Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: MinervaDrago    15/11/2016    1 recensioni
Dicono che fare sport sia un ottima soluzione per responsabilizzarsi ed eliminare l'ansia... ebbene, gioco a pallavolo da anni, ma finora questa mi ha sempre tenuto per manina, specie se il capitano della tua squadra non è proprio amante della democrazia.
---
Corrado, l'iperbolico narratore della nostra storia, talmente ossessionato dalle sue due passioni, la pallavolo e il lamentarsi del genere umano, da ignorare completamente una realtà rimasta fino a quel momento celata in lui.
Genere: Comico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 3

 

IL MOMENTO DEL RISCATTO

 

Oh, our lives don't collide, I'm aware of this
The differences and impulses and your obsession with
The little things you like stick, and I like aerosol
Don't give a fuck, not giving up, I still want it all

[Troye Sivan, Fools]

 

 

 

 

Al mio risveglio mi sento come uno di quegli Zombie dei videogiochi che hanno bisogno di mangiare cervelli per sopravvivere. Nonostante abbia dormito più di otto ore, sento come una strana sensazione di pesantezza che mi tiene inchiodato al letto, così decido di prendermela comoda (e quindi di entrare a seconda ora) per cercare di risvegliarmi da quello stato di semi-morte. Una volta arrivato a scuola, tanto per completare l’opera, mi assale una sensazione indescrivibile, che si rivela essere un misto di ansia e angoscia, la stessa che probabilmente teorizzava quel depresso di Kierkegaard quando diceva che nella propria vita ci si trova spesso davanti un bivio in cui bisogna fare una scelta importante, che potrebbe cambiare per sempre le nostre vite. In effetti stamattina ero proprio indeciso se fuggire in Messico con il primo aereo, cambiare identità e comparire su Chi l’ha visto? o se affrontare Luca ed Elia insieme per fargli i culi a stelle e strisce. Ovviamente scelgo la seconda opzione, ma non perché sia un ragazzo coraggioso e responsabile, ma semplicemente perché ormai mi sono alzato dal letto e sono qui, tanto vale che mi faccia stendere per bene come un vecchio tappeto persiano, così avrò almeno un buon motivo per morire davvero su quel letto.

Finita la giornata scolastica, passata praticamente ad “ansiogenare” e ad abbandonarmi a fantasie che, probabilmente, nemmeno nei peggiori film horror avrebbero potuto realizzarsi, alle tre e mezza mi presento in palestra per la resa dei conti.

Faccio un bel respiro profondo che si trasforma in asma non appena varco la soglia.

Armando nel frattempo mi si avvicina con la solita faccia da cagnone che ha bisogno di qualche bastoncino per il riporto.

«Tutto bene?»

«Voglio morire».

Mi fiondo nello spogliatoio e mi butto a pesce su una panchina in mezzo ai vestiti e alle scarpe puzzolenti degli altri ragazzi, mi copro il volto con le mani e inizio a piagnucolare.

«Corrado, cosa ti prende?». Il labrador narcolettico si siede accanto a me e mi massaggia la schiena come se stesse carezzando il suo gatto.

«Non sei contento che Elia ti abbia dato un’opportunità?».

«E questa me la chiami opportunità?», lo guardo disperato, «Quello farà di tutto per rovinarmi i piani! So cosa si cela nella sua testa, lo sta facendo a posta!».

Armando abbassa un attimo lo sguardo, come a voler prendersi del tempo per cercare le parole adatte.

«Io e gli altri non l’abbiamo presa così male, anzi».

«Lo so, non siete voi il problema».

«E allora qual è? Tu non hai mai avuto paura di dire quello che pensi a Elia, perché ne hai timore proprio adesso?». Mi volto a guardarlo stupito.

Aveva perfettamente ragione, non mi sono mai astenuto nel proporre le mie strategie a quel montato di Elia, neanche nel periodo più oscuro della squadra, ma per qualche strana ragione adesso me ne vergogno.

Probabilmente sarà tutta colpa di quella filosofia che studio e che mi sta facendo diventare un depresso cronico come chi l’ha teorizzata, oppure…

Scuoto la testa e mi faccio forza, «Hai ragione, Armando, probabilmente sono solo stanco, andiamo!».

Il labrador scatta in piedi dalla felicità e mi solleva per un braccio.

