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Autore: _Noodle    20/11/2016    2 recensioni
“Tokyo, diventata da pochi anni la capitale dell’Impero, rifulgeva di una nuova e folgorante bellezza, di un fascino meccanico e ricercato. […] Tuttavia, tra le novelle illuminazioni e le linee telegrafiche, tra il fumo grigio delle fabbriche e le stelle, qualche vecchia tradizione non si assopiva: le squallide osterie dei quartieri bassi continuavano a schiamazzare orgogliose, attirando l’attenzione di brutti ceffi e di povere donzelle. Luoghi di perdizione le taverne, luoghi poco seri e poco innovativi; antri oscuri composti di gente matta, chiassosa, sfrontata”.
Un re disperso, un mondo fluttuante ed indefinito, il Paese delle Meraviglie che Shouyou Hinata fu costretto ad esplorare.
“Noi siamo tutti matti qui.”
AliceInWonderland!AU
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Un po' tutti
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Tutti i migliori sono matti.
 
 
 
 
 
La luce che filtrava nella stanza era soffusa, fioca all’incontro con gli occhi impastati di Shouyou. Era una luce sincera, verosimile, proveniente da una fonte di calore reale; era una luce educata, smorzata ed attenuata dai vetri opachi e impolverati delle finestre della Luna Storta. Sebbene fosse piacevole all’apparenza, era una luce dolorosa, pungente, incredibilmente fastidiosa contrariamente al suo gentile modo di illuminare gli ambienti. Granelli di pulviscolo volteggiavano in aria appoggiandosi al bancone e ai vecchi armadi, un timido brusio di gente aleggiava per le vie della città giungendo fino alla strada su cui si affacciava l’osteria. Un familiare profumo di cibo e di spezie s’impregnava tra le fibre dei vestiti, odore che nei momenti meno opportuni faceva venire l’acquolina in bocca.
Hinata aprì gli occhi lentamente. In quel breve istante d’incoscienza gli sembrò di aver dormito per anni, di essersi perso secoli di storia e di vicende significative. Si sentiva debole, estremamente debole, incapace di muovere un singolo muscolo, rattrappito dal freddo e dal sonno. Gradualmente, solamente dopo essersi stropicciato ripetutamente gli occhi, iniziò a distinguere le quattro figure che con fare rumoroso lo sovrastavano.
<< Finalmente si è svegliato! Vado a prendergli dell’acqua! >>
Hinata era disteso a terra. Attorno a lui volti amici, i volti di quelle persone con le quali era solito svegliarsi al sorgere del sole. La sensazione che provò in un primo momento fu positiva: sembrava una mattina come tutte le altre, l’inizio di una giornata lavorativa in cui avrebbe incontrato gente e sorriso radiosamente ai clienti affamati. Il pavimento freddo dell’osteria profumava di uomini, di pensieri maldestri e forse un po’ troppo spinti, profumava d’idee e d’imprecazioni, d’insulti e di complimenti. Tutto era nella norma, tutto era al proprio posto, un ordine ordinario in cui ogni tassello, ogni tessera del puzzle, occupava la propria posizione.
