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Autore: Viviane Danglars    17/05/2009    2 recensioni
Ichigo è un investigatore, ha un cliente e un “caso” da risolvere.
Non è pulito, non è delicato e non finisce bene.
[ Respirò a fondo nell’aria ancora fresca della mattina, senza aprire gli occhi. Non ne aveva bisogno per visualizzare il luogo dove si trovava; sapeva com’era fatta la ringhiera di ferro che sentiva premergli, fredda, contro le reni. E sapeva che, sotto di lui, c’erano numerosi piani e poi soltanto l’asfalto, non liscio né propriamente grigio, ma sicuramente duro.
Numerosi piani di poveracci e disperati, prostitute e drogati, ubriaconi e malati e, sopra di loro, lui: Renji Abarai, con i suoi tatuaggi, le mani robuste infilate nelle tasche, la maglietta lisa che profumava della lavanderia di Momo e i capelli rossi raccolti in una coda spettinata.
]
~ [Liberamente ispirato al film Million Dollar Hotel.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Renji Abarai
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo decimo.
Sleeping with ghosts




[ Hush .
It's okay -
dry your eye,
dry your eye . . .
Soulmate dry your eye,
dry your eye -
Soulmate dry your eye
‘cause soulmates never die . ]




Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia una realtà o un sogno.
Ferro3




Momo era distesa su un fianco, che era quello opposto al fianco sul quale era disteso Toushiro. Toushiro avrebbe voluto girarsi a pancia in su per alzare lo sguardo al soffitto, ma aveva timore di vedere la schiena impassibile di Momo.
Respiravano entrambi lentamente e silenziosamente nella stanza buia, illuminata a intervalli dalle luci della strada. Delle macchine stavano passando davanti all’Hotel.
Toushiro cercava di addormentarsi: era stanco, sentiva le palpebre pesanti e le membra pigre. Si stava abituando al calore del letto, dove le gambe e le braccia, abbandonate, parallele, diventavano sempre più estranee al suo corpo, fino ad affondare nel materasso, precedendolo nel sonno.
Cullato dal ronzio del silenzio, il ragazzo si era concentrato sulla fronte corrugata, i segni che la stanchezza e la frustrazione avevano tracciato sul suo viso durante la giornata, ed ora cercava di scioglierli uno ad uno, come in un esercizio di rilassamento.
Non c’era verso di interagire con sua moglie.
Momo non si era mossa da quando erano andati a letto. Pulita la cucina, spente le luci, erano entrambi andati a dormire alla stessa ora, ma senza parlare e senza neppure guardarsi.
Era più o meno quello che facevano sempre, e lo facevano in un modo tale che Toushiro si sentiva estraneo ai movimenti della moglie; i gesti secchi con i quali passava lo straccio sul tavolo, la mano sugli occhi per scostarne i ciuffi di capelli castani.
La vedeva, era affaticata, era sciupata. Quelle erano cose che lui avrebbe dovuto risparmiarle, ma non ci riusciva: non riusciva a trovare un lavoro, non riusciva a portare se stesso e lei lontano da lì, non riusciva a vedere per loro una speranza di un futuro. Persino l’energia che nei primi tempi lo aveva convinto ad essere ottimista, ora lo aveva abbandonato. Si sentiva inutile nella sua stessa casa – in quel buco dove erano finiti a vivere.
Quella non era la vita che avrebbe voluto offrirle, anzi, non rientrava nemmeno nella categoria dei “brutti periodi” che presto avrebbero superato. Perché per quanti sogni avessero avuto in passato e per quante promesse si fossero fatti – le ricordava, le promesse: dalla finestra della sua vecchia casa a Osaka, stando attenti a non svegliare la nonna, avevano guardato il cielo e si erano detti che potevano farcela, che si sarebbero rimboccati le maniche e ce l’avrebbero fatta, insieme – per quanto avessero sperato e dato fondo a tutte le loro risorse, per quanto fossero stati realisti e il più possibile responsabili, per quanti sacrifici e difficoltà avessero messo in conto, questo non era un semplice “periodo”.