«È questo lo spirito giusto! Adesso andiamo e facciamogli vedere quanto si sbagliava!».

Anche se sono rimasto un po’ scioccato da questa sua ultima affermazione (poiché, fino a quel momento pensavo che, per paura, parteggiasse un po’ per il lato oscuro della forza), rimango quasi inebriato da quella frase; penso proprio che me la farò appendere su tutte le pareti di casa: “Elia hai sbagliato”.

Se potessi la userei come stato perenne di WhatsApp e me la farei tatuare in fronte con tanto di stelline e fuochi d’artificio e mi ci farei costruire una bella statuetta dorata da esporre in giardino, magari sopra una fontana di marmo con tanto di putti che sbucano ai lati a sorreggere il tutto. Eh sì, erano proprio queste le parole che volevo sentir dire.

Adesso mi sento talmente gasato da riuscire a sentire la voce di Shia LaBeouf urlarmi in testa: “JUST DO IT!”.

Vado a passo deciso verso Elia, che stranamente sta immobile davanti alla porta della palestra, con una faccia talmente contratta in una smorfia d’odio tale da sembrare Grumpy Cat.

«Quelle sciacquette ci hanno fregato la palestra» e mi fa cenno con la testa indicando il dentro del locale. Non appena mi affaccio vedo le ragazze del liceo Coreutico, con i loro tutù color Big Babol, volteggiare tra le note di quell’altro depresso di Chopin e della sua depressissima Tristesse (“Viva L’allegria” sembra il motto di questa mattina).

«Ho provato a parlargli», ci informa il manzo, «ma quelle galline sono davvero fastidiose».

«Però sono molto carine» aggiunge Armando, sorridendo come un ebete.

Io ed Elia ci ritroviamo a guardarci negli occhi, stupiti dall’affermazione del Labrador.

«A me stanno solo sul-»

«Quindi dobbiamo usare il cortile?» domando, interrompendo il delicato eufemismo del manzo.

«Si, il problema è che non possiamo usare la rete».

«Non è detto» interviene Ettore, che entra in scena con una spettacolare pacca sul sedere ad Armando (che praticamente non se n’era neanche accorto di quanto era concentrato a guardare le ballerine, diciamo che si è limitato a saltellare dal dolore).

«Possiamo attaccarla alle finestre e alle colonne del cortile».

Il manzo s’illumina d’immenso, «Perfetto, andiamo, non c’è tempo da perdere! Ettore, recupera l’Orlando Innamorato, Corrado, vai cor Vitello a recuperare la rete».

«E tu cosa fai in tutto questo?» gli chiedo infastidito.

«Vado a fare strage di pollame!».

In meno di un secondo Elia si catapulta in palestra gridando contro le ballerine, un po’ come fanno i cani pastore con il gregge o con le galline per levare di mezzo, poi ci fa un cenno con la mano e così lo raggiungiamo per aiutarlo a trasportare la rete.

Non so perché ma in quel momento ogni rancore che avevo in serbo per lui era scomparso nel nulla, forse per via della scena surreale che avevo appena visto o forse per via del fatto che non lo vedevo così divertito da anni: anche se in genere è espressivo come una pentola a pressione, questa volta posso scorgere sul suo volto un vero sorriso.

Posiamo la rete in cortile e stavolta sono io a rimanere incantato da quella scena: Elia è davvero molto bello quando ride, sembra quasi un’altra persona. Proprio mentre mi chiedo perché diamine oscurasse sempre quel sorriso così meraviglioso, invece di rivolgere uno sguardo da assassino seriale al mondo intero, ‘Ntonti fa schioccare le dita a pochi centimetri dalla mia faccia, risvegliandomi da quello stato di trance.

«Sei sveglio? A cosa stai pensando?».

Dire che in quel momento sono diventato rosso come un peperoncino, è dire poco.

Mi giro per nascondere il volto, convinto che il rossore sia molto evidente e comincio a farfugliare qualcosa.

«Dai, dammi una mano ad attaccare la rete».

‘Ntonti mi passa un capo da attaccare a una colonna del cortile mentre io inizio a disperarmi per quelle cose imbarazzanti e senza senso che avevo pensato poco prima su Elia.

Sarei voluto morire lì.

Una volta addobbato il cortile con la rete, manco fosse un albero di natale, cerco di scacciare via ogni pensiero negativo, perché è finalmente arrivato il momento del riscatto.