<< D-dove mi trovo? >>
<< Muoviti, Asahi, sembra che abbia perso conoscenza! >>
Quella voce apparteneva indubbiamente a Kageyama. Shouyou si mise a sedere, testa che vorticava e corpo che oscillava da una parte all’altra.
<< Cosa? Asahi? Conoscenza? No! No, non ditemi che…! No, non è possibile, non ho avuto nemmeno il tempo di salutarli! Lasciatemi andare, devo tornare al Palazzo della Regina di Cuori! >>
La vista del ragazzo si era fatta più limpida. Riconosceva i volti dei propri amici ai quali aveva pensato intensamente durante il corso della sua avventura nel Paese delle Meraviglie, sentiva i loro sguardi puntati addosso, i loro fiati sulla propria pelle. Li aveva  desiderati nei momenti in cui si era sentito smarrito, eppure adesso che era circondato dai loro volti preoccupati e confusi, quasi provava fastidio, perché averli accanto a sé significava essersene andato, aver abbandonato per sempre il Paese delle Meraviglie.
<< Hinata, calmati! Sei svenuto, andrà tutto bene adesso che sei tornato in te >> cercò di tranquillizzarlo Akaashi, appoggiandogli una mano sulla spalla.
<< No, non andrà tutto bene, non posso essere fuggito in questo modo! >>
<< Shouyou, non sei andato da nessuna parte. Devi esserti immaginato questo fantomatico palazzo perché eri privo di sensi e la tua mente era priva di costrizioni >> commentò Kozume con voce monocorde e atteggiamento analitico.
<< Tu non puoi saperlo, Kenma! >> ribatté il rosso, scrollando le spalle e la testa.
<< Parla più piano! Se continui ad urlare in questo modo sveglierai Ukai-san! >> Asahi si era catapultato davanti a lui con il bicchiere d’acqua in mano e con l’espressione più disagiata che potesse sfoderare in volto.
<< Che ore sono? >> chiese Hinata serioso, con un tono di voce più flebile del solito.
<< Le sei. È già l’alba. >>
Le parole di Tobio risuonarono nella sua testa con un’eco insistente, un gong dal suono rinvigorente ed assordante. Come poteva essere svenuto? Lui non poteva aver dormito per tutto quel tempo, lui non aveva dormito! Era stato nel Paese delle Meraviglie, aveva salvato un Re, aveva conosciuto personaggi incredibili, troppo particolari e troppo complessi perché potessero essere un totale prodotto della sua immaginazione!
<< Sono svenuto per tutto questo tempo? >> chiese infine debolmente, arrendendosi al fatto che se avesse ancora insistito su questa faccenda nessuno gli avrebbe più creduto.
<< Sembravi ecco… sembravi… >>
<< Sembravi morto. >>
<< Tobio! >> lo rimbeccò Asahi, che si era dimostrato incerto sulle parole da utilizzare per esprimere quel concetto. Shouyou, sempre seduto a terra, diede le spalle agli altri ragazzi e si avvicinò a Kageyama. Mise una mano davanti alla bocca, come per non far sentire ciò che avrebbe detto, e richiamò l’attenzione dell’amico con uno sguardo eloquente. Tobio gli si avvicinò maggiormente con il suo solito sguardo torvo.
