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Autore: Sofyflora98    05/12/2016    1 recensioni
Dal primo capitolo:
"Tutto era iniziato con un cadavere. Un uomo sui cinquanta, vedovo, che faceva una vita abbastanza tranquilla, senza avvenimenti degni di nota. Un bel giorno, di punto in bianco, era morto. L'avevano trovato riverso sui gradini di fronte alla porta di casa. Quando avevano cercato di identificare la causa del decesso, i dottori erano rimasti allibiti. Non c'era una causa. Niente che potesse spiegare come mai un uomo di mezza età perfettamente in salute fosse all'improvviso crollato a terra. Come se tutto il suo organismo si fosse fermato dolcemente, e basta.
Fino a che non colsero sul fatto l'assassino. Quello che fu presto chiarito era che non si trattava di un essere umano. Non del tutto perlomeno. Mangiava e respirava e dormiva. Solo che a volte assorbiva la vita dagli altri."
****
Johnlock
Genere: Drammatico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non si era accorta subito della loro presenza. All’inizio, anzi, era completamente ignara degli individui che la stavano spiando dai lati della strada. C’era un certo viavai, e non aveva fatto caso alle figure appoggiate silenziosamente alle pareti degli edifici pubblici che delimitavano la via, l’attenzione stranamente rivolta solo alla chiamata che stava ricevendo al cellulare, piuttosto che spartita anche con la necessità di tenere d’occhio i passanti.
Iniziarono a camminare lentamente, distrattamente dietro di lei quando la strada si fece meno folta di persone, e lei per un po’ continuò a non notare nulla. Solo quando il rumore diminuì di più, e sentì meglio i passi pesanti alle sue spalle, cadenzati. Le bastò, a quel punto, una rapida occhiata per rendersi conto di essere seguita.
Affrettò il passo, e gli uomini fecero altrettanto.
Osarono iniziare a correre su serio quando finirono in una zona della città stranamente vuota. Un quartiere residenziale, e a quell’ora erano quasi tutti al lavoro, per cui nessuno era più in giro. Ovvio che gli uomini sapevano che si stava dirigendo in un posto dove non avrebbero trovato passanti a disturbarli o ad essere testimoni.
La Donna riuscì, a quel punto, a sfilarsi rapidamente le scarpe dal tacco alto, e prese a correre.
Il Ragno mandava i suoi omaggi.
 
 
 
Avevano fatto in tempo appena a salire le scale ed entrare nell’appartamento, a scambiare qualche parola  soltanto, prima che con istantanea intesa con il detective Victor afferrasse le spalle di Sherlock e gli aggredisse le labbra. Questi lo lasciò fare, e si limitò a portare le mani sulla schiena dell’altro mentre veniva leggermente reclinato all’indietro, le dita del gatto ora affondate tra i suoi riccioli scuri.
- Penso che possiamo parlare dopo… - ansimò il detective quando si staccò per respirare. Ricevette in risposta un suono simile alle fusa di un felino, che interpretò come segno di assenso.
Victor iniziò a spogliarlo con metodica precisione, le mani che si spostavano senza esitazione in gesti che eseguiva automaticamente, senza bisogno di guardare ciò che stava facendo, potendo così tornare a impossessarsi della bocca della Libellula. Non appena ebbe libero accesso alla pelle del torace di Sherlock, Victor lo trascinò con gentilezza sul pavimento, facendolo sdraiare con la schiena sopra la moquette.
C’era reverenza, Sherlock lo vedeva, nello sguardo di Trevor, mentre quest’ ultimo gli sfiorava il petto con le labbra sospirando soffi tiepidi che nonostante ciò lo fecero rabbrividire. Lo sguardo quasi disperato degli occhi verdazzurri che gli fissavano il viso dal basso, ora, e il modo in cui tremavano le mani che lo toccavano e accarezzavano, a tratti più forti e a tratti delicate, quasi si stesse trattenendo per qualche ragione, erano tra quelle cose che Sherlock non era in grado di comprendere. Non c’era alcun motivo per cui Victor dovesse rivolgere uno sguardo simile a lui. Non capiva nemmeno come mai lo desiderasse, in verità. Trevor era attraente, avrebbe potuto sedurre chiunque volesse, e stava sulla moquette polverosa di un appartamento retrò con un mezzo mostro. Perché se lui era l’unico a cui erano riusciti a impiantare delle ali, l’unico il cui corpo le aveva accettate nel sistema, doveva esserci qualcosa di diverso in lui. Qualche errore che gli aveva permesso di sopravvivere dove altri erano morti per le infezioni e le ferite, facendo di lui un’aberrazione anche tra le Creature.