Mi posiziono al centro (il solito posto del manzo) e comincio a parlare della strategia:

«Qui tutto è sbagliato», nessuno batte ciglio, «I nostri ruoli, secondo me, non sono adatti a definire quelle che sono le nostre vere potenzialità. Quella dell’abitudine è solo una scusa e penso che dovremmo assolutamente puntare su qualcosa di nuovo, senza spaventarsi dei tempi da impiegare. Armando, per esempio, sarebbe un ottimo centrale e il suo ruolo non mi sembra adatto, per non parlare di Ciccio, il nostro “tifone” che…», li guardo un attimo, «…dov’è Ciccio?».

Francesco, detto “er tifone”, è il nostro centrale, un ragazzo dall’energia inesauribile tanto da essersi guadagnato questo soprannome. Come centrale non mi ha mai convinto, anzitutto, perché come me non è proprio altissimo e poi la sua energia e i suoi riflessi potrebbero essere utilizzati in un ruolo alternativo, come quello del libero. In genere è sempre presente agli allenamenti ma in quanto puntualità ce la giochiamo entrambi, quindi confido nel fatto che stia ancora arrivando.

«Come dicevo prima», riprendo il mio discorso da oratore romano, «dovremmo provare a scambiarci i ruoli, giusto per vedere cosa accade». A discorso finito mi sentivo un po’ come Izma deLe Follie dell’Imperatore quando è riuscita a rimpiazzare Cuzco, spacciandolo per morto; Elia infatti sembrava essersi un po’ alienato dalla cosa e io mi sentivo talmente onnipotente, in quel breve momento in cui potevo finalmente sottomettere il manzo alla mia volontà, che ero tentato a dire ad Armando: «Abbassa la leva, Kronk!».

Antonio e Armando sembrano entusiasti della cosa, Ettore invece non mi pare proprio convinto.

«Non saprei, io mi sono sempre trovato bene col mio ruolo», ammette il californiano.

«Si tratta solo di una prova», mi giustifico, «non è una cosa definitiva e poi, se devo essere sincero, per te non avevo pensato nulla di particolare».

«Allora dicci cosa avevi pensato». Ecco che Elia comincia a spazientirsi, al suo solito.

«Dunque, innanzitutto vorrei che…» improvvisamente Ciccio arriva con nonchalance, col borsone sulle spalle e una faccia assonnatissima.

«Che mi sono perso?»

«Alla buon’ora!» il manzo gli fa cenno di avvicinarsi e quello trova subito posto nel cerchio. «Ciccio, ti dispiace se oggi ci fai da libero?», gli chiedo sperando in una risposta quanto meno positiva.

«Io? Libero?»

«Sì, libero», glielo ripeto, «ti chiedo solo di sostituire momentaneamente Armando».

«Perché, sta male?», lo indica con un mezzo gesto.

«No, voglio solo proporvi un piccolo scambio, tutto qui».

Dallo sguardo di Ciccio capisco che è completamente assente: con molta probabilità starà viaggiando verso altri mondi, alla ricerca di qualcosa di surreale per salvare una principessa dall’aspetto ridicolmente psichedelico, che nemmeno una canna ti farebbe mai immaginare.

«Boh, per me va bene», alza le spalle e va a cambiarsi nello spogliatoio, come se nulla fosse. Rimango interdetto per qualche secondo, ma cerco subito di riprendermi. Ciccio è sicuramente la persona più imprevedibile che abbia mai conosciuto in tutta la mia vita: non sai mai cosa gli passa per la testa. Delle volte è in grado di starti ad ascoltare per ore e ore e darti un suo parere sincero ed esaustivo, ma molto spesso gli capita di vivere momenti di puro “disagio” in cui non riesce proprio a seguirti e si limita a risponderti a monosillabi, mentre gioca con l’ultimo giochino stupido consigliato dall’ App Store.

Capendo che si tratta di una delle sue giornate no, continuo a esporre la mia strategia:

«Come stavo dicendo, Armando tu ora fai da centrale e Ciccio sarà il nostro libero. Ettore, tu rimani laterale. Antonio mi sostituirà».

Dopo aver fatto un piccolo calcolo mentale, Elia finalmente capisce dove voglio arrivare, così mi rivolge uno sguardo minaccioso, «E quindi chi sarebbe l’opposto?».

