Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: RLandH    03/12/2016    1 recensioni
Le città dimenticate era il modo carino con cui si era preso a chiamare i distretti del Muro Maria, dopo la caduta di Shingashina e la perdita dei territori compresi tra la prima e la seconda cinta muraria. Il Muro Rose aveva aperto le sue porte a quasi tutti gli abitanti che avevano cercato rifugio – sbarazzandosene poi nell'immediato dopo – ma la notizia della caduta non era arrivata alle altre città fortifica perché potessero salvarsi.
Erano stati letteralmente lasciati a morire, dimenticati.
Nascosti sotto la povere di mostri senz'anima e pile di cadaveri.
Finn ci aveva pensato, lo doveva ammettere, a tutte quelle centinaia di persone che erano rimaste lì a marcire e morire d'inedia, fame e che altro.

Si, diciamo che per tutta la lettura (e visione) di SNK mi sono chiesta: ma agli tre distretti, del Muro Maria, cosa è successo?
E da lì e venuta fuori davvero tanta ... tristezza.
Un bacio a chiunque volesse leggere.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Erwin Smith, Levi Ackerman, Nanaba, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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M O R I T V R I   T E    S A L V T A N T

 

 

 

P O S T   M E R I D I E M


 

 

La madre di Ludwing era morta quando lui aveva dieci anni.
Se la ricordava come una donna pallida, dalle spalle sempre basse e che non sorrideva molto.
Suo padre era morto quando aveva quattordici anni.
Se la dipartita di sua madre aveva sconvolto il suo piccolo – piccolissimo – mondo, quella di suo padre aveva capovolto il suo futuro.
Aveva sempre aspirato, fino a quel momento, alle Ali. Come suo padre.
Eppure al suo funerale c'erano stati solo legionari e lui. Nessun membro della famiglia di suo padre era venuto – il suo vecchio gli aveva raccontato che mai avevano preso di buon grado la sua scelta di arruolarsi. Riguardo la famiglia di sua madre lo stesso , non era venuto nessuno, ma Ludwing non doveva stupirsi perché aveva sempre saputo quanto poco unisse i suoi genitori e di preciso vi era un solo legame: lui.
Neanche il migliore amico di suo padre era venuto. Andrej Sankov era stato uno dei più cari amici del suo vecchio, e Ludwing aveva sempre ricordato con una certa affettività almeno fino a quel momento, ma non era venuto a dare un saluto ad un compagno. Qualcuno, con un certo sprezzo negli occhi, gli aveva spiegato che dopo lo scandalo – di cui rigorosamente nessuno parlava – non poteva tornare al nord , grazie alle Dee. Lui non l'aveva capito, aveva solo visto l'assenza di uomo al funerale di suo padre. Quando era tornato a Nedlay, all'accademia, gli aveva scritto una lunga lettera di disprezzo, da far recapitare al sud dove si era nascosto.
Questo comunque non lo aveva fatto stare meglio e non aveva reso suo padre meno morto.
Secondo il capitano Kaiser, suo padre era stato uno dei fortunati, principalmente perché ne avevano riportato qualcosa che somigliava spaventosamente ad un essere umano, anziché articolazioni e membra sparse.
Comunque, in quel tardo pomeriggio di settembre, con ancora indosso le spade incrociate del corpo delle reclute, Ludwing Schuster aveva deciso che non avrebbe mai preso le Ali.
In verità aveva deciso che non sarebbe mai morto giovane, pianto giusto da un figlio – se avesse mai avuto il tempo di farlo – e qualche suo compagno.
Oh, lui voleva vivere, una esistenza vera, una famiglia … una vita.
Ma nulla aveva più importanza, il suono della campana era l'unico rumore che riuscisse a sentire in quel mondo.
Rintocchi precisi e continui, che non smettevano mai; nonostante la Legione avesse detto fosse il caso di smetterla, la campane avrebbe attirato presto i giganti, nonostante ciò essa suonava ancora.

Il Muro Maria era stato penetrato e le sue terre perse. E loro erano in un appezzamento di terra, dietro mura di cinquanta metri, nelle terre dei Giganti, da ogni lato.
 

“Che dobbiamo fare, Capo Squadra Schuster?” aveva chiesto il soldato semplice Brhol facendolo distrarre da suoi pensieri. Quella era la prima volta che Ludwing guardava con così tanta ansia le terre interne dalla cima del muro. “Cerchiamo di capire come sopravvivere, raduna gli altri che andiamo al Quartier Generale” aveva detto lui cercando di ostentare una sicurezza che mai fino a quel momento aveva sentito farsi cera molle tra le sue mani. Brhol aveva annuito, smilzo e con i capelli di un rosso bruno, come la corteccia dei castagni, tagliati in una scodella che arrivava sopra le orecchie.
“Quindi non è il momento adatto per dirle che abbiamo perso il Privato Zimmerman?” aveva chiesto Aliena, passandosi le mani sulle braccia, accarezzandosi lo stemma sui lati dove c'erano ricamate le Rose, “Weiß, raduna il resto della squadra, Brhol ...” Ludwing aveva arrestato il suo ordine per per vedere gli occhi chiari del soldato con cui stava parlando in quel momento farsi vacui.
Quanti anni aveva? Quindici? Sedici? Odorava ancora di latte ed aveva la paura impressa su viso, tremolava ogni volta che dal muro guardava in giù aspettandosi vedere i giganti pronti a mangiarlo, “Va con loro” aveva concesso alla fine, “Vi raggiungo” aveva aggiunto, prima di lanciare uno sguardo verso Aliena, “Weiß, sarai i miei occhi” aveva stabilito e la ragazza aveva battuto il pugno chiuso sul petto come segno della propria fedeltà a quel ruolo.

 

Ludwing sapeva che in quel momento avrebbe potuto tollerare molte cose, ma non le insubordinazioni e le testa calde. Poteva capire lo stato di panico che albergava in ognuno di loro, soldati e civili; lo avevano scoperto dopo, ben cinque giorni da che i giganti erano penetrati nel muro.
Però se avessero permesso al panico di dominarli, si sarebbe scatenato presto il panico ovunque, Breimer sarebbe diventata un'anfora di serpenti e i giganti sarebbero stati l'ultimo dei loro problemi.
Il Privato Zimmermann aveva dalla sua comunque che, nonostante fosse una testa calda, come sempre le ricordava il Capitano Pfeiffer, delle quali se ne vedevano poche. “E giusto ad un mollaccione come te, doveva capitare” poteva ancora sentire nella sua testa la voce sempre di biasimo del capitano.

Perchè poi lo odiasse tanto, Schuster non lo aveva mai capito.

Zimmer non era neanche metodica nelle cose che faceva, ma bastava aver grattato un po' la superficie per capire quando e dove trovarla. Quel giorno, come Ludwing immaginava sarebbero stati un po' tutti quelli a venire, era diverso però. L'aveva trovata nella piazza principale della città ed era stato difficile scovarla, troppo minuta tra quella marmaglia di persone radunate, il colore chiaro della divisa risaltava poco, come il pagliericcio dei capelli biondi, tratto comune lì a di Briemer.

L'aveva trovata come sempre con le spalle tese, in un eterno chi-va-là, le Rose cucite sulla schiena come uno stendardo, il quale non sembrava in quel momento motivo d'orgoglio. Il crine indisciplinato e spettinato che sembrava sempre troppo pesante e sovrabbondante sul suo corpo di spillo. “Privato!” aveva esclamato, forse con troppa poca autorità posando una mano sulla spalla della ragazzina, la quale aveva ossa sottili e piccole. Una mano sola di Schuster avrebbe potuto chiuderle interamente il viso.
Come ogni volta che veniva toccata o anche solo sfiorata, il privato Zimmermann si era ritratta come ustionata, ma quando aveva riconosciuto i suoi tratti, quegli occhi da volpe predata avevano riacquisto la sua consueta audacia. “È così che fai la guardia al Muro?” aveva chiesto l'uomo certa rigidità, gli occhi ridotti a fessure ed un voluto rimprovero nella voce, che aveva svolazzato nella testa vuota di Zimmermann come se nulla fosse stato. “ È che ho creduto, Caposquadra Schuster, fosse molto più produttivo ascoltare loro” aveva risposto con l'innocenza di una bimba la soldatessa, indicando con le mani piccole al centro della piazza, dove di fatti qualcuno stava attirando l'attenzione.
Aveva scorto Winkler tra la folla, nel centro dello spiazzo, la barba rada sulle guance e l'espressione di pietra, come se l'idea che fossero circondati da giganti non lo turbasse più di una nevicata di inizio settembre.
La voce che parlava alla gente però non era la sua, ma femminile e dura, di chi non doveva essere interrotta, precisa. “Lottie” aveva commentato Ludwing più a se stesso che al Privato, non riusciva a vederla nascosta dalla folla, ma poteva immaginarla bene ferrea fare quel discorso.
“Non verranno a prenderci, dobbiamo raggiungere Nedlay e il Muro Rose con le nostre forze”

Su questo aveva ragione, nessuno sarebbe venuto a prenderli. “Se continuiamo ad aspettare non potremmo più andare via” aveva sentito Lottie berciare, mentre lui ordinava al suo soldato di seguirlo.

Era stato dato ordine però che tutte le porte fossero chiuse e l'ordine veniva dal Governatore in persona. Quello sarebbe stato un bel problema.

“Che ne pensa, Caposquadra?” aveva chiesto Zimmermann, mentre si allontanavano dalla piazza principale, il sorriso sornione di chi avrebbe potuto farsi grasse risate anche in faccia alla morte. Che ossimoro vivente era quella ragazzina, Ludwig proprio non riusciva a comprendere che colpa avesse mai compiuto per meritarsela in squadra.

 

Al quartier generale della Guarnigione continuava a regnare il caos, da quando si era saputo dai fattori locali che i Giganti avevano preso Shigashina. La fine del mondo si era fatta inaspettatamente vicina. Aveva ritrovato la sua squadra ammassata in un angolo, quattro ragazzini con i denti da latte e la spiovente paura tatuata sul viso. Aliena era corsa immediatamente verso di lui, tremolava un po', ma era l'unica che sembrava volersi imporre una certa freddezza. “Tutti gli ufficiali si sono riuniti nell'ufficio del Capitano Pfeiffer” aveva detto lei.
Lui aveva annuito ed aveva preso le scale per raggiungere il secondo piano senza neanche curarsi di ringraziarla.
Alla porta due soldati semplici lo avevano fatto entrare nell'ufficio, i loro visi erano la pallida imitazione di una calma stridente.
“Credevo ti fossi perso, Schuester, come in ogni grande occasione” lo aveva pungolato il capitano Otto Sprotte quando lo aveva visto, con quel suo sorriso sornione; i capelli chiari e gli occhi di un verde sinistro. Una cicatrice rossastra tagliava il naso e parte delle guance in una linea orizzontale.
A parte quel commento lezioso, che era venuto da quello anni era stato suo amico, nessuno sembrava essersi curato di lui ed il discorso tenuto all'interno della sala era continuato senza menomazioni, quasi la sua presenza – o meglio la sua assenza – non contassero nulla.