<< Kageyama, tu non hai idea di che cosa abbia visto. Io l’ho ritrovato, ho ritrovato il Re di Scacchi, il Re Bianco! Il pezzo mancante della scacchiera! Pensa che era stato rubato dal Fante di Cuori per vendicarsi della sua vita di… >>
<< Ma che cosa stai dicendo? Non hai trovato nessuno scacco… >> sbraitò Tobio, interrompendo l’atmosfera intima e confidenziale che si era venuta a creare tra i due.
<< Non ti sei mosso da qui, e lo dico perché siamo stati accanto a te tutta la notte >> aggiunse Akaashi, espressione annoiata e per niente preoccupata dal momento che Hinata sembrava essersi ripreso.
<< Perché non volete credermi? Come posso dimostrarvi che non sto mentendo? >>
Gli occhi di Shouyou si bagnarono leggermente di lacrime, dolorose e pesanti quanto dei macigni. Perché lui era stato in grado di credere e di accettare che potessero esistere umani dalle sembianze animalesche, carte parlanti e luoghi astrusi e loro non riuscivano a comprendere che quella che stava dicendo non era nient’altro che la verità? Aveva ascoltato storie prive di logica e da esse aveva imparato, da esse aveva tratto le conclusioni per poter risolvere l’enigma della scomparsa del Re Bianco, quindi perché loro non potevano riporre in lui un minimo di fiducia? Non si era immaginato tutto.
<< Hai qualche prova? >> chiese Tobio, tentando di dargli una possibilità. Hinata abbassò lo sguardo sui propri vestiti, certo del fatto che i compagni avrebbero compreso vedendo la sua camicia ridotta a brandelli e cosparsa di terriccio; forse aveva ancora qualche briciola di fungo in tasca. Si accorse e realizzò, tuttavia, che i suoi vestiti erano puliti, intatti, senza macchie e senza buchi.
<< Io… In realtà…Voglio dire… >>
<< Ti sei immaginato tutto. Devi riposare adesso e… >> Kageyama trasse un lungo respiro per poi continuare << Scusami se ti ho dato da bere quella roba, pensavo potesse aiutare a combattere il freddo. Ma mi sbagliavo, avrei dovuto pensare due volte prima di agire. >>
Dei passi grevi e cadenzati giunsero alle orecchie dei ragazzi. Akaashi, Asahi e Kenma si alzarono, decidendo che sarebbe stato più prudente iniziare a fare qualche lavoretto prima che Ukai si accorgesse di che cosa stavano realmente facendo. Kageyama e Hinata rimasero a terra, sguardi imbarazzati e confusi.
<< Quel liquore mi ha aiutato più di quanto tu possa immaginare, Tobio >> ammise Hinata, timido sorriso sulle labbra, prima che la voce del proprietario dell’osteria riconducesse le menti di tutti nel mondo reale.
<< Che cosa ci fate qua sopra? Avete delle facce orribili! Non sarete stati qui a far cagnara per tutta la notte! >>
Hinata sghignazzò, divertito dai pensieri poco sobri del locandiere.
<< Ukai-san, perdonatemi. È stata tutta colpa mia. Sono svenuto e loro mi hanno aiutato. Vado a cambiarmi i vestiti e mi metto a lavorare. >>
Sotto gli sguardi preoccupati di tutti, Hinata si alzò in piedi e sparì al piano di sotto, Tobio raggiunse i suoi compagni in cucina.
<< Svenuto? Cosa significa svenuto, Shouyou? >> borbottò il povero Ukai, rimasto da solo.
 