Lo guardo con decisione e confesso: «Vorrei fossi tu».

Elia per me è sempre stato un giocatore eccezionale. Ha avuto modo di dimostrarlo tante volte, quando ai tornei s’improvvisava opposto per sostituire Antonio e le sue mire imprevedibili. Come palleggiatore non è un granché, inoltre, non ha una visione delle cose così rapida e funzionale. Infatti le strategie che mette in pratica funzionano solo al 50% e il gioco non è distribuito poi così bene.  Il punto è che lui vuole sempre comandare e, per qualche strana ragione, quel ruolo gli sembra adatto alla sua persona, forse perché gli piace pensare di avere tutta la situazione sotto controllo.

Nonostante sia in evidente disaccordo con me, preferisce non aprire discussioni inutili e va a collocarsi direttamente in campo, assieme agli altri.

Giunti alla fine dell’insolito allenamento, tutto quello che avevo teorizzato per giorni, il lavoro organizzato in lunghissime notti insonni, si era rivelato un completo fallimento:

Armando non era un granché come centrale e Antonio non sembrava stare bene nel suo nuovo ruolo, per non parlare di me. Come palleggiatore facevo proprio pena.

L’unica cosa azzeccata era la mia teoria su Ciccio ed Elia.

«Non male come idea», afferma inaspettatamente il manzo, contento come un bambino nell’aver capito che come opposto può fare tranquillamente Jackpot, «ma c’è qualche pecca, anzi, ce ne sono troppe. Direi che alla fine non abbiamo concluso molto, oggi.»

 
 

Sfinito e avvilito da quel risultato inaspettato, non gli rispondo e faccio per tornare nello spogliatoio, però all’improvviso sento una sua grossa mano trattenermi per un polso.

«Ti sei offeso?».

Cerco di non guardarlo negli occhi, deluso come sono non credo di riuscire a sostenere il suo sguardo maligno. «No, avevi ragione tu. Forse era solo un’idea stupida».

Il manzo sbuffa seccato e si abbassa alla mia altezza per guardarmi negli occhi.

«Ho detto che mi sono ricreduto, ma penso che la strategia vada rivista».

Il suo volto è talmente vicino al mio da poter sentire ogni suo respiro; una strana sensazione di calore si espande per tutto il mio viso, provo ancora una volta a fuggire da quello sguardo, ma Elia mi afferra il volto tra le mani e inizia a sussurrare: «Forse hai aspettative troppo alte. Cerca di ricordare perché il coach ha scelto me e non te come leader».

Dentro di me, quella piacevole e dolce sensazione di calore si trasforma in rabbia, lo spingo con le braccia per allontanarlo e fuggo verso lo spogliatoio, sbattendo la porta.

«Stupido, stupido, stupido!», mi dico, lasciando cadere a terra ogni cosa.

Cosa diamine mi ha fatto credere che quella strategia avrebbe funzionato? Forse avrei dovuto lasciarla lì, nella mia testa, insieme a tutte quelle cose che vorrei ma non posso dire al mondo intero. Mi siedo un attimo in una panchina per contenere la rabbia, mi metto le cuffiette e ascolto Behind Blue Eyes dei Limp Bizkiz.

Tra le note di quella canzone, m’interrogo sul perché di tanta sofferenza, di tanto rancore, se effettivamente non è successo nulla di grave e soprattutto su quale strano meccanismo mi abbia fatto reagire in quel modo così idiota davanti a Elia.

Perché poi questa cosa funziona solo con lui? Perché ho così tanta confusione in testa quando gli parlo? Ci sono volte in cui vorrei proprio farlo fuori alla prima occasione, ma qualcosa mi blocca proprio nel momento in cui sono pronto ad affrontarlo. Ripenso a quella scena della frustata nello spogliatoio e a quella dello strano calore, provato qualche istante prima.

Cosa sta succedendo dentro di me? È solo voglia di riscatto, o c’è dell’altro? Improvvisamente sento come lo strano bisogno di parlarne con qualcuno e la prima persona che mi viene in mente è Luca.

Già, Luca! Avevo appuntamento con lui cinque minuti fa!

Per la fretta indosso la tuta sopra la divisa, non levando nemmeno le ginocchiere, e comincio a correre verso la piazzetta sperando di non averlo fatto aspettare troppo.

Una volta arrivato lì non trovo nessuno. Mi siedo su una panchina qualsiasi e abbasso la testa per guardare il vuoto.