Lo sentiva nel respiro di Momo. Era greve e al tempo stesso stentato, come se sua moglie al suo fianco stesse soffocando, morendo di una malattia che le consumava i muscoli e i polmoni, sparendo e sbriciolandosi proprio lì, di fianco a lui, nello stesso letto.
Senza che lui potesse fare niente.
E aveva ancora le parole di Rangiku nella mente.
Momo, invece, non pensava a suo marito. Non pensava nemmeno al loro passato né ripercorreva con gli occhi della mente la strada che li aveva condotti lì, la loro giovinezza assieme, gli alberi da frutto del suo giardino, le estati con il piccolo Toushiro.
Al contrario, Momo stava godendosi il momento migliore della giornata: quello in cui, dopo ore e ore in piedi, circondata da pazzi o poco meno, con un sorriso costretto sul viso e gli occhi sempre più stanchi e la pelle sempre più tirata tanto da farle male, dopo un’intera folle giornata al Million Dollar Hotel, finalmente scendeva la notte. E lei poteva finalmente rilassarsi, sdraiarsi nella sua parte del piccolo letto e chiudere gli occhi.
Con la forza della mente, il lenzuolo, il materasso e il cuscino diventavano un’alcova soffice e calda, e tutto il suo corpo poteva godersi il riposo. Ogni altra cosa spariva finché, dopo poco, non arrivavano ampie mani forti a circondarle la schiena, e lei veniva stretta dolcemente contro un petto sicuro e conosciuto, e finalmente era protetta.
Era una versione molto romanzata del modo in cui si erano svolti in realtà i suoi incontri con Aizen, ma lei riusciva a dipingersela perfettamente. Con l’aiuto di quelle mani e di quel corpo, grande, forte, che immaginava contro il suo, riusciva a scacciare ansie e preoccupazioni e predisporsi per il sonno. E quando poi arrivava la voce – allora Momo avrebbe potuto piangere.
- Tu sei l’amica di Rangiku, vero?
- Sì, signore… mi chiamo… -
- Momo, non è così? -
Era stata così onorata che si ricordasse il suo nome. Non pensava che fosse nemmeno tenuto a saperlo, in fondo lui era così tanto più importante di lei.
- Questa è la tua prima settimana, giusto? -
- Sì, signore. -
- E come ti stai trovando? Spero bene. Nessuno ti dà fastidio, spero… -
- No, no, assolutamente, tutti sono molto gentili con me… -
Veramente si era aspettata che le facesse qualche domanda per capire se si stava dando sul serio da fare. Ma lui non ne aveva accennato. Era così bello, e con quegli abiti, era così scuro. Aveva occhi calmi e sicuri dalla piccola pupilla e colmi di un’iride liquida e dorata. Sembrava un felino gentiluomo, un leopardo aristocratico appoggiato con garbo ed eleganza alla porta del magazzino mentre Momo cercava nervosamente di apparire adatta al suo ruolo, nell’abitino succinto che indossava.
- Ne sono felice, allora. Sei un’amica di Rangiku e voglio che tu ti trovi bene qui. – E poi aveva aggiunto, con una delicatezza che rendeva impossibile prendersela a male: - Mi ha spiegato la tua situazione, Momo. Posso chiamarti Momo? -
- Certo, signore. – Lei era quasi senza fiato, e non aveva neppure pensato che sarebbe stato più saggio da parte di Rangiku non informare il loro datore di lavoro su quanto disperato fosse il bisogno che aveva di quel posto. – Grazie infinite, signore… -
- Oh, sei troppo formale. In fondo qui siamo tutti colleghi, amici, no? – Lui aveva mosso la mano sinistra e Momo aveva notato allora che aveva una lunga sigaretta impigliata tra il medio e il cerchietto d’oro che portava all’anulare. Un anello brillante troppo grande per una fede.
Sorrideva. Ogni parte di lui era o scura come fumo oppure, al contrario, luminosa e brillante; i suoi occhi, il suo sorriso, il suo anello. – Chiamami Sousuke. -
Momo aveva negli occhi un’adorazione indifesa che avrebbe allarmato persino Rangiku, se fosse stata lì, se fosse stata in grado di sapere che la sua giovane amica aveva fatto conoscenza con il loro datore di lavoro e se avesse potuto vedere lo sguardo negli occhi di Aizen.
Ma Rangiku, quella volta, non c’era.