La locanda avrebbe aperto dopo un’ora. Shouyou aveva passato il restante tempo della sua mattinata a pulire e a rassettare, lucidando tavoli e spazzando il pavimento. Non appena ebbe finito e scorse Kageyama bighellonare vicino alla porta della cucina, decise di avvicinarsi a lui e di condurlo nel cortile interno dell’osteria per raccontargli cosa fosse realmente accaduto. L’altro lo assecondò, cercando di non mostrarsi eccessivamente reticente davanti agli occhi di Shouyou. Dopo che quest’ultimo gli ebbe raccontato tutto, non tralasciando nessun particolare, Tobio realizzò di essere più confuso di prima, incredulo e terribilmente spaventato per la salute mentale dell’amico. Erano sempre stati parecchio legati i due orfani e per questo si erano sempre permessi di dirsi tutto, di insultarsi, di ragionare insieme e di trovare delle soluzioni ai problemi che si presentavano davanti loro. Eppure in quella circostanza Kageyama non osò smentire ciò che Hinata gli aveva appena confessato, perché i suoi occhi brillavano troppo e le sue parole tremavano in maniera troppo vigorosa per poter essere denigrate.
<< Io non credo di essermi immaginato tutto, Tobio >> confessò Shouyou, occhi piantati nel terreno ciottoloso del cortile interno dell’osteria. Kageyama, rimasto in piedi accanto alla porta della cucina per tutto quel tempo, gli si avvicinò, sedendosi sulla panchina accanto a lui.
<< Hinata, sei svenuto per ore senza muoverti di un passo, non credo sia possibile che tu abbia fatto quello che mi hai raccontato >> commentò sfiduciato, alzando gli occhi al cielo. Il credente che guarda verso gli inferi e lo scettico che lancia lo sguardo oltre le nuvole è un fatto assai paradossale.
<< Io ho sentito tutto. Ho sentito il calore, il gelo, i brividi, la paura, la gioia, lo stupore. Mi sono meravigliato, ho pianto, ho sofferto, ho riso, ho gridato. Ho sperato, annaspato come se stessi affogando, respirato come se non avessi mai riempito i polmoni in vita mia. Sebbene tutto fosse così surreale, niente mi era mai sembrato così terribilmente vero. I volti delle persone che ho incontrato, i loro sorrisi, i loro ghigni e bronci non erano frutto della mia immaginazione. Kageyama, posso assicurarti che non ti sto mentendo, non potrei di fronte ad una verità per me così importante. Non so come abbia fatto ad arrivarci, ma io ho visitato il Paese delle Meraviglie. Quella cosa che mi hai dato da bere non era un semplice alcolico e mi ha trasportato in un mondo troppo lontano dalla nostra monotonia per poter apparire plausibile ai tuoi occhi. Io sono cresciuto, sono maturato e tu non sai… beh, tu non sai quanto io… >>
<< Sei svenuto, Shouyou! Mettiti in testa che in quelle ore per quanto la tua mente possa aver compiuto viaggi straordinari, il tuo corpo è rimasto qui >> lo interruppe Tobio, sbattendo i piedi a terra e attirando lo sguardo di Hinata su di sé. Quest’ultimo sorrise timidamente nel vederlo infervorarsi per quella questione. Kageyama non si smentiva mai. Era rigido, tremendamente razionale e pignolo, maledettamente capace di tenere nascosto il suo lato goffo ed impacciato. Le sue iridi profonde, più blu dell’oceano, più blu di due zaffiri lucenti, oscillavano irrequiete, disturbate dall’irrazionalità dell’altro. Ma Shouyou non avrebbe mai ceduto a quell’autorevolezza maldestra, non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di avere ragione; un po’ perché sapeva che Tobio si sbagliava, un po’ perché gli solleticava i sentimenti vederlo comportarsi in quel modo.
<< Tu non sai quanto io ti abbia pensato. >>
Hinata pronunciò queste parole con lentezza, con una tenerezza estrema velata da un alone di timidezza. Arrossì leggermente, senza rendersene conto. Kageyama, al contrario, avvampò violentemente, in barba a tutti gli incendi e alle fiamme con cui i piromani si divertivano a giocare.
<< C-cosa hai detto? >> balbettò.
<< Mi sono ritrovato in una cella, avvolto dalle tenebre e dalla paura ed istintivamente ho pensato a te. Ho pensato ai tuoi occhi, al tuo sorriso raro, alle dolci parole che mi sussurrasti quella notte dopo l’acquazzone. >>
Tobio si alzò, prendendo immediatamente le distanze da Hinata. Che cosa stava dicendo? Quello svenimento gli aveva completamente accartocciato il cervello e bruciato i neuroni? Non doveva ricordare, avrebbe dovuto tacere riguardo quella faccenda. In un certo modo, se l’erano promesso.
<< Frena, frena. Ti avevo detto di dimenticare quello che ti avevo detto, è stato tanto tempo fa… >>
<< Tu mi hai dato la forza per affrontare l’ignoto che si stagliava davanti a me, Kageyama. Mi è stato chiesto se fossi a conoscenza di che cosa fosse l’amore e inizialmente pensavo di non esserlo. Poi ho ripensato ai nostri corpi addormentati intrecciati tra le coperte, al tuo odore, ai tuoi occhi, al modo che hai di camminare e di gesticolare, alla tua forza di volontà e alla tua determinazione, che sicuramente ti avrebbero permesso di affrontare la situazione meglio di quanto abbia fatto io. E poi mi sono tornate in mente quelle parole… >>
<< Hinata, basta! Sei ancora evidentemente turbato, stai straparlando e ti consiglierei di metterti a letto ora che puoi rubare le coperte a chiunque tu voglia, perché non… >>
 