“Che sta succedendo?” aveva chiesto a Otto con un tono di voce piuttosto basso, cercando di non farsi sentire dal Capitano Pfieffer, “La Legione ha deciso di essere una spina nel culo della Guarnigione, peggio del solito” aveva risposto a denti stretti Otto, con il viso crucciato anche la cicatrice si era riempita di grinze.
Che tra la Legione di Hanneke e la Guarnigione di Briemer non vi fosse mai corso buon sangue era risaputo, anche se esagerando, tra i due corpi c'era una certa rivalità che Ludwing aveva sempre assorbito in maniera buffonesco, a differenza di Otto.
La cosa era nata forse per causa di quel decimo posto, durante gli anni dell'addestramento, che non gli era stato – a suo dire – rubato da chi lo aveva sprecato per qualcosa di inutile come la Legione ed era solo peggiorata dopo Levi il cane sciolto del Sud. Schuster non aveva avuto modo di incontrarlo quell'uomo di Trost, né gli era importato poi molto di farlo, anche se in verità avrebbe dovuto avere più ragioni di Otto Sprotte per risentirsene.
Di fatto era stato per un suo subordinato che la questione aveva avuto principio.
Si era però subito reso conto che quello non era la circostanza adatta per di rivangare memorie che non sarebbero mai tornate.

“Il Governatore vuole che restiamo a proteggere la città, mentre aspettiamo l'arrivo di soccorsi” aveva ripreso il capitano Pfeiffer. Aveva un tono piuttosto calmo, lui stesso sembrava essere immune alla frenesia che impazzava in ogni soldato per nulla volenteroso di stare lì ad aspettare aiuti, i quali sarebbero potuti arrivare oppure no.
Briemer era difficile da raggiungere e se, come al solito, la strada principale avesse avuto una frana, nessuno sarebbe venuto.
Era più lecito dire che il Governatore stesse aspettando la riconquista delle terre, il che forse non era ingenuo, ma Ludwing che nonostante avesse deciso di rinunciare alla Legione, provava per loro un rispetto reverenziale, lo sapeva quanto fossero difficili in verità le cose. Ricordava i racconti di suo padre e ricordava il suo corpo martoriato, per credere che potesse essere semplice.
“Ma la Legione non ci sta aiutando” aveva ripreso il capitano.
A Pfeiffer, a cui tutti facevano capo lì al nord nonostante non fosse stato nominato da nessuno con il grado di Capitano Generale. Differentemente da come era accaduto a Nedlay, e nelle città fortificate del Muro Rose, lo avevano eletto loro, la Guarnigione di Briemer, a quel ruolo.
Certamente non Ludwing, provava per il capitano la stessa antipatia che quello provava per lui.

“Direi che loro stanno più fomentando la gente” aveva sentito il bisogno di intervenire Otto con quel suo temperamento sempre infuocato, che non si curava di nulla e nessuno. E così anziché di parlare di come fare per sopravvivere mentre aspettavo – le Mura solo sapevano cosa – si era finito in un torbido discorso sulla Legione che voleva scatenare il caos e minare la loro autorità.
Si era deciso per la chiusura delle porte e loro volevano aprirle.
Il vociare si era concluso quando la porta era stata aperta, Schuster si era spostato per far spazio alla figura che si era palesata. La verità era che si era davvero aspettato di tutto, tranne il Governatore.
Già che quel vecchio lascivo non lasciava mai la sua casa, nel lusso e nella bambagia, ma forse doveva arrendersi Ludwing alla consapevolezza che situazioni straordinarie volevano misure straordinarie.

 

Aveva una spetto arcigno, con la pelle farinosa completamente distesa sulle ossa, che dava l'idea che il suo stesso viso fosse un teschio, aveva lineamenti affilati ed appuntiti, come se qualcuno avesse dimenticato di smussarli. I capelli erano grigi come la cenere, portati indietro con un attaccatura rada e molto alta.
L'unica cosa che sembrava stonare in una figura così piccola ed appuntita era il grosso naso che l'uomo aveva. Nonostante tutto di lui sembrava strillate fragilità, idea che sempre Ludwing associava ad un anziano, il vegliardo aveva sempre sul viso un ghigno raccapricciante. E sempre il Governatore dava l'idea di un distacco e di una osticità rispetto il resto delle persone. Aveva degli occhi piccoli di un colore nocciola così sbiadito, da sembrare fulvi.
Uno sguardo che non sembravano mai distrarsi.
Al suo fianco stavano due uomini alti, avevano lunghe giacche nere gemelle, sopra le camice bianche e non appartenevano a nessun ordine militare, ma questo probabilmente non li rendeva meno pericolosi.

“Oh, prego Capitano Pfeiffer, continui” aveva detto il Governatore con la sua voce liquida ed un ghigno sul viso, quasi non si curasse del pericolo vero che aleggiava in quella stanza, in tutta la città a dire il vero. Ludwing aveva sempre ritenuto fosse il problema dei nobili, non rendersi conto di quanto una situazione fosse disperata, così convinti di avere la benedizione delle Mura, che fossero nati per dominare e niente, giganti compresi, avrebbe potuto rovinare ciò.

Il Capitano della Guarnigione di Briemer aveva schiuso per un momento le labbra della bocca incredibilmente larga, tormentata da una peluria sottile, che percorreva anche le guance, dando l'idea di un ombra sul viso. “La Legione è un problema” era riuscito a riprendere il filo del discorso Pfeiffer, gli occhi scuri come l'inchiostro avevano bruciato tutti i capo squadra all'interno della stanza per non ricominciare a fare brusio. “Allora arrestiamoli” aveva commentato il Governatore occupando una sedia che una donna gli aveva ceduto, con un certo disagio.
Tutti gli occhi ora erano sul vecchio, che aveva intrecciato le dita sul basso ventre e s'era leccato le labbra, “Li arrestiamo?” aveva chiesto una persona che non era poi molto lontano da Ludwing.

“Sì” aveva berciato Otto, che sembrava davvero intrigato dalla cosa, poteva vederlo chiaramente nei suoi occhi verdi un'ombra d'ambizione fin troppo nociva. “Come se riuscissimo a farlo” il commento di Ludwing sebbene ponderato era stato comunque troppo basso perché potesse essere udito. Se anche buona parte dei legionari non era stata parte dei migliori negli anni dell'addestramento,sarebbe stato quanto mai stupido illudersi che gli stazionari potessero a tutti gli effetti battere in combattimento gente preparata a combattere dei fottuti giganti.
Aggiunto al clima di tensione che albergava nella città, tutto si sarebbe risolto in un bagno di sangue.
Inoltre, se davvero erano una rocca nella terra dei giganti, la Legione doveva rimanere con loro, perché lui di come si uccideva un gigante non ne aveva la minima conoscenza.
Le sue parole erano state come il vento, nessuno ci aveva badato ed erano andati avanti come se lui avesse taciuto.
“State tutti calmi” aveva urlato il capitano Pfeiffer richiamando l'attenzione, Ludwing era certo di non averlo mai visto in tutta la sua vita così scialbo in tutta la sua vita, aveva aloni rame sulle guance spruzzati di grigio, di chi non doveva aver visto il rasoio di recente e occhiaie profonde, scavate sotto gli occhi neri. Doveva essere davvero impossibile gestire tutto, la città, i giganti e tutti che s'appellavano a lui.
“Non mi sembra ci sia molto da discutere, Thorben” aveva ripreso il Governatore con il suo tono agghiacciante, guardando con i suoi occhi piccoli cattivi verso il capitano Pfeiffer, che sembrava aver riacquisto tutta la sua compostezza nel sentirsi appellare con il proprio nome anziché con il titolo formale. Quasi il Governatore avesse ristabilito con quelle parole l'ordine prestabilito delle cose.

Ludwing aveva alzato una mano per attirare l'attenzione, Pfeiffer lo aveva ignorato a pie pari, tornando a guardare il Governatore; “Rischieremmo di scatenare il caos” aveva commentato il capitano, passandosi le dita attorno al mento.“Una misura cautelare fino a ché non arriveranno i soccorsi” aveva constato il Governatore, il suo tono era stranamente serafico, come se fosse tutto tranquillo, come se non fossero improvvisamente precipitati nelle fauci della morte. “Sono loro i nostri soccorsi” aveva berciato Schuester, ma Otto gli aveva assestato una gomitata sul braccio per farlo stare zitto.
Otto Sprotte non era stupido, Ludwing lo conosceva da anni, solo che quando c'era la Legione di mezzo diveniva cieco ed irrazionale – forse perché non era entrato in Gendarmeria, per colpa di un legionario. “Non penserai davvero che sia un'idea intelligente?” aveva sussurrato ad Otto, che aveva limitato a schioccare le labbra, “Non possiamo permetterci un'insurrezione. Briemer deve restare unita” aveva sentenziato lui.
“Pensi verranno a prenderci?” aveva chiesto allora Ludwing, la verità era che l'idea che venissero per lui era una speranza profonda, qualcosa a cui appellarsi per non arrendersi, ma aveva già valutato fossero passati troppi giorni perché qualcuno effettivamente arrivasse.
E poi Briemer era ostica da raggiungere.
Ludwing non credeva sarebbero venuti e non pensava avrebbero potuto lasciare la città, forse la prigionia in cui il distretto del Nord era chiuso naturalmente avrebbe potuto portare una barriera naturale contro i giganti, forse avrebbero potuto restare arroccati …

Ma per quanto tempo?