Toushiro si addormentò, con sollievo. Nessun incubo avrebbe mai potuto essere peggiore di quei momenti prima del sonno. Neppure gli incubi che lo tormentavano riportandogli alla mente i ricordi dei primi posti di lavoro che aveva rifiutato – appena erano arrivati a Tokyo, quando lui sperava di poter avere di meglio – quelli dei quali non aveva mai parlato a Momo e che oramai erano destinati a rimanere un segreto inconfessabile tra di loro. Qualcosa per il quale, arrivati a quel punto, non si sarebbe mai perdonato.
Aveva perso tutto, e per ultima, aveva perso Momo.

Era scesa la notte sul Million Dollar Hotel, e dalla finestra entrava una leggera brezza notturna, insieme alle note di un sassofono.
- Chi cazzo è il mentecatto che rompe i coglioni a quest’ora – disse Grimmjow masticando un mozzicone di sigaretta ed avvicinandosi a Tatsuki, seduta alla finestra con i gomiti piantati sul davanzale. La ragazza gli rivolse uno sguardo da sotto i ciuffi di capelli neri e sbuffò, per poi sollevare la mano e sfilargli la sigaretta dalla bocca.
- … Sei tu. A me la musica piace. -
Grimmjow si appoggiò alla parete, abbassandosi finché non ebbe gli occhi all’altezza della finestra per sbirciare fuori. – Fosse almeno intonato. -
- Non importa – sussurrò Tatsuki, guardando fuori. – Sei mai stato ad un concerto? Insomma, uno qualsiasi, però sono meglio quelli di musica classica… intendo, per sentire quello di cui parlo io sono meglio. Sai quando accordano gli strumenti? I miei mi ci portavano qualche volta… quando ero più piccola, però. – Aveva allungato le braccia fuori dal davanzale e le sporgeva nella notte, giocherellando col mozzicone che teneva tra le dita. – C’è questo momento prima dell’inizio, quando tutta l’orchestra fa le prove e senti gli strumenti che suonano motivi diversi, o semplicemente producono un qualche suono, e ovviamente sono tutti discordanti, però è bello comunque… -
- Non sono mai stato a un concerto di musica classica – rispose Grimmjow. Realizzò che il tono era suonato quasi mortificato e si diede un tono facendo una piccola smorfia e stringendosi nelle spalle, le mani nelle tasche, simile ad un uccello che arruffa le piume, contrariato.
- E’ bello – ripeté Tatsuki, e poi si corresse, - è magico. – Lasciò cadere il mozzicone e non restò a guardarlo scendere verso il basso.
- Be’, mi spiace se non sono un damerino che ascolta la musica classica come i tuoi amici – sbottò Grimmjow roteando gli occhi annoiato, e si staccò dalla parete per fare qualche passo verso l’interno della stanza. Non si accorse che le sue parole avevano avuto il potere di bloccare Tatsuki facendola voltare nervosamente.
Per un attimo aveva temuto che Grimmjow avesse saputo di Izuru o di Orihime. Ma un solo sguardo al ragazzo le confermò che erano paure inutili. Grimmjow era lo stesso, rancoroso e attaccabrighe di sempre. Così tanto attaccabrighe da prendersela persino con i ricordi.
- Oh, chiudi il becco. Non ho amici damerini che ascoltano musica classica – lo apostrofò rincuorata, e lui fu confortato a sua volta, e sorrise del suo ghigno inquietante. – Vado a vedere Ulquiorra. -
- Sì. – Tatsuki tornò a guardare fuori dalla finestra. Il sassofono aveva smesso.
Grimmjow entrò nell’angolino che fungeva da camera per Ulquiorra, e dove, difatti, il fratello sedeva sul letto. Indossava ancora un vecchio pigiama spiegazzato che era appartenuto a Grimmjow e che questi non portava più da molto tempo. Per quanto avesse potuto essere un ragazzo alto, Ulquiorra era così mingherlino che la maggior parte dei vestiti gli ballava addosso, e questo, insieme al suo portamento non proprio fiero, gli dava a prima vista l’aspetto del bersaglio vulnerabile.
