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Autore: floricienta    18/12/2016    0 recensioni
In una società governata dalla tecnologia più avanzata combinata alla forza del Mana, la divinità dell'oceano, Tangaroa, minaccia la sopravvivenza del genere umano, costringendolo a ritirarsi a vivere sulle aeronavi e obbligandolo a compiere sacrifici per beneficiare la propria benevolenza.
È in questo contesto che si intrecciano i destini e i sentimenti di due persone. Ari, un ragazzo timido e pauroso, che si è visto portar via tutto ciò che di più caro gli era al mondo, e con un potere dentro di lui che non può neanche immaginare; e Nael, un ladruncolo di strada che, per diverse vicissitudini, si è ritrovato a convivere proprio con Ari, aiutandolo giorno per giorno a diventare sempre più forte con la sua presenza.
Un insieme di turbamento, tristezza, felicità, disperazione, amore.
Sarà proprio la catena che li lega indissolubilmente a determinare la salvezza o la distruzione dell'umanità.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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CAPITOLO 15
QUANDO TUTTO EBBE INIZIO (PRIMA PARTE)
 

 

Novembre, anno 418 del XII periodo

Tangaroa era ormai esausto e stava riprendendo fiato dietro ad alcuni coralli.
Percepiva con chiarezza l'avvicinarsi di quell'essere con il quale stava combattendo da qualche minuto.
Tinirau.
Suo figlio.
Com'era possibile che non si fosse accorto del potere immenso che l'aveva avvolto ultimamente? Un potere enorme ma maligno, atroce e crudele, che non aveva niente a che fare con tutti gli insegnamenti che aveva dato ai suoi innumerevoli figli. Ed era riuscito a celarsi al cospetto della divinità degli oceani, non ne aveva mai sentito la presenza fino a quel giorno.
Si era sentito soffocare da quella che era la sua stessa forza, era corso per placare l'immensa energia malvagia che lo addolorava, tuttavia, si era imbattuto in una guerra a cui non avrebbe voluto partecipare, contro il sangue del suo sangue.
Com'era possibile che la parte mostruosa di Tinirau fosse scaturita fuori a quel modo? Come aveva potuto ingannare il proprio padre per cercare di ucciderlo e diventare una divinità maggiore dell'oceano? E come mai, ora, era costretto a combattere contro quella creatura che aveva dato alla luce per la salvaguardia della fauna marina?
Sapeva a chi dare la colpa di tutto.
L'animo umano.
Corrotto, assetato di potere, egoista ed egocentrico.
Tinirau doveva esser stato imbrogliato dall'anima di qualche umano che, sotto forma di Mana, era tornata agli abissi e da quel momento la divinità minore si era lasciata soggiogare, arricchendosi sempre di più di quella malevolenza fino a mutare se stesso.
Un tempo le cose non erano così, lui aveva posto fiducia negli umani, aveva concesso loro di possedere il Mana dell'Acqua e questo era il suo ripagamento.
Tangaroa si lasciò andare ad un sospiro furente al sol pensiero di quanto gli uomini avessero rovinato il mondo. In quel momento, le decisioni di secoli di storia si stavano riversando su di lui e la sua forza di volontà.
Tinirau era forte, estremamente forte da avergli consumato tutte le energie in poco tempo e non poteva permettersi di venir sconfitto e che fosse suo figlio a commettere quell'atrocità. Doveva agire per primo, cercando di bloccare quella parte diabolica, e questo implicava addirittura porre fine alla sua vita.
Era suo compito quello di proteggere l'oceano ed era più importante del bene che si poteva provare per un figlio, per quanto fosse terribile, così stavano le cose.
Era il compito che gli era stato donato dai suoi genitori.

