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Autore: Abby_da_Edoras    22/11/2016    5 recensioni
Dunque, chi legge le mie storie sa già che non sono normale XDDD e che da un piccolo dettaglio posso inventare deliri allucinanti, soprattutto quando mi prendo a cuore un personaggio e voglio salvargli la vita a tutti i costi.
La mia storia a capitoli (sì, perché ci ho fatto proprio una long con questa vicenda...) si intitola "Shadows and lights" e trae la sua "ispirazione" (vabbè, chiamiamola così...) dalla puntata 02X01 della serie TV The Borgias versione canadese: la parte di me che entra in empatia con i personaggi più improbabili è rimasta sconvolta dalla vicenda tragica del Principe Alfonso di Napoli torturato a morte dai francesi. Ecco, io mi sono creata una versione personale di tale vicenda (approfittando del fatto che, tutto sommato, quel personaggio è una licenza poetica e non è realmente esistito, così come la sua storia) e da questo è nata la ff. Stiamo parlando di AU, OOC e quant'altro, grazie a chi si prenderà la pena di leggere le mie allucinazioni e non siate troppo severi con me, lo so anch'io che sono da neurodeliri!
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alfonso II di Napoli, Altri
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Salvation'
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Capitolo 4: Poems by God

 

Your chances thrown upon a table like dice and

Were you born in the right time

On the right side of the world?

As I need glasses when the writing is too small

I’ll never read the big letters of poems written by God.

(“Poems by God” – Elisa)

 

Come furono surreali i giorni in cui il cardinale Giuliano Della Rovere rimase ospite al castello di Napoli! La sua presenza metteva ancora di più in crisi il Principe Alfonso e per più di un motivo. Ovviamente, il giovane ricordava fin troppo bene la precedente visita del cardinale, quando era venuto a chiedere l’appoggio del Re Ferrante per deporre il papa Borgia e… rivederlo adesso era devastante per lui. In quei giorni ormai lontani si era divertito un sacco, prima a burlarsi di lui e poi a giocare a fare il Principe reggente, portandolo a visitare la famosa sala da pranzo di suo padre e poi le terme sulfuree, accennando al fatto che avrebbe discusso personalmente della cosa con i consiglieri del padre. Quanto si era sentito importante allora, quasi arbitro dei destini di molte persone! E adesso? L’unico con un destino quanto mai precario e instabile era lui e lui soltanto…

E poi, certo, il cardinale non era uno stupido e si era accorto di quanto lui fosse terrorizzato dai francesi. Non poteva sapere le cose terribili che gli erano state inflitte nelle camere di tortura (e, con un po’ di fortuna, non avrebbe dovuto saperle mai…), tuttavia la sua paura di nuovi supplizi era certamente evidente in ogni suo atto, parola e sguardo e nulla di ciò che avrebbe potuto dire sarebbe mai stato sufficiente per stornare ogni sospetto. Alfonso era tuttora convinto di non essere stato affatto credibile nelle sue proteste di lealtà alla causa francese e ogni pranzo, ogni cena alla tavola di Re Carlo e alla presenza di Della Rovere era una nuova farsa. Aveva cominciato a temere e detestare le ore dei pasti, odiava dover sedere alla destra del sovrano (il posto che era stato suo di diritto per anni adesso gli scottava sotto, sapeva bene di essere lì solo per mostrare al cardinale un rapporto di fiducia che era ben lontano dall’esistere), lo stomaco gli si annodava per l’ansia e il terrore di dire o fare qualcosa di irreparabile e, naturalmente, il sovrano francese non perdeva occasione per sottolineare il suo disagio e metterlo, così, ancora più in angoscia. Il giovane Principe trascorreva ogni interminabile banchetto a fissare il cibo nel piatto, giocherellandoci e sperando di riuscire a farlo scomparire con la sola forza di volontà, visto che riusciva a malapena a ingoiare un paio di bocconi, che gli si piantavano in gola come sassi.

E Re Carlo celiava sul fatto che evidentemente, il Principe non godeva di perfetta salute a causa della pestilenza che aveva colpito Napoli! Ancora e ancora. Sapeva bene dove colpire e, con ogni accenno a quella stramaledetta pestilenza, rinnovava il ricordo e persino il dolore atroce delle torture in Alfonso.

Ad ogni modo, il ragazzo era riuscito a evitare il più possibile di trovarsi di nuovo a colloquio con Della Rovere e, finalmente, l’uomo di chiesa aveva deciso di tornare a Roma, sarebbe ripartito l’indomani all’alba ma… eh, purtroppo c’era un’intera serata, prima, e un’ultima, infinita cena alla quale non avrebbe potuto esimersi dal partecipare.

