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Autore: _Frame_    18/12/2016    2 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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107. Sleipnir e Cenerentola

 

 

“E così, nacque un puledro con ben otto zampe. Quando crebbe, divenne il più possente e forte cavallo che avesse mai posato zoccoli sulla terra dei mortali.” Finlandia si sporse a rimboccare le coperte attorno al corpicino di Moldavia, infilò i tre strati di stoffa sotto le sue spalle, ne lisciò le pieghe sopra il petto, e sistemò i due cuscini su cui il piccolo aveva adagiato la testolina. Nella penombra della cameretta, riusciva lo stesso a scorgere gli occhi di Moldavia che lo guardavano entusiasti, larghi in quel luccichio di meraviglia che li teneva assorbiti nel racconto. Finlandia si rimise a schiena dritta sullo sgabello, guadagnò un respiro, sollevò un indice al soffitto e continuò la storia. “Essendo il figlio del Dio Loki, divenne l’unica nobile e possente cavalcatura degli dei, favorita persino dal Dio Odino, in grado di primeggiare anche sulla potenza dei giganti.”

Moldavia sgranò ancora di più le palpebre, socchiuse la bocca prendendo un avido sospiro di meraviglia, e tirò su le spalle dai cuscini. Si mise a sedere reggendo le coperte fra le dita. “Ed è lui che fa venire i suoni del temporale quando ci sono tutti i fulmini?” Spalancò le braccia e sorrise. “Con i suoi zoccoli che calpestano le nuvole?”

Finlandia si coprì la bocca e ridacchiò. Il cuore gonfio di tenerezza. “Sì, credo proprio di sì.” Tornò a sporgersi dallo sgabello messo di fianco al letto e rimboccò di nuovo le coperte a Moldavia, abbassò i cuscini dietro le sue spalle per farlo sdraiare di nuovo, e sistemò un angolino della stoffa che era sfuggito dal materasso toccando terra. “Ma proprio per questo non c’è nulla di cui avere paura,” tornò a indicare il soffitto e sorrise d’orgoglio, “dato che i temporali sono solo i suoni degli dei che si sfidano e che combattono fra loro.”

Moldavia mostrò a sua volta un sorriso aguzzo e annuì due volte sfregando la nuca sui cuscini. “Capito!” Volse gli occhietti al soffitto, la penombra scivolò sul viso, gli annebbiò l’espressione che si increspò di dubbio, e Moldavia tornò a scattare a spalle dritte fuori dalle coperte. “Oh, no, c’è una cosa che non ho capito!” esclamò.

Finlandia gli mostrò un sorriso più tenero e si avvicinò al letto con lo sgabello, intrecciò le braccia sopra le ginocchia. “Che cosa?”

Moldavia sollevò una manina fin sopra la testa, come uno scolaretto che chiede la parola alla maestra, e la manica del pigiama scivolò fino al gomito. “Se il Dio Loki si è trasformato in un cavallo e ha fatto nascere quello super forte con otto zampe, vuol dire che anche i maschi possono fare i bambini?”

Finlandia rimbalzò sullo sgabello ingoiando un gemito di imbarazzo. Tirò su le spalle e si portò le punte delle dita davanti alla bocca. “Eh-ehm,” guardò a destra e a sinistra, gli occhi rimasero voltati, luccicarono di vergogna, “sai, in realtà è...” Si strinse nelle spalle, cominciò a sentire lo stomaco formicolare di nervosismo, e fece ondeggiare le mani. Le guance si infiammarono di rosso, luccicarono di sudore, gli angoli della bocca tremarono in un sorriso di circostanza che non riusciva a stare dritto. “È un po’ più complicato di...” Ma perché mi sono messo a raccontargli l’Edda?

“E com’è che si fanno i bambini, allora?” Moldavia strisciò più vicino al bordo del letto, spalancò ancora gli occhi, avidi e lucenti di curiosità, strinse la coperta fra le manine, e rimase con la bocca ancora socchiusa in quel mezzo sospiro di attesa.