Doveva far spazio dentro di sé e continuare quella lotta. Uscì fuori dal suo nascondiglio e vide in lontananza un'ombra oscura avanzare velocemente verso di lui.
Lo spettacolo era terribile. Quello non assomigliava più a suo figlio.
La parte destra – che un tempo aveva forma umana – era incrostata da spugne che si potevano definire secche nonostante fossero sul fondale oceanico e rendevano impossibile vedere la pelle al di sotto; la sua parte animale – dalla forma di squalo – aveva sfumature nere come la pece che aveva inquinato il suo reame più di una volta e che continuava a farlo.
Si scaraventò contro di lui, convinto della propria decisione.
Non avrebbe mai creduto che una creatura divina nata per il bene del mondo sarebbe potuta diventare così.
Non Tinirau.
Eppure, quella sua parte di squalo gli aveva creato problemi più di una volta, benché fosse la parte rappresentante il suo carattere forte e sicuro di sé. Forse aveva fatto un errore di considerazione lasciandogli troppa libertà di azione.
“Finiscila, Tinirau.” la sua voce usciva soave e grave allo stesso tempo. “Non è la cosa giusta, lo sai. Non commettere questo scempio.”
Dentro di sé desiderava che ci fosse ancora speranza per mettere fine a quella storia semplicemente facendo leva sulla sua parte pura, che era sicuro possedesse ancora da qualche parte.
“Zitto, padre. Tu non sai quanto ho lavorato duramente per arrivare a questo giorno.” la calma con cui pronunciò quella frase fece raggelare il sangue in Tangaroa, che strinse i denti, e venne colpito e scaraventato lontano.
Non doveva mollare, nonostante tutto. Se le parole non bastavano più, gli rimaneva una sola cosa da fare.
Mosse le braccia velocemente in avanti, generando un turbine che andò a schiantarsi contro Tinirau, senza che potesse difendersi, e cadde sulla sabbia, alzando un'infinità di granelli che presero a galleggiare prima di ricadere piano piano.
“Non mi lasci altra scelta, figlio mio.”



La tempesta imperversava sopra di loro, sotto di loro, ovunque il bambino volgesse i suoi occhi – nonostante i capelli neri continuassero ad andargli davanti – verdi come l'oceano che in quel momento sembrava volerlo inghiottire in un solo colpo.
Fino a pochi minuti prima regnava la calma e lui, insieme ad alcuni bambini sconosciuti e i suoi genitori che lo controllavano, stava giocando sul ponte della nave che li stava portando verso un nuovo paese dove avrebbero vissuto in pace.
In realtà, quando i suoi genitori gliel'avevano spiegato, lui non aveva capito molto. In fondo, aveva solo tre anni e non poteva comprendere qualcosa come la guerra e la pace, il non poter più abitare nella loro casa e il doversi trasferire. Tuttavia, il viaggio su un'enorme imbarcazione attraversando come un pirata il mare e la nuova casa – che a parer dei suoi sarebbe stata meravigliosa – era un qualcosa di magico per un bambino dall'immaginazione come la sua.
Purtroppo, ad un certo punto le acque avevano cominciato ad agitarsi in una maniera così violenta che la nave aveva preso a muoversi in preda al delirio, sotto lo sguardo sgomento di tutti, che non si spiegavano come potesse star accadendo quando nell'aria non c'era il minimo segnale di pioggia. In men che non si dica, però, aveva cominciato anche a diluviare e il cielo si era oscurato troppo velocemente per poter essere un normale cambiamento di tempo.
Molti erano corsi al riparo all'interno, ma il bambino si era nascosto dietro ad alcune casse sul ponte e si era rannicchiato con le ginocchia al petto e la testa incassata tra di esse.
“Natanael! Natanael!” la voce della madre gli giungeva soffusa e quasi non la riusciva a distinguere tra l'infinito frastuono che provocavano le onde.
Una di esse aveva scavalcato il cornicione, bagnando vicino a dove si trovava, e indietreggiò più che poté.
“Mamma...” sussurrò con la voce piangente e qualche istante dopo si sentì tirare per il braccio.
Si voltò e vide il viso di suo padre che, spaventato, prese in braccio il figlio e cominciò a correre per entrare all'interno.
“Mamma...” disse ancora il bambino, aggrappandosi al collo dell'uomo.
“Tranquillo, Natanael, ti sto portando dalla mamma.”
Era difficile muoversi mentre l'imbarcazione ondeggiava a ritmo delle onde furiose ed era talmente scivoloso da non riuscire a mantenere l'equilibrio.
In quell'istante, una forte botta fece inclinare troppo la nave, così il padre non riuscì a reggersi in piedi e cadde facendo rotolare lungo le assi di legno il bimbo.
Questo urlò, preso ormai dal panico, e prese a scivolare lungo il ponte, incapace di rimettersi in piedi.
Le lacrime entravano salate nella sua bocca, ma pochi secondi dopo, non riuscì più a distinguere se fossero le sue lacrime o l'acqua del mare, poiché un'onda l'aveva completamente avvolto e trascinato via con sé nel fondo dell'oceano.
L'ultima cosa che vide fu il volto di suo padre, privo di coscienza, anche lui caduto in mare, e la nave che si stava ribaltando completamente. Successivamente, cominciò a mancargli l'ossigeno e tutto diventò nero.