Invece gli occhi di Victor sembravano urlare tutt’altro, come faceva anche l’emozione che vibrava sotto il guscio. Doveva essersi accorto che la sua mente era scivolata altrove, perché mormorò il suo nome con tono quasi interrogativo, ma non meno adorante, e premette nuovamente le labbra sulle sue, succhiò morbidamente il suo labbro inferiore, e chiese accesso con la punta della lingua. Era sempre morbido, pensò Sherlock, ogni movimento e gesto del Gatto. Sempre gentile e intenso allo stesso tempo, come se volesse avvolgerlo in una nuvola di lattice e ovatta, sciogliergli i muscoli e le giunture.
Si sollevò, Victor, seduto sopra di lui. Giusto il tempo di sbottonarsi la camicia in fretta e furia, di lanciarla lontano, prima di cercare il contatto diretto della pelle. Con una mano gli strinse la vita, e con l’altra cercò di rimuovere ciò che restava dei loro vestiti. Quasi divertito da quel tentativo goffo, Sherlock accorse in suo aiuto, entrambe le mani ora libere e svelte.
Il Gatto si liberò di quegli ultimi strati di stoffa che andarono a fare compagnia alla sua camicia. Si fermò a contemplarlo, il fiato corto e le guance arrossate. Victor era ancora più alto e più affusolato di lui, con una grazia ed un’ eleganza nella forma e nelle movenze che ben si combinava con le sue caratteristiche feline. Era sinuoso e affilato al tempo stesso, ed era bellissimo. Proprio per questo era certo di non essere innamorato di lui.
Ed era incredibilmente pallido, ma in un modo diverso da Sherlock. La Libellula aveva un pallore soffice, soffuso, che si poteva anche definire fuggente. Una materia fluida o gassosa trattenuta assieme da qualche forza misteriosa. Il Gatto era un’inattaccabile superficie d’avorio.
- Vorrei che tu fossi mio. – sospirò Victor, lo sguardo triste. Sherlock non rispose, ma si portò alla bocca le dita dell’altra Creatura, senza guardare Trevor negli occhi. Inumidì le falangi con la saliva lentamente, senza realmente stringerle con le labbra però.
- Io non ti avrei fatto del male. – sembrava quasi che Victor stesse parlando a se stesso che con qualcun altro, che si stesse rimproverando per qualcosa, che stesse cercando di convincersi che avrebbe potuto essere diverso.
Con fermezza Holmes gli prese il polso e condusse la mano di Victor dove doveva andare. Victor quasi dimenticava cosa stava facendo, in quei momenti. Ciononostante spinse l’indice dentro di lui con tutta l’attenzione di cui era in grado. Sempre così gentile…
Sherlock chiuse gli occhi e lasciò cadere la testa sul pavimento ricoperto dalla moquette. Non era mai stato un problema accogliere Victor: lui aveva sviluppato un controllo quasi totale delle proprie azioni, e Sherlock sapeva che l’aveva fatto per non rischiare di ferire lui. Non era mai successo, infatti, perché l’idea di fargli male avrebbe tormentato Victor per settimane, e ogni minimo movimento era misurato quasi maniacalmente.
Mentre lavorava piano con le dita, Victor si era nuovamente calato sopra di lui, e gli accarezzava uno zigomo. Quando Sherlock, ad un certo movimento di quelle falangi dentro di lui, spalancò gli occhi con un piccolo gemito, vide che era l’altro ora ad averli chiusi.
Victor prendeva il tempo che gli serviva, per assicurarsi che non gli avrebbe procurato il più piccolo dolore. Era bravo in questo, nell’ignorare i propri istinti per fare del bene a lui. Sherlock prese ad accarezzargli i capelli che gli ricadevano sulla fronte, ricci biondo scuro  un po’ più lunghi dei suoi e molto soffici. A volte, quando si rendeva conto pienamente di cosa c’era dentro di lui, si sentiva in colpa per non amarlo. Victor non meritava questo. Ci aveva provato, in passato. Ma semplicemente non poteva costringersi a provare un sentimento che non gli apparteneva. Gli voleva bene, moltissimo, e per anni era stata l’unica persona per cui davvero sentisse affetto, ma oltre a questo e l’attrazione fisica non c’era altro. E sicuramente era doloroso per il Gatto restare in quella posizione precaria, ma probabilmente l’avrebbe distrutto essere abbandonato. Non che Sherlock avesse mai pensato desiderato farlo, ma era una conclusione a cui era spontaneamente giunto.