Finlandia tossicchiò e allentò il colletto della giacca facendoci scorrere le dita sotto. “B-be’...” La vampata di caldo arrivò a incendiare persino le orecchie, tutto il corpo prese a sudare di nervosismo, gli angoli del sorrisetto non sapevano da che parte piegarsi e si infossarono nelle guance diventate viola. “F-funziona che...” Prese un lungo respiro, tornò a spalle dritte, chiuse una mano davanti alla bocca e si schiarì il tono togliendo la nota stridente alla voce strozzata dall’imbarazzo. Finlandia tornò a viso sereno come quando gli stava raccontando la storia, anche se era ancora imporporato, e sollevò al soffitto la punta dell’indice, dando due sventolate. “Se due persone si vogliono molto, molto bene e trascorrono tanto tempo assieme, poi può capitare che...”

Il viso di Moldavia si illuminò di entusiasmo e realizzazione. Anche le sue guance sfumarono di rosso. “Allora anche tu e il signor Svezia potete farei dei bambini?”

Finlandia sbiancò di colpo. Sentì lo stomaco cadere ai suoi piedi con un tonfo e spinse lo sgabello all’indietro. Si riparò il petto incrociando le braccia e rannicchiando le ginocchia alla pancia. “No! Cioè...” Balbettò ancora, gettò lo sguardo da una parete all’altra, tamburellò l’indice sul labbro, e soppresse una risatina impacciata. Il viso tornò rosso come una ciliegia, le orecchie fumanti. “F-facciamo che...” Si asciugò la fronte che aveva ripreso a sudare, allentò ancora la maglia sotto la gola, e si spose a rimettere Moldavia sotto le coperte. “Facciamo che questo te lo spiego un’altra sera, d’accordo?” Gli fece poggiare la testolina in mezzo ai cuscini e gli sollevò le coperte fino al mento.

Moldavia arricciò un sottilissimo broncio di delusione e si appese alle coperte con entrambe le mani. “Promesso?”

Finlandia annuì convinto e anche il suo sorriso smise di tremolare, gli occhi persero il luccichio di imbarazzo e tornarono a splendere di dolcezza. “Promesso.” Tornò ad avvicinare lo sgabello ai bordi del letto, sistemò le tre coperte attorno alle spalle di Moldavia e gli carezzò i capelli sciolti, senza codini, pettinandoglieli dietro le orecchie. “Pronto per andare a nanna?” mormorò, e gli fece una soffice carezza anche sulla guancia. “È stata una giornata pesante, sarai stanchissimo.”

Moldavia scosse la testolina. “No.” Sbadigliò posando la manina davanti alla bocca, coprì i denti aguzzi, e si stropicciò un occhio già appannato di stanchezza. “Non ho ancora tanto sonno.”

Finlandia sorrise e gli fece il solletico sulla punta del nasino. “Scommetto che se chiudi gli occhietti ti addormenterai subito.” Socchiuse le palpebre, e la penombra della camera calò un velo di tristezza nel suo sguardo, il colore degli occhi sbiadì, riflesse il cielo nuvoloso di quel pomeriggio trascorso in mezzo alla fredda foschia della neve fuori dal Palazzo d’Inverno. “Ti senti un po’ meglio dopo questo pomeriggio?” Gli passò un’altra carezza fra i capelli e gli tenne posata la mano sulla guancia già gonfia di sonno.

Moldavia annuì. “Un po’.” Fece scivolare le spalle contro l’imbottitura dei due cuscini, abbassò di più le palpebre, unì le ciglia, e sbatacchiò gli occhi pesanti e gonfi di sonno per sforzarsi di tenerli aperti. Si stropicciò una palpebra, e la sua vocina squillante divenne più fioca. “Ma mi manca ancora il mio fratellone.”

Un affondo di dolore scosse il cuore di Finlandia, lo rese pesante e freddo, un sasso fra le costole. Le guance tornarono pallide, gli occhi scuri guardarono a terra, e un sospiro di sconforto gli fece ammosciare le spalle. “Lo so,” mormorò. Fece scorrere la mano sopra la coperta e la strinse a quella più piccola di Moldavia, chiusa attorno alle lenzuola. Gli massaggiò il dorso. Condivise lo stesso dolore che provava anche lui, che ogni giorno alimentava il denso grumo nero di nostalgia e rimorso che sentiva pesare all’altezza del petto. “Ma tu sei un bimbo davvero coraggioso, sai?” Gli scostò una ciocca di capelli da un occhio, gli strofinò le nocche sulla guanciotta gonfia, e riacquistò un caldo sorriso di incoraggiamento. “Sono sicuro che Romania sarebbe tanto, tanto orgoglioso di te.”