“Dunque ci lasciate, cardinale? La nostra ospitalità non è stata abbastanza gradevole per voi?” gli chiese il Re quell’ultima sera, con il solito tono sarcastico.

“Il mio dovere è liberare la Chiesa dalla presenza malefica di Borgia” replicò Della Rovere, asciutto. “Non ho ormai altro scopo nella mia vita ed era solo per questo che ero venuto a farvi visita, Vostra Maestà, per implorare il vostro appoggio, ma posso comprendere che voi siate ancora troppo debilitato dalla malattia e impegnato nel consolidare il vostro potere come sovrano di Napoli per impegnarvi in questa missione. Tuttavia io non posso procrastinare oltre il mio ritorno a Roma.”

“Ma certo, cardinale, siete impaziente di mettervi all’opera voi stesso contro il papa” sogghignò il Re. “Sappiate che, qualunque cosa farete, avrete il nostro consenso: quel Borgia deve pagare anche per ciò che ha ordito contro la nostra persona. Comunque, avete trovato di vostro gradimento il soggiorno a Napoli? La nostra ospitalità è stata migliore di quella di Re Ferrante?”

Ecco.

Ancora una volta, anche quell’ultima sera.

Re Carlo non poteva perdere l’ultima occasione di divertirsi come un gatto col topolino.

Il Principe Alfonso trasalì e s’irrigidì, aspettandosi un nuovo attacco, una nuova insinuazione.

Anche il cardinale rimase spiazzato da quella domanda e non rispose subito, così che il sovrano francese poté piazzare un altro affondo.

“Ci scusiamo per non avervi potuto condurre anche questa volta alle terme sulfuree, come aveva cortesemente fatto il nostro caro Principe Alfonso” disse, fingendosi dispiaciuto. “Tuttavia, come ben saprete, non era possibile recarvisi in questi giorni, sempre a causa di quella misteriosa pestilenza. Non avremmo mai voluto che vi ammalaste… non è vero, Principe?”

Sentendosi interpellato, il giovane si angosciò ancora di più. Si morse il labbro inferiore, nervoso, prima di trovare voce sufficiente per rispondere.

“La salute di Sua Eminenza è molto importante per tutti noi” riuscì a dire.

Ma il Re non aveva ancora finito con lui.

“Tuttavia non vogliamo privarvi di tutti i divertimenti di cui avete potuto godere nella visita precedente” riprese. “Sappiamo che il Principe non ha mancato di mostrarvi la sala da pranzo preferita da suo padre, il compianto Re Ferrante. Forse desiderereste che vi accompagnasse a visitarla in quest’ultima sera che trascorrerete qui? Sono certo che il Principe ne sarà oltremodo lieto.”

Era troppo. Alfonso chiuse gli occhi e si fece cereo in viso, sicuro che sarebbe svenuto con la faccia nel piatto. Persino il Generale si mosse a disagio sulla sedia a quella nuova cattiveria del suo sovrano e avrebbe voluto intervenire in qualche modo, ma Della Rovere lo precedette.

“Non ho desiderio di vedere ancora uno spettacolo così penoso e già nella mia scorsa visita feci notare al gentile Principe che tali punizioni erano eccessivamente severe secondo la mia mentalità di umile uomo di chiesa” tagliò corto, per chiudere l’argomento una volta per tutte. “Invece… invece sono addolorato di notare che la salute del Principe non è affatto migliorata in questi giorni e che stasera appare ancora più sofferente del solito.”

“Voi dite?” commentò divertito il Re, lanciando un’occhiata al ragazzo sconvolto che gli sedeva accanto.

“Temo che la malattia di cui avete parlato sia troppo violenta per la costituzione delicata del Principe Alfonso” ribatté il cardinale. “Volevo infatti chiedere a Vostra Maestà il permesso di condurlo con me a Roma per permettergli di cambiare aria. Ciò gioverebbe senz’altro alla sua salute che tutti noi consideriamo tanto preziosa.”

L’espressione di Re Carlo mutò improvvisamente: il cardinale aveva osato sfidarlo in arguzia e adesso c’era da divertirsi ancora di più!