- Sherlock, posso…? – ansimò Trevor, le guance rosse e il fiato corto.
La Libellula annuì, il corpo che già da qualche minuto era scosso da tremiti e brividi che gli attraversavano la spina dorsale come scariche elettriche. Divaricò le gambe in modo invitante quando Victor ritrasse le dita, rivolgendogli uno sguardo che in quell’occasione era più voglioso che malizioso e seducente, ma che non fu meno efficacie sull’altro uomo comunque. Con un sospiro più rumoroso, Victor premette le labbra contro la pelle della sua coscia, lasciando svariati baci umidi e passionali, ma che non lasciarono alcun segno. Proseguì nella sua venerazione delle membra perlacee che si trovava tra le mani sfiorando appena l’osso del bacino e premendo più forte sulla pancia, ora usando solo la punta della lingua, facendo tremare ancor di più Sherlock sotto di sé, che gemeva di frustrazione per non aver ancora ottenuto ciò che voleva.
Il Gatto, d’un tratto, gli afferrò le gambe in modo possessivo, e se le sistemò attorno ai fianchi, senza trovare alcuna resistenza da parte della Libellula. Era una cosa che a volte aveva sconcertato il Gatto in passato, quella mancanza di reazione quasi passiva e assente. Gli ci era voluto un po’ per rendersi conto che Sherlock semplicemente non si muoveva e basta, e che non era un segno di apatia o passività frigida.
Si fece strada dentro di lui con grande lentezza, aiutandosi con una mano. Un lungo movimento fluido, che ormai non richiedeva più chissà quale controllo di sé per evitare di entrare rudemente. Da Sherlock sentì un respiro secco e più forte. Non di dolore, aveva imparato a riconoscere i vari suoni che uscivano dalle sue labbra rosa chiaro quasi come riconosceva umani e Creature a colpo d’occhio.
Rimase fermo dov’era, in attesa del via libera, che non lo fece attendere che una ventina di secondi prima di arrivare. Sherlock strinse più forte le gambe attorno alla sua vita, e quello fu il segnale. Iniziò a dare delle spinte languide, più dei colpetti con i fianchi in realtà, senza quasi uscire dal calore che lo avvolgeva. Aveva bisogno di più contatto, di essere ancora più vicino, pensò confusamente, gli occhi serrati, mordendosi le labbra per non singhiozzare come uno sciocco dal piacere e dalla commozione che ogni volta lo investiva.
Scese fino ad appoggiare la pelle nuda del petto su quella della Libellula, avvolse le braccia attorno a lui e affondò il viso nell’incavo tra la sua spalla ed il suo collo, inspirando profondamente quel profumo inebriante che era in parte suo di natura e in parte dovuto al suo essere una Creatura.
- Victor? – come facesse a dargli ordini anche in quella posizione e continuare ad apparire autorevole era tra quella cose che Victor non riusciva a spiegarsi di Sherlock Holmes, una delle cose straordinarie di lui. – Sì. – gli rispose con voce arrochita, intuendo al volo cosa intendesse con quella singola domanda.
Aumentò l’intensità delle spinte, e le dolci dita di Sherlock furono subito sulla sua nuca a tracciare ghirigori come ricompensa per avergli obbedito senza farsi aspettare.
Non si rese conto nemmeno di quando fu che cominciò a baciare e leccare il collo, il torace, ed ogni centimetro di cute diafana che riusciva a raggiungere con la bocca, ma non vide perché avrebbe dovuto smettere: il sapore era intossicante, per lui.
Sentì il piacere che si accumulava dentro di lui, e resosi conto che non avrebbe resistito a lungo prima di giungere al culmine. Portò una mano tra i loro corpi alla ricerca del membro del suo amore, stringendolo delicatamente ma con fermezza quando lo trovò alla cieca, non riuscendo a distogliere lo sguardo dagli occhi che ora avevano intercettato i suoi, belli come astri strappati dal cielo e altrettanto alieni.