 

Quando era uscito dalla riunione aveva trovato gli occhi da civetta di Aliena puntati su di lui, in cerca di una bussola, la voce si era già sparsa a macchia d'olio tra i soldati come una pandemia. Dal canto suo Ludwing poteva dire che ci avesse davvero provato ad evitare che si arrivasse a quello, che la Legione non era loro nemica.
Se volevano sopravvivere avevano bisogno di quelli che sapevano rimanere in vita condizioni ardue, uccidere i giganti e fare un uso saggio del gas, perché ne avevano una quantità tristemente limitata. Sapeva anche che con un po' di tempo avrebbero potuto anche organizzare un piano di sopravvivenza per il lasso di tempo in cui i territori fossero recuperati dagli uomini – se le Mura li avevano in gloria.
E se non fosse successo …
Il Capitano Thorben Pfeiffer aveva una sorta di intolleranza al suono della sua voce e le labbra piantonate sugli stivali del Governatore.
“Caposquadra, dobbiamo davvero arrestare la legione?” aveva chiesto Aliena con la voce un incerta, tutto di lei strillava confusione, Brhol le stava al fianco, con gli occhi piantonati sulle punte degli stivali, erano spellate e rovinate. “E come facciamo?” la domanda era venuta da un altro membro della sua squadra, era alto – meno di lui, però – con il petto ampio, le spalle larghe ed una costituzione già sviluppata per un ragazzino, eppure le sue dita tremolavano come fatte d'argilla molle. Schuester non voleva ammetterlo con così tanta leggerezza ma la verità era che la Legione era molto più capace di loro nei combattimenti, al massimo tra i cadetti poteva esserci battaglia, ma lui? Lui guardava un muro per mestiere e saltuariamente pattugliava per la città.
L'unica volta che aveva avuto un po' d'avventura era stato quando da recluta lo avevano mandato a fare i controlli per una porzione del muro ovest ed un gruppo di briganti aveva cercato di derubarli.
La voce di Zimmermann lo aveva svegliato da quell'inutile divagare, probabilmente il tempo dei freschi pensieri s'era esaurito, “Si?” aveva chiesto con un tono sottile guardando la ragazzina che aveva tossito per attirare la sua attenzione. Gli occhi volpini erano aperti verso di lui, “Dobbiamo arrestare anche il fratello del Capitano Sprotte?” aveva chiesto con un sorriso fin troppo disturbante sul viso.
Ludwig si era dovuto sforzare per fare mente locale. Otto aveva dei familiari che come lui militavano nell'esercito, ma nessuno dei due però era stanziato a Briemer. “È un legionario?” aveva chiesto solamente al Privato, la quale aveva annuito, “Di Nedlay, in licenza” aveva risposto quella prontamente.
Onestamente Schuester pensava che le truppe della seconda città del nord fossero rientrate da almeno una settimana – chi sa se fossero arrivati prima o dopo la notizia della perdita delle terre? – non credeva vi fosse ancora qualcuno, “Se è un legionario, si” aveva risposto poi pratico lui. “Weiß, hai il comando dell'unita, a breve il Capitano Pfeiffer darà le sue istruzioni” aveva aggiunto lui lapidario, osservando lo sguardo di Aliena farsi carico di confusione, assieme a quello di Brhol forse meglio abituato a quel ruolo.
Schuester aveva guardato il ragazzo in questione e gli aveva fatto un cenno del capo, che forse quest'ultimo non aveva compreso, aggrottando le sopracciglia, “Brohl, Zimermann, con me” aveva stabilito poi seccamente, cogliendo anche di sorpresa la ragazzina dai capelli pagliericcio, la quale aveva sollevato il suo viso animata di genuina curiosità.

 

 

La Legione aveva il proprio quartiere ad Hanneke e raramente soggiornava all'interno della città. Solitamente i pochi che sceglievano di farlo erano sistemati nel rione della Guarnigione, con estremo malcontenti di quegli ultimi. Comunque, estreme situazioni avevano preteso estremi rimedi – e con la presenza di tre infermi fra le loro righe, la Legione era riuscita a strappare una porzione di un edificio pubblico: il tribunale interno di Briemer.
Fritz aveva dovuto far predisporre delle brandine per i malati ed era stato totalmente catalizzato dalla ferita di Leon, timoroso che il viaggio in carretto avesse potuto fare più danno di prima.
I suoi timori si erano rivelati presto fondati, sebbene l'osso fosse rimasto dentro – e grazie a qualsiasi dio esistesse, non si era spostato – i punti erano saltati completamente, riaprendo completamente la ferita che aveva così strenuamente sistemato quando erano in missione e di cui aveva continuato a curarsi per quella settimana.
La causa per cui era rimasto lì.

Aveva dovuto slegare i fili di ferro e lo spago che tenevano ferme le assi di legno, rimuovere queste ultime, sfasciare le bende che s'erano insozzate di sangue e guardare quel brutto lavoro di macelleria che si estendeva da sotto la rotula di Leon. “Mi sa che dovrò restare fermò per più tempo, eh dottore?” lo aveva preso in giro quest'ultimo, mentre Fritz cercava di tirar via i resti del filo che non erano saltato da solo.
La sua fortuna era che aveva con se ancora aghi e materiale per suture, ma quello che nella sua bisaccia cominciava a scarseggiare era antibiotici e antidolorifici. Sperava il caporale Schwartz si decidesse a portarglieli. “Penso sia ammirevole la tua ironia” aveva ammesso Fritz, sforzandosi di essere sorridente, mentre con un panno imbevuto che Engel gli aveva appena passato aveva ripreso a pulire il sangue, il quale si era rappreso intorno ai bordi frastagliati della carne.
Avrebbe davvero voluto essere calmo come al solito, come quando si occupava di ricucire con prontezza la gente fuori, quando non c'era neanche un solo secondo da perdere, ma la verità era che, nonostante fosse un legionario, non riusciva proprio ad allontanare dalla sua mente quell'unico pensiero: lui non doveva essere lì.

“Si potrebbe dire che ho fiducia che Erwin Smith recuperi le terre perse” aveva ammesso con una sincera affermazione Leon, facendogli sollevare lo sguardo e quasi cadere la pezza dalle dita.
Nina.
Non ci aveva pensato.
Nina. Cosa stava facendo Nina in quel momento? Stava bene?

Non voleva che le ultime cose che le avesse detto fossero riportate in una lunga lettera in ci si lamentava del fatto che avrebbero dovuto raggiungere quel buco infernale di Briemer.
No, doveva stare calmo, Nina era brava. Si, forse non l'aveva mai vista in azione, ma lo aveva sentito dire da altri, lei poi gli riportava continuamente di quanti allenamenti facesse – ed erano con Levi, è lui era maledettamente bravo. Se qualcuno tra loro due era prossimo alla morte: quello era Fritz.
E no, non voleva che le ultime parole che le avessero detto riguardassero Briemer, categoricamente.
“Lo abbiamo perso” aveva commentato Engel notando forse i suoi occhi vacui. “Non vorrei che fosse perso nel momento in cui decide se avrò una gamba o meno” aveva risposto Leon e questa volta sembrava mortalmente serio. “Mi serve dell'alcool ed una fiamma, non ho tempo di bollire gli aghi” Fritz aveva deciso di ignorare a pie pari i due, limitandosi a dare quelle informazioni ad un ragazzino a caso che se ne stava in panciolle nell'infermeria improvvisata nel tribunale. Egli era scattato in piedi con un “Signor, si” che sembrava poco credibile anche alle orecchie di Fritz. “Non perderai la gamba, camminerai anche, ora … se smetti di muoverti potresti, anche correre” aveva stabilito il medico, sollevando lo sguardo alla ferita sullo stinco di Leon per guardare il viso del suo superiore che aveva annuito. Era esangue sul volto e Fritz poteva rendersi conto che nonostante tutta la calma che aveva mostrato fino a quel momento, essa fosse una bella recita.
 

“Mi dispiace” la voce di Leon, lo aveva distratto mentre faceva stappare della pessima grappa ad Engel, cercando di ignorare che il ragazzino – Miles o Miloh? Fritz non aveva capito bene – si fosse presentato lì con della birra insieme alla lampada ad olio.
Il suo amico era intervenuto dicendo che lo avrebbe trovato lui qualcosa per disinfettare ed acuire il dolore. Wolfang aveva chiesto la birra per sé, ma Fritz aveva ritenuto che un uomo che accusasse ancora i dolori di un indigestione dovesse riguardarsi.
Engel era tornato con la grappa e Fritz si era occupato di scaldare un ago usando la fiamma della lanterna, quando il suo superiore aveva parlato. Mi dispiace due parole pronunciate con un tono così lugubre dalla bocca di Leon Fischer, in mesi al nord non le aveva mai sentite, suonavano come una condanna a morte. “Come?” aveva chiesto Fritz allontanando appena gli occhi dalla fiamma che riscaldata il ferro, “Mi dispiace, siete rimasti bloccati qui per colpa mia” aveva ripetuto quello.
“Sono un dottore, lo avrei fatto comunque” aveva risposto Fritz senza neanche doverci riflettere. Il Capitano Jürgen gli aveva detto di ripartire, ma lui si era opposto, oltre Leon anche Wolfang e Adin stavano male – ed era comunque il caso di non forzare troppo Engel.