Grimmjow lo sapeva benissimo, perché aveva passato gran parte dell’infanzia a proteggerlo dai ragazzi più grandi che se la prendevano con lui, e a ben pensarci continuava a farlo anche adesso. L’espressione di Ulquiorra e i suoi modi imprevedibili avevano sempre inquietato e irritato i ragazzi che lo conoscevano, finché non era diventato di pubblico dominio che la cosa era patologica e a quel punto tutti si erano sentiti rassicurati; quel ragazzo strano, be’, faceva loro paura, sì, ma il punto è che era pazzo. Era solo un povero spostato, insomma.
Grimmjow non pensava affatto che suo fratello fosse un povero spostato. E non solo perché gli voleva, personalmente, un bene dell’anima – cosa che mai avrebbe ammesso a voce alta con anima viva. No, lui sapeva che c’era dell’altro perché conosceva Ulquiorra. Era capace di passare ore intere in silenzio con il fratello – o almeno era stato capace di farlo da bambino, quando era meno sboccato, meno violento e non ancora drogato – e di captare i cambiamenti nel portamento dell’altro, il movimento di quegli incredibili occhi verdi, i messaggi che il ragazzo mandava con la sua postura e il minimo movimento. Grimmjow riconosceva la forza dell’altro, riusciva a capire se era nervoso o rilassato e capiva anche, ne era certo, quando Ulquiorra era consapevole che lui era lì, quando era felice della sua presenza, quando era grato che Grimmjow rimanesse con lui.
Erano tutte cose che Ulquiorra non esprimeva mai a parole, perché era poco loquace e se parlava parlava d’altro, ma non per questo non c’erano. Grimmjow era certo che anche Tatsuki, dopo aver vissuto tanto a lungo con loro, iniziasse a percepirlo.
Forse lo sentivano perché erano affezionati ad Ulquiorra e lui a loro.
- Non dormi ancora? -
- Vorrei qualcosa da leggere. – Il ragazzo aveva parlato con voce incolore, e poi aveva sollevato i due fari verdi verso il fratello. Grimmjow sospirò e si fermò di fronte a lui. – Domani vatti a prendere un libro. Sai che io non ne tengo, di quella roba. -
- Lo so. –
Altra pausa. Ulquiorra aveva le mani posate sulle ginocchia. Grimmjow sbuffò come per attirare la sua attenzione.
- Ehi, vai a dormire. E’ tardi. Hai preso le medicine? -
- Sì. -
Grimmjow non controllava mai.
- E allora che aspetti? -
- Rimboccami le coperte – chiese Ulquiorra. Grimmjow lo fissò con tanto d’occhi perché era una cosa che il fratello non gli chiedeva più da quando avevano nove anni.
- Hai freddo? – chiese, come reazione, mentre Ulquiorra si distendeva e voltava il viso verso di lui.
- Un po’. -
Il ragazzo dai capelli tinti orrendamente di blu si chinò e rimboccò le coperte al fratello, che rimase immobile ma lo ringraziò con un cenno del capo e un “grazie” sussurrato. Lui non rispose per un estremo tentativo di tenersi stretta la sua dignità.
- Va bene, ora dormi – concluse, burbero, facendo per uscire dalla stanza.
- No… Grimmjow – lo chiamò ancora Ulquiorra, con una strana urgenza, e lui si fermò sulla porta.
- Che vuoi? -
- Tatsuki è tua amica? -
- Che domanda del cazzo è? -
- La ami. – Questa non era una domanda. Suonava più come una riflessione a voce alta. Ulquiorra, dal letto, gli offriva la visione di un piccolo viso bianco e appuntito con le sopracciglia scure leggermente corrugate.
- Sei sicuro di aver preso le medicine? -
- E’ normale, vero? -
Cosa era normale? Grimmjow sbuffò, alzò gli occhi al cielo e si rinfilò le mani in tasca. – Sì, sì. E’ normale. Ma che hai? -
- Buonanotte. -
E buonanotte fu. Grimmjow lasciò perdere e non diede importanza alla cosa, non ci pensò più. Invece tornò da Tatsuki e visto che l’argomento era stato portato alla sua attenzione iniziò a spogliarla davanti alla finestra per farle capire che era molto interessato a lei, anche se non era sicuro di poter usare parolone come “amore”.