“Arrenditi, padre! Non riuscirai a vincere questa volta.” Tinirau aveva quasi la vittoria in pugno, neanche i migliori attacchi l'avevano sfinito, al contrario di Tangaroa che giaceva ansimante sul fondale.
La divinità degli oceani pensò che fosse arrivata la sua ora, non aveva altre carte da poter giocare e l'energia stava diminuendo sempre di più, sovrastata da quell'aura di malignità che regnava nel perimetro circostante e che gli aveva straziato il cuore.
In quel momento vide un corpo volteggiare nelle trombe d'acqua che i loro incantesimi avevano creato e questo si accasciò proprio al suo fianco. Era un bambino di pochi anni, con il volto tranquillo come se stesse dormendo e la bocca socchiusa dalla quale fuoriuscivano delle piccole bolle d'aria.
A Tangaroa venne un'idea e ritrovò la speranza. Forse non sarebbe morto nessuno quel giorno.
“Tinirau, sei tu che non vincerai.” il tono solenne fece rabbrividire appena l'altro, ma subito si scagliò contro di lui per morderlo con i denti dello squalo.
Tangaroa rimase immobile fino a quando non fu abbastanza vicino da poter allungare la mano e trapassargli il petto della parte umana, frantumando le spugne in tante piccole scaglie, e lanciò un urlo estraendola.
All'interno del suo palmo vi era un vortice oscuro che cercava di scappar via, ma che rimase intrappolato nella gabbia illusoria creata dalle dita di Tangaroa.
Tinirau si accasciò sulle ginocchia, ansimando e facendo dei piccoli ruggiti.
Tangaroa si accostò al bambino e chiuse gli occhi.
“Il tuo corpo sarà la prigione dell'animo malvagio di mio figlio.” cominciò a parlare con il bimbo, nonostante fosse consapevole che non potesse sentirlo. “Quest'animo non riuscirà a scappare e tornare all'interno di Tinirau in quanto tu, essere privo di Mana, non potrai manifestare questi poteri. Proverà a combinarsi con il tuo vero spirito, combatterà per prendere il sopravvento, tuttavia, la bontà del tuo cuore innocente di bambino si svilupperà sempre di più per fare in modo che non accada.”
Tangaroa inserì con cautela la mano nel petto del bambino fino a quando scomparve totalmente in esso e poi la estrasse allo stesso modo.
Le grida di supplizio di Tinirau colmavano le orecchie del padre e sospirò, sapendo di aver comunque fatto la cosa giusta.
“Ti darò nuovamente la vita...” riprese a parlare con quello che era diventato il recipiente della parte oscura di Tinirau. “...affinché tu possa adempiere a questo compito.”
Creò una bolla attorno al corpo del piccolo e soffiò forte. Questa risalì la corrente fino a sparire alla loro vista.
“Sei il dono di Dio.”
Tangaroa notò che qualcosa stava precipitando a picco. Una grande nave.
La sua lotta con Tinirau aveva avuto delle conseguenze spiacevoli in ogni caso; ad ogni modo, adesso era lui quello che possedeva il coltello dalla parte del manico e che aveva vinto.
Si avvicinò al corpo sofferente del figlio e fece dei disegni davanti a lui, facendo ondeggiare le mani.
“Sarai esiliato e rinchiuso e ti verrà tolto il compito di protettore degli animali marini fino a quando tutta la tua indole malvagia non si sarà consumata.”
Non fu che qualche secondo che il corpo di Tinirau svanì nel nulla, lasciando al suo posto alcune scaglie di entrambe le sue pelli.
“Buon riposo, figlio mio.”



