamano dall’armadietto, tamponandomi le gambe. «Non sono avvezza a parlare delle vostre manifestazioni strane.»
   «Significa che ho un aspetto diverso.»
   «No, non mi dire! Neppure me n’ero accorta. Dovresti dire a Endive di prendersi degli occhiali. E potenti. Quella parte la so pure io.»
Lie sospira, alzando un sopracciglio. «Accantona l’ironia con me, Dalila. La manifestazione cui si riferiva Endive, in ogni modo, è di altro tipo.»
   «Cioè?»
   «Dovrò assentarmi per un po’ e parlare con qualcun altro di noi vizi.»
Il pensiero di Lie in mezzo ai vizi degli altri esorcisti mi mette a disagio. Lo so. In passato deve aver avuto altri incontri con loro. Non me l’ha mai detto, ma lo so. La parte più strana è appunto Lie che mi avvisa di questo. Annuisco. Mettere per voce tutti i pensieri mi richiede troppo sforzo. Ho corso per tutta la giornata, con gli altri abbiamo fatto più esorcisti di quanti i nostri corpi possano reggere, ho troppa fame, la Città degli Spiriti sembra essere stata domata e, non ultimo, l’incontro con Marco. Il mio cervello ha alzato bandiera bianca.
Apro la porta del bagno, controllando l’esterno. Vedo un ciuffo di Ed oltre la poltrona, la porta della stanza di mamma è chiusa. Uno, due. Scatto prima che qualcuno mi possa fermare, infilandomi nella stanza con un tonfo. Chiudo la porta, apro un cassetto e agguanto degli indumenti. Mi sono appena infilata i pantaloni della tuta quando mamma apre la porta della mia stanza, con il carico della biancheria della latrice. «Oh, scusa tesoro. Non sapevo che fossi in camera.»
Ho il volto paonazzo. Sono consapevole che me la sono cavata per pochissimo. Lie se ne sta appoggiato alla porta, apparentemente calmo. «Tua madre non mi vede.»
   «Non ti preoccupare.» Prendo gli indumenti dalle sue mani. «Grazie.»
   «Tuo fratello, però, sì.»
Riesco a reggere tutto solo perché mi ostino a non far vedere nulla. Mamma mi sorride e mi dice che tra poco mangiamo. Credo di annuire. Lei appoggia una mano sulla porta, Lie arretra di un passo, in modo da seguirla. «Niente, credevo che volessi saperlo.»
Oh, merda.
 
