Capitolo 4: Poems by God
Your chances thrown upon a table like dice and
Were you born in the right time
On the right side of the world?
As I need glasses when the writing is too small
I’ll never read the
big letters of poems written by God.
(“Poems
by God” – Elisa)
Come
furono surreali i giorni in cui il cardinale Giuliano Della Rovere rimase
ospite al castello di Napoli! La sua presenza metteva ancora di più in crisi il
Principe Alfonso e per più di un motivo. Ovviamente, il giovane ricordava fin
troppo bene la precedente visita del cardinale, quando era venuto a chiedere
l’appoggio del Re Ferrante per deporre il papa Borgia e… rivederlo adesso era
devastante per lui. In quei giorni ormai lontani si era divertito un sacco,
prima a burlarsi di lui e poi a giocare a fare il Principe reggente, portandolo
a visitare la famosa sala da pranzo di suo padre e poi le terme sulfuree,
accennando al fatto che avrebbe discusso
personalmente della cosa con i consiglieri del padre. Quanto si era sentito
importante allora, quasi arbitro dei destini di molte persone! E adesso?
L’unico con un destino quanto mai precario e instabile era lui e lui soltanto…
E
poi, certo, il cardinale non era uno stupido e si era accorto di quanto lui
fosse terrorizzato dai francesi. Non poteva sapere le cose terribili che gli
erano state inflitte nelle camere di tortura (e, con un po’ di fortuna, non
avrebbe dovuto saperle mai…), tuttavia la sua paura di nuovi supplizi era
certamente evidente in ogni suo atto, parola e sguardo e nulla di ciò che
avrebbe potuto dire sarebbe mai stato sufficiente per stornare ogni sospetto.
Alfonso era tuttora convinto di non essere stato affatto credibile nelle sue
proteste di lealtà alla causa francese e ogni pranzo, ogni cena alla tavola di
Re Carlo e alla presenza di Della Rovere era una nuova farsa. Aveva cominciato
a temere e detestare le ore dei pasti, odiava dover sedere alla destra del
sovrano (il posto che era stato suo di diritto per anni adesso gli scottava
sotto, sapeva bene di essere lì solo per mostrare al cardinale un rapporto di
fiducia che era ben lontano dall’esistere), lo stomaco gli si annodava per
l’ansia e il terrore di dire o fare qualcosa di irreparabile e, naturalmente,
il sovrano francese non perdeva occasione per sottolineare il suo disagio e
metterlo, così, ancora più in angoscia. Il giovane Principe trascorreva ogni
interminabile banchetto a fissare il cibo nel piatto, giocherellandoci e
sperando di riuscire a farlo scomparire con la sola forza di volontà, visto che
riusciva a malapena a ingoiare un paio di bocconi, che gli si piantavano in
gola come sassi.
E
Re Carlo celiava sul fatto che evidentemente,
il Principe non godeva di perfetta salute a causa della pestilenza che aveva
colpito Napoli! Ancora e ancora. Sapeva bene dove colpire e, con ogni
accenno a quella stramaledetta pestilenza, rinnovava il ricordo e persino il
dolore atroce delle torture in Alfonso.
Ad
ogni modo, il ragazzo era riuscito a evitare il più possibile di trovarsi di
nuovo a colloquio con Della Rovere e, finalmente, l’uomo di chiesa aveva deciso
di tornare a Roma, sarebbe ripartito l’indomani all’alba ma… eh, purtroppo
c’era un’intera serata, prima, e un’ultima, infinita cena alla quale non
avrebbe potuto esimersi dal partecipare.
“Dunque
ci lasciate, cardinale? La nostra ospitalità non è stata abbastanza gradevole
per voi?” gli chiese il Re quell’ultima sera, con il solito tono sarcastico.
“Il
mio dovere è liberare la Chiesa dalla presenza malefica di Borgia” replicò
Della Rovere, asciutto. “Non ho ormai altro scopo nella mia vita ed era solo
per questo che ero venuto a farvi visita, Vostra Maestà, per implorare il
vostro appoggio, ma posso comprendere che voi siate ancora troppo debilitato
dalla malattia e impegnato nel consolidare il vostro potere come sovrano di
Napoli per impegnarvi in questa missione. Tuttavia io non posso procrastinare
oltre il mio ritorno a Roma.”