Un bambino di sei anni stava correndo lungo la battigia con un aquilone dalla forma di aquila in mano, ammirandolo fluttuare nel cielo come se fosse davvero l'animale che rappresentava.
“Non ti allontanare troppo, Kaleo.”
La voce di suo padre gli giunse lontana, ma si voltò verso di lui e alzò il pollice verso l'alto.
L'acqua era calma e gli rinfrescava i piedi ad ogni passo, le goccioline arrivavano persino a bagnargli i polpacci e anche i pantaloni che si era risvoltato per non inzupparli.
Continuò a correre e a saltellare fin quando notò che l'aquilone si stava pian piano afflosciando per cadere sulla sabbia, così come accadde qualche secondo dopo.
Fece ancora qualche metro per recuperarlo e, dopo averlo preso in mano, i suoi occhi si puntarono poco più distante da lui e si spalancarono spaventati.
“Mamma! Papà!”
Corse indietro verso i propri genitori che si erano preoccupati a sentirlo così agitato.
“C'è un bambino! Un bambino sulla sabbia!” urlò ancora il figlio e i due lo seguirono all'istante.
Quando arrivarono, videro che un bambino, che doveva avere pochi anni, era steso a faccia in giù ed era bagnato fradicio dalla testa ai piedi.
“È morto?” domandò il figlio, nascondendosi dietro le gambe della madre.
L'uomo girò supino il bambino e poggiò l'orecchio sul suo petto, avvertendo chiaramente il battito e il respiro flebile.
“È vivo! Respira ancora.” esclamò e provò a farlo rinvenire.
Qualche istante dopo, il bambino si riprese con un enorme sospiro e sputando fuori l'acqua salata che gli era entrata nei polmoni.
“Oh, cielo! Stai bene!” disse la donna, inginocchiandosi subito al suo fianco e provando a farlo sedere.
Il bambino si guardò intorno. Vedeva unicamente il mare davanti a sé e, se fino a qualche ora prima lo spaventava a causa dei suoi turbinii, adesso era calmo e tranquillo come se non fosse successo niente e quasi era rilassato da quella visione.
Successivamente vide quei due sconosciuti di fianco a sé e quel bambino dalla faccia spaventata tanto quanto la sua.
“Piccolo, ti ricordi chi sei?”
Il bimbo non stava capendo cosa fosse successo, dove si trovava e perché fosse da solo, ma era troppo confuso per averci anche solo provato a pensare.
“Come ti chiami?” lo incitò ancora l'uomo.
“Natanael.” rispose flebilmente.
“E dove sono i tuoi genitori?”
Natanael riprese a mirare il mare e, come un lampo, si fecero strada nella sua mente tutti i ricordi di poco prima: la pioggia, le onde, suo padre che cadeva nell'oceano appena dopo di lui.
Cominciò a piangere, dapprima silenziosamente e poi sempre più forte fino a faticare a respirare.
Alzò il braccio e puntò il dito verso l'acqua salmastra che gli stava accarezzando la pianta dei piedi.
I due genitori si guardarono l'un l'altro, apprendendo in un battibaleno cosa fosse successo.
L'uomo lo prese in braccio, ancora piangente, e cercò di tranquillizzarlo.
“Tranquillo, Natanael, adesso ci siamo noi con te.”

 

Luglio, anno 419 del XII periodo

Heirani stava tenendo tra le braccia il proprio figlio, di appena sei mesi, e lo stava facendo giocare con l'acqua del fiume che si trovava proprio di fianco alla casa dove abitava con suo marito Temaru – nonostante non avessero entrambi che ventidue anni. Una vecchia cascina molto distaccata dalla zona centrale della città nella quale allevavano animali e coltivavano i prodotti della terra a dispetto delle nuove tecnologie che non facevano che avanzare con il passare degli anni.
Loro, però, si tenevano ben a distanza da quel nuovo modo di vivere. Andava contro tutti i loro valori e non si capacitavano come nessuno si fosse mai opposto a quel governo dove i Maghi ne facevano da padroni, invece di rappresentare il potere che le divinità avevano gentilmente offerto alla razza umana.
Heirani e Temaru erano comunque felici della loro vita da esiliati, ancora di più adesso che avevano avuto un figlio in forza e salute. Era il momento più bello della loro vita.

