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Autore: MaDeSt    06/12/2016    4 recensioni
Non è necessario leggere il prologo ma è caldamente consigliato.
Sei ragazzini provenienti da un villaggio sperduto, cresciuti in un piccolo paradiso, ignoranti dell'orrore che li circonda, si ritrovano ad avere tra le mani sei uova di drago, di cui poi diventeranno amici... e la loro leggenda ha così inizio.
Dovranno salvare il mondo, ecco ciò che ci si aspetta da loro. Ma ne saranno all'altezza? Riusciranno a capire chi è il loro vero nemico prima che questo li distrugga?
[Pubblicazione interrotta. Non aggiornerò più questa storia su EFP, non aggiornerò i capitoli all'ultima versione, pubblicherò solo in privato per chi realmente è interessato a seguire la storia a causa di plagi e ispirazioni non autorizzate non tutelati a discapito del regolamento apparentemente ferreo. Trattandosi della mia unica storia, a cui lavoro da anni e a cui sono affezionata, non vale la pena rischiare. Chi fosse interessato a capire come seguire la storia troverà tutte le informazioni nelle note all'inizio dell'ultimo capitolo pubblicato. Risponderò comunque alle recensioni qualora dovessi riceverne, ma potrei accorgermene con del ritardo.]
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dargovas'
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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

STARLIGHT

Procedevano al trotto per permettere ai draghetti di seguirli correndo, Zaffir come al solito, non potendo correre senza aiutarsi con le ali, planava. Come concordato incontrarono Kalle e Yzah alla tana dei draghi, i loro due cuccioli giocavano a rincorrersi saltando tra un albero e l’altro. Susan stava già piangendo a dirotto e Andrew singhiozzava, mentre Jennifer cercava di consolare la prima e Mike il secondo.
Senza troppi convenevoli i due Gatti adulti s’incamminarono verso est, guidandoli verso la Foresta, seguiti dai piccoli giocherelloni, poi dai draghetti, e infine dai ragazzi a cavallo.
Si fece notte fonda prima che giungessero nella Foresta, dal momento che procedevano a un lento trotto; al buio faticavano a vedere dove dovevano andare o dove stessero andando i Gatti, ma i draghetti stavano davanti a loro e vedevano perfettamente, e i ragazzi a loro volta vedevano le loro scaglie che luccicavano anche alla debole luce che filtrava tra le alte chiome.
Dopo un paio d’ore di cammino sentirono degli strani rumori, come rombi di tuono molto lontani, forte vento che spirava tra le foglie... e poi una cosa enorme comparve davanti a loro, facendo tremare la terra e con un rumore assordante che solo vagamente somigliava agli acuti ruggiti dei loro piccoli draghi. Quel corpo luccicava esattamente come i loro alla fioca luce delle lune, ma di un colore argentato. Si mosse dietro la nebbia, era lucido, snello, elegante e al tempo stesso possente; la cosa più possente che i ragazzi avessero mai visto, ancora più di Nerkoull perché dotata di quattro zampe e due ali. La mole della creatura per quanto grande non le impediva di passare fra gli alberi altrettanto smisurati. Gli occhi gialli e arancioni sembravano ardere, l’immensa testa si piegò quanto bastava per riuscire a inquadrare la scena, il lungo corpo serpentino ricoperto di scaglie, la coda lunghissima frustava forte l’aria, le gigantesche ali da pipistrello dalla membrana traslucida ripiegate sui fianchi.
Davanti a loro c’era niente meno che la leggendaria Garandill.
Si sentirono mancare il fiato dalla paura, i cavalli s’imbizzarrirono, i Gatti inchiodarono e rizzarono il pelo - fu più un riflesso istintivo che un vero tentativo d’intimorire - i ragazzi gridarono impauriti, mentre i draghetti rimasero a osservare con le bocche aperte, increduli e affascinati.