“Mh.” Moldavia girò il viso, sprofondò con la guancia nell’imbottitura del cuscino, i capelli sparpagliati sotto l’orecchio e contro la fronte. Abbassò le palpebre, il respiro si appesantì, più lento e profondo, e il bimbo schiuse di nuovo gli occhietti: due spicchi d’ombra, lucidi in mezzo alle ciglia. Lo chiamò con voce impastata dal sonno. “Finlandia?”

Finlandia flesse il capo e mostrò un’espressione interrogativa. “Sì?”

Moldavia prese un respiro profondo contro il cuscino, il petto si alzò e si abbassò sotto il rigonfiamento delle coperte. “Secondo te, il fratellone...” Strinse le dita sugli strati di lenzuola e le tirò più a sé, fino a coprirsi la bocca. “Si è dimenticato di me?”

Di nuovo un nodo di tristezza strozzò il cuore di Finlandia, gli fece sgranare gli occhi e provare quella fitta ghiacciata allo stomaco. “Oh, no, Moldavia.” Si sedette sull’orlo dello sgabello, toccando il letto con le ginocchia, e avvolse una manina di Moldavia fra i suoi palmi, chinò le spalle per parlargli più vicino. “Lui non potrebbe mai dimenticarti. Se non può venire a trovarti è proprio perché sta combattendo coraggiosamente per poter tornare assieme a te, un giorno.”

Moldavia sollevò la guancia dal cuscino, sbatacchiò le palpebre grigie e gonfie di sonno, ma gli occhi luccicarono di un barlume di entusiasmo. “Sul serio?”

Finlandia mostrò un sorriso più allegro. “Certo.” Tornò ad avvolgere le spalle di Moldavia con le coperte, gli strofinò la testolina. “E indovina un po’. Sono sicuro che vi rincontrerete prestissimo.”

Un piccolo sorriso sbocciò anche sulle labbra di Moldavia bucate dai dentini aguzzi. “Davvero?”

“Davvero davvero,” ripose Finlandia. L’ondata di malinconia tornò a gettargli addosso quel senso di sconforto, tristezza e impotenza. Carezzò Moldavia immaginando di carezzare e confortare se stesso, “Un giorno torneremo tutti a casa”, e non seppe dire a chi avesse rivolto quella frase.

Moldavia sbirciò lo sguardo di Finlandia aprendo un occhio solo. “Promesso?” cinguettò con voce scettica ma speranzosa.

Finlandia raddrizzò le spalle, si posò una mano sul cuore e una la aprì davanti alla spalla, volse il palmo in segno di giuramento. “Promesso.” Si sollevò dallo sgabello, lo rimise accostato al muro e rimase chino verso il letto di Moldavia. Gli passò un’ultima carezza fra i capelli arruffati. “Buonanotte, Moldavia.”

Moldavia si rannicchiò come un uccellino in un nido di piume, divenne un fagottino fra le coperte, e la sua vocina squillò da sotto l’imbottitura. “Notte!”

Finlandia gli sfilò le mani dai capelli, camminò lontano dal letto, passando attraverso la lama di luce che strisciava attraverso lo spiraglio della porta aperta, e uscì. Richiuse l’anta accompagnando il movimento della maniglia, la serratura scattò in uno schiocco ovattato – clack! – e sigillò la cameretta.

Nel corridoio calò il silenzio, non si sentiva nemmeno il vento fischiare sulle finestre ghiacciate. Era una notte muta e limpida, il cielo lucido come una distesa di petrolio.