“Già una volta vi rimproverai per la vostra impertinenza, cardinale” replicò, stizzito. “Allora osaste mettere in dubbio la necessità di distruggere Lucca e massacrarne i cittadini, mentre ora ritenete che non ci prendiamo sufficiente cura del benessere del Principe Alfonso. Molto bene, se è questo che pensate allora chiedetelo, chiedete direttamente al Principe qui presente se ci prendiamo cura di lui con ogni mezzo, se vive serenamente in mezzo ai suoi nuovi alleati o se, invece, preferirebbe rifugiarsi a Roma. Domandatelo pure al giovane Principe: è qui davanti a voi ed è abbastanza grande da rispondere per se stesso.”

Il cardinale si fece livido e comprese di aver scatenato qualcosa di ancor peggiore. Come già aveva fatto mille volte, maledisse in cuor suo il momento in cui aveva deciso di rivolgersi al Re di Francia per ottenerne l’appoggio senza considerare che, così facendo, avrebbe messo l’Italia intera nelle mani sanguinarie di un barbaro senza scrupoli. Sarebbe stato meglio se avesse tentato lui stesso di eliminare Rodrigo Borgia, come infatti intendeva fare adesso… e quante vite sarebbero state risparmiate, tutte vite che lui aveva sulla coscienza!

Tutti gli occhi si puntarono sul Principe Alfonso, ma lui sentiva soltanto lo sguardo fisso del Re accanto a lui che gli bruciava la pelle come avevano fatto le sue torture. Non poteva fare altro, ancora una volta doveva essere convincente. Posò le mani sul tavolo, stringendo fino a farsi sbiancare le nocche e, fingendo una sicurezza che era ben lontano dal provare, si alzò in piedi guardando bene in faccia Della Rovere. Le gambe gli tremavano, ma nessuno poteva vederle e si era appoggiato con forza al tavolo proprio per evitare di vacillare.

“Vi ho già risposto una volta a proposito di questa questione” dichiarò, tenendo la voce bassa per non far sentire che tremava. “Napoli è la città in cui sono nato e cresciuto e non ho alcun motivo per desiderare di abbandonarla, né ora né mai. Vi sono molto grato per il vostro interessamento, ma vi assicuro che ho chi si occupa di me nel… nel modo migliore e che guarirò molto più velocemente qui che in qualunque altro posto.”

Il Re scoppiò a ridere, compiaciuto e esilarato nel vedere l’espressione sbigottita e delusa del cardinale.

“Ecco, cardinale, avete avuto la vostra risposta. Adesso vi ordino di non seccarci più con richieste inopportune, altrimenti saremo costretti a farvi accompagnare dal Principe a cenare altrove… magari nella sala da pranzo di Re Ferrante!” esclamò, con un ghigno.

A quelle parole Della Rovere chinò il capo, sconfitto, ma anche Alfonso ricadde seduto di schianto come una marionetta con i fili tagliati. Come? Perché il Re aveva detto quella cattiveria? Perché gli aveva di nuovo ricordato quella maledetta sala da pranzo? Non era forse stato abbastanza convincente? Aveva detto qualcosa di sbagliato? Re Carlo lo avrebbe punito comunque?

In preda al panico, il Principe si sentì invadere dalla nausea e, pur essendo seduto, oscillò e parve sul punto di cadere. A quel punto fu il Generale ad intervenire: francamente, per quella sera ne aveva avuto abbastanza delle battute del suo Re e riteneva che il Principe si fosse comportato fin troppo bene e non meritasse un simile trattamento.

“Mio signore” suggerì rispettosamente, “chiedo il vostro permesso per lasciare la tavola e accompagnare il Principe Alfonso nelle sue stanze. Credo che questa sera sia particolarmente debole e stanco e che abbia bisogno di riposo.”

Re Carlo guardò il suo ufficiale, quindi il cardinale Della Rovere che non aveva più osato alzare gli occhi dal piatto, infine il giovane accanto a lui che pareva più morto che vivo. Valutò di essersela goduta abbastanza per quella sera e che poteva anche acconsentire alla richiesta del suo Generale.

“Avete il nostro permesso” rispose. “Del resto, la cena è ormai quasi terminata…”

“Vi ringrazio, Vostra Maestà” disse il Generale. Si alzò dal suo posto e si avvicinò al Principe che lo guardava con aria stordita. Dovette aiutarlo ad alzarsi in piedi e praticamente trascinarlo fuori dalla sala, perché il ragazzo pareva incapace di muovere anche un solo passo. Non appena furono fuori dalla vista del sovrano, lo prese in braccio e si stupì ancora una volta di quanto fosse fragile e leggero.

Mentre lo portava verso la stanza che condividevano, cercò di rincuorarlo con qualche parola gentile.