Shouyou si avvicinò alle labbra di Tobio, e lo baciò.
 
I loro occhi a quell’umido contatto si chiusero istintivamente, le sopracciglia leggermente corrucciate, i respiri interrotti; ciglia incastrate, costole incrinate per il troppo sbattere di quel muscolo chiamato cuore. Le dita del rosso scivolarono tra i capelli del moro delicatamente, accarezzandogli il capo. Kageyama, dal canto suo, teneva le labbra serrate e costrette in un broncio grottesco, spaventato e sorpreso dall’audace gesto di Hinata. Non era brutta quella sensazione e non era  nemmeno spiacevole: era soltanto diversa, inconsueta, insperata. Dovette ammettere, mentre l’altro premeva le labbra screpolate dal freddo contro le sue, che più di una volta si era chiesto che cosa potesse significare un bacio, che cosa si potesse provare ad incontrare le labbra di un’altra persona. Si tremava? Perché s’iniziava a fremere? Perché lo stomaco faceva così male? E non aveva mai ritenuto possibile che le sue labbra potessero posarsi su quelle di una donna. Nei suoi pensieri reconditi e nascosti, al centro di tutti quei sogni poco pudichi, c’era sempre stato un uomo, c’era sempre stato qualcuno come lui, solo un po’ più basso e un po’ più esuberante; c’era sempre stato Hinata. E in quel momento in cui tutto stava succedendo, in cui aveva capito perché lo stomaco doleva in tal modo, gli sembrò quasi impossibile immaginare che potesse essere reale. Poteva essere tutto finto, quasi quanto il fantomatico viaggio compiuto da Hinata.
Forse stava visitando anche lui il Paese delle Meraviglie.
Tentò di allungare un braccio attorno alla vita di Shouyou, ma i suoi muscoli erano talmente contratti per quella vicinanza che l’unica cosa che Kageyama riuscì a fare fu esprimersi in un gesto scomposto e allontanare da sé Hinata.
<< Cosa ti è saltato in mente? Sei diventato matto? >>
Tobio avvicinò la mano destra alla sua bocca, con l’intenzione di cancellare quel bacio fuori programma. Hinata gli prese le mani prima che potesse completare il gesto: erano sudate e tremanti. Shouyou sapeva cosa si provava, aveva sperimentato che cosa volesse dire sentirsi strani.
<< ‘Se solo non fosse una cosa troppo ridicola, potrei dirti che mi piaci. Ma sto dicendo una pazzia, sono un idiota, sono pazzo’. Hai detto questo, non ricordi? Tobio, da questo mio viaggio che tu voglia crederci o no, ho imparato che cosa significhi avere coraggio, lottare per la sopravvivenza, superare i limiti; temere il conosciuto, sfidare l’ignoto, amare ciò che ogni giorno scorre davanti ai propri occhi, accettare che esistano realtà totalmente diverse da quelle conosciute. Ho imparato che va bene essere strani, essere diversi, essere sbagliati. Ho imparato che nessuno può affibbiare queste etichette a qualcun altro. Ognuno è. È a modo proprio. E ho imparato, soprattutto, che tutti i migliori sono pazzi. >>
E Tobio gli sorrise, senza aggiungere altro.
 