“Ari, schizza la mamma!” il padre teneva i pantaloni alzati fin sopra le ginocchia e le maniche della camicia sopra i gomiti mentre picchiava le mani in acqua incitando il figlio.
Questo si muoveva tutto agitato e felice come se non vedesse l'ora di imitarlo e sbatteva forte le mani a destra e sinistra fino ad incontrare l'acqua ed emettere versi di soddisfazione. Le sue guance paffute erano tutte arrossate perché concentrato in quel lavoro e gli occhi, più cristallini dell'acqua sotto di sé, erano spalancati come due fari luminosi.
Heirani si mise a ridere, tenendo con maggiore forza il pargolo per non farlo scappare via e lo avvicinò di più alla superficie in modo che potesse immergere il braccio ancora più in profondità.
“Credo che a questo bambino serva un bel bagno più tardi.” affermò la ragazza notando che si fosse bagnato quell'ammasso di capelli biondo cenere che gli ricopriva ormai quasi tutta la testolina. “Vero, mio piccolo Ari?” lo sollevò in aria e gli fece qualche pernacchia sulla pancia sentendo una risata strozzata e lo fece ancora un paio di volte.
Non poteva essere tutto più calmo di così.
Vivevano con la persona che amavano, lavoravano sodo ricavando soldi dal loro terreno e Ari era il bambino più buono che potessero mai desiderare, anche se alla notte non li lasciava quasi mai dormire.
Rimasero tutto il pomeriggio a giocare all'esterno, in riva al fiume, dato che la giornata era talmente calda e meravigliosa che non potevano passarla completamente chiusi in casa. Quando rientrarono, si stava facendo buio ed era venuta l'ora della pappa per il piccolo bimbo e lo fece sentire bene quando cominciò a piangere dalla fame, nonostante fu fermato subito dal padre che gli mise in mano un giocattolo e iniziò a metterlo in bocca e ad agitarlo facendoselo scappare più volte dalla presa.



Heirani aveva appena finito di lavare i piatti e si era seduta sul divano con il marito, che teneva una mano dietro la schiena del bambino. Questo era seduto anch'egli e aveva trovato un nuovo gioco nel telecomando del televisore, a quanto pare doveva avere un sapore buonissimo e, come lo metteva in bocca, magicamente succedevano cose che non sapeva spiegarsi ma che lo divertivano tantissimo.
“Ridai il telecomando a papà che vuole vedere la televisione.” cercò di prenderlo indietro e dopo qualche secondo ci riuscì.
Ari fece qualche versetto muovendo le braccia su e giù e venne preso in braccio dalla madre che cominciò a cullarlo per farlo addormentare.
In quel momento si sentì lo scorrere dell'acqua del lavandino.
“Temaru, non avrò chiuso bene il rubinetto, puoi andare a chiuderlo?”
Il ragazzo si alzò e, arrivato in cucina, udì l'urlo della moglie. Corse nel salotto in preda al panico e quello che vide lo lasciò pietrificato: attorno alla figura di suo figlio era comparsa una debole luce azzurra e dei flussi vorticavano intorno al corpo e lui rideva nel vederli.
“Temaru...” la ragazza lo guardò con gli occhi sgomenti. “Pensavo che lui non avrebbe...”
“Dobbiamo andare.”
“Ha solamente sei mesi. È così piccolo.”
“Non abbiamo altre soluzioni. L'avevamo già messo in conto.”
“Credi che ci aiuterà per davvero?”
“Era il mio migliore amico, lo è sempre stato anche se non possiamo più avere rapporti. Ci darà sicuramente una mano.”
Heirani guardò il proprio figlio, che osservava attento quelle emanazioni di luce che lo attraversavano andando fin sotto la tutina che indossava.
“Il mio piccolo Ari.” sfregò il naso contro quello del bambino e nuovamente sentirono lo scrosciare dell'acqua del rubinetto.
“Dobbiamo muoverci.”
Temaru corse in soffitta e prese a rovistare in alcuni cassetti fino a trovare quello che cercava. Un piccolo regalo del suo migliore amico nel caso fosse successo qualcosa e quella era l'occasione giusta per utilizzarlo.
Era contenuto in una boccetta e non sapeva se avrebbe funzionato, ma lo sperò con tutto il cuore. Si voltò e vide la moglie con in braccio Ari che ancora si agitava.
“Sei pronta per la partenza?” le sorrise per confortarla e Heirani annuì con il capo.
Aprì la fiala e il contenuto uscì fuori da solo, finalmente libero da quella costrizione. La stanza prese a tremare per qualche secondo mentre si creava un buco sempre più grande proprio davanti a loro, risplendente di un bianco accecante, tanto che la madre dovette coprire gli occhi al figlio e stringerlo contro il proprio petto. Poco dopo, si era creato un passaggio da utilizzare per viaggiare nello spazio e raggiungere altri posti.
Temaru prese la mano della moglie e insieme varcarono il portale.