                                                             † † †
 
       Siamo seduti a tavola. Mi sono presa la bistecca più grande della padella e, con una pagnotta, mi sto facendo un maxi panino. Mamma sbarra gli occhi. «Hai parecchia fame.»
Appiattisco con una mano il pane. «Da morire.»
Edward mi fissa, prima di prendere la sua bistecca e di imitarmi. Vedo mamma sorridermi. Ogni volta che mio fratello decide di mangiare qualcosa di più dei dolcetti, è un passo avanti. Ormai è cresciuto per essere inseguito con una forchetta! La televisione sta trasmettendo il solito telegiornale. Si parla dello strano avvenimento del pomeriggio e degli edifici che sono stati colpiti da quel forte terremoto. Non è stato trovato l’epicentro, anche perché un ottavo livello non ha molto epicentro, quindi gli scienziati stanno facendo non so che cosa. Dire la verità, ovvero che si è avuto culo e per pure miracolo non si è diventati spezzatino per fantasmi, potrebbe creare un po’ di panico. E ora, passiamo alle notizie più importanti: un attore famoso si è lasciato con la sua ragazza.
Ingoio un boccone particolarmente ostico, ingurgitando un bicchiere di acqua. Fortunatamente mamma sta guardando la televisione. «Oh, in città c’è quel modello.»
Ha le guance rosse. Mi giro appena per scorgere il profilo di Philippe mentre si infila dentro un condominio. Tossisco l’acqua, facendola uscire perfino dal naso. Edward mi dà dei colpetti gentili sulla schiena. Ho dimenticato che mamma ha una cotta per quello che in realtà è l’esorcista dell’invidia. Osservo di sottecchi il condominio dove è entrato. Devo ricordarmi di fare attenzione. Philippe è nel centro del ciclone e i media seguono ogni sua mossa. Il che significa che se noi ci avviciniamo a lui anche solo per compiere la nostra missione, siamo belli che per televisione. Chissà se i fantasmi sono fotogenici.
Mi pulisco la bocca, appoggiando sul piatto gli avanzi. Ho così tanta fame, che quello che ho lasciato sono solo le croste del pane. Sono piena come un uovo.
Mamma distoglie lo sguardo, fissando il mio cellulare vicino al telefono. Sta suonando. Chiedo scusa e mi alzo. Lie è seduto sul divano, lontano dallo sguardo di mio fratello. Gli do una veloce occhiata, prima di prendere la chiamata. Non capisco il perché il detective Ridley mi voglia parlare.
   «Pronto.»
   «Ciao Ama, sono Ridley. Tutto bene?»
Giusto. L’avevo chiamato al pomeriggio. Dirgli per telefono, ma ora che ci penso anche solo parlargli, che a causa sua la città ha rischiato di essere distrutta è un po’ traumatico. Beh, forse non è la verità. A rigor di logica, per il solo fatto che io l’ho aiutato a risvegliarsi dal coma, sono anch’io colpevole. I fantasmi devono essere relegati in un mondo tutto loro. Sono riuscita a incasinare anche quella parte della mia vita.
Distrattamente mi avvicino al divano, allontanando dalle orecchie di mamma. «Sì, tutto bene. Tu?»
   «Non puoi parlare, giusto?»
   «Ti serve proprio l’esercizio? Okay. Aspetta che vado a prendere il quaderno.»
Sospira. «Adesso ricordo il perché eri l’indiziata migliore.»
Gli avrei riattaccato il telefono in faccia, se non fosse che in effetti oltre ad essere stata l’indiziata migliore ero pure la diretta colpevole.
Apro la porta della stanza, lasciandola aperta quel tanto da fare capire a Lie di seguirmi. Con riluttanza acconsente, fissando le spalle di Edward. Bisbiglio. «Ora posso parlare.»
   «Non mi ha spiegato il perché della chiamata, questo pomeriggio.»
   «Niente di che. C’erano un po’ di fantasmi in giro.»
   «Adesso è tutto sistemato?»
   «Sì.» Sono soddisfatta dal livello di conversazione. Così fiera di me che pure Ridley si accorge che qualcosa non va. «Mi stai mentendo.»
   «Mi piace dire che manipolo la realtà in modo da renderla più abbordabile. Ora scusami, Ridley. Ho un fantasma in casa e ho una missione da compiere. Ciao ciao.»
Gli riattacco il telefono in faccia, prima che metabolizzi che anche Lie, nel suo essere incorporeo, può essere un fantasma e io posso averlo usato come scusa. Gli ordino di rimanere in stanza, mentre mi dilungo con mamma dicendole una delle mie solite bugie. Scuola, nonna, amici, sport. Ormai i miei discorsi sono monotoni, come un disco rotto che trasmette sempre quella quattro canzoncine.
Guardo la televisione, non riesco a tenere la testa sollevata. Ho bisogno di dormire. Saluto e auguro la buona notte. Sono appena le venti e trenta. Non mi reggo in piedi.
Mi infilo sotto le coperte, Lie agguanta un libro e lo appoggia alla scrivania. Vorrei chiedergli che cosa fa durante la notte, se andrà a parlare con gli altri vizi. Chiedo domani, lo prometto. Ho appena chiuso gli occhi e già sono partita per il mio viaggio. Mi ritrovo incatenata dal legno, con i polmoni pieni di fumo. Gli occhi sono chiusi, pesanti. Intorno a me vedo solo grigio e la voce dalla folla. C’è qualche urlo. La mia gola è dolorante, ingoio qualcosa che sembra essere il mio stesso sangue. Vorrei muovermi, ma per cosa? Che ragione ho di dibattermi se ho perso tutto? Non ho più una famiglia. Malachite ha venduto gli esorcisti all’Inquisizione, lei ora mi sta fissando e aspetta che io esali il mio ultimo respiro. Ho perso sia la mia famiglia effettiva, per peste e per odio, sia quella che in lunghi anni ho accettato e desiderato essere la mia casa. Mi scende una lacrima. No, mi dispiace. Non posso mantenere quella promessa. Se le cose fossero cambiate, forse, non so … magari avrei potuto aver un futuro diverso. Emetto un gemito e mi sveglio. Apro appena gli occhi, sentendo il sangue colarmi dalle cosce. Sta salendo. Inesorabilmente, tutto si sta complicando. Mi giro, socchiudendo gli occhi. Non voglio essere vista, non voglio dare spiegazioni. Lie si è spostato, la stanza è diventata più buia. Deduco di aver dormito un paio di ore. Il mio vizio sta guardando fuori dalla finestra, controllando quella stupida normalità che noi abbiamo difeso così strenuamente. Beh, quasi. Ormai sono certa che non mi rimane molto tempo da vivere. Sto morendo … di nuovo. È l’unica amara consolazione della giornata.
   
 
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