Finlandia fece un sospiro profondo, strinse la mano ancora chiusa attorno al pomello e poggiò la fronte alla porta. Aprì la mano libera sull’anta, carezzò il legno. Tornare tutti a casa. Strizzò le palpebre, contenne il peso delle lacrime che già sentiva spingere e bruciare contro gli occhi. Rivide le ombre di loro cinque assieme, ombre dai lineamenti sempre più sfumati e dalle voci sempre più lontane, come echi. Serrò il pugno contro la porta, le nocche tremarono. Forse non dovrei fare promesse che non so come mantenere. Tirò su col naso anche se non aveva pianto, sollevò la fronte dalla porta e rilassò le dita, la mano scivolò lentamente verso il basso, come il suo sguardo gettato in mezzo ai piedi. Ne ho già fatte troppe. Un saporaccio pesante e amaro gli riempì la bocca, gli diede il voltastomaco, e di nuovo il peso della vergogna gli schiacciò le ossa delle spalle.

Finlandia scosse il capo, si strofinò la nuca, sospirò di nuovo, e si voltò.

Sbatté la fronte contro una sagoma in piedi davanti a lui e saltò per lo spavento, come una lepre. “Ah!” Batté le spalle al muro e gettò la mano sul cuore. “Sve!” Tirò su un sorriso di sollievo, il viso ancora buio di spavento e il cuore che galoppava rapido fra le costole. Il sangue schizzato alla testa gli batté contro le tempie, e Finlandia si grattò in mezzo ai capelli come per sciogliere la tensione. “Sei qui?”

Svezia fece un passetto all’indietro e il suo sguardo di pietra si incrinò in una scheggia di scuse che gli appannò gli occhi. Tese una mano verso Finlandia, ma Finlandia sventolò la sua facendosi aria al viso accaldato per lo spavento.

“Mi hai fatto paura,” ridacchiò, “pensavo fossi già andato a letto.”

Svezia socchiuse la bocca, fece per parlare.

“Già, forse anche io sarei dovuto andare a dormire prima,” continuò Finlandia, e indicò la porta alle sue spalle, “ma ho tenuto un po’ di compagnia a Moldavia prima che si addormentasse, sai, gli ho raccontato una storiella dato che è ancora un po’ triste per quello che è successo questo pomeriggio, per la visita di Bulgaria e la mancanza di Romania.”

Svezia sollevò anche l’altra mano, fece per raggiungere la spalla di Finlandia. “Ehm...”

“Sì,” annuì Finlandia, “lo so che non dovrei farmi coinvolgere così tanto dalla sua situazione, ma non riesco a fare a meno di stare in pena per lui, poverino.” Si posò le mani sul petto e intristì gli occhi. “Noi che siamo adulti possiamo anche imparare a sopportare la lontananza, ma lui è così piccolo e non dovrebbe vivere queste cose.”

Svezia lanciò un’occhiata buia alle sue spalle, tornò ad avvicinare le mani a quelle di Finlandia e il suo sguardo irrigidì di tensione dietro le lenti. “F’n...”

“Che poi è vero che cerco solo di aiutarlo,” continuò Finlandia, e tornò a incrociare le mani sul petto, con quell’aria afflitta, “ma non riesco proprio a togliermi dalla testa che in realtà sto solo consolando me stesso, dicendo a Moldavia le cose che vorrei che qualcuno dicesse a me – ah,” sventolò le mani verso Svezia e gli mostrò un sorriso rassicurante, “ma non voglio dire che tu non mi sei di aiuto! Lo sai che per me va benissimo anche se sono io quello che...” Due dita di Svezia gli chiusero la bocca, frenarono la parlantina.

Finlandia rimbalzò di stupore sotto il tocco di quella mano calda, e ammutolì.

Incrociò gli occhi sulle dita di Svezia ancora sulla sua bocca, sbatté due volte le palpebre, confuso e perplesso, “Mh?”, sollevò lo sguardo incontrando il viso di Svezia, “Shve?”

Svezia si posò l’indice della mano libera sulle proprie labbra, gli fece cenno di rimanere in silenzio, e scoccò un’altra occhiata bassa al corridoio dietro di lui.

Finlandia sollevò un sopracciglio, un primo pizzico di paura lo prese al petto, e abbassò delicatamente le dita di Svezia dalla sua bocca. “Che c’è?” mormorò.

Svezia non rispose. Gli avvolse la mano, la tenne stretta, e percorse il corridoio illuminato dai lampadari di cristallo. Fuori dalle finestre, la sagoma rotonda e gonfia della luna rischiariva il cielo senza nubi. Un enorme occhio bianco che spiava Leningrado.