Si ritrovarono davanti ad una villetta sul mare, una casa che Temaru conosceva bene fin dalla sua infanzia e nella quale aveva passato molte estati insieme al suo amico ed era lì che al momento si trovava.
Il bambino si era messo a piangere a causa del viaggio, ma furono lieti di scoprire che la luce si era placata e anche i flussi non uscivano più dal suo corpo. Heirani non poté far altro che cercare di zittirlo con qualche coccola e, insieme al marito, si avvicinò all'ingresso.
Temaru bussò più e più volte, finendo anche con il gridare e, alla fine, la porta venne aperta.
Si ritrovarono davanti un ragazzo della loro stessa età con la pelle mulatta, dei lunghi capelli blu notte che erano tenuti insieme da una coda bassa e degli occhi grigi che si spalancarono sorpresi non appena li vide.
“Temaru! Heirani!” esclamò irrigidito, poi il suo sguardo cadde sul bambino che ancora non aveva finito di piangere.
“Keyondre, amico mio.” il ragazzo l'abbracciò. “Sono passati già quattro anni.”
“E vedo che hai combinato qualcosa di buono nella vita.” rispose riferendosi all'anello che portava al dito e al neonato.
Temaru sorrise e gli diede una pacca sulla spalla.
“Andiamo in casa, sapete che non potete farvi vedere con noi maghi e qua fuori non si può mai sapere. Ma dimmi, cosa ci fai qui? Non dirmi che hai sprecato il portale che ti ho dato per una semplice visita di cortesia.”
“No, no...” provò a parlare il padre, seguendo all'interno il padrone di casa.
Si misero comodi su delle poltrone e, poco dopo, arrivò nella sala anche la fidanzata di Keyondre, che mostrava un bel pancione già al sesto mese di gravidanza.
“Vedo che anche tu hai deciso di combinare qualcosa di buono nella vita.” Temaru gli rigirò la frase e si misero a ridere, poi l'atmosfera si fece più seria. “Keyondre, abbiamo un problema.”
“Che cosa è successo?”
“Ari... nostro figlio, ha mostrato di possedere il Mana questa sera.”
Keyondre rimase nuovamente spiazzato, poi scosse il capo.
“Credo di aver capito cosa volete da me, ma non posso farlo.”
“Perché?” la voce di Heirani era tremante e supplichevole. “Non possiamo lasciare che diventi un mago come...”
“Come voi?” la interruppe il ragazzo dai capelli blu notte.
“Keyondre, ti prego...” lo implorò Temaru, fissandolo negli occhi.
“Temaru, saresti potuto diventare il mago della luce più bravo dell'ultimo secolo, saresti potuto entrare nel Consiglio in un battito di ciglia e tu, Heirani, una maga del vento che avrebbe dato del filo da torcere alla maggior parte dei maghi che conosco. Eppure, siete voluti andare contro a tutti quanti finendo con l'aver perso tutti i vostri poteri e l'essere espulsi persino dalla città e da qualsiasi istituzione.”
“Il compito dei maghi è quello di proteggere e difendere l'essere umano e la natura nella quale viviamo, non quello di usarlo come sacrificio per ripagare ai danni stessi inflitti dall'uomo. Va contro ogni valore.” affermò decisa Heirani. “Anche tu sei sempre stato contrario a questo.”
“Io, però, ho deciso di combattere dall'interno per cambiare le cose, mentre voi avete lasciato tutto come se non ve ne importasse niente!” sbatté forte la mano sul tavolino in mezzo a loro, facendo spaventare Ari. “Scusate...” si ricompose tossicchiando un paio di volte.
“Sapevamo che, anche se il nostro Mana ci era stato prosciugato, avremmo potuto avere un figlio con dei poteri.” disse il ragazzo, cambiando discorso.
“E adesso volete che io li tolga a lui.”
“Soltanto un sigillo usando noi come catalizzatori.” insistette.
Keyondre sospirò, massaggiandosi la fronte.
“Keyondre, non siamo forse amici?” continuò Temaru.
“Certo che lo siamo.”
“E non hai forse detto di venire da te per qualsiasi problema?”
“Questo è ben più grande di un problema. Mi stai chiedendo di compiere un incantesimo del genere su un bambino di pochi mesi.”
“Sei l'unico che può riuscirci.”
“Mi fa immenso piacere sapere che riponi ancora così tanta fiducia in me, ma rimane comunque pericoloso e non voglio assumermi la responsabilità di vostro figlio se qualcosa andrà storto.”
“Ritieniti reciso da ogni responsabilità. È una cosa che ti sto chiedendo con il cuore in mano in onore di tutti i nostri anni di amicizia.”
Gli occhi grigi del mago si posarono prima sulla figura dell'amico, poi su quello della moglie e infine sul piccolo bambino che lo guardava incuriosito e che si era allungato più di una volta verso di lui. Si alzò in piedi e si mise proprio davanti all'amico.
“Sei sempre stato terribile fin da quando non eri che un poppante.”
“Pensa a quando abbiamo iniziato a combinarne di ogni insieme.” Temaru rispose con una risata, seguita da quella dell'altro.
“Siete sicuri?”
“Non voglio che faccia parte di quella parte di maghi corrotti, non voglio che abbia niente a che fare con loro.” Heirani aveva la voce sempre più tesa, le braccia le tremavano e non riusciva a tenere Ari fermo.
“Ho bisogno di prepararmi prima, non posso compierlo così su due piedi.”
“Di quanto tempo hai bisogno?”
“Solo una giornata. Nel frattempo potete rimanere qua e fate come se foste a casa vostra.”
“Ti ringrazio.” disse la ragazza e Keyondre le offrì un dolce sorriso.
Ari fece qualche verso e ingrossò le guance, successivamente un forte rumore attirò l'attenzione di tutti: i rubinetti dei bagni e della cucina si erano aperti all'unisono.
Keyondre si portò una mano alla fronte e scosse il capo.
“Si vede proprio che è figlio tuo.”