Il servizio era cominciato. Pietanze fumanti, trasportate dai giovani camerieri, attraversavano la sala da pranzo e uomini di buono e mal affare gustavano le prelibatezze dell’osteria con appetito ed ingordigia, un vociare confusionario e rumoroso rendeva l’atmosfera più conviviale del solito. A Shouyou piaceva il servizio mattutino. Le persone erano sempre più affamate e più loquaci, nessuno si ubriacava vomitando sul pavimento (quello accadeva più spesso di sera) e la tenera luce del sole che feriva i piatti e i vassoi rendeva i volti dei frequentatori abituali, per la maggior parte piccoli delinquenti, meno minacciosi e spaventosi.
Un uomo di cui Hinata non ricordava la presenza attirò la sua attenzione alzando un braccio e scuotendo la mano: sicuramente voleva ordinare. Era seduto in un tavolo singolo, menù tra le mani e gambe accavallate. A vederlo di schiena (questa era la prospettiva da cui lo scorgeva Shouyou) pareva un signore a modo, uno di quei ricchi imprenditori che frequentavano i quartieri bassi per lavoro e che, attanagliati dalla fame, erano costretti a fermarsi nelle piccole bettole di quartiere per rifocillarsi. Hinata s’incamminò verso di lui con carta e penna e non appena gli fu davanti lo salutò cordialmente.
<< Buongiorno! Cosa posso portarle? >>
 
Capelli biondi. Abito azzurro. Espressione sdegnosa e beffarda. Sigaretta e bocchino. Occhiali bizzarri posati sul naso.
Al ragazzo scivolò il quaderno delle ordinazioni dalle mani alla vista di quell’uomo. Gli mancavano le antenne, gli mancava il turbante, gli mancavano altre dieci zampe e un busto lungo metri e metri, ma quell’uomo serio e raffinato altri non era che il Brucaliffo.
 
<< Ci siamo già visti io e te, ragazzino? >> chiese, abbassando leggermente gli occhiali ed osservando i goffi tentativi di Shouyou di recuperare il quaderno da terra. Non appena Hinata si ricompose, sorriso smagliante dipinto in volto, alzò leggermente le spalle, scrollando la testa.
<< Sì, ma non ci crederebbe mai se le dicessi dove. >>
<< Chi sei tu? >> incalzò il cliente.
<< Mi faccia indovinare, lei è un’incognita, non è vero? >>
<< Prenderò questo piatto di funghi >> rispose senza degnare Hinata di ulteriori attenzioni.
<< Ai suoi ordini >> rispose il ragazzo, facendo un profondo inchino.
E fu in quel momento che Shouyou notò che nella sala erano comparsi volti e persone a lui famigliari, a lui particolarmente cari. Al tavolo numero 5 vi erano seduti due amici, uno dei quali teneva appoggiato su una spalla un ghiro. Si stavano lamentando con Kenma del fatto che desiderassero una particolare qualità di tè che l’osteria non possedeva e tra una richiesta e l’altra ridevano tra loro per qualche storiella che il ghiro aveva appena raccontato. Capelli neri e bianchi, anelli alle orecchie e pallina sulla lingua, anche il Cappellaio Matto e la Lepre Marzolina erano tornati a fargli visita. E che dire di quei due fratelli vestiti nello stesso modo che, senza rendersene conto, parlavano in rima? Quanto gli ricordavano Pincopanco e Pancopinco!
Al tavolo 9, quello più grande, sedeva una strana combriccola, particolarmente posata e per bene viste le circostanze. Non erano raffinati quanto il signore degli occhiali bizzarri, ma erano gentili e si muovevano in modo composto. Due uomini erano vestiti totalmente di bianco, altri due di rosso e di nero. Un tizio dal volto tenebroso restava in silenzio all’angolo della mensa, un altro saltellava continuamente sul posto, volto cosparso di lentiggini. L’ultimo dei convitati era un ragazzo alto, dai capelli nerissimi acconciati in modo stravagante, sorridente e spavaldo, seducente e selvatico. Gli Scacchi, Il Re e la Regina di Cuori, Cane Pazzo, il Bianconiglio e lo Stregatto avevano finito di consumare il loro pranzo e si stavano scambiando le ultime frenetiche parole prima di abbandonare il tavolo.
Una lacrima di felicità scese dall’occhio destro di Hinata, paralizzato dalla bellezza del momento. Erano tutti lì, forse per ringraziarlo per ciò che aveva fatto per loro, forse per dimostrare a tutti che quello che Shouyou aveva raccontato non era nient’altro che la verità o forse, più semplicemente, perché gli volevano bene. Sembravano tutte persone normali, più miti e meno stravaganti di quanto lo fossero nel Paese delle Meraviglie. Nessuno aveva tratti animali, Cane Pazzo non era di Carta, i Sovrani non indossavano corone o diademi luccicanti. Probabilmente, come era stato per il Brucaliffo, nessuno di loro si sarebbe ricordato di lui, ma questo a Shouyou poco importava. Loro erano lì e andava bene così.
 