Finlandia si lasciò guidare ma inclinò il capo di lato. “Dove andiamo?”

Svoltarono un angolo del corridoio. Svezia si limitò a stringere di più la mano di Finlandia e ad andare avanti. I loro passi rapidi e schioccanti nel silenzio delle pareti deserte.

Il pizzico di timore che aveva punto la pelle di Finlandia divenne un brivido di paura che si infilò sotto la carne, stringendogli il respiro. “Sve?” Anche lui ebbe l’impulso di aggrapparsi di più al calore della mano di Svezia. La sua aveva preso a tremare.

Svezia continuò a camminare ma voltò lo sguardo, tornò a fargli cenno con l’indice sulle labbra e sollevò leggermente le sopracciglia. I suoi occhi assunsero una sfumatura più rassicurante, nonostante la rigidezza del volto.

Finlandia esitò, restò a labbra socchiuse, sguardo smarrito. Annuì. Serrò la bocca e restrinse il labbro inferiore, le sigillò. Strinse di più la mano di Svezia, si appigliò al suo calore, al suo senso di rassicurazione a cui si era tenuto stretto anche durante l’abbraccio in mezzo alla neve di quel pomeriggio, e decise di fidarsi.

 

.

 

Passarono correndo l’ultimo architrave che creava l’accesso alla Piazza del Palazzo. I loro passi che scricchiolavano sulla neve congelata si impressero nel silenzio della notte, le loro ombre scivolarono lungo le pareti degli edifici su cui brillavano le luci gettate dai lampioni, si allungavano contro i tetti delle case addormentate, e la condensa dei loro respiri li circondò in una nebbiolina pallida, pregna dell’odore di ferro, polvere e ghiaccio.

Svezia strinse la mano di Finlandia, rallentò portandosi affianco a lui, lo attirò a sé circondandogli le spalle con il braccio libero, gli fece tenere la testa bassa, e guardò dietro di loro, verso la piazza, oltre le mura, verso il profilo del Palazzo d’Inverno che stava lentamente rimpicciolendo. Si fermò fuori dal fascio di un lampione, al buio, prima di voltare un angolo, e incollò la schiena alla parete. Avvolse le spalle di Finlandia con un lembo della sua giacca, aprì una mano dietro la sua nuca, le dita fra i capelli, e gli fece appoggiare il capo contro il suo petto, mentre lui sporse il viso oltre lo spigolo dell’edificio. Il viso scuro, voltato e immerso nella notte.

Finlandia sollevò la fronte e sbirciò tenendo la guancia contro il busto di Svezia. Fermò il respiro, strinse le mani sulla sua giacca, irrigidì il petto contro il suo, e l’orecchio scivolò all’altezza del suo cuore. Batteva veloce, nonostante Svezia tenesse il viso freddo come il ghiaccio e il suo tocco fosse fermo e sicuro attorno al corpo di Finlandia, a proteggerlo.

Finlandia sospirò rilassando i muscoli, sentì il braccio di Svezia muoversi seguendo l’abbassarsi delle sue spalle. Gonfiò una nuvoletta di condensa e guardò attraverso il suo stesso fiato, gli occhi lucidi e tesi in cerca di quelli di Svezia.

Svezia tirò lo sguardo all’indietro, fece scivolare il braccio dalla schiena di Finlandia, la mano avvolse di nuovo la sua, stinse salda. Abbassò gli occhi, gli fece segno di seguirlo con un’alzata di mento, e sgusciò fuori dalla stradina prima di dare tempo a Finlandia di annuire.

Finlandia chiuse la mano dentro quella di Svezia, usò quella libera per tenere un lembo della giacca attorno alla guancia, batté i denti per sopprimere gli spasmi di freddo che lo mordevano fin dentro le ossa, e tenne gli occhi socchiusi resistendo a una zaffata di neve secca e condensa che gli bruciò il viso. Si strofinò gli occhi con un braccio e sbatté le palpebre. La vista tornò limpida, si riaffacciò alla strada deserta che si apriva in mezzo agli edifici.