Bisognava calcolare due finestre a destra rispetto a quella di Tatsuki, Grimmjow e Ulquiorra, sul medesimo piano. La terza finestra era sempre aperta, e, senza l’effetto riflettente del vetro, aveva l’aspetto di un buco profondo e scuro sulla facciata del palazzo, un buco dal quale sfuggivano solo a tratti vecchie tende leggere che dovevano avere avuto una colorazione vivace.
All’interno della caverna buia che stava dietro quella finestra, Nanao Ise era china su un letto e osservava il suo occupante respirare nel sonno.
- Sei qui, Nanao? -
- Sono qui… attento allo spigolo. -
- Sì, sì, l’ho visto… perché sei qui? -
Come aveva potuto chiederle una cosa simile?
Lei era lì. Certo che era lì.
Lui non lo sapeva, forse? Si poteva dubitarne? Ci sarebbe stata una volta in cui non sarebbe stata lì per lui?
- Sto bene… arrivo al letto da solo. -
Il tono era stato un po’ brusco, ma Nanao non ci faceva più caso. Sapeva che Shunsui aveva bisogno di lei e anche lui lo sapeva. Era solo che non si poteva dire ad alta voce.
Così lo aveva lasciato fare da solo per quanto era possibile, anche se l’opinione della donna era che l’altro fosse decisamente troppo stanco e troppo ubriaco per riposare bene. L’aveva girato su un fianco, per sicurezza. Ed ora lo osservava, ferma al centro di una stanza nella quale a rigor di logica non avrebbe dovuto trovarsi.
Quella era la stanza di Shunsui Kyouraku, il portiere del Million Dollar Hotel, in virtù del suo rapporto indiscusso con Jyuushiro Ukitake che dell’Hotel era ancora proprietario. Questa serie di credenziali era ciò che spingeva Shunsui a sedersi ogni mattina dentro al gabbiotto al piano terra, e quindi Nanao ne era molto grata, anche se oramai Shunsui era stato adottato dalla comunità dell’Hotel più di quanto lui non si occupasse di essa.
In effetti, pensava Nanao, da un certo punto di vista quel legame con Jyuushiro, quella specie di eredità lasciata da lui era tutto ciò che manteneva in vita Shunsui e ancora lo spingeva ad alzarsi, un giorno e il giorno dopo ancora. Non c’era un altro motivo.
Pensare questo le faceva male perché Nanao avrebbe voluto essere quel motivo.
Era sempre stato un suo difetto, lo sapeva bene, non essere in grado di mostrare i propri sentimenti; e ancor più grave era il fatto che questi sentimenti nascosti non erano cose facili da sopportare, ma al contrario lasciavano segni profondi, soprattutto perché erano continuamente ricacciati verso il fondo. Era questo che la costringeva ad essere tanto scostante e fredda all’esterno: dentro, non sapeva controllarsi.
Rifaceva gli stessi errori.
Nanao cercava di non caderci di nuovo, ma quello che lei sperava fosse reprimere era soltanto un modo di nascondere. E le cose nascoste, si sa, cercano di uscire, e fanno male.
Perché doveva sempre affezionarsi a uomini che non erano interessati a lei? Era stato così anche con l’altro. Lei aveva attirato la sua attenzione, lei aveva cercato di apparire desiderabile ai suoi occhi. Voleva piacergli. Voleva essere qualcosa per lui. Anche quell’uomo era grande e dolce, come Shunsui, ma in maniera diversa.
Eppure le facevano provare lo stesso desiderio di essere nel loro cuore, tra le loro braccia: protetta. Custodita.