Inoltre per quanto Adin dovesse essere causa del suo male, la sua febbre era stata davvero cocente oltre che una lunga degenza, Fritz aveva dovuto tirare un po' fuori tutto il suo repertorio per farlo sfebbrare.
Era stata la prima volta che una febbre non causata da infezione gli avesse dato così tante grane; avevano ragione nel dire che il nemico principale degli uomini del Nord non fosse il pericolo dei giganti, ma il freddo.
“Ma poi quel cazzo di ragazzino dove l’ha trovata la birra? Volete farmi credere che in piena crisi i birrai di Briemer lavorano?” aveva chiesto Engel attirando la loro attenzione, il suo sembrava più un patetico modo per alleggerire l'atmosfera che sembrava essersi formata.
Fritz aveva disteso i muscoli delle spalle prima di chinarsi nuovamente sulla ferita di Leon per poterla fermare di novo, era forse l'unica cosa che al momento poteva fare, prima di essere un legionario era un medico, c’erano stati momenti in ci doveva ammettere che si era sentito quasi esclusivamente un dottore che un soldato.
Forse perché di principio era solo quello, aveva voluto essere come suo padre, come il suo fratellastro e come sua sorella che fin da bambina si era indottrinata in quella disciplina, ancor prima che lui imparasse a camminare. Fritz ricordava di aver imparato probabilmente a tagliare e cucire prima ancora di parlare; dietro il divano nella casa di suo padre quanti punti aveva dato, assieme a Nina.
“Comunque ha ragione Garlef, rammendi come una damina” lo aveva preso in giro Leon, con una smorfia sulle labbra, per cercare di trattenere le smorfie del dolore che palesava sul viso. Fritz si era ricordato di quando il suo capitano gli aveva detto di quella precisa frase quando erano nella città sospesa.
Non era passato neanche più di un mese eppure sembrava un'altra vita. “Che dobbiamo fare, Leon?” la voce di Engel, che si era seduto per terra vicino la brandina, aveva ripreso Fritz dal suo vagabondare mentale. Aveva guardato anche lui il viso del suo superiore, distogliendosi dall'opera di medicazione.
“Ce ne andiamo” era stata la risposta chiara di Fischer, prima di passare una mano sulla sua coscia. Indossava dei pantaloni morbidi, che Fritz aveva tagliato dall'orlo al ginocchio per poter lavorare bene. “Come ha detto il Caporale Schwarz” aveva aggiunto, mentre il dottore riprendeva a lavorare con il filo; “Fatto” aveva stabilito Fritz interrompendo quel discorso per un momento, ora doveva pulire via il sangue, fasciare e sistemare nuovamente le stecche.
E non voleva pensare a quello che gli aspettava.
Qualcuno aveva proposto di aspettare: gli aiuti potevano arrivare o si poteva pazientare una miracolosa chiusura della breccia. Come, poi c'era da chiedersi, era avvenuta tale disgrazia?
Ne avevano sentite parecchie di storie, da titani senza pelle che superavano le mura a stormi di giganti che ripetutamente si lanciavano sulla porta. Qualcuno aveva anche ipotizzato di un ariete fatto con il tronco di un albero gigante.
Lottie non si era data per vinta neanche un minuto, – donna dai nervi di pietra era stato il pensiero di Fritz – , appena avevano messo piede nel tribunale si era nascosta negli archivi ed era riuscita con una mezza dozzina di vecchie cartine impolverate. “Circa mille chilometri, mappati” aveva esclamato. Mentre l'umore generale dei soldati, dei civili, di chiunque, era di terrore, fiumi di lacrime e visi raschiati albergavano in ogni dove, illuminata dall'olio delle lampade gli occhi di Lottie erano tizzoni ardenti di speranza. “Siamo sopravvissuti fuori, possiamo farlo dentro” aveva esclamato.

 

Un giovane soldato era entrato con una certa fretta nella stanza, aveva l''uniforme sgualcita addosso, e si stava montando con nervosismo le cinghie. “Sal, che succede?” aveva chiesto Wolfang sollevandosi dalla sua brandina, aveva ancora il viso cereo, con occhiaie violacee sotto gli occhi calanti, “La Guarnigione ha deciso di arrestarci per ordine del Governatore, difesa cautelare” aveva risposto quello, prima di strillare a qualcuno di portargli il resto dell'attrezzatura del tutto pronto ad una battaglia.
“Ne sei certo, Sal?” aveva chiesto il ragazzo della birra sollevandosi dalla sedia in cui si era messo a vegetare, “Me lo ha detto Sirk, abbiamo fatto l'addestramento insieme” aveva risposto questi con certezza disarmante, mentre gli uomini all'interno della stanza avevano cominciato a sistemarsi.
“È un membro della Guarnigione? Il tuo amico?” aveva chiesto Leon, attirando l'attenzione del giovane soldato, “Si, privato Sirk Brhol” aveva risposto con una certa confusione l'uomo, prima di cominciare ad agganciarsi le custodie per le lame. Erano tutti prossimi ad uno scontro.
Leon aveva preso atto della notizia con uno sguardo spettrale, “Meier, Engel” aveva detto, il suo tono era stretto, tra i denti e Fritz aveva tremolato un poco, perché nonostante l'anzianità – ed il grado superiore – Leon Fischer non si era mai rivolto a loro con tutta quella formalità. “Si?” aveva chiesto Engel avvicinandosi a lui, “Andatevene” aveva stabilito quello cercando di mettersi in una posizione seduta, abbandonado quella supina, uno sforzo non da poco che Fritz aveva fermato premendogli le mani sulle spalle; aveva appena ricucito la gamba e non si era preoccupato di fermare con le stecche e le bende la frattura. “Che stai dicendo?” era riuscito a dire comunque, mentre Leon aveva afferrato il colletto della giacca di Engel, cercando di allargalo forse nel tentativo di fargli scendere la giacca. “Non siete stupidi” aveva cominciato Leon mentre abbandonava i propositi di sfilare lui i vestiti dell'altro, “Presto qui sarà un macello e tutta la Legione sarà borchiata e ricercata” aveva ripreso quello, “Il nord conta meno di trenta uomini” – si era fermato, i loro occhi erano andati su Adin che si era tolto la coperta di lana ed ancora sudato si faceva forza - “E probabilmente sono tutti noti alla Guarnigione. Noi tre siamo di Nedlay, forse conoscono me, ma sono comunque utile quanto una sella su un pesce, al momento” aveva ripreso quello.
Era davvero ammirevole quanto Leon riuscisse a sdrammatizzare le situazioni serie.


Adin si era alzato dalla branda per cadere per terra e Fritz era andato ad aiutarlo assieme ad un suo altro commilitone per farlo stendere nuovamente sulla brandina, “Non puoi combattere” lo aveva ammonito pesantemente, mentre quello rispondeva con uno sputacchio di tosse.
Quando era tornato dai suoi amici, Engel si era sfilato la giacca ed aveva cominciato a slacciare le cinghie, mentre sulla schiena lavorava il ragazzino della birra, che sembrava rigido come il marmo.
“Che stiamo facendo?” aveva chiesto, “La resistenza!” aveva risposto Leon che se ne stava placido allungato, “Ricordatevi di cercare il Privato Brhol” aveva mormorato il ragazzino, mentre si voltava verso di Fritz, forse per prestare attenzione anche a lui, che gli guardava con una certa confusione.
“Siete più utili se non siete ricercati e se ad avvertirci è stato un membro della Guarnigione, probabilmente non sono tutti cretini, Fritz” aveva stabilito Leon, bruciandolo con lo sguardo e questi, come colto da una doccia fredda, aveva annuito, tirando via la giacca della Legione che aveva lanciato poi addosso al ragazzo che aveva aiutato Engel.
S'era sentito immensamente codardo nel privarsene, oltre che nudo.
Ma era necessario.

Fritz si era sganciato le cinture con una certa fretta, finendo per far scivolare le cinghie più volte, come se le salde mani da taglia-ossa lo avessero abbandonato proprio in quel momento che più ne aveva bisogno. Aveva lanciato uno sguardo a Leon, sempre steso su quella branda, il viso immobile e gli occhi chiusi, “La gamba” era riuscito solamente a dire, gli occhi rivolti alla brutta sutura che non aveva neanche fatto in tempo a fasciare, “Sopravviverò fino a che non risolverete questa situazione, dottor Meier, puoi starne certo” c'era una ceca convinzione nelle parole del suo superiore e alla fine anche Fritz sembrava essersi convinto. “Se però potessi avere quella birra, ora” aveva comunque scherzato l'uomo.

 

Sal era venuto verso di loro. Era alto, nervoso e sembrava improvvisamente di vent'anni più vecchio di quanto fosse stato giusto una settimana prima, “Nascondetevi a Wolfliebhaber” aveva commentato quello, mentre passava loro una vecchia giacca nera pesante ed un pugnale dalla punta tristemente smussata, sebbene l'affilatura sembrasse ancora buona. “Non abbiamo pistole e senza attrezzatura con le lame fareste poco” aveva concesso un altro soldato, “Va bene” aveva accettato Fritz senza mezzi termini, “Perchè il quartiere delle prostitute?” aveva chiesto invece Engel avvicinandosi a Sal, il quale era meno alto di lui, “ Perchè per dei soldi si venderebbero le proprie madri, ma hanno una certa avversione per le divise” aveva spiegato senza mezzi termini quello.
“Verranno a cercarvi, ma con un po' di fortuna potreste trovare riparo” aveva spiegato il ragazzo della birra, “Il Caposquadra del quinto gruppo: Ludwing Schuster è con voi, credo” aveva stabilito Sal.
“Credere non basta” aveva detto Engel.
“Credere è più di quanto possiamo permetterci ora” aveva risposto l'altro.
La questione della Guarnigione sembrava un fulmine a ciel sereno, aveva avuto l'effetto di far dimenticare loro che il mondo probabilmente era sull'orlo della fine.

 

“Di buono c'è che so dove nasconderci” aveva ammesso Fritz, mentre infilava i bottoni di legno nelle asole della giacca, attirando lo sguardo di Engel che aveva preso atto della notizia con un cenno del capo. “Voi due” Leon li aveva richiamati al suo capezzale, nonostante Sal avesse reso noto che non vedeva l'ora di farli andare via. Il problema era che con l'esclusione di Fischer che era di Nedlay, nessuno degli effettivi ufficiali di Briemer era in quella stanza e sembrava che il compito di governare fosse ricaduto sul soldato semplice Sal.
La questione era davvero scoprire dove fosse disperso il resto della legione. Quella stanza contava appena dieci persone e Fritz era piuttosto certo che almeno la metà fosse composta dai veterani che di norma custodivano del bestiame.
Engel si era chinato verso Leon, mentre Fritz guardava ancora quella ferita che doveva finire di sistemare, “Ehi” aveva detto verso il ragazzo della Birra, “Trova una pezza per coprirla” gli aveva impartito, “Non fare altro” aveva aggiunto poi, una saldatura fatta male creava problemi piuttosto ingenti, senza contare che per quello che li aspettava c'era bisogno di gambe sane. “Se vedi … Il ragazzo …” era strano il tono che era uscito dalle labbra di Leon, più incerto di quanto avesse mai sentito lui, “Gli dirò di starsene rintanato da qualche parte finché non vai a salvarlo” lo aveva interrotto Engel, facendo una smorfia.
Fritz aveva voltato immediatamente lo sguardo verso di loro, l'espressione che si era dipinta sul viso di Leon era incredibilmente conosciuta anche a lui, forse perché spesso l'aveva percepita su se stesso. “Digli … Che mi piacerebbe rivederlo” aveva mormorato Leon, “Non parlare come uno che sta morendo, mica sei un cavallo che va soppresso” questo gli aveva detto Fritz, che aveva battuto una mano sulla spalla del suo superiore.
Sapeva a chi Leon si riferisse, lo aveva visto l'unica volta che era stato nella zona di Wolfliebhaber, nulla più che un ragazzino dalla pelle di carta ed i capelli scuri, non lo aveva notato nel dettaglio, se non per il fatto che aveva visto il sorriso che adornava il viso di Leon e la sua mano passare tra i capelli del giovane, in una carezza amichevole.