Garandill sputò fuoco al cielo, fiamme di un giallo abbagliante, forse anche bianche, e subito chi ancora non aveva capito si rese conto di essere davanti a un gigantesco drago; la situazione non migliorò quando il corpo di Garandill fu ben visibile alla luce delle sue fiamme, i cavalli erano praticamente fuori controllo e persino i draghetti ora mostravano segni d’inquietudine.
L’enorme dragonessa si calmò, almeno in apparenza, e studiò la scena dall’alto, gli occhi che ardevano come bracieri accesi, le pupille così strette da essere quasi invisibili. Attese che i cavalli si calmassero un po’, poi sbatté forte la coda sulla cui estremità c’era una lunga cresta appuntita simile a una falce bianca.
Decise di prendere parola per prima, sapendo di averli spaventati: Vi porgo i miei saluti, Umani. Io sono Garandill, sorella di Nerkoull che già avete avuto modo di conoscere.
Mike, ora più tranquillo avendo capito che non voleva ucciderli, spalancò la bocca ed esclamò: «Sorella di Nerkoull?!»
Lei assunse una posizione altezzosa inarcando il collo, facendo ondeggiare la criniera bianca che aveva sul dorso: Esattamente. Mi ha informata che presto sareste partiti, a detta di un paio di Gatti Ferali e nel dirlo guardò i due felini Vi aspettavo, Amici dei Draghi.
«Amici dei Draghi?» ripeté Jennifer entusiasta, sentendo il fiato venirle a mancare.
L’enorme dragonessa sembrò divertita dal tono che la voce dei suoi pensieri assunse: Capisco che possa suonare strano, ma noi Draghi non siamo mostri; siamo molto più simili a voi esseri umani di quanto si potrebbe pensare. Perciò, sì... non c’è male a considerarvi amici della nostra razza, dal momento che state legando con sei dei nostri cuccioli.
«Ma Nerkoull non voleva considerarsi nostro amico.» obiettò Mike.
Garandill sbuffò del fumo che le illuminò il viso per un breve attimo: Ciò che lui pensa non conta, siete amici della nostra razza a tutti gli effetti fino a prova contraria.
I ragazzi constatarono che sembrava possedere una maggiore padronanza della lingua rispetto al fratello nero, e si chiesero se fosse dovuto al fatto che avesse già parlato con altri umani in precedenza.
Non è che non si consideri un vostro amico, semplicemente è troppo orgoglioso per ammettere come stanno realmente le cose. Per lui è difficile accettare l’idea che sei cuccioli della nostra specie siano stati di fatto salvati da un destino crudele da... degli Umani.
«Ma se gli va così poco bene, perché ci ha permesso di crescerli allora?» domandò Jennifer confusa.
Perché gli stessi cuccioli così hanno scelto rispose la dragonessa con un tono di voce inaspettatamente dolce, quasi come fosse una madre che parla dei propri figli Siete riusciti a lasciarvi alle spalle le vostre vite per intraprendere questo lungo viaggio?
«Quanto lungo?» domandò Susan scoraggiata asciugandosi le lacrime, ora che grazie all’arrivo di Garandill aveva smesso di piangere.
Non so dirvelo ammise la dragonessa Ma posso accorciare notevolmente il vostro viaggio per arrivare a Hayra’llen e nel frattempo informarmi riguardo la vostra scuola di magia nella capitale.
«Sarebbe molto gentile da parte tua.» le sorrise Layla.
«Hayra’llen?» domandò invece Susan storcendo il naso.
La capitale della regione Yebawan, patria degli Elfi.
«Quindi non andremo a Eunev?»
Il tempo stringe, e per quanto ne sappiamo potrebbero volerci settimane prima che vi permettano di usare la magia a Eunev, e voi non potete aspettare. Pertanto ritengo adeguato che abitiate dagli Elfi in modo che possano introdurvi alla magia, e viaggerete verso Eunev quando sarete pronti. Ora non c’è tempo da perdere, ma in futuro mi piacerebbe conoscere questi giovani draghi sbuffò di nuovo divertita.
«Certamente!» esclamò Andrew «Sarà un piacere scambiare ancora due parole con te, leggendaria Garandill.»