Ma Shunsui non avrebbe mai potuto darle questo, e Nanao sapeva fin troppo bene il perché. Era un perché così intimo e straziante che la donna non si sentiva nemmeno legittimata a provare rabbia; quella sofferenza apparteneva prima di tutto a Shunsui, e lei non poteva farla sua. Gli apparteneva e lo stava cambiando, distruggendolo ogni giorno di più.
Infatti il dolore per Jyuushiro toglieva anche a Shunsui la voglia di vivere, di scherzare, persino di essere se stesso. Nanao era solo un’estranea, comparata a quell’amore, a quella sofferenza; eppure era una spettatrice di quella lenta caduta, ed odiava dover essere una spettatrice muta. Specialmente quando, a ragione o no, si sentiva così coinvolta nel dramma – e il dramma faceva così male. Quanto tempo era passato da quando lui l’aveva chiamata per l’ultima volta “piccola Nanao”? Oh… prima lo faceva sempre.
Sempre.
Lei adorava sentirglielo dire.
Ma non ci sarebbe stato più nessun “piccola”: era inutile illudersi. Nanao era grande, adesso. E avrebbe fatto bene a non dimenticarlo.
Con lo sguardo impercettibilmente indurito, lanciò un’ultima occhiata a Shunsui ed uscì dalla sua camera, richiudendo silenziosamente la porta sul corridoio buio del quarto piano.
Sguardo indurito o meno, aveva intenzione di andare a letto, cercando di non pensare a nulla; ma, voltandosi, con la coda dell’occhio, vide una figura esile e bianca, che si avvicinò senza una parola, rivelando essere Momo.
La pelle e la camicia da notte così chiara erano spettrali; i capelli raccolti in una coda le si posavano sulla spalla. Nanao pensò che Momo sembrava il fantasma di una bambina, una bambina morta di fame e di stenti.
- Nanao… -
- Momo… ti ho svegliata? -
- No. – La ragazza scosse la testa, il gesto stranamente spiccio. Non sembrava assonnata. – Mi sono alzata perché non riuscivo a dormire… Toushiro dorme – aggiunse, una precisazione non richiesta e stranamente penosa.
Poi disse: - Pensavo, - e Nanao capì che Momo non si era avvicinata per caso.
- Che cosa? – domandò allora, allontanandosi dalla porta di Shunsui. Essere vista uscire da lì avrebbe potuto imbarazzarla in altri tempi, ma ora non più; né Momo sembrava averci prestato la minima attenzione.
- Pensavo a quel detective – riprese infatti, ben lucida e sveglia. Parlava con sicurezza e con una strana forza, diversa da quella sua tenacia diurna un po’ esangue; una forza strenua e quasi torbida, da donna e non da ragazzina, insolita da ritrovare nelle fattezze acerbe della giovane moglie di Toushiro. – E’ già passato del tempo, e a quanto pare non se ne va. -
- No, - ammise Nanao scuotendo la testa, - non se ne va… -
- Credo che dovremmo fare qualcosa – disse Momo.
L’altra la osservò dubbiosa. – Cosa? -
- Non saprei. – La ragazza si strinse nelle spalle. Sembrava scegliere con cura le parole. – Ma io farei qualcosa. Forse potremmo riunirci di nuovo per discuterne, non credi? -
- Sì… - Nanao annuì, - penso sia possibile… -
- Oh, bene, allora. Sarà meglio per tutti – concluse Momo, con una traccia di allegria. La donna più vecchia la osservò rendendosi conto che l’incontro era concluso, e non aggiunse altro.
Allora Momo diede la buonanotte e tornò sui suoi passi; e Nanao, che era incredibilmente stanca, stancamente andò a dormire.