“Sua Maestà voleva soltanto metterti alla prova, lo sai questo, vero? Non intende farti di nuovo del male, sa bene quanto tu sia importante per la nostra causa” disse. “Tu ti sei comportato in modo egregio anche stasera e sono certo che anche Sua Maestà, in fondo, è soddisfatto di te.”

Come no?, pensò stancamente il Principe. Era talmente sfinito da non avere nemmeno la forza di rispondere e restò abbandonato tra le braccia dell’uomo, senza credere veramente alle sue parole ma comunque provando un certo qual sollievo nel sentire che, tutto sommato, tentava di incoraggiarlo.

Giunti nella camera, il Generale depose Alfonso sul letto. Cominciava a provare un certo dispiacere nel vederlo così distrutto e si rendeva conto sempre di più che avevano esagerato con lui. Non avevano in mano un Cesare Borgia, un giovane ostinato e deciso da domare con la forza, ma un ragazzo impaurito e fragile che avrebbe potuto crollare da un momento all’altro.

“Hai risposto molto bene al cardinale, Principe” insisté allora, per confortarlo. “Della Rovere ha provato in tutti i modi a farti cadere in contraddizione, ma tu sei stato arguto. Ritengo che meriti una ricompensa: parlerò a Sua Maestà e cercherò di convincerlo a non infierire così tanto su di te, a questo punto la tua lealtà è stata provata più volte e non c’è motivo di esagerare.”

Le parole del Generale ebbero un effetto sorprendente e inaspettato su Alfonso: il giovane Principe sollevò sull’uomo uno sguardo incredulo e poi scoppiò a piangere. Il comandante francese non poté fare altro che stringerlo di nuovo tra le braccia, non sapendo cosa pensare di quella reazione.

“Principe Alfonso, cosa ti succede, adesso? Ti ho detto che non hai più nulla da temere…”

“E’ che… è che…” il giovane non riusciva quasi a parlare in mezzo ai singhiozzi. “Nessuno è mai… voi siete… siete il primo che mi parla con gentilezza… da tanto tempo, tanto tempo…”

Quelle frasi disperate, rotte dal pianto, provocarono uno strano effetto sul Generale, qualcosa che non aveva mai provato prima: lo invase un’insolita tenerezza per il ragazzo, quel Principe che aveva perduto ogni punto di riferimento nella sua vita, era stato crudelmente torturato e adesso scoppiava in lacrime soltanto perché lui gli aveva parlato con una certa gentilezza.

Abbiamo davvero punito il Principe in modo eccessivo, sarebbe bastato molto meno per metterlo in riga, è solo un ragazzo fragile e spaventato…

Il pensiero suscitò in lui altri desideri e, non riuscendo a dominarsi, strinse più forte a sé Alfonso e lo baciò profondamente. E, ancora una volta, rimase piacevolmente sorpreso dalla reazione del Principe che, affamato di qualunque gesto minimamente affettuoso, gli si aggrappò e si lasciò baciare, remissivo.

La docilità del Principe suscitò ancora maggior eccitazione nel Generale che non seppe frenarsi. Approfittando dell’unguento che il dottore usava per curare le ferite provocate al Principe dalle torture e che teneva sopra il comodino, cercò di prepararlo nel modo migliore che poté, non riuscendo a rinunciare a lui ma neanche volendo risvegliargli troppo il dolore e il terrore dei supplizi. Alfonso, tuttavia, pareva stordito e non accennava a ribellarsi, avrebbe accettato docile e obbediente qualunque cosa il Generale avesse deciso di fargli, unicamente perché… era stato il solo a trattarlo con gentilezza. Tanto era potente in lui il senso di perdita, solitudine e terrore…

Alla fine di tutto, il Principe rimase tra le braccia del comandante francese, sconvolto e intontito ma anche consapevole che quell’uomo, in qualche suo strano modo, perlomeno teneva a lui e lo avrebbe protetto dal male. Intenerito come mai gli era accaduto prima, il Generale lo tenne tra le braccia e gli parlò di nuovo in tono incoraggiante.

“Non devi avere più paura, Principe. Io ti prometto che, se continuerai a comportarti sempre bene, ti proteggerò e ti sarò vicino” gli disse. “Non sarai mai più solo e intercederò sempre per te presso Sua Maestà. Stai tranquillo, Principe Alfonso.”

E, inspiegabilmente, il giovane si sentì davvero più tranquillo e riuscì ad addormentarsi, pensando per la prima volta dopo tanti giorni che, forse, la sua vita sarebbe proseguita in un modo meno terribile e spaventoso di ciò che aveva pensato fino ad allora.

 

FINE

 

 

 

  

   
 
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