Si avvicinò al tavolo del signore con gli occhiali per porgergli la sua pietanza ai funghi. Dopo che lo ebbe fatto, percorse la strada al contrario in direzione di Kageyama, che lo aspettava con altre ordinazioni (ebbene sì, erano lui e Asahi a cucinare).
Una mano posatasi sulla sua spalla interruppe l’avanzata. Hinata si voltò: era colui che gli ricordava lo Stregatto.
<< Credo che questo appartenga a te, è scivolato dalla tasca dei tuoi pantaloni. >>
Ed era uno scacco, un Re Bianco. Hinata, dopo averne ammirato la bellezza e la precisione con cui era stato intarsiato, lo strinse nel pugno, sorridendo come solo nel Paese delle Meraviglie aveva imparato a fare. Incrociò lo sguardo incredulo di Tobio e poi osservò tutta quella gente che si rifocillava allegramente, gente matta, chiassosa, sfrontata e bizzarra e appurò di stare bene, capì di sentirsi completo, che la scacchiera era stata allestita per una nuova partita e che i giochi, in qualunque modo si sarebbero svolti, avrebbero potuto ricominciare.
 
Ogni giocatore ha sedici pezzi di fronte a sé, bianchi o neri. Di pedoni ce ne sono otto. In posizione A1 vi è la torre, accanto a lei il cavallo, poi un alfiere, il re, la regina, un altro alfiere, un altro cavallo e un’altra torre. Lo scopo del gioco è quello di dare scacco matto, ovvero attaccare il re avversario senza che questo abbia la possibilità di fuggire.
 
Cinque ore a partire da adesso.
 

 
 
 
 
Angolo dell’autrice: * tira fuori i fazzolettini e soffia il naso ripetutamente *. Voi non avete idea di quanto io sia emozionata, dispiaciuta, felice e euforica di aver concluso questa storia. In questo capitolo c’è tutta la tenerezza che non è emersa durante il racconto, c’è la felicità e la soddisfazione e sì, anche un po’ di amore meritato! <3 Non pensavo che sarebbe stato possibile realizzare un progetto del genere e non credevo che sarei stata in grado di mettere mano ad un testo così conosciuto come quello di Carrol. E invece eccomi qui per i ringraziamenti finali <3
Voglio ringraziare tutte le persone che hanno letto questa storia, quelle che l’hanno seguita fino alla fine e che, anche senza commentare niente, mi hanno fatto venire voglia di scrivere settimana dopo settimana. Grazie alle mitiche fanciulle che hanno lasciato il segno, in particolare Mew, Nanas e Ems, che non si sono lasciate sfuggire neanche un capitolo e che con le loro bellissime ed articolate recensioni mi hanno emozionato, e non poco.
Un grazie in particolare a Ems, che ha dovuto ascoltare tutte le mie riflessioni e che mi ha pazientemente consigliato più volte che cosa dovessi fare. Grazie per avermi dato, in particolare, il via per pubblicare questa storia, che senza di te, diciamocelo, non avrei nemmeno incominciato a scrivere! <3
Mi rivedrete preso su questi schermi perché, come vi avevo annunciato, tornerò molto presto con una raccolta di One-Shot e spero di sentirvi nuovamente tutte! Vi abbraccio fortissimo, curiosa di sapere che cosa ne pensate di questo ultimo capitolo (risponderò prestissimo alle precedenti recensioni). 
Stay Mad! <3 La vostra
_Noodle 
  
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