“Ma
certo, cardinale, siete impaziente di mettervi all’opera voi stesso contro il
papa” sogghignò il Re. “Sappiate che, qualunque cosa farete, avrete il nostro
consenso: quel Borgia deve pagare anche per ciò che ha ordito contro la nostra
persona. Comunque, avete trovato di vostro gradimento il soggiorno a Napoli? La
nostra ospitalità è stata migliore di quella di Re Ferrante?”
Ecco.
Ancora
una volta, anche quell’ultima sera.
Re
Carlo non poteva perdere l’ultima occasione di divertirsi come un gatto col
topolino.
Il
Principe Alfonso trasalì e s’irrigidì, aspettandosi un nuovo attacco, una nuova
insinuazione.
Anche
il cardinale rimase spiazzato da quella domanda e non rispose subito, così che
il sovrano francese poté piazzare un altro affondo.
“Ci
scusiamo per non avervi potuto condurre anche questa volta alle terme sulfuree,
come aveva cortesemente fatto il nostro caro Principe Alfonso” disse, fingendosi
dispiaciuto. “Tuttavia, come ben saprete, non era possibile recarvisi in questi
giorni, sempre a causa di quella misteriosa
pestilenza. Non avremmo mai voluto che vi ammalaste… non è vero, Principe?”
Sentendosi
interpellato, il giovane si angosciò ancora di più. Si morse il labbro
inferiore, nervoso, prima di trovare voce sufficiente per rispondere.
“La
salute di Sua Eminenza è molto importante per tutti noi” riuscì a dire.
Ma
il Re non aveva ancora finito con lui.
“Tuttavia
non vogliamo privarvi di tutti i divertimenti di cui avete potuto godere nella
visita precedente” riprese. “Sappiamo che il Principe non ha mancato di
mostrarvi la sala da pranzo preferita da suo padre, il compianto Re Ferrante. Forse desiderereste che vi accompagnasse a
visitarla in quest’ultima sera che trascorrerete qui? Sono certo che il
Principe ne sarà oltremodo lieto.”
Era
troppo. Alfonso chiuse gli occhi e si fece cereo in viso, sicuro che sarebbe
svenuto con la faccia nel piatto. Persino il Generale si mosse a disagio sulla
sedia a quella nuova cattiveria del suo sovrano e avrebbe voluto intervenire in
qualche modo, ma Della Rovere lo precedette.
“Non
ho desiderio di vedere ancora uno spettacolo così penoso e già nella mia scorsa
visita feci notare al gentile Principe che tali punizioni erano eccessivamente
severe secondo la mia mentalità di umile uomo di chiesa” tagliò corto, per
chiudere l’argomento una volta per tutte. “Invece… invece sono addolorato di
notare che la salute del Principe non è affatto migliorata in questi giorni e
che stasera appare ancora più sofferente del solito.”
“Voi
dite?” commentò divertito il Re, lanciando un’occhiata al ragazzo sconvolto che
gli sedeva accanto.
“Temo
che la malattia di cui avete parlato sia troppo violenta per la costituzione delicata
del Principe Alfonso” ribatté il cardinale. “Volevo infatti chiedere a Vostra
Maestà il permesso di condurlo con me a Roma per permettergli di cambiare aria.
Ciò gioverebbe senz’altro alla sua salute che tutti noi consideriamo tanto
preziosa.”
L’espressione
di Re Carlo mutò improvvisamente: il cardinale aveva osato sfidarlo in arguzia
e adesso c’era da divertirsi ancora di più!
“Già
una volta vi rimproverai per la vostra impertinenza, cardinale” replicò,
stizzito. “Allora osaste mettere in dubbio la necessità di distruggere Lucca e
massacrarne i cittadini, mentre ora ritenete che non ci prendiamo sufficiente
cura del benessere del Principe
Alfonso. Molto bene, se è questo che pensate allora chiedetelo, chiedete
direttamente al Principe qui presente se ci prendiamo cura di lui con ogni mezzo, se vive serenamente in mezzo ai suoi
nuovi alleati o se, invece, preferirebbe rifugiarsi a Roma. Domandatelo pure al
giovane Principe: è qui davanti a voi ed è abbastanza grande da rispondere per
se stesso.”