Con la sua mano, aiuto Sherlock a raggiungere l’orgasmo per primo. Quelle belle membra si irrigidirono e inarcarono, e finalmente un gemito più acuto giunse come una melodia alle sue orecchie, e finalmente un brivido preannunciò la scossa che fece tremare il suo intero corpo, fino a farlo riversare dentro all’amante.
In uno stato semi cosciente, scivolò fuori da lui, sdraiandosi al suo fianco. Non ebbe bisogno di guardarlo per sapere che tra i due era lui stesso quello più scosso, ma comunque non si impedì di percorrere con lo sguardo quel gioiello che aveva in prestito senza poter tenere. Lo attrasse a sé con un braccio, dandogli un ultimo bacio insolitamente casto sulle labbra semi aperte.
 
 
 
Sherlock gli aveva raccontato della loro incursione nell’abitazione di Irene Adler mentre si lavavano dal sudore e dalle altre tracce appiccicose che avevano addosso. Dalla tranquillità e noncuranza con cui aveva iniziato a parlare, non si sarebbe neanche detto cos’era successo poco prima, ed era una delle cose che rendevano Victor dolorosamente consapevole dell’unilateralità del suo amore. Ciononostante, aveva sorriso mestamente e aveva ascoltato senza lasciar trapelare ciò.
Sherlock aveva riferito il dialogo avvenuto tra lui e la Donna con una precisione e ricchezza di dettagli impressionante anche per chi da anni ed anni era avvezzo al suo modo di registrare i ricordi, e Victor poté analizzare mentalmente una per una tutte le frasi pronunciate dalla Adler. Sapeva di lei che era un’abile manipolatrice, ma non aveva mai avuto l’impressione che fosse particolarmente legata al Ragno o alla sua fazione. Si fece ripetere alcune parti del discorso più volte, in cerca di qualche parola o frase che potesse tradire la sua implicazione, ma non trovò nulla. O era davvero ignara riguardo ciò che era accaduto alla Creatura trovata morta, o era un’abilissima bugiarda.
- Non dare per scontata la sua sincerità. E se la incontrerai di nuovo, cosa probabile, non fidarti di lei fino a che non avrai prove certe. – disse al detective. – Scusami, so che sai meglio di me come comportarti, essendo il tuo lavoro. Non riesco però a non preoccuparmi se ci sei tu di mezzo, anche se rischio di sembrarti come Mycroft. –
Sherlock scosse la testa. – Dì pure quello che pensi. Due cervelli sono meglio di uno. E tu non sei Mycroft. –
- Anche se quell’uno è il tuo, di cervello? –
Sherlock sorrise appena. – Come facevi a sapere che volevo parlare con te, quando sei apparso stamattina davanti alla mia porta? –
La domanda parve mettere a disagio il Gatto. Esitò, prima di trarre un sospiro e rispondere con voce nervosa e imbarazzata. – Me l’ha detto Mycroft. – stavolta Holmes quasi scoppiò a ridere. – Tenevo d’occhio la zona, e ho visto John uscire con un’espressione strana. Ho pensato che avrei fatto bene a farmi vedere. Quando ti ho visto è stato piuttosto palese che ho fatto bene a non lasciarti qui solo. So cosa succede quando sei così. –
Aveva finito di strofinarsi i capelli con l’asciugamano che gli aveva passato Sherlock poco prima. Lo piegò meglio che poté e lo posò sul piano stabile più vicino.
Poi un rumore li soprese. Uno scatto secco, e un tonfo.
Sherlock si era appena girato, che il gatto, da esemplare felino già teso e pronto ad un eventuale lotta, spalancò la porta del bagno e uscì in cerca della fonte di quel suono. La Libellula lo imitò di poco in ritardo, stando attento a restare sempre dietro al più alto. Non si sarebbe mai riparato dietro a nessuno normalmente, ma quello era Victor.
Victor socchiuse gli occhi, in ascolto, mentre la libellula aguzzava lo sguardo. Un rumoroso fruscio e quelli che inconfondibilmente erano passi, ruppero il silenzio degli ultimi momenti. Abbandonarono il camminare cauto, e scattarono verso il soggiorno, da dove proveniva quel lieve trambusto.
La grande finestra era aperta. Quasi ad aspettarli c’era Irene Adler, intenta a infilarsi un paio di scarpe col tacco alto che teneva in mano, i capelli scompigliati e il fiato corto.