Keyondre passò il giorno seguente a meditare e a richiamare energia dentro di sé.
Per quanto fosse giovane, disponeva di un potere molto maggiore per uno della sua età ed era capace di magie potenti così come potente era l'Elemento che aveva deciso di risiedere in lui: il Buio.
Non era da tutti poter compiere un incantesimo che creasse un sigillo per il Mana, era un qualcosa che richiedeva molta pratica e anni di studio e Keyondre non ne aveva mai fatto uno prima d'ora. Tuttavia, doveva contenere un potere abbastanza piccolo, che si era appena formato nel corpo di un neonato e avrebbe avuto come catalizzatori due persone che avevano avuto dei poteri paragonabili a quelli di molti maghi anziani. Sarebbe andato tutto bene, ne era certo.
Scrisse su alcuni fogli la cantilena che avrebbe dovuto recitare e la imparò a memoria, successivamente imparò i movimenti delle mani tracciando linee immaginarie in aria e, solamente verso sera, si sentì abbastanza pronto da procedere oltre.
Attraversò mezza villa fino a raggiungere il salotto, dove trovò Temaru intento a giocare con il figlio e che si fermò subito non appena lo vide entrare.
“Sono pronto.”
Temaru annuì e chiamò Heirani per assistere al rituale.
Keyondre prese in braccio il bambino, che in un primo momento sembrò avere i lacrimoni agli occhi, poi il suo sguardo cristallino si puntò contro una ciocca di capelli scuri che ricadeva sulla spalla del mago e si impegnò con tutto se stesso per afferrarla.
Quando ci riuscì, la strattonò così forte che il mago dovette cacciare un urlo di dolore.
“È esattamente uguale a te!” si lamentò Keyondre, riferendosi a Temaru.
“Io non ti ho mai tirato i capelli.”
“Questo perché non te lo ricordi.”
Il neonato non aveva ancora finito di giocare con la sua capigliatura, ma, adesso, era più calmo dopo aver capito che in fondo non fosse così divertente. Per questo decise di provare a sapere che gusto avesse il mago, attaccandosi alla sua spalla e sentendo il tessuto della maglia leggermente ruvida sulle gengive.
“Ari...” l'ammonì con tono grave Keyondre, anche se non ottenne nessun risultato se non ulteriore saliva sulla maglietta.
“Così prendi mano nel fare il genitore, dato che a breve avrai un pargoletto che correrà per tutta casa e ti distruggerà ogni cosa.” lo prese in giro Temaru.
“Credo che il tuo ti darà ben più grattacapi.” rise e gli massaggiò la schiena fino a farlo calmare. “Comunque avrò una figlia.”
“Hai già il nome?”
“Inaya.” sorrise.
“Verremo sicuramente a trovarti quando sarà nata.” gli sorrise di risposta l'amico.
“Significa che devo preparare un altro portale? Guarda che sto rischiando molto la mia posizione.”
“Quindi non lo farai?”
“Quindi vedi di portare qualche bel regalo per la mia bellissima futura moglie e mia figlia.”
Temaru annuì sorridendo ancora e finalmente iniziarono il rito per sigillare i poteri di Ari.