Il
cardinale si fece livido e comprese di aver scatenato qualcosa di ancor
peggiore. Come già aveva fatto mille volte, maledisse in cuor suo il momento in
cui aveva deciso di rivolgersi al Re di Francia per ottenerne l’appoggio senza
considerare che, così facendo, avrebbe messo l’Italia intera nelle mani
sanguinarie di un barbaro senza scrupoli. Sarebbe stato meglio se avesse
tentato lui stesso di eliminare Rodrigo Borgia, come infatti intendeva fare
adesso… e quante vite sarebbero state risparmiate, tutte vite che lui aveva sulla coscienza!
Tutti
gli occhi si puntarono sul Principe Alfonso, ma lui sentiva soltanto lo sguardo
fisso del Re accanto a lui che gli bruciava la pelle come avevano fatto le sue
torture. Non poteva fare altro, ancora una volta doveva essere convincente.
Posò le mani sul tavolo, stringendo fino a farsi sbiancare le nocche e,
fingendo una sicurezza che era ben lontano dal provare, si alzò in piedi
guardando bene in faccia Della Rovere. Le gambe gli tremavano, ma nessuno
poteva vederle e si era appoggiato con forza al tavolo proprio per evitare di
vacillare.
“Vi
ho già risposto una volta a proposito di questa questione” dichiarò, tenendo la
voce bassa per non far sentire che tremava. “Napoli è la città in cui sono nato
e cresciuto e non ho alcun motivo per desiderare di abbandonarla, né ora né
mai. Vi sono molto grato per il vostro interessamento, ma vi assicuro che ho chi
si occupa di me nel… nel modo migliore e che guarirò molto più velocemente qui
che in qualunque altro posto.”
Il
Re scoppiò a ridere, compiaciuto e esilarato nel vedere l’espressione
sbigottita e delusa del cardinale.
“Ecco,
cardinale, avete avuto la vostra risposta. Adesso vi ordino di non seccarci più
con richieste inopportune, altrimenti saremo costretti a farvi accompagnare dal
Principe a cenare altrove… magari nella sala da pranzo di Re Ferrante!”
esclamò, con un ghigno.
A
quelle parole Della Rovere chinò il capo, sconfitto, ma anche Alfonso ricadde
seduto di schianto come una marionetta con i fili tagliati. Come? Perché il Re
aveva detto quella cattiveria? Perché gli aveva di nuovo ricordato quella
maledetta sala da pranzo? Non era forse stato abbastanza convincente? Aveva
detto qualcosa di sbagliato? Re Carlo lo avrebbe punito comunque?
In
preda al panico, il Principe si sentì invadere dalla nausea e, pur essendo
seduto, oscillò e parve sul punto di cadere. A quel punto fu il Generale ad
intervenire: francamente, per quella sera ne aveva avuto abbastanza delle
battute del suo Re e riteneva che il Principe si fosse comportato fin troppo
bene e non meritasse un simile trattamento.
“Mio
signore” suggerì rispettosamente, “chiedo il vostro permesso per lasciare la
tavola e accompagnare il Principe Alfonso nelle sue stanze. Credo che questa
sera sia particolarmente debole e stanco e che abbia bisogno di riposo.”
Re
Carlo guardò il suo ufficiale, quindi il cardinale Della Rovere che non aveva
più osato alzare gli occhi dal piatto, infine il giovane accanto a lui che
pareva più morto che vivo. Valutò di essersela goduta abbastanza per quella
sera e che poteva anche acconsentire alla richiesta del suo Generale.
“Avete
il nostro permesso” rispose. “Del resto, la cena è ormai quasi terminata…”
“Vi
ringrazio, Vostra Maestà” disse il Generale. Si alzò dal suo posto e si
avvicinò al Principe che lo guardava con aria stordita. Dovette aiutarlo ad
alzarsi in piedi e praticamente trascinarlo fuori dalla sala, perché il ragazzo
pareva incapace di muovere anche un solo passo. Non appena furono fuori dalla
vista del sovrano, lo prese in braccio e si stupì ancora una volta di quanto
fosse fragile e leggero.
Mentre
lo portava verso la stanza che condividevano, cercò di rincuorarlo con qualche
parola gentile.
“Sua
Maestà voleva soltanto metterti alla prova, lo sai questo, vero? Non intende
farti di nuovo del male, sa bene quanto tu sia importante per la nostra causa”
disse. “Tu ti sei comportato in modo egregio anche stasera e sono certo che
anche Sua Maestà, in fondo, è soddisfatto di te.”