 

“Pensi che esista qualcosa di più deprimente dell’essere invaghito di una prostituta?” aveva chiesto Fritz, “Oltre che essere arroccati in un distretto ad aspettare che i giganti ci circondino?” aveva chiesto retorico Engel, mentre valicavano la porta principale del tribunale. Quando Fritz l'aveva visto un mese prima lo aveva trovato un edificio molto bello, una sorta di pugno nell'occhio nell'architettura di Briemer, fatta di pietre e tetti spioventi di tegole brune e cupe, mentre quell'edificio era di marmo traslucido roseo con semi colonne a decorarne la facciata principale.
“Parli poi tu che sei innamorato di una donna che palesemente smania per un altro” aveva aggiunto Engel. Non c'era reale cattiveria nella sua voce, neanche Fritz l'aveva recepita, era solo l'isteria che si stava diffondendo nell'aria, che veniva respirata, assorbita, accolta in pieno.
Aveva pensato alla sua Nina e a quel modo che aveva di parlare con Levi.
Aveva ricordato come aveva sondato in territorio, quando insieme a quell’uomo che sfiorava la leggenda si erano diretti verso il nord e non gli era parso che egli ricambiasse l'interesse che era scaturito nella ragazza, ma aveva notato come le cose fossero già diverse il primo dell'anno, quando lei aveva salutato Fritz con un bacio sulla fronte che nulla aveva avuto a che fare con ciò che prima li aveva uniti.
Indipendentemente dalla guerra civile che si stava per scatenare in Briemer, Fritz non sarebbe rimasto lì, non avrebbe mai lasciato che quello stupido saluto fosse il loro ultimo bacio.
“Parla quello invaghito di un Caporale che neanche lo guarda” aveva replicato Fritz comunque, ma Engel non sembrava essersela presa poi così a male, “Di fatti io non stavo cercando di compatire nessuno” aveva risposto quello, mentre passavano accanto ad un gruppo di stazionari che con tutta velocità si erano diretti verso il tribunale, alcuni avevano le lame sfoderate, altri fucili e pistole e indossavano l'attrezzatura.
Fritz aveva abbassato il capo ed aveva immaginato già di sentire i colpi d'arma da fuoco, il sangue – e perché no, la parte egoista di sé- anche lo spreco del gas.
“Andiamo in questo luogo” aveva detto Engel, afferrandolo per la manica della giacca di lana scura e lui aveva annuito, inghiottendo la bile che gli era salita.

 

 

Avrebbe voluto fermarsi per un momento per vedere come stava Frejya, ma aveva imparato quando era un bambino – forse proprio quando aveva imparato a camminare – che chi si fermava era perduto. “Hum … hum ...” se la ragazza stesse mugugnando o cercando di chiamarlo non era importate, lui aveva continuato a correre senza fiato, strattonandola di tanto in tanto dal polso. “Ci siamo quasi” le aveva detto semplicemente, prima di sentire un altro colpo di pistola fin troppo vicino alla sua zona.
Doveva ringraziare qualcuno se la Guarnigione a forza di fissare un muro risultava in abile ad una sparatoria, nonostante la fortuna d'aver evitato un colpo correndo per terra però non sembrava aiutare molto, sarebbe stato più veloce se avesse potuto usare il gas – ma il sergente maggiore Winkler si era raccomandato – e se non fosse stato per Frejya, ma non poteva farlo.
Quando aveva riconosciuto la svolta che portava alla polleria del vecchio Frank, aveva immediatamente cambiato la traiettoria infilandosi nello svincolo esterno e portandosi dietro l'altra. Aveva poi corso per qualche metro, un'altra forzata curva a sinistra, un'altra ancora ed una a destra. Il soldato della Guarnigione probabilmente gli aveva persi nel districato labirinto delle vie della povera gente.
Humbert ci era cresciuto, era come un gatto e quante volte avevano provato a prenderlo senza che ci riuscissero mai. La gente che viveva nei quartieri bassi era molto più avida e motivata degli stazionari.
Almeno in tempi diversi.

Aveva ritrovato la piccola fossa di scolo della cloaca e si era infilato all'interno del tugurio, prima di voltare il capo verso Frejya. Le aveva lasciato il polso, che la ragazza si stringeva con l'altra mano. Lei aveva il viso smorto e sudava, un palmo era impiastricciato di sangue e dalla sua spalla fluiva del rosso vermiglio. “Fai attenzione” aveva detto mentre entrava preoccupandosi che gli scarti della fognatura gli arrivassero fino alla vita e che quando ne sarebbe uscito della parte inferiore della divisa di salvabile non ci sarebbe rimasto nulla, la sua unica preoccupazione era non rovinare l'attrezzatura.
Frejya lo aveva seguito c'era il dolore dipinto sul suo volto ed era ben attenta a non far arrivare l'acqua rancida sulla sua spalla dove c'era la ferita aperta. Humbert aveva sentito spesso di gente di alto rango che parlava di liquidi ed umori, ma aveva visto molto persone spalmarsi le peggio cose sui tagli per poi morirci, quindi era abbastanza sicuro che qualsiasi cosa ci fosse dentro quelle acque avrebbe ucciso la ragazzina meglio del colpo che le aveva passato la spalla.
“Che facciamo?” aveva chiesto quella, quindici anni, un solo anno meno di lui, mai stata fuori e con addosso l'irrimediabile puzzo del sud, Frejya di Orvud. “Ci infiliamo dove la Guarnigione non ci troverà, raccogliamo poi quelli che non sono stati arrestati o feriti e uccidiamo quello schifoso bastardo del Governatore” aveva risposto candido lui, voltandosi verso di lei per sorriderle, anche se nel buio del tugurio era abbastanza certo lei non potesse vederlo.
Frejya aveva annuito, era l'unica cosa che si vedeva nel buio del cunicolo, bianca come la farina di viso e capelli, dritti come i denti di una spazzola sul capo.
“Non dovremmo cercare di liberare il Caporale ed il Sergente?” aveva chiesto quella; Winkler li aveva fatti scappare, mentre Schwartz aveva cercato di ammorbidire uno stazionario ricordandogli che davvero non era necessario tutto ciò, che era ovvio dover partire e che stavano perdendo tempo.
La Legione avrebbe potuto batterli, lui ne era certo, ma la Guarnigione era il doppio numericamente, oltre la gran quantità di lame e nessuna vergogna nello sprecare il gas avevano anche fucili e pistole.
E lui lo sapeva bene che in uno scontro tra pistola e lama – non importa quanto si fosse abili nel manovrarla – difficilmente vinceva quest'ultima. Quel pensiero gli aveva fatto mettere una mano sul fianco in un riflesso, portava lì, nella carne, il segno di quell'insegnamento.
La sua non era stata un'infanzia facile.
“Non ha senso, perché ci stiamo scontrando tra di noi, presto saremo accerchiati dai giganti” aveva detto Freyja, che gli si era avvicinata, teneva una mano sulla spalla offesa, con l'altra si era aggrappata alla sua giacca, sulla schiena, stringendo il tessuto proprio dove spiccavano le Ali. “Una volta un vecchio uomo dagli occhi stretti che viveva qui mi raccontò di un'arte magica che si faceva alla stessa maniera” aveva risposto lui, non sapeva perché, ricordava poco di quell'uomo era sempre scortese e tutti lo evitavano … ma non perché era scortese.
Lo facevano perché era diverso.
Ma lui non aveva mai avuto nessuno che lo avesse messo in guardia e quindi andava sempre a curiosare, prima da solo, poi con Kurt e alla fine s'era aggiunta anche Lisbeth – quando era ancora una persona normale. “Davvero?” aveva chiesto Frejya che continuava a tenere salda la presa sulla sua giacca, “Si, bisognava mettere tutti questi piccoli animali velenosi in un vaso e l'unico che sopravviveva portava fortuna o aveva un veleno potentissimo, non ricordo, poi, così bene” aveva ammesso lui, grattandosi il capo. “Il punto è che se chiudi tutti in un piccolo spazio, è normale uccidersi” aveva commentato poi alla fine, “Non quando i giganti dovrebbero farci fare fronte comune” poteva sentire nel tono di Frejya un timore reverenziale e pensare che lei neanche lo aveva mai visto un gigante.

 

“Ci siamo quasi” aveva detto alla ragazza, continuando a sentire il calore della mano di Freyja arpionata alla sua schiena, “Come lo sai? Io non vedo nulla” aveva mormorato lei, con voce bassa, “Conosco questa zona di Briemer come i solchi sulle mie mani” aveva risposto lui. C'era nato per le strade, senza poter aver un luogo degno di esser chiamato casa, “E do-oh-ve stiamo … andando?” aveva chiesto ancora lei, quando finalmente aveva trovato il coraggio di lasciare la sua giacca, ma aveva potuto sentire la fatica nella sua voce. Lui si era voltato verso di lei, sentendo il suo respiro farsi più rado, aveva allungato una mano in tempo per afferrarla prima che crollasse nella poltiglia, appoggiandola sul suo petto.
“Freh, davvero Freh” aveva cominciato lui, cercando di scuoterla, poteva sentire all'altezza del petto l'umidità del sangue che traspirava dalla giacca: aveva bisogno di un dottore.
Aveva messo una mano sotto le ginocchia di Freyja e l'altra mano sulla schiena facendo ben attenzione a non sporcarle la ferita; il viso era particolarmente emaciato ed il suo respiro era abbastanza profondo da farlo calmare. “Frejya non devi addormentarti” le aveva detto lui, cercando di mantenere la calma, facendola scuotere un po', cercando di risvegliarla.

Le ciglia pallide si erano sollevate per lasciare sorgere gli occhi scuri come l'inchiostro, l'unica punta di nero in un viso pallido come la luna.