Keyondre lo fece stendere sul tavolino sotto il quale aveva messo una coperta e Heirani gli era vicino per tenerlo fermo e non farlo cadere.
La voce del mago aveva cominciato a fluire fuori come un sibilo che increspava la superficie del mare e man mano si faceva sempre più forte. Le mani che vorticavano in aria erano dipinte da una luce nera che plasmava disegni simbolici in base ai loro movimenti e questi si insinuavano sotto la pelle di Ari, che era rimasto incantato nel capire cosa stesse succedendo e che scalciava ogni tanto colto da un lieve solletico.
Il corpo del bambino iniziò ad illuminarsi di azzurro, sempre più intenso, e di nuovo il mana aveva preso ad uscire da lui senza controllo, ma si scontrava con quello creato da Keyondre e veniva risucchiato al suo interno.
In quel momento, anche Temaru si avvicinò al figlio e gli prese la piccola manina e il mago ricominciò da capo la cantilena. Più passavano i minuti e più il bagliore azzurro si fece fioco, sostituito da quello nero che scompariva poco dopo fluendo nelle mani dei genitori.
Ci volle parecchio tempo, ma alla fine tutto si fermò: la voce di Keyondre, le sue mani, l'energia nera e quella azzurra.
“Possa questo sigillo contenere il Mana nei vostri cuori.”
Tutti e tre si guardarono per un istante a fiato sospeso, poi i loro volti andarono su Ari che sorrideva con gli occhi quasi trasparenti, allungando le mani verso Keyondre per essere preso in braccio.
L'incantesimo era riuscito.



NOTE DELL'AUTRICE:
Immagino che vogliate ancora uccidermi per quello che ho fatto a Nael e perché vi sto lasciando come dei fessi tornando indietro nel tempo, ma, ehi! Questo capitolo vi dovrebbe aver aperto un mondo ahahah
Capitolo pieno di risposte a molte domande e pieno di domande che necessitano ulteriori risposte.
Tinirau, uno dei tanti figli di Tangaroa, esiste veramente e in molte leggende si dice che abbia questa doppia forma uomo/squalo e si tramanda anche del suo carattere violento in alcune, da qui l'illuminazione di farlo diventare bivalente, con questa sua anima malvagia e corrotta. Non vi dico altro su di lui per ora ;)
E Nael? Colpo di scena! Nael era già morto da bambino ed è diventato il contenitore di Tinirau. A questo proposito, vi consiglio di ripensare ai sogni dei primi quattro capitoli, adesso hanno acquisito perfettamente senso tutte le frasi che Tangaroa dice ad Ari. Andate a rileggere e vi si accenderà la lampadina xD
E vogliamo parlare di Ari? Lui era sempre stato un mago in tutto e per tutto con i poteri sigillati nei suoi genitori. Non è stato scelto da Tangaroa, non c'è un destino scritto per lui come prescelto, lui era ed è un mago. Adesso dovrebbe avere anche un senso tutto quello che dice Keyondre su di lui. Insomma, era il migliore amico del padre!
Altra cosa assolutamente importante prima di andare: i nomi.

Natanael come vedete “stona” questo perché il suo nome è ebraico e significa il dono di Dio (e ha senso perché lui è un emigrato, non poteva avere un nome polinesiano); Temaru è la sacra aurora e Heirani la corona di nuvole nel cielo (sempre riferiti ai loro poteri da mago).
Spero di avervi stupito in qualche modo e anche di avervi fatto fare tanti urletti teneri per quel pacioccone di Ari bimbo che è di una tenerezza assoluta che me lo voglio portare a casa! (?)
Grazie a tutti voi, lasciate un commento per sapere come sta procedendo e diffondete il verbo di Tangaroa ahaha
Il prossimo aggiornamento sarà il 21 perché le vacanze natalizie mi scombussolano un po' le domeniche e quello dopo ancora il 28 o 29 ma vi terrò aggiornati!
Un bacio a tutti.
Flor :)

  
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