Non lusingarmi, Andrew disse con un tono di voce stranamente affabile.
Lui rimase a bocca aperta: «Come sai il mio nome? Non te l’ho mai detto!»
Lo so e basta. Ora è giunto il momento di riprendere il viaggio disse la dragonessa, poi gridò qualcosa: non era un ruggito, ma nemmeno una parola, o almeno non una parola da loro conosciuta. Non diede loro spiegazioni, si limitò a spalancare le ali e a prendere il volo verso il cielo, muovendosi più velocemente di quanto ricordassero fosse possibile.
Non gli parve di averla attesa più di qualche minuto, ebbero solo il tempo di commentare quanto fosse bella Garandill, con quelle scaglie argentate che brillavano come stelle, poi sentirono l’ormai familiare rumore del suo passaggio al di sopra degli alberi; le loro chiome si muovevano come impazzite e l’aria si fece più fredda solo per un attimo, quando parve spirare un forte vento.
E la sua voce parlò nelle loro menti: Siete fortunati. La scuola di magia che risiede a Eunev è aperta una volta l’anno, per tutto il mese della Magia. Avrete tempo di imparare a conoscere la magia insieme agli Elfi fino alla fine di questo mese o al massimo l’inizio del prossimo. Ora, i vostri amici Gatti Ferali vi guideranno dritti verso Hayra’llen. Il mio incantesimo non durerà a lungo, o almeno non quanto dovrebbe per farvi arrivare oggi stesso dagli Elfi, perciò vi consiglio di partire immediatamente, ogni minuto perso sono ore di viaggio.
«Cosa voleva dire?» domandò Mike.
I draghetti balzarono in sella ai cavalli dietro ai ragazzi, gli animali nitrirono terrorizzati e scalciarono. Dunque lanciarono subito i cavalli al galoppo, confusi, e i Gatti cominciarono a correre davanti a loro tenendo i due cuccioli per la collottola, in modo che non li rallentassero. Umbreon strofinò la punta del muso sulle scapole di Andrew cercando di distrarlo dalla malinconia, e per la stessa ragione Sulphane fece il solletico a Susan con il ciuffo di peli sulla coda. Smeryld invece rimase aggrappato a Cedric solo per necessità, ancora percependo provenire da lui una spiccata ostilità - soprattutto perché il ragazzo ora lo considerava in un certo senso colpevole anche del fatto che Jorel avesse provato a ucciderlo due volte in meno di tre giorni.
Garandill disse loro un’ultima cosa: Sono d’accordo con Gorall perché lui vi raggiunga al più presto quando interromperò l’incantesimo. Lui farà il resto, permettendovi di arrivare prima. Buon viaggio, Amici dei Draghi, e che il vento possa condurvi in luoghi sicuri.
E sparì dalle loro menti, lasciando uno strano vuoto e un silenzio raggelante.
Durante la cavalcata ebbero modo di discutere a lungo delle parole della dragonessa, soprattutto le ultime cose che aveva detto. Innanzitutto aveva in un certo senso accettato che loro crescessero i piccoli draghi nei panni di sei amici; poi aveva parlato di un incantesimo e questo Gorall, e di giungere dagli Elfi il giorno stesso. Come potevano percorrere tante miglia in un giorno? Nonostante non conoscessero la posizione della capitale del Regno degli Elfi erano certi che non si trovasse vicina. Ma pareva trovarsi all’interno della Foresta o ancora più a nord, data la direzione che stavano prendendo.
Galopparono per ore e nulla parve cambiare, il buio era pesto e senza i draghetti davanti a loro faticavano a guidare i cavalli, i Gatti si dovevano girare spesso in modo da mostrare i loro occhi scintillanti che parevano brillare di luce propria. Cavalcare di notte li spaventava, potevano non vedere degli ostacoli o incappare in una buca rischiando di far male al cavallo.