Ci mancava solo questo per finire in bellezza…

Mentre vengo completamente assalito dall’angoscia esistenziale, manco fossi Schopenhauer, vedo spuntarmi a pochi centimetri dalla faccia una lattina di Coca Cola, la afferro e guardo con la coda dell’occhio colui che me l’ha passata.

«Giornata no?», Luca si siede accanto a me, sorseggiando una lattina di tè freddo alla pesca.

«Diciamo di sì», finalmente stacco lo sguardo da terra per cercare conforto nel suo viso pacato.

«Non so te, ma io non sono per nulla soddisfatto del mio percorso»

«Chi non lo è?»

«Secondo te, è possibile essere perennemente delusi?»

«Certo ed è per questo che bisogna trovare una ragione per non esserlo».

Lo guardo confuso, «E come? Tutto va sempre per il verso sbagliato! Non so come fare, mi sento impotente, vorrei migliorare le cose, ma non riesco… e non so nemmeno perché ti stia confidando una cosa del genere, non sai nemmeno cosa mi sia accaduto prima!».

«Posso provare a immaginare, ma devi essere tu a dirmelo».

Lo guardo negli occhi e cerco di riordinare i pensieri, «Saresti disposto ad ascoltarmi parlare per ore e ore?»

«Come sempre».

 

Anche se fisicamente davanti a me c’è uno straniero dalle fattezze vichinghe, posso ancora sentir parlare quel bambino con cui giocavo un tempo, che sapeva sempre cosa dire al momento giusto.

Tentando di evitare l’eventuale possibilità di scoppiare a piangere da un momento all’altro, gli racconto tutto col groppo in gola: gli parlo della squadra, della mia ansia di voler realizzare un sogno di gloria che sembra allontanarsi ogni giorno di più, di Elia e infine dell’enorme confusione che mi ha causato il suo arrivo improvviso in un momento particolarmente delicato. Luca mi ascolta assorto dai miei discorsi e ogni tanto mi dà una pacca sulla schiena per incoraggiarmi.

«Io penso», interrompe il mio monologo da tragedia greca, «che tu abbia troppe cose per la testa e che dovresti risolverle con calma, affrontandole una ad una, però sono fermamente convinto che tutti i tuoi problemi sono legati ad una sola persona».

Lo guardo con gli occhi lucidi, incapace di esprimere altro: «E chi sarebbe?»

«Beh, che domande! Quel…Elio, ovvio!»

«Elia?», lo correggo.

«Sì, sì, quello lì! Insomma, se tu risolvessi con lui, probabilmente sbloccheresti un sacco di situazioni».

Lo guardo quasi infastidito dalle sue parole, «E come faccio? Io non ho alcuna voglia di risolvere con quel pezzo di manzo essiccato!». Mi tappo la bocca, imbarazzatissimo per la definizione che ho appena attribuito pubblicamente a quel deficiente, mentre Luca sbotta a ridere.

«Invece sì che lo vuoi! Anzi, sai una cosa? Credo proprio che ti piaccia»

«Come?».

Ora si che la situazione si fa davvero comica: non solo mi sono fatto fraintendere alla grande, ma ho persino risposto in una maniera infantile e ridicola! Ci manca solo che pensi che gli vada sbavando dietro e ho finito di vivere.

«Insomma», Luca si ricompone, «quello che tu dici di provare per lui, cioè odio o antipatia, come vuoi tu, alla fine è pur sempre una forma di amore. Anzi, è quel sentimento che s’instaura tra due persone quando non si riesce a entrare in armonia con l’altro, ma lo vorresti».

Ancora scioccato da quella roba profonda che mi ha appena detto (ve lo giuro, non mi sarei mai aspettato di sentir dire certe cose così filosofiche da uno che il giorno prima fuggiva con dell’erba in tasca), sospiro sollevato per il fatto che non abbia davvero frainteso.

«Lo pensi sul serio?»

«Certo, è così! Ne sono più che sicuro e, sai una cosa? Dovresti provare a far pace con questo “tonno essiccato”», sorriso soddisfatto accompagnato dalle sue risate.

«Anche il tuo modo di ridere è cambiato, ma sono felice che almeno tra noi le cose siano rimaste le stesse».

Luca mi sorride «è vero, a essere sincero avevo paura che non mi avresti mai riconosciuto».