- Oh, salve. – li salutò con disinvoltura. – Spero non sia un problema se sono venuta qui senza avvisare prima. –
Victor si rilassò quasi del tutto, anche se Sherlock lo vide stringere la mascella con forza. – Immagino che lei sia la signora Adler. – disse con voce ferma solo vagamente ostile. Lei gli sorrise, e fece scivolare lo sguardo lungo la sua figura, dalla testa ai piedi con grande lentezza. Quando si accorse di cosa stava facendo, Victor dischiuse appena le labbra dallo stupore, e Sherlock avrebbe giurato di vederlo arrossire. In ogni caso, portò le braccia a coprirsi il torace, voltandosi per andare in cerca della camicia che non aveva ancora avuto il tempo di indossare, a differenza del compagno.
La Donna si lasciò andare ad una risata rilassata, stranamente priva di malizia vera e propria. – Perdonatemi, signor Trevor. Da quel che avevo sentito su di lei, non mi sarei mai immaginata che foste il tipo da imbarazzarsi per così poco. – e sembrava quasi sincera mentre lo diceva, ma Sherlock si guardò bene dal fidarsi di ciò che lei voleva far credere loro.
- Salve anche a lei. – rispose comunque, mentre Victor finiva di chiudere gli ultimi bottoni. – C’è una specifica ragione per cui voi vi siete… arrampicata sui muri per entrare dalla finestra, suppongo? –
- Davvero perspicace. – ghignò lei, lasciando che il suo abituale atteggiamento tornasse al suo posto. – In effetti c’è, signor Holmes, nonostante vi avrei volentieri fatto visita comunque. –
Sherlock sollevò appena un sopracciglio, a suo modo divertito dallo spudorato flirting della Creatura. Victor era decisamente meno divertito, ma probabilmente era per motivi più personali, che potevano comprendere il metterlo in imbarazzo davanti al suo amante e lanciare sguardo di apprezzamento verso quest’ultimo.
- Vi ascolto. – la esortò il detective.
- Essere inseguita da cinque Creature probabilmente al soldo del Ragno vale come motivazione per introdursi nell’abitazione del migliore detective d’Inghilterra, mi hanno detto. Lei cosa ne pensa, signor Holmes? –
L’uomo diede uno sguardo a Trevor prima di tornare ad osservare Irene. – Mi state dicendo la verità, signora Adler? – chiese. – Perché potrebbe fare una grande differenza se per esempio lei fosse una bugiarda ma confessasse ora, o se invece aspettasse che io lo scopra per conto mio. –
- Croce sul cuore, signor Holmes. Quel che le ho detto è vero. – ribatté lei.
- Aspetti due minuti allora, per favore. –
Sherlock invitò Victor ad allontanarsi da lei per poter scambiare due parole. Non andarono in un’altra stanza, si limitarono a spostarsi all’ estremità opposta del soggiorno, rivolgendole le spalle. Se anche li avesse aggrediti, in due erano più che sufficienti per fermarla, specialmente se considerate le eccellenti abilità del gatto nel combattimento corpo a corpo.
- Secondo te è sincera? – domandò Trevor a bassa voce.
Sherlock scosse il capo. – Non saprei. È brava a celare le sue emozioni. Penso che sia possibile, però. –
Victor le scoccò un’occhiata veloce da sopra la spalla. – Aspettiamo che torni John Watson, e poi ne discutiamo anche con lui. Nel frattempo, prendiamola con le pinze. Non vorrei che scatenasse uno scontro aperto tra fazioni. –
Holmes assentì.
- Può restare, per il momento. – disse, rivolgendosi ad Irene. – Quando John tornerà, sarebbe davvero gentile se ci raccontasse nel dettaglio cos’è successo. Nel frattempo si accomodi pure. –
Lei lo ringraziò, e cercò subito la zona più comoda del sofà. Victor sparì in cucina, annunciando che avrebbe preparato il tè. Sapeva essere divertente il suo essere, come Watson, così tipicamente inglese nel reagire alle difficoltà.
 
 
 
Era tardo pomeriggio quando John finalmente riuscì ad uscire dall’ambulatorio e fuggire alle signore paranoiche e alle mamme iperansiose. Con enorme sollievo ed enorme stanchezza, fece le scale per raggiungere l’appartamento sperando di poter tornare a tentare goffamente di coccolare Sherlock senza sembrare troppo sfacciato, come il giorno precedente, ma fu spiacevolmente sorpreso nel veder crollare questa dolce fantasia (per quanto in sé difficile da realizzare), quando sentì che c’erano tre voci diverse che provenivano dall’interno. D’accordo che con Sherlock non si poteva sapere cosa aspettarsi, ma interpretare voci differenti per fingere di parlare con qualcuno era troppo anche per lui.