I Gatti tacevano, e mentre i ragazzi parlavano le ore sembravano passare rapidamente, ma nulla intorno a loro cambiava; stimarono che dovevano aver percorso già diverse miglia e che dunque l’alba dovesse essere vicina, ma pareva essere ancora notte fonda, non avevano nemmeno fame né sonno. Neppure i cavalli sembravano stanchi, ma i ragazzi erano ormai certi che la situazione non fosse normale.
Il paesaggio tutto uguale - per quel poco che vedevano - e l’innaturale dimensione dei tronchi che scorrevano lentamente ai loro lati non li aiutavano a quantificare tempo passato e distanza percorsa.
Susan cavalcò tutto il tempo accanto a Cedric, talvolta lanciandogli delle occhiate preoccupate, ma non seppe come cominciare una conversazione con lui sebbene ebbe diverse occasioni. Era anche piuttosto sicura che lui non volesse parlare e che non avrebbero ripreso la chiacchierata tenuta in camera di lei ancora per parecchio tempo.

Passarono le ore, e quelli che sembrarono giorni, ma ancora era notte, loro avevano perso ogni voglia di parlare, non avevano fame né sonno, e Gatti e cavalli continuavano a correre come se fossero passati solo pochi minuti da quando avevano lasciato Garandill.
Avevano interrogato i draghi, ma le creature non sapevano cosa significasse ciò che la dragonessa aveva letteralmente gridato, neppure i felini avevano una reale risposta e se l’avevano la stavano tenendo per sé.
Gli parve passare un’eternità prima di vedere finalmente la Foresta schiarirsi leggermente alle prime luci dell’alba, cominciarono a sentire fame e stanchezza, le gambe si facevano più doloranti.
«Finalmente la notte è passata!» esclamò Mike.
«Forse dovremmo fermarci...» disse Susan, ma s’interruppe nel vedere dei funghi luminosi grandi quanto casa sua. L’indicò rimasta senza fiato e rise, sbalordita.
Gli altri guardarono e rimasero a bocca aperta, ma non ebbero il tempo di commentare; sentirono gli stessi rumori che avevano preceduto l’arrivo di Garandill e i cavalli immediatamente divennero irrequieti roteando gli occhi. Si guardarono ora intorno cercando la sagoma argentata di lei, invece gli parve d’intravederne una ancora più grande oltre la nebbia, scura come ebano. Volava veloce e scomparve subito dalla loro vista, ma erano certi si trattasse di un altro drago, più grosso, più vecchio.
«Forse Gorall è un altro drago!» gridò Andrew per farsi sentire al di sopra dei nitriti spaventati.
Il drago trovò posto per atterrare poco più avanti in una radura tanto grande da poter essere scambiata per una prateria, ma anche da quella distanza sentirono il terreno tremare. Non esitarono a proseguire nella medesima direzione sebbene i cavalli parevano chiaramente contrariati, e più si avvicinavano meglio riuscivano a distinguere i dettagli dell’enorme creatura, benché la fioca luce ne falsasse i colori.
Sembrava grande quasi il doppio di Garandill, il che già di per sé era notevole, le scaglie brillavano di un vivace marrone dove le colpiva la luce, altrimenti l’alba le rendeva quasi nere. La membrana delle ali doveva avere un colore leggermente più chiaro, e testa dorso e spalle erano coperti di spine dalle forme strane di colore ambrato, non ce n’era una uguale all’altra. Avvicinandosi ulteriormente notarono che gli enormi artigli erano del medesimo colore ambrato, gli occhi brillavano di un intenso azzurro, sulla punta della coda vi era una sfera scura ricoperta di spine ambrate dalle forme ritorte. Le scaglie del ventre erano più chiare e dure, e alcune scaglie che ricoprivano la bocca avevano una forma spigolosa, quasi come se fossero una fila di denti esterni - ma i ragazzi erano certi che avesse anche dei veri e propri denti, più grandi di loro, all’interno.