«In realtà non l’avevo capito subito… se non fosse stato per i tuoi occhi da faina, probabilmente ti avrei mandato a quel paese». Sbottiamo entrambi a ridere e continuiamo a parlare un altro po’ prima di lasciarci.

«Da quanto tempo sei qui?», gli chiedo.

«Da circa due mesi. Mi sono trasferito perché ai miei mancava questa città e perché…», Luca si gratta la nuca, imbarazzato, «qui studia la mia ragazza».

Lo guardo stupito: «Hai una ragazza?»

«Sì, ed è molto carina», ridacchia come un bambino, «sai, è una pallavolista anche lei!».

Non so perché, ma quest’ultima affermazione mi ha alquanto infastidito. Certo, sono felice di sapere che almeno lui abbia trovato qualcuno, ma ciò mi lascia intendere che adesso c’è un altro ostacolo tra di noi, che potrebbe allontanarci ancora una volta.

«Ti somiglia molto».

Lo guardo confuso, «In che senso? Ha anche lei i capelli rosso-carota e le lentiggini sulle spalle?».

«No, in realtà ha i capelli neri e la pelle scura, ma intendevo caratterialmente».

Gli faccio una smorfia, poco convinto della cosa «E come fai a saperlo? Insomma, non pensi che in tutto questo tempo possa essere cambiato? Sai, la gente non rimane sempre la stessa…»

«Anche lei è una tipa ambiziosa e un’ottima schiacciatrice», m’interrompe, «diciamo che in quanto grinta mi ricorda tantissimo te, persino nel suo modo di insultare», ride.

«Ah, davvero?».

Senza conoscerla, mi sta già sui campi di melograno: non solo è il mio rimpiazzo in campo, ma è pure schiacciatrice! E se l’ha scelta Luca allora deve essere proprio una con i contro-servizi!

Ahimè, son destinato a rimanere solo persino in amicizia!

«Tu, invece? Non hai una ragazza?», mi chiede a tradimento.

«No e personalmente non la voglio avere».

Luca mi dà una pacca sulla spalla talmente forte che posso sentire la cena di ieri, la colazione, il pranzo e i polmoni schizzare via in un solo colpo, «Fai bene! Fai bene!».

Lui si alza dalla panchina e si sgranchisce le gambe, «Dammi il tuo numero, per rimanere in contatto. Potremmo organizzarci per una bella partita».

Con quest’ultima frase, ritorna in me la gioia di vivere. Posso sentire il suono delle trombe e delle campane suonare a festa dentro il mio cervello esultante: ogni parte di me sorrideva in quell’istante, persino il malleolo! Che non so nemmeno dove sia! Ci scambiamo i numeri di telefono e lo prego di mantenere la sua promessa.

«Stai tranquillo, verrò a prenderti non appena potrò», Luca mi fa l’occhiolino e se ne va, io corro subito a casa, saltellando come un demente per strada.

Appena entro a casa vado a baciare tutti: mio padre, mia madre, il mio cane Honey e gli schifosissimi e pelosissimi porcellini d’india di mia madre, infine mi fiondo in giardino.

Con una vecchia pala arrugginita, mi metto a scavare per disseppellire la preziosa palla dorata di Luca, manco fossi un allegro becchino uscito fuori da un film di Tim Burton.

Dopo mezz’ora di scavo (già sono impedito con queste cose e poi il sole era tramontato e stavo scavando con la torcia del cellulare in bocca), prendo la palla, ancora intatta dentro una scatola di cartone, e la sollevo in aria e gridando:

«Annuntio vobis gaudium magnum, habemus Papam!».

 

 

Note della narratrice narrante che narra:

Rispetto al primo e al secondo capitolo, il terzo sembra quasi non finire mai! L’ispirazione mi ha illuminata tantissimo e quindi è nata sta roba. Da questo momento in poi, come avete potuto notare, Corrado adesso inizia a vivere momenti di pura confusione (già presenti dal primo capitolo, ma meno espliciti), inoltre le situazioni e i personaggi cominciano ad aumentare; detto ciò, spero che continuerete a leggere il resto! Grazie ancora per aver seguito la storia fin qui!
P.S. per chi non conoscesse il famoso "just do it" citato nel testo, questo è il link: https://www.youtube.com/watch?v=ZXsQAXx_ao0

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: MinervaDrago