Quindi, fatti due conti, la presenza di Trevor sulla sua poltrona non fu così scioccante, anche se avrebbe preferito vederlo sul divano. Purtroppo quest’ultimo era occupato dalla molto meno ovvia presenza di Irene Adler, che a quanto pare non doveva essere troppo gradita a Victor, dato che nonostante lo spazio libero aveva comunque evitato di sedersi accanto a lei. Perlomeno, Sherlock era nel suo posto di sempre quindi magari poteva contare su un briciolo di suo controllo della situazione. Forse, s’intendeva.
- Salve, John. – e uno.
- Dottor Watson, è un piacere rivederla. – disse a sua Volta Trevor. E due.
- Non le dispiace, vero? perché la vostra visita mi ha causato alcuni problemi. – aggiunse la Donna. E tre.
Cristo santo, pensò tra sé e sé. Uno psicopatico alla volta sembrava non essere sufficiente, a quanto pareva. La combriccola quasi all’intero sembrava volersi impegnare a farlo unire a club, con la loro completamente fuori luogo nonchalance.
- Sherlock. – chiamò seccamente il coinquilino. – Passi per Victor, ma come mai lei è qui? – sembrava molto poco una domanda in verità, ma non gli importava molto di modulare correttamente i toni di voce sul momento.
- A proposito di questo dobbiamo discuterne. – rispose il detective. – Metti giù le tue cose, e poi torna qui, per favore. Dobbiamo decidere se è una bugiarda oppure no. –
Come riassumere un anno e mezzo di coabitazione in due frasi.
Dopo aver fatto come gli diceva il coinquilino, si sedette su una sedia che portò dalla cucina (in tutta sincerità, nemmeno lui si sarebbe sentito a suo agio seduto accanto ad Irene Adler), vedendo che la sua poltrona continuava a restare occupata. Stette ad ascoltare il racconto della Donna su come alcuni uomini avevano iniziato a pedinarla, e poi ad inseguirla in una strada, costringendola a far perdere loro le sue tracce e arrampicarsi dalla finestra nel loro appartamento per nascondersi. A suo parere erano di sicuro uomini del Ragno, mandati a causa del fallimento precedente. Ormai dovevano essersi davvero convinti che lei ne sapesse qualcosa, diceva.
Non vennero ad una conclusione, alla fine: non avevano la più pallida idea su come capire se mentisse oppure no, quindi decisero di concederle il dubbio, e nel frattempo lasciarla stare lì per proteggerla nel caso fosse sincera. La discussione occupò diverso tempo, più per il dibattito riguardo Irene che il racconto in sé, e quando si accorsero che erano già le diciannove passate, Victor si offrì molto cavallerescamente di preparare la cena per tutti. Probabilmente il fatto che Sherlock fosse parte del quartetto e che si trovavano nella sua abitazione (e di John, ma probabilmente per Trevor non contava) lo influenzò parecchio in questa spontanea voglia di fare.
Mangiarono nervosamente, o almeno lo fece il dottore. Sherlock a malapena toccò cibo, come suo solito, e quel poco che ingerì di sicuro fu per il fatto che veniva da Victor. Trevor sembrava più guardingo che nervoso, e John non poté non notare che teneva sempre d’occhio la donna di sbieco. Lei non batté ciglio, perfettamente a suo agio.
Per il resto della sera, due paia di occhi acquamarina, più o meno freddi o sospettosi, le stettero incollati, due menti a loro modo entrambe sopra la media che la cercavano di giudicare o cogliere in fallo. Watson sentì quasi un moto d’ammirazione verso di lei, per la serenità con cui li ignorava beatamente, anzi mettendo loro stessi a disagio. Una maestra nell’avere a che fare con la gente, pensò. A differenza degli altri due tra l’altro, in particolare del suo coinquilino dato che Victor aveva almeno una sorta di gentilezza nel trattare le persone.