L’enorme creatura li scrutò dall’alto ed entrò quasi timidamente nelle loro menti, come temendo di poter fare loro del male anche senza sfruttare la gigantesca mole del suo corpo massiccio, infine parlò con voce grave e profonda, che pareva appartenere a un’altra era: Non è mio compito giudicarvi, so che Garandill vi ha parlato di me, e ha parlato a me di voi. Io sono Gorall, e permetterò voi di concludere il vostro viaggio oggi stesso.
«Aspetta solo un attimo, cos’è questa storia?» esclamò Susan ansiosa, volendo delle risposte.
Aprì bocca per continuare, ma il drago anziano parlò prima: Presto vi verrà data la risposta, ma non è questo il momento. Godete della nostra magia e gioite di poterla usare a vostro vantaggio. Non ponetevi domande cui il tempo di una risposta non è ancora giunto.
Detto ciò gridò con la sua voce la stessa parola che aveva gridato Garandill, spalancò le ali e prese il volo con un balzo che da solo lo sollevò di diverse decine di braccia.
In modo simile a Garandill li lasciò con una frase pronunciata da sopra le cime degli alberi: Buon viaggio, Amici dei Draghi, e possa il fuoco di mille Soli illuminare la vostra via in luogo di incenerirla.
«Ma come parla?!» esclamò Mike divertito.
«Beh, a giudicare dalla dimensione potrebbe avere un migliaio di anni, non credi? Il nostro modo di parlare sarà cambiato nel tempo.» ribatté Cedric, ancora turbato ma cercando di non darlo a vedere.
«Mille anni!» sussurrò Jennifer tra sé.
Alle sue spalle Rubia parve ridacchiare divertita, immaginandosi altrettanto grande: Chissà quanto potrei viaggiare veloce! Potrei andare ovunque e subito!
«Frena piccola, mille anni sono tanti.» le sorrise la ragazzina girandosi appena per poterla guardare.
Saranno giunti prima ancora che me ne accorga.
«Non te lo auguro, è bello godersi ogni piccolo momento della propria vita. Non sei d’accordo?»
Non lo so, ho ancora solo due mesi...
Jennifer rise e riprese a osservare il paesaggio, ora che in lontananza riusciva a vedere altri enormi funghi luminosi, di ogni colore, che finalmente ruppero la monotonia dell’enorme Foresta. Non tardò a cambiare opinione sul luogo che un tempo tanto aveva temuto; ora aveva un aspetto più selvaggio ma al contempo più rigoglioso, più vivo, vivace e ospitale, sebbene fosse ancora buio. I funghi luminosi coloravano la nebbia dandole un’aria non più lugubre ma estasiante.
Si chiese se quegli strani funghi avessero proprietà alchemiche di cui sua madre avrebbe voluto sapere e pregò il gruppo di fare solo una piccola sosta perché potesse disegnarli sul suo blocchetto.
Fu allora, mentre lei disegnava rapita, che gli altri si accorsero che l’alba sembrava non arrivare mai, esattamente come fino a poco prima si erano trovati in un’apparente notte eterna, e di nuovo non sentivano né fame né sonno, e le gambe parevano riposate.
Ne discussero a lungo nell’attesa, finché Jennifer chiese a Cedric di scrivere accanto al disegno ciò che lei avrebbe dettato - le esatte parole, in modo che sembrasse proprio che lei avesse trascritto i suoi pensieri - rubandolo agli altri per un paio di minuti. Si accorse così solo allora che il ragazzo era mancino, rise e si domandò come fosse fare ogni più piccolo gesto quotidiano al contrario, con la mano sbagliata.
Cedric la guardò storto e ribatté che, per lui, era il resto del mondo a fare le cose al contrario. E quell’affermazione la fece ridere ancora più forte, contagiando anche il resto del gruppo, ma smise appena lui le allungò il quadernetto perché per la prima volta intravide una delle numerose lesioni che gli aveva procurato Jorel fare capolino dalla manica della giacca sotto la quale si preoccupava di nasconderle bene.