Come no?, pensò stancamente
il Principe. Era talmente sfinito da non avere nemmeno la forza di rispondere e
restò abbandonato tra le braccia dell’uomo, senza credere veramente alle sue
parole ma comunque provando un certo qual sollievo nel sentire che, tutto
sommato, tentava di incoraggiarlo.
Giunti
nella camera, il Generale depose Alfonso sul letto. Cominciava a provare un
certo dispiacere nel vederlo così distrutto e si rendeva conto sempre di più
che avevano esagerato con lui. Non avevano in mano un Cesare Borgia, un giovane
ostinato e deciso da domare con la forza, ma un ragazzo impaurito e fragile che
avrebbe potuto crollare da un momento all’altro.
“Hai
risposto molto bene al cardinale, Principe” insisté allora, per confortarlo. “Della
Rovere ha provato in tutti i modi a farti cadere in contraddizione, ma tu sei
stato arguto. Ritengo che meriti una ricompensa: parlerò a Sua Maestà e
cercherò di convincerlo a non infierire così tanto su di te, a questo punto la
tua lealtà è stata provata più volte e non c’è motivo di esagerare.”
Le
parole del Generale ebbero un effetto sorprendente e inaspettato su Alfonso: il
giovane Principe sollevò sull’uomo uno sguardo incredulo e poi scoppiò a piangere.
Il comandante francese non poté fare altro che stringerlo di nuovo tra le
braccia, non sapendo cosa pensare di quella reazione.
“Principe
Alfonso, cosa ti succede, adesso? Ti ho detto che non hai più nulla da temere…”
“E’
che… è che…” il giovane non riusciva quasi a parlare in mezzo ai singhiozzi.
“Nessuno è mai… voi siete… siete il primo che mi parla con gentilezza… da tanto
tempo, tanto tempo…”
Quelle
frasi disperate, rotte dal pianto, provocarono uno strano effetto sul Generale,
qualcosa che non aveva mai provato prima: lo invase un’insolita tenerezza per
il ragazzo, quel Principe che aveva perduto ogni punto di riferimento nella sua
vita, era stato crudelmente torturato e adesso scoppiava in lacrime soltanto
perché lui gli aveva parlato con una certa gentilezza.
Abbiamo davvero
punito il Principe in modo eccessivo, sarebbe bastato molto meno per metterlo
in riga, è solo un ragazzo fragile e spaventato…
Il
pensiero suscitò in lui altri desideri e, non riuscendo a dominarsi, strinse
più forte a sé Alfonso e lo baciò profondamente. E, ancora una volta, rimase
piacevolmente sorpreso dalla reazione del Principe che, affamato di qualunque
gesto minimamente affettuoso, gli si aggrappò e si lasciò baciare, remissivo.
La
docilità del Principe suscitò ancora maggior eccitazione nel Generale che non
seppe frenarsi. Approfittando dell’unguento che il dottore usava per curare le
ferite provocate al Principe dalle torture e che teneva sopra il comodino,
cercò di prepararlo nel modo migliore che poté, non riuscendo a rinunciare a
lui ma neanche volendo risvegliargli troppo il dolore e il terrore dei
supplizi. Alfonso, tuttavia, pareva stordito e non accennava a ribellarsi,
avrebbe accettato docile e obbediente qualunque cosa il Generale avesse deciso
di fargli, unicamente perché… era stato il solo a trattarlo con gentilezza.
Tanto era potente in lui il senso di perdita, solitudine e terrore…
Alla
fine di tutto, il Principe rimase tra le braccia del comandante francese,
sconvolto e intontito ma anche consapevole che quell’uomo, in qualche suo
strano modo, perlomeno teneva a lui e lo avrebbe protetto dal male. Intenerito
come mai gli era accaduto prima, il Generale lo tenne tra le braccia e gli
parlò di nuovo in tono incoraggiante.
“Non
devi avere più paura, Principe. Io ti prometto che, se continuerai a
comportarti sempre bene, ti proteggerò e ti sarò vicino” gli disse. “Non sarai
mai più solo e intercederò sempre per te presso Sua Maestà. Stai tranquillo,
Principe Alfonso.”
E,
inspiegabilmente, il giovane si sentì davvero più tranquillo e riuscì ad
addormentarsi, pensando per la prima volta dopo tanti giorni che, forse, la sua
vita sarebbe proseguita in un modo meno terribile e spaventoso di ciò che aveva
pensato fino ad allora.
FINE