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Autore: workingclassheroine    12/12/2016    2 recensioni
Ci ho pensato spesso, a Dio.
Lo ho immaginato in tutte le varianti, in tutti i colori.
Quando ero bambino e Mimi mi metteva il vestito della festa per andare in chiesa lui era il Padre, una figura invisibile a cui desideravo con forza credere e che tutti dicevano volermi bene, nonostante io non me ne rendessi minimamente conto e non ne giovassi in alcun modo.
In effetti, non conoscevo padre che si comportasse diversamente.

Chi dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma chi li avrà messi in pratica e insegnati sarà chiamato grande nel regno dei cieli. Poiché io vi dico che se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli.

(Matteo 5, 19-20)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NON NOMINARE IL NOME DI DIO, NON NOMINARLO INVANO

 
"Non nominare il nome di Dio,
non nominarlo invano.
Con un coltello piantato nel fianco
gridai la mia pena e il suo nome:
ma forse era stanco, forse troppo occupato,
e non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano,
davvero lo nominai invano."
 

Ricordo di aver implorato qualcuno una volta sola, nella mia vita. 
Luglio era un mese caldo, e i vestiti neri del lutto mi sembravano grotteschi e inopportuni in rapporto al clima. 
Mimi aveva dovuto costringermi a indossarli, seppur le tremassero le mani e i suoi occhi fossero velati.
Mi aveva tirato su i calzoni come a un bambino, aveva spinto ogni bottone nella propria asola e aveva spolverato la mia giacca con qualche colpo. 
L'inerzia non si confaceva a una donna così forte, l'inerzia era per i deboli.
E infatti, io ero rimasto immobile. 
Il battere del ridicolo martelletto del giudice ed Eric Clague, il cui nome è una scarificazione nella mia memoria, veniva condannato a uno schiaffetto sulla nuca, del genere che Mimi mi dava quando facevo una battuta troppo sarcastica di fronte ad ospiti.  
Mimi. Ferita, incrollabile Mimi.
Fu la mia voce e i miei silenzi, in quei giorni, il motore immobile intorno a cui inevitabilmente ruotavo, inebetito dal dolore, il viso nascosto nelle sue ginocchia.
Urlò contro l'uomo che mi aveva portato via l'unico amore che avessi mai conosciuto, chiamandolo col nome che mi rimbombava continuamente in testa, e a cui sempre l'avrei associato.
Assassino.
Si caricò sulle spalle il mio e il suo dolore, senza vacillare neanche per un istante, senza lasciarsene soffocare, e si assunse il compito di traghettare entrambi al di là dei rimorsi e dei rimpianti che provavamo. 
La ammiravo e la detestavo, per questo, perché a me Julia mancava nel più umano e patetico dei modi.
Non c'era orgoglio né eroismo nelle lacrime che versavo, nel vomito che innaffiava l'asfalto, nel sangue sulle mie nocche: ero un ragazzino umiliato che aveva perso sua madre. 
Avevo pregato, a quel punto, sperando che Dio avesse pietà di me, che me la restituisse, che ponesse fine a quell'immeritato dolore.
Quando la terra aveva infine celato ciò che Julia Stanley meravigliosamente era stata avevo voltato il capo, riconoscendomi sconfitto.
La sua tomba era rimasta spoglia, per mio volere, e Mimi aveva taciuto.
Julia non era più sotto la mia, la nostra giurisdizione, e pretendevo che fosse il suo Dio ad occuparsi di lei, come io avrei voluto fare e come Lui non mi aveva permesso.
Volevo dimostrare a tutti che si sbagliavano.
Quel Dio di misericordia, fiore all'occhiello delle nostre chiese, non aveva ascoltato il mio dolore. 
Stanco, distratto, occupato, non importava; lo avevo chiamato e non aveva risposto.
Lo avevo nominato invano.
  
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