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Sono in ritardo. Lo so perfettamente. Vi chiedo scusa. Vi ho fatto aspettare molto ma spero che se qualcuno di voi era interessato al seguito, possa avere il “piacere” di leggerlo. XD Anche se aggiorno ogni morte di papa ho intenzione di finire è_è

Ino_Chan: Temo che tu mi abbia “sgamato” come si suol dire… XD Non pensavo ad Occhi di Gatto, almeno non consapevolmente, ma ora che me lo dici temo che qualcosa c’entrino! XD In realtà l’idea, come sempre, è nata in maniera istintiva… non penso che questa “versione policeman” corrisponda del tutto a Kisuke, ma direi che questa contrapposizione è decisamente divertente! XD Grazie per i tuoi commenti dettagliati *___*’’ Sììì, mi sa che abbiamo feeling, SICCOME CHE anche a me piace intrecciare gli eventi e portarli lentamente a compimento, poi adoro le cose drammatiche, quindi ù.ù’’ Questo capitolo è un po’ di “stasi” al confronto ma spero vada bene lo stesso! XD

Kaho_Chan: Hai l’impressione che voglia fare un tiro a Yoruichi perché è Aizen! Che domanda! XD Ciò significa che la mia descrizione era calzante U_U’’ Sono contenta che ti piaccia la “mia” Ulqui/Hime, in realtà non so neanche se si possa definire così… XD Però anche a me loro piacciono tanto *_*’’ Mi piace pure Uryuu, eh, ma siccome sono sadica, li faccio soffrire tutti quanti, mwaha. XD

sis4B: Oooow, grazie, anche a belialcross! Omg, queste cose mi fanno sentire tanto in colpa per il ritardo >< (Povero Ishida, già XD)

AllegraRagazzaMorta: Sì, Hisagi è un po’ il Blaise Zabini di Bleach, ma NONDIMENO è divertente ficcarlo a forza nella yakuza XD Temo che in effetti il suo ruolo sia più o meno finito qui (lol), è stato un passaggio molto veloce U_U Comunque ovviamente KisuYoru bondage è canon ù.ù La parte di Yoruichi invece conto di descriverla U_U Almeno quello XD
Soi Fon sostanzialmente ha lo stesso ruolo che nel canon, solo che non è stata “tradita” quindi la sua adorazione è al massimo *__*’’ E sì… ammetto che pigliare Aizen e farlo diventare un piccolo boss mi ha divertito XD Scusa Sousuke, si chiama “legge del contrappasso”. *ghigno sadico*
Quanto ad Ishida, non sai quanto dispiace anche a me ç_ç ma come giustamente dici è per un bene superiore U_U XD Grazie cara! =*

kikafei: Grazie infinite… conosco la sensazione bellissima quando si trova un autore col quale c’è affinità, e sono veramente felice che ti capiti con me! ^O^ Oltre a sentirmi onorata dei tuoi complimenti, sono io stessa una cacciatrice disperata di storie soddisfacenti (è vero che spesso ho un punto di vista un po’ “originale”, il che però lungi dall’essere una cosa lusinghiera, più che altro è un problema… XD) e così, faccio una fatica bestia a trovare i personaggi e le situazioni che più mi piacciono, rappresentate nelle ff. U_U’’
Davvero hai letto tutto? Omg. XD Grazie davvero! *___*’’ Sono emozionata. XD Scusami per l’attesa, spero che il capitolo ti piacerà. =*
   
 
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