Alla fine, misero la Adler a dormire nella camera di Sherlock, mentre Victor si raggomitolò sul divano come un gatto. Se fosse fuggita, le avrebbero dato la caccia. John e Sherlock stettero invece nella stanza del primo dei due, e l’umano quasi sentì su pelle lo sguardo penetrante e insinuante della Donna quando uscirono insieme dal soggiorno. Probabilmente sarebbe stato più sicuro che restassero tutti il più vicino possibile a dove lei si trovava, ma d’altronde, se si fosse ingaggiata una lotta nessuno dei due sarebbe stato particolarmente utile, specie se c’era un mezzo felino a portata di mano ad una distanza decisamente inferiore.
Girati uno da un lato del letto ed uno dall’altro, spensero le luci presto, anche se sapevano che nessuno dei due si sarebbe addormentato a breve, e che Sherlock forse non avrebbe dormito per niente. John sentiva come un velo di pesantezza che stava calando sulle loro spalle. Non era il primo caso bizzarro con cui avevano a che fare, ma qualcosa lo inquietava profondamente, e non si trattava solo della Donna.
Non aveva sonno. Nemmeno un po’. Si voltò dall’altra parte, ignorando la consapevolezza che a quel punto avrebbe fatto fatica a tornare a dare le spalle a Sherlock come avrebbe dovuto. Fu sorpreso nel trovare un paio di occhi cangianti che lo scrutavano nel buio, silenziosamente. Erano gli occhi del Sherlock Creatura, non del detective. Erano bellissimi e irreali.
- Cosa ne pensi? – sussurrò. – Secondo me hai una mezza idea, ma non volevi dirlo davanti a Victor e alla signora Adler. –
Sherlock batté le palpebre con estrema lentezza, nascondendo per qualche secondo l’unica cosa che risplendeva nella stanza. Come facessero a farlo anche nell’oscurità era un mistero. – Secondo me l’uccisione di quella Creatura non ha una ragione. È un pretesto per far agitare le acque. –
- Per fare cosa? – ora Sherlock lo guardava di nuovo. Era uno sguardo che somigliava ad un tentativo, all’avvicinarsi timido e guardingo di un bambino. Inconsapevolmente, John spostò una mano da sotto la testa a davanti a sé, sul materasso, le dita che per poco non sfioravano la fronte del coinquilino, che si era avvicinato.
- Il Ragno ha un piano, ne sono sicuro. Per aggredire la fazione, oppure me, questo è da vedere. Forse vuole usare questo omicidio per stimolare l’aggressività da entrambe le parti. Forse vuole far ricadere la colpa su di noi. –
- E la Donna? –
Sherlock scosse la testa. – Non lo so. Non mi piace non sapere, ma resta comunque il fatto che non so come capire se lei è coinvolta o meno. Potrebbe, come anche no. –
- Hai paura? – non sapeva, il dottore, se era un bene fare questa domanda a Sherlock. I suoi punti deboli erano nervi scoperti anche con lui, ma non aveva saputo tacere. Sentì il detective trattenere il fiato alcuni istanti di troppo, prima di rilassarsi di nuovo.
- Non lo so. – c’era una punta di disperazione malinconica, una muta richiesta d’aiuto, nella sua voce. Ma John non sapeva cosa doveva fare, non sapeva come gestire le emozioni di una persona che le aveva tenute lontane per troppo tempo.
- Non importa. – disse, comunque. – Te lo dirò se avrai bisogno di saperlo. –
- Cosa? – chiese confuso il più giovane, aggrottando le sopracciglia, movimento che Watson vide solo come il lieve spostarsi di una sagoma scura.
- Ti dirò se hai paura. Se mai avrai bisogno di saperlo con certezza. –
- Come farai a saperlo? –
John sorrise tra sé. – Lo saprò. Io so tutto quello che non sai tu. – scherzò. Sperava di far ridere almeno un po’ l’altro uomo, e ci riuscì a giudicare dal basso suono gorgogliante che fuggì dalla gola di Sherlock.
- Buono a sapersi, allora. –
Quella notte John sognò occhi azzurri e riccioli neri, luce chiara e limpida, profumo di erba fresca e una risata dolce e serena che era di sicuro impossibile nella realtà, ma che stava tremendamente bene su quelle labbra rosa chiaro. C’era anche tanta pelle, bianca e liscia, e in qualche modo c’erano anche dei fiori di campo.
Lucidamente, Watson avrebbe storto il naso davanti ad un’immagine così sdolcinata, così da romanzetto rosa per adolescenti. Ma mentre sognava, di certo non era lucido.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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