Il tunnel che rendeva la cloaca sotterranea, per tornare all'aria aperta dritto nel quartiere di Wolfliebhaber, aveva un odore che era giusto poco migliore della fogna. Il cielo era di un plumbeo angosciante, che dava a quel pezzo di città tinte più fosche di quanto non fosse di solito.
E se qualcuno gli avesse chiesto – prima di quel momento – se avesse mai voluto lasciare la sua caliginosa città, avrebbe risposto di no; quelle strade erano il ventre di sua madre, letteralmente.
“Giusto il Gatto che cercavo” si era sentito chiamare, ancora immerso nel fiumiciattolo di melma fino ai fianchi e poichénon era ancora riemerso dall'ansa, s'era voltato per vedere seduta sulla sommità del sottopassaggio da cui era uscito una giovane donna. L'uniforme con le Rose appuntate sul petto, le gambe a penzoloni con gli stivali tirati a lucido ed ovviamente il fucile imbracciato, che se avesse sparato lo avrebbe spedito nei Campi Sacri senza possibilità di recupero. Forse se non avesse avuto Frejya tra le braccia avrebbe potuto provare a scappare, forse.
Il dito della giovane donna era già pronto al grilletto, le trecce spesse che incorniciavano un viso fin troppo contento, occhi svegli come schegge di legno ed il sorriso di chi era fin troppo tronfia. “Lis” aveva provato lui, appellandosi a quella che era stata sua amica per davvero tanti anni, sua compagna durante l'addestramento.
“Humbie” aveva replicato Lisbeth senza perdere il sorriso continuando a tenere lui e Frejya sotto tiro, anche la sua compagna ora sembrava essersi resa conto della situazione e con il braccio che riusciva a muoversi si era stretta di più a lui.
Era sicuro che nessuno lo avrebbe mai trovato, lui conosceva quella zona della città come le sue tasche, si era destreggiato per quelle vie per tutta la sua vita, conosceva ogni vicolo, ogni tombino, ogni casa, più di qualsiasi stazionario che aveva passato i suoi anni di lavoro a fissare un muro alto cinquanta metri, ma il soldato che ora lo teneva sotto tiro, forse non conosceva quell'intricato labirinto di vie a mena dito, ma conosceva lui.
E sapeva che sarebbe andato a cercare riparo da Kurt.
Lui fissava la stazionaria negli occhi, cercando di pensare a come fare, prima di ricaricare Lis aveva sicuro due colpi e probabilmente ne bastava uno solo per uccidergli entrambi. Humbert non ci voleva credere che sarebbe morto così, mezzo immerso in una fogna a cielo aperto da Lisbeth Zimmermann, anziché fuori combattendo contro i Titani.
No, era una morte che non poteva accettare.
“Lis” aveva ritentato, “Siamo amici” aveva detto, con sicurezza.
Lisbath aveva sorriso ancora, aveva annuito ed a quel punto aveva tolto il dito dal grilletto, “Sei fortunato, Gatto, perché vengo in pace” aveva replicato lei, abbassando il fucile.

 

Fritz aveva incontrato Lady Mei prima della sua ultima missione. Era una tradizione del corpo ricognitivo di Nedlay prima di ogni uscita fermarsi nel quartiere malfamato di Briemer, accompagnati dalla Legione di lì, che s'accodava in quell'occasione più che volentieri.
Non tutti ovviamente si erano aggregati, le donne – Fritz ricordava lo sguardo seccato di Carice – per lo più si erano limitate a commentare con una certa cattiveria, anche il capitano Garlef Jürgen non si era prestato, lui non aveva dubbi sul fatto che fosse stato dovuto probabilmente che più per la fede al dito che il suo capitano indossava fosse più per la suocera: il capitano Rottermeier della Guarnigione.
In quell'occasione Fritz era stato distratto da una donna sottile dai capelli del colore della ruggine, e prima solo che si potesse incamminare nella direzione della casa chiusa, era stato intercettato da Humbert il Gatto. “Tu sei il dottore, vero?” aveva chiesto con il sorriso aperto sul viso; nel corso del mese che avevano passato fuori Fritz aveva potuto scoprire quanto fosse usuale vederlo sfoggiare quella maliziosità.
E così Fritz aveva conosciuto Lady Mei, una prostituta dall'età indefinita ed una serie di escoriazioni tra le grandi labbra che si estendevano fino alle cosce. Aveva occhi neri come il cielo notturno, “Morirò dottore?” aveva chiesto quella spaventata, “No, è un fuoco di Mitras(*) localizzato nella zona genitale” aveva risposto pratico lui, gli occhi della prostituta s'erano fatti vacui, “Febbri nascoste” aveva spiegato lui.
Oltre dover preparare un impacco d'erbe e pregare la donna di non intrattenersi in rapporti sessuali fino a che ogni vescicola fosse rimarginata, spiegandole che purtroppo il Fuoco di Mitras era una malattia non letale ma cronica ed ogni qualvolta il suo corpo avesse sentito il bisogno di sfebbrare esso si sarebbe ripresentato. Fritz aveva una cocente ossessione per alcune malattie croniche, su quella della Sete aveva scritto anche la sua tesi.
La donna alla fine della nottata s'era offerta di ricambiarlo in qualsiasi maniera e se era contro saluta approfittarne quella sera: Fritz lo aveva fatto in quel momento.

Lady Mei li aveva accolti senza neanche aprire la porta. Aveva urlato da dietro lo spesso uscio chi fossero e Fritz si era presentato, ricordandole del favore che le aveva fatto. Wolfliebhaber era letteralmente in fiamme, come se l'isteria bruciasse ogni centimetro di quel quartiere, tanto che anche loro avevano temuto di esser aggrediti per strada.
Quando la porta s'era scansa dallo stipite, s'era palesato un uomo dall'aspetto poco raccomandabile, “Jonas, tranquillo” la voce di Mei era venuta dalle spalle di quest'ultimo e Fritz aveva potuto scorgere il viso della donna palesarsi da dietro la sua spalla. Era un viso strano quello di Lady Mei, una carnagione olivastra più comunque a chi avesse dovuto sprecare tutte le sue giornate nei campi a sud sotto il sole cocente estivo, invece che in un piccolo bordello nella città più fredda delle Mura.
I capelli erano un groviglio di nodi di un colore scuro come la pece. Lady Mei li aveva accolti con un sorriso un po' tremolante e nelle mani ben stretto un coltellaccio.
“Dovete scusarci, di questi tempi la gente è impazzita” aveva detto quella, mentre Jonas sistemava nuovamente il catenaccio alla porta, qualche ragazza dalle camere aveva tirato fuori la testa per vedere i nuovi venuti, ritenuti forse inoffensivi o privi di interesse si erano ritirate come animali nelle tane. “Hanno bruciato la casa di Hobb giusto ieri notte, stamattina Mariah è stata aggredita mentre rientrava e c'è stato un assalto dal fornaio neanche due ore fa” aveva ripreso Lady Mei, mentre si stringeva lo scialle al petto, con la mano libera. “La Guarnigione e la Legione si sono sparati nel pieno centro” aveva commentato qualcuno, era un ragazzetto sui dieci anni, con i capelli luridi e l'espressione crucciata, “Non curatevi di Thomas” aveva gracchiato la prostituta dai capelli scuri.
Non era l'unico lì in mezzo ad essere coperto da un sottile strato di sporcizia e Fritz poteva scommettere che non fosse perché erano nel peggiore quartiere – un mese prima quel posto aveva un aspetto completamente diverso, non limpido, ma certamente più igienico – ma era per l'acqua. Briemer non aveva un collegamento fluviale diretto, l'acqua veniva dalle cisterne sopra elevate, che purtroppo erano un bene limitato, come il gas, e dalle falde acquifere che erano comunque fuori i confini della città.
L'acqua era un bene di prima necessità, diventato improvvisamente troppo importante per essere sprecato per lavarsi, quando invece avrebbero dovuto impiegarla solamente per il sostentamento.
Presto anche il cibo avrebbe cominciato a scarseggiare.
“ È stato gentile da parte tua nasconderci” aveva commentato Fritz, mentre guardava il ragazzino che aveva preso a studiarsi le unghia mangiucchiate ed insozzate, “Ti dovevo un favore, dottore” aveva risposto bellamente lei, dandogli del tu, mentre li conduceva in quella che era la sua camera, “Poi fa sempre comodo avere un medico a portata di palmo” aveva miagolato con una certa mellifluità.
Engel aveva tossicchiato appena, “Signor … ina, sembra molto tranquilla” aveva constato lui, la donna aveva sorriso in maniera quasi agghiacciante, “Crede nel Culto dei Titani” era stata la risposta frettolosa di Fritz. Ricordava quando la donna glielo aveva accennato, mentre le umettava le escoriazioni con degli impacchi e aveva strepitato all'idea che lui andasse fuori e che avrebbe potuto incontrare i giganti.
Probabilmente il fatto che il Muro Maria fosse stato sfondato per lei doveva essere una notizia meravigliosa, si era ritrovato a pensare il dottore. La cosa aveva ottenuto come commento un “Ah” piuttosto secco di Engel.
Lady Mei aveva occhi infossati, grandi come quelli di un gufo, ma di uno spettrale nero, si erano rivolti un po' famelici verso i due, “Cosa volete che vi dica?” aveva chiesto retorica lei, “Ognuno crede in quel che vuole” aveva commentato poi, aprendo le braccia come se avesse voluto coinvolgerli in un abbraccio: “Ed io credo di poter raggiungere il meraviglioso palazzo nel cielo” aveva detto, prima di lasciarsi cadere sul letto sfatto.
“Cosa?” aveva chiesto perplesso Engel, prima di voltarsi verso di lui, con gli occhi allarmati e confuso, tutto di lui urlava una sola domanda: ma dove siamo finiti?

Eh, bella domanda.

 

Al Bordello di Artemis erano rimasti una notte. Lady Mei aveva offerto loro quel che aveva, qualche vivere e mezzo bicchiere d'acqua a testa, nonostante non vedesse l'ora di raggiungere il Palazzo nel Cielo si era dimostrata incredibilmente tirchia sul cibo. Una ragazza si era sentita piuttosto altruista da offrire loro i resti di un bollito di cipolle, aveva un viso sorprendentemente pulito, ma grosse chiazze violacee ampie quanto polpastrelli a segnarle il collo e la parte superiore degli arti; Clara, era il suo nome – o almeno quello che aveva detto loro.
Erano rimasti lì per quasi tutta la notte, dormendo sul pavimento sudicio della stanza della loro salvatrice. Fritz aveva cercato di evitare di pensare a tutte le malattie che stavano probabilmente raccogliendo, mentre Engel aveva rimuginato tutto il tempo su quello che era avvenuto, commentandolo ad alta voce, nel desiderio forse di coinvolgerlo.
La Legione era ufficialmente fuori legge, buona parte di loro erano nelle galere di Briemer ed alcuni – loro e qualcun'altro – si erano nascosti come topi nei bugigattoli. “Stiamo perdendo tempo” aveva commentato Fritz, con voce spenta. Il caporale Schwarz aveva ragione, avrebbero dovuto già essere in viaggio, non potevano sapere da quanto effettivamente Shigashina fosse caduta, un giorno non contato in un piano del genere poteva rivelarsi letale.
Non aveva sentito ancora l'annuncio dell'arrivo dei giganti, ma non poteva quella tranquillità durare ancora. Almeno la campana, che suonava per richiamare i villaggi vicini o segnalare ai soccorsi – quali? – che la città era viva, pronta ad accogliere e sicura d'esser salvata, aveva smesso di suonare.
“Perchè ve ne curate?” aveva soffiato la donna, con un sorriso raggiante sulle labbra, mentre sfregava le cosce nude fra di loro, una pasta verdastra era spalmata sulla parte interiore di esse fino all'inguine ed oltre, sebbene un vestimento fin troppo leggero ne copriva le vergogne. “Morire divorati dai giganti è un dono” aveva commentato lei, facendolo loro l'occhiolino. Engel si era sollevato sui gomiti, per guardare con uno sguardo piuttosto critico, “Non so se sia peggio i sermoni del Culto delle Mura o le tue cazzate” aveva commentato. Fritz gli aveva tirato un buffetto sul fianco, Lady Mei comunque gli aveva dato un tetto, anche se era pazza e fantasticava di giganti, quando probabilmente non aveva idea di quanto spaventosi fossero.
Fritz ricordava con vivido terrore la prima volta che aveva vista una di quelle enormi bocche aprirsi davanti ai suoi occhi, denti enormi e lingue rosse pulsanti. Se esisteva un abisso, probabilmente quello era l'accesso.