Non ne avevano ancora parlato con lui, quindi molto timidamente e con voce flebile balbettò: «Se ti fa male posso... Mamma mi ha dato delle erbe, perciò... Insomma, se vuoi, sarei capace...» ma dal momento che l’espressione di lui s’incupiva di più a ogni frase che cercava di cominciare, la ragazzina alla fine abbassò lo sguardo limitandosi al silenzio.
Quando ebbe rimesso il quadernetto nella borsa a tracolla ripartirono, sempre guidati dai Gatti che ora non faticavano più così tanto a vedere. Diretti a est, come sempre, questa volta immersi a metà tra la notte morente e il giorno nascente, ma di nuovo per qualche ignota ragione bloccati nel tempo.

Il paesaggio cambiava gradualmente, facendosi sempre più rigoglioso, talvolta passavano accanto ad alberi di dimensioni normali cui il diametro delle chiome più larghe rimaneva più piccolo di quello dei tronchi dei giganteschi alberi che rendevano famosa la Foresta. Ora non solo c’erano funghi colorati e luminosi grossi quanto le loro case, ma anche felci, fiori, licheni che ricoprivano interi massi, piante che non conoscevano dalle foglie di ogni forma colore e dimensione, e gli alberi divennero viola con foglie blu e argento, o tronchi blu e foglie viola. Solo a volte s’intravedeva un albero dai colori usuali.
Jennifer chiedeva spesso di fermarsi per aggiungere le piante sconosciute al suo quadernetto, lei disegnava e Cedric scriveva ciò che la ragazza dettava, stando attenta a lasciare spazio sufficiente per scrivere ancora quando eventualmente avrebbe scoperto se le piante appena scoperte avessero o no proprietà curative o invece fossero velenose, o se ancora la loro linfa o l’odore emanato fossero tossici.
Persero naturalmente il conto degli alberi che passavano, riuscivano in qualche modo a capire di aver percorso diverse miglia, ma ancora non erano stanchi e il giorno non arrivava.
A volte i draghetti, Zaffir in particolare, balzavano via dalla sella per provare a volare ora che gli spazi erano ampi e non c’era rischio che si andassero a schiantare contro gli alberi, per poi allenarsi ad atterrare sulla sella alle spalle dei ragazzi appena avevano finito. Rubia era la meno ansiosa di provare, sicura che le sue ali fossero ancora troppo piccole rispetto alla dimensione del resto del corpo, e quindi temendo che non avrebbero retto il suo peso.
D’un tratto, senza che quasi se ne accorgessero, l’alba finalmente arrivò e loro si sentirono affamati e stravolti, ma anche frastornati e confusi. Fermarono i cavalli, sicuri che si sentissero stanchi quanto loro e i Gatti, e li legarono a un albero di dimensioni normali. Decisero di riposare le gambe per qualche ora, quindi presero dalle bisacce una manciata delle loro provviste e le sistemarono nelle scodelle che Mike e Susan avevano portato dalle proprie case; non ebbero bisogno del fuoco perché erano solo frutta verdura e carne secca.
Mangiarono poco sebbene avessero fame, perché non avevano idea di quanto le loro scorte di cibo sarebbero dovute durare prima che arrivassero a destinazione. Si sdraiarono nell’erba per lasciar riposare i cavalli, finché stimarono che il sole doveva trovarsi ormai alto nel cielo, e che quindi poteva essere mezzogiorno.
Slegarono gli animali e ripartirono a un trotto forzato, per non stancarli troppo, mentre Umbreon e Ametyst facevano capriole avventate sopra le loro teste, a decine di braccia dal suolo. Capitò solo una volta che la dragonessa viola perse l’equilibrio e precipitò, frenò la caduta il più possibile ma si schiantò a terra. Layla smontò dalla sella per correrle incontro solo per scoprire che per fortuna non si era fatta nulla, perché aveva frenato.
Ametyst decise di non riprendere il volo per qualche ora, ancora tremando di paura, e salì in sella a Nuvola dietro la ragazza stringendosi a lei avvolgendole la lunga coda intorno alla vita e guardando avanti da dietro la sua spalla.

  
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