La donna si era tirata su, portando poi le ginocchia al petto, i capelli pesanti scivolavano sulla schiena e sul petto florido, la camicia sottile lasciava comunque vedere le macchie scure delle aureole dei capezzoli. “Loro mentono” aveva soffiato Lady Mei, Engel si era sistemato nella posizione seduta, ritrovandosi comunque a guardare dal basso la donna, che stava sul letto, mentre Fritz era rimasto supino a guardare le assi rovinate del soffitto.

“Dicono che gli Dei ci hanno dato le Mura” aveva ripreso la donna, “Ma le Mura le hanno costruite gli uomini, per proteggersi da ciò che loro stessi avevano portato” aveva aggiunto lei. “I giganti?” aveva chiesto Fritz con un tono placido, volgendo lo sguardo appena verso Lady Mei, “C'era questa giovane donna” aveva ripreso la prostituta, tutti e due gli uomini ora l'ascoltavano.
Avrebbero dovuto preoccuparsi di ritrovare il Privato Brhol, di organizzare una resistenza, tirare fuori di galera il Caporale Schwarz, prepararsi alla partenza.
Partire …
“Aveva delle pecore che doveva vendere in città, ma lungo la strada aveva incontrato uno spettro, il demonio qualcuno dice” aveva ripreso Lady Mei, “Al posto del denaro, che tanto le serviva, la creatura era riuscita a convincerla a prendere dei fagioli magici come pagamento per le sue pecore” aveva detto.
“Pessimo affare” era stato lo sterile commento di Engel, “Erano magici?” la domanda di Fritz era stata retorica, mentre continuava a guardare le ombre del legno. “Lo erano” aveva risposto tranquilla Lady Mei, “Piantati nella terra avevano dato vita ad una pianta di fagioli che si estendeva fino al cielo” aveva ripreso lei. “Lì, alla cima, oltre le nuvole, vi era un palazzo splendente nel cielo così grande che lei appariva una formica a confronto. Ovunque era pieno di doni e ricchezze; lì la giovane donna si era apprestata a prendere quanti più tesori potesse, poiché era molto povera, ma aveva scoperto che quel mondo era abitato dai giganti. Quando lei tornò sulla terra, loro la seguirono e visto che la donna aveva derubato la loro terra, loro presero la sua. Lei costruì le Mura impegnando l'oro che aveva preso e visse consapevole che era stata la sua avidità ad offrire la terra ai Giganti ed ha speso la sua vita sognando le meraviglie di quel mondo nei cieli che mai in vita avrebbe potuto raggiungere di nuovo. Così quando veniamo divorati dai giganti, noi restituiamo loro ciò che abbiamo preso e ci è perciò concesso di accedere al Palazzo nel Cielo” la voce di Lady Mei suonava come quella di un'innamorata.
“E dove, cazzo, sarebbe questa pianta di fagioli gigante?” aveva chiesto Engel con una mezza risatina, “A sud, no?” aveva chiesto retorica lei, “Ed io neanche ho studiato, all'accademia non ve lo dicono che i giganti vengono dal sud?” aveva domandato enfatica Lady Mei.
“Da noi si dice che i giganti siano sorti dal sangue delle guerre fratricide degli uomini” aveva mormorato Fritz, passandosi le mani sulle cosce, gli occhi ancora aperti verso il soffitto, “Un male necessario per unire gli uomini, anche da noi si dice così” aveva concordato Engel.
“Di dove siete?” aveva chiesto Lady Mei, repentina, con un sorriso allegro come se improvvisamente di parlare dei suoi amati giganti non le interessasse più, “Capitale” era stata la risposta blanda di Fritz.
Ci sarebbe mai tornato?
Pensava a suo padre con quel sorriso sempre calmo, che avrebbe probabilmente chiuso a chiave la sua stanza e finto che ogni cosa sarebbe andata bene. Il suo fratellastro che probabilmente si sarebbe sentito in colpa di non esserci stato troppo, così preso nel continuare una faida con loro padre.
E sua sorella, Sante Mura. Fritz a Jara non voleva proprio pensarci.

“Nord-est delle terre di Sina” aveva risposto Engel, “Io sono nata a Karanese” aveva sentito il bisogno di dire Lady Mei.

Fritz aveva interrotto il disscorso: “Ho bisogno di fumare”, sollevandosi dalla posizione supina per raggiungere la finestra della minuscola cameretta. Avrebbe dovuto fare economia di tabacco da quel momento in poi, ma non riusciva a calmare né i nervi né i brutti pensieri.

Quella notte Fritz aveva sognato i giganti mangiare tutti quanti tranne lui, lasciarlo impotente e fermo, incapace di anche solo di muovere un muscolo.

 

“Quindi ci presentiamo al quartiere della Guarnigione, con la più brutale faccia di bronzo chiediamo del Privato Brhol?” aveva chiesto Engel mentre si incamminavano per le vie del distretto, erano ancora nella zona di Wolfliebhaber ed in ogni strada risuonava il caos generale, di una paranoia sempre più crescente, ormai doveva essere impossibile per la Guarnigione mantenere gli animi cheti. Maggiormente se la gente per caso si fosse risentita della Legione in galera.
Se forse fino a quel momento avevano sempre considerato la Legione come mangiatori di pane abusivi, si era finalmente palesata agli occhi dei cittadini delle Mura una loro utilità: era il Corpo di Ricerca che sapeva uccidere i giganti.
“Questo piano fa acqua da tutte le parti, lo so” aveva commentato Fritz spento, pensando che davvero non potessero essere in grado di organizzare qualcosa di meglio, considerando che la mente era Leon, fermo in un letto, organizzato con fin troppa repentinità.
Engel aveva guardato il braccio fasciato con un misto di insofferenza e fastidio, “Pensare che non saremmo dovuti essere qui” aveva commentato.
“Oh, a quanto pare io si, visto che hanno chiesto il mio trasferimento permanente” aveva risposto Fritz, senza particolare enfasi.
Tecnicamente sarebbe dovuto essere permanentemente fermato a Nedlay – comunque troppo a Nord – poiché presto esso sarebbe diventato l'unico polo da quella parte delle mura, ma ci sarebbero voluti almeno un paio d'anni prima che il trasferimento fosse in pieno ultimato. Forse allora sarebbe stato costretto a restare ad Hanneke.
Questo non aveva però più importanza, il muro era crollato, probabilmente Briemer non sarebbe vissuta.
E lui sarebbe tornato a sud.

 

Una mano l'aveva afferrato per il bavero della giacca scura ed anche ad Engel era capitato, “Voi due non siete i Friedrick di Nedlay?” si era sentito chiedere una voce femminile e famigliare. Il suo amico era stato più svelto ed aveva tirato una gomitata verso la figura che si era palesata alle loro spalle, qualche civile, che coraggioso, si aggirava per le vie della città aveva rivolto loro uno sguardo armato. Tutti armati, tutti preoccupati che da un momento all'altro cominciasse una carneficina, che quella fosse proprio una scintilla che avrebbe acceso un fuoco che avrebbe divampato su tutta la città.
Engel aveva provocato una rottura di capillari nella donna, che ora era china con le dita affusolate sul naso che perdeva sangue. Fritz l'aveva guardata in viso a fatica, già che lei era china, mentre Engel l'aveva preso per farlo allontanare di fretto; aveva riconosciuto nella donna, una certa maturità oltre che famigliarità. Efelidi castane su una carnagione lattiginosa. “Ma tu sei Nord-t … Nordtveit?” aveva chiesto Fritz fermandosi e trattenendo Engel, “Sei una legionaria” questo lo aveva fatto con un tono di voce basso, per non farlo sentire da orecchie indiscrete.
Erano poche le donne nella legione di Briemer, quella Fritz la ricordava come l'ingegnere, era graduata, ma non aveva una squadra e quando si arrabbiava aveva la bizzarra abitudine di sfoggiare un accento davvero strano.
“Tenente Maggiore Shoshanna Nordtveit, rottinculo del shud” aveva ringhiato lei.

 

 

Il tempo che avevano concordato per dichiarare ufficialmente morti gli uomini rimasti nelle terre di Maria era stato di quarta giorni. Quarta giorni netti.
Garlef Jürgen li aveva aspettati fino alla fine, salendo di tanto in tanto sulla sommità delle mura, al fianco di una stranamente taciturna Magda, sua suocera.
Aspettavano direttive da Erwin Smith per la Legione e dalla capitale per cosa dovevano fare con tutti quegli sfollati che adesso si erano stanziati nelle città distretto dei territori del Muro Rose.
Dei distretti di Maria invece le notizie erano agghiaccianti: Shigashina, che per prima era caduta, era stata evacuata paradossalmente – per quanto molti dei suoi cittadini non fossero sopravvissuti – mentre le altre città che ne avrebbero avuto tempo erano stati ignorate. Jürgen non riusciva a pensare alla spaccatura nelle mura senza provare un profondo senso di vertigine: come? Continuava a chiedersi.
Renìn era stata abbandonata a e stessa, la Legione che aveva fatto ritorno ad Occidente, aveva raccontato che la popolazione si fosse barricata dentro. Da Pereta e Briemer nessuna notizia, ma se Jürgen non faticava ad immaginare che la prima cittadina potesse sopravvivere autonomamente, circondata da montagne come difesa naturale nel lato esterno dai giganti e della miniera di sale, la seconda al freddo dell'inverno forse mai avrebbe potuto.
Sentiva gli occhi bruciare dalle lacrime.
A Briemer non c'erano solo i suoi sottopossti, santissime Mura; Charlotte era una delle sue migliore amiche, anche quel cazzone di Sprotte e tutti gli uomini, e donne, che aveva conosciuto nel corso dei suoi anni. Tutti morti.
E Leon era stato come un fratellino, il suo braccio destro, il suo amico, il quale era rimasto lì ferito mentre lui se n'era andato senza curarsene. Ed Engel e Fritz. Non erano i primi compagni che perdeva, non erano i primi uomini sotto il suo comando che morivano, ma erano i primi – gli unici – che aveva lasciato indietro.
“Sei sicuro di volerlo fare, ragazzino?” aveva chiesto Magda, i capelli bianchi come il nevischio sporco, le Rose sull'uniforme, “Schimdt” aveva ripreso la donna, “Non sono solo gli uomini del capitano Schimdt” aveva risposto pratico lui.
Erano i suoi uomini, toccava a lui portare le notizie.

 

Era partito all'alba del quarantunesimo giorno in compagnia di Carice, la quale era stata un membro della sua squadra,che adesso contava tre persone, con loro compressi, rispetto i sei che erano in origine. Lo aveva deciso lei, abbozzando un sorriso malinconico, dicendo che non doveva farlo da solo, che erano stati anche suoi compagni.
Lui aveva annuito ed aveva accettato.
La prima sulla strada era stata la famiglia dei Fischer: Leon era l'unico uomo di casa, unico maschio con quattro sorelle, due nonne ed una madre, in una casetta fin troppo piccola per una famiglia così caotica, in un villaggio a sud di Nedlay.
La signora Fischer aveva sempre le mani sporche di farina e Garlef ricordava i pranzi che gli aveva preparato quando Leon lo trascinava lì nei loro giorni di riposo. “Hai bisogno di un po' di affetto famigliare, eh Garl?” lo prendeva in giro.
Non ci sarebbero state più le pessime battute di Leon ad accompagnarlo.
Avevano mangiato dai Fischer, Aimee non si era potuta trattenere dal preparare del cibo, con le lacrime a segnarle il viso pieno. Non c'era stato bisogno di molte parole ed anche Carice era scivolata nel profondo silenzio.

Gli Engel erano stati i secondi. Garlef si era reso conto di non aver mai saputo nulla del ragazzo che gli era stato assegnato da un paio d'anni, lo vedeva solo come una pallida immagine di un giovane forse troppo sorridente con una lingua bella impudente.
Erano ricchi gli Engel, avevano una discreta villa campestre e dei campi, ma si erano rifiutati di venderli. Jürgen e Carice non avevano potuto oltrepassare la soglia, lì dove dai Fischer avevano potuto mangiare e brindare alla memoria di un uomo meraviglioso, in quella villa erano rimasti sulla porta. Avevano parlato con una domestica che aveva preso atto della triste notizia, con gli occhi bassi e poi loro erano stati cacciati fuori. Mentre si allontanavano a cavallo, Garlef si era voltato per un'ultima volta verso la tenuta degli Engel ed era stato certo di aver intravisto alla finestra del secondo piano un uomo piangere disperatamente.


Gli ultimi sarebbero dovuti essere i Meier; con l'eccezione del padre, Jürgen li aveva conosciuti tutti. Il maggiore che si era palesato di tanto in tanto a trovare Fritz, un velo di freddezza e di impaccio sembrava essere intessuto tra i due. La sorella maggiore invece straboccava d'amore e certezza,lei tante volte era venuta a trovarla, con l'apprensione negli occhi azzurri. I due fratelli che si somigliavano, alti, biondi e dalle spalle larghe, sembravano giganti al cui fianco Fritz, riccioluto, castano e minuto sembrava sparire – nonostante egli avesse condiviso l'altezza con lui.

Non era andato dai Meier, si era fermato a casa sua, mentre Carice lo aveva abbandonato con la scusa di volergli lasciare per quello il suo spazio, aveva le labbra tremolanti e gli occhi bassi di chi nascondeva qualcosa. A Jürgen non interessava.
I suoi genitori vivevano in Capitale, con la sua sorellina, e quando s'era saputo che il figlio al prodigo era tornato, anche suo fratello si era palesato, con la giacca dei militari con l'unicorno appuntato al petto, anche il viso era smunto e sembrava che il terrore e la preoccupazione fosse arrivata anche lì. Anche la Capitale era stata smossa dall'indolenza.
“Perchè non lasci la Legione?” gli aveva chiesto sua madre, come ogni volta, suo padre aveva taciuto, lui che per anni aveva indossato lo stemma della Gendarmeria non aveva mai compreso suo figlio maggiore. “Mamma, non può, di questi tempi ogni legionario è importante” aveva soffiato sua sorella, Lena sempre così audace, tredici anni e le treccine. Garlef era grato che non avesse mai intrapreso le strade dei suoi fratelli. “Erik Schmidt ha intenzione di dare le sue dimissioni” aveva raccontato ai suoi genitori, non sapeva perché e non sapeva cosa questo avrebbe voluto dire per lui. Erik gliene aveva fatto parola praticamente ad un solo giorno dalla scadenza dei quaranta, lo sguardo sempre alzato all'orizzonte ora piantonato sulla punta dei suoi stivali; lo capiva, lo capiva: Erik Schimdt il Capitano che aveva dimenticato la sua città ed i suoi uomini.

“Diventerai tu ...?” aveva provato suo fratello, “Non lo so” aveva risposto lui, poiché non era Erik Schmidt.
E non voleva esserlo.
“Cosa dice il Comandante Kessler?” aveva chiesto Jürgen, ma suo fratello si era morso il labbro, “I Grandi capi stanno organizzando un modo per sistemare gli sfollati” aveva risposto semplicemente.
Non c'è ma questo non lo aveva detto.

 

Dai Meier era andato per ultimo, la mattina del quarantaduesimo giorno. Aveva provato a cercare Carice senza successo, la ragazza non era nella locanda dove aveva detto di alloggiare e lui era andato da solo. Aveva sentito ogni passo che aveva percorso – a cavallo e piedi – pesante come se le sue gambe fossero fatte di pietra viva. Era l'ultimo dei tre, l'ultimo padre a cui dire che probabilmente suo figlio mai sarebbe tornato.
I Meier erano ricchi, non quanto la sua famiglia, ma avevano una casa privata, dall'aspetto pulito ed un cortile interno con un prato verdissimo, come se la crisi non fosse un loro problema. Aveva guidato il cavallo fino all'abbeveratoio e legato le redini ad un'asta di legno che era lì a posta.
Poi aveva visto il bambino, grandi occhi e capelli castani indisciplinati, quanti anni aveva: otto? Fritz … era stato il suo primo pensiero, ma niente di quel viso riusciva a combaciare con l'immagine vivida del dottore che era stato un suo sottoposto. Gli era stato indifferente all'inizio, un ragazzino viziato che si lamentava del luogo dove era finito, forse ne era stato anche divertito all'inizio, poi semplicemente lo aveva trovato seccante, forse per il ruolo che aveva. Forse perché Jürgen aveva passato la sua vita a cercare di fuggire dal suo nome ed amicizie influenti e … la sorella del neo Comandante della Legione Esplorativa era venuta a raccomandare Fritz a lui. Era stato un po' come provocarlo, poi …


Il ragazzino era scattato su come una molla ed era corso dentro la casa, non appena lo aveva visto entrare nel giardino interno. La porta era stata fino a quel momento socchiusa e quando una persona si era palesata sull'uscio, Garlef era dovuto rimanere in silenzio. Aveva aspettato di vedersi palesare un uomo o Jara Meier – ricordava distrattamente che Fritz avesse accennato di vivere con il padre e la sorella.
Alla porta però c'era una ragazzina, con il viso macchiato di lentiggini ed i capelli biondi come il grano ardente. Venuzze rosse tormentavano la sclera bianca attorno alle iridi limpide. Occhi lucidi, forse.
Mi chiedevo se potesse portare i miei saluti a Friederich Meier” se la ricordava il giorno in cui quella giovane donna glielo aveva chiesto, cortese, quando si era deciso chi avrebbe succeduto Shadish.
E le risate di Lottie che lo aveva punzecchiato perché si era fatto trovare a parlar male del nuovo Comandante proprio dalla sua sorellina, prima di vederla sparire dietro un bel gendarme dagli occhi diversi.
Aveva sentito l'orologio che era appartenuto a Fritz improvvisamente pesante nella sua tasca, non poteva riportare a quella donna, a quella famiglia, nulla più di un oggetto dimenticato – come lui si era dimentica di Fritz.
“Nina Müller” aveva detto spento Garlef e la ragazza lo aveva guardato in silenzio religioso.

 

 

 

 

 

*Fuoco di Mitras: sarebbe l'Herpes, ora tecnicamente il nome è ispirato al Fuoco di Sant'Andrea che è un tipo di Herpes diverso da quello normale – o che in questo caso ha Lady Mei, ma mi sembrava che il nome potesse prestarsi bene ad una possibile versione SNKiana.

 

 

 

N.B. SALVE! Chiedo immensamente scusa per il tirando – il capitolo era pronto praticamente due settimane fa – ma ho una buona giustificazione: ero negli anni novanta!
Quindi vi farò un simpatico riassunto: Mi hanno rubato il telefono, mi hanno staccato internet, sono dovuta tornare a casa, ho comprato il biglietto sbagliato per ritornare, mi hanno bocciata ad un esame dove non dovevo essere bocciata, mi hanno riattaccato internet e comunque non funziona.
Sono di nuovo tornata a casa dei miei e finalmente sono riuscita a postare.
Vorrei ringraziare Chemical lady che si è sentita tutti i miei disagi ed ha avuto pure la pazienza di correggere questo capitolo, il che è stato davvero il male (Comunque vi alleggo uno dei suoi meravigliosi commenti: madonna si. Il vero problema è Fritz).
Vorrei anche ringraziare Sisthra per la recensione e chiunque abbia messo la storia nelle seguite/ricordate o anche solo legga.
Fatemi solo sapere se per caso volete che vi allunghi una lista con tutti i personaggi, perché la ho prontissima
Un bacio
RLandH

   
 
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