Il cono di luce proiettato da un lampione discendeva l’aria, apriva un disco bianco attorno a un’auto nera parcheggiata sul ciglio del marciapiede sommerso dalla neve spazzata ai lati della strada. Un uomo in uniforme svedese si voltò verso il suono dei loro passi in arrivo, irrigidì il corpo piantando un attenti accanto all’auto e smise di respirare, non uscì più condensa dalle sue labbra.

Finlandia rallentò per primo, strinse la mano di Svezia, lo tirò lievemente verso di sé, e un lampo di paura gli attraversò gli occhi sbarrati. Un’auto? Sentì la mano unita a quella di Svezia diventare ghiacciata come il suo sangue. Rallentò ancora e sollevò gli occhi titubanti verso Svezia, in cerca del suo sguardo in cerca di un appiglio. Non vorrà...

In un lampo, l’immagine di Svezia che lo caricava in auto e lo riportava a casa, lontano dall’ombra di Russia, dalla sua presenza gelida, gli arrivò in faccia come uno schiaffo, gli trasmise un pugno di paura dritto alla bocca dello stomaco.

Finlandia si fermò, sottrasse la mano alla sua, strinse il pugno al petto avvolgendosi il polso, e zampettò di un passo all’indietro. Gli occhi smarriti tremarono fra le palpebre annerite dall’ombra della strada, quell’aria confusa e spaventata gli sbiancò il volto. Le spalle si strinsero in un gesto di protezione, gli tremarono le ginocchia, i piedi fremettero per la voglia di fare dietrofront e scappare di nuovo in direzione del Palazzo.

Svezia voltò lo sguardo. Anche nel suo viso si curvò una ruga di spavento, le punte delle sopracciglia si flessero e restrinsero gli occhi. Si fermò davanti all’auto e si girò verso Finlandia, limitandosi a guardarlo negli occhi, senza dirgli niente. Finlandia si tenne stretto nelle spalle, sollevò lo sguardo incontro a quello di Svezia, un altro soffio di condensa gli circondò il viso, appannandolo, sfumando la sua espressione di ansia.

Svezia scavò nei suoi occhi, il colore limpido delle sue iridi senza ombra gli trasmise un barlume di sicurezza. Tese il braccio, aprì la mano e porse il palmo voltato verso l’alto a Finlandia. Un invito caldo e pacifico.

Finlandia gli guardò la mano. La mano che aveva tenuto stretta in passato per la prima volta quando erano scappati insieme, la mano che teneva stretta durante le battaglie, quando tutto diventava buio, l’aria si faceva incandescente e odorava di sangue ed esplosivo. La mano che non aveva mai lasciato da quando era diventato prigioniero di Russia e in cui si era sempre appigliato quando sentiva di non riuscire più a reggersi con le sue sole forze.

Finlandia chiuse i pugni, lo sguardo irrigidì, gli occhi smisero di tremare. Quel gesto di protezione gli trasmise una profonda onda di calore che gli irradiò il cuore.

No, devo fidarmi di Sve. Prese un respiro di coraggio e fece un primo passo avanti. Lui non farebbe mai nulla che possa mettermi in pericolo. Tese anche lui il braccio, gli strinse la mano, le dita chiusero premendo sulle sue nocche. Un’ombra di dubbio tornò a incupirgli il volto. Però...

Finlandia guardò alle sue spalle. La luna piena continuava a scrutarli, alta in cielo, e la sua luce chiara e fredda gettò un brivido di minaccia addosso a Finlandia.

Dove potremmo mai andare in una notte? Per di più, con il rischio che Russia scopra che siamo spariti...

Svezia lo fece avvicinare all’auto, l’ufficiale aprì lo sportello posteriore e si mise in disparte per lasciarli passare, le dita ancora strette alla maniglia. Svezia salì per primo, Finlandia chinò le spalle sbirciando nell’abitacolo buio e dal quale usciva un soffice e piacevole tepore al profumo di pelle. Prese un altro ingoio di coraggio.

Ma sono con Sve.

Si tenne aggrappato alla sua mano e chinò il capo per entrare.

Se sono con lui non ho paura di niente.

L’ufficiale richiuse lo sportello.

 

.

 

Rastenburg, Prussia Orientale

 

L’auto si fermò, ma non spense il motore.

Finlandia si sporse sul finestrino dell’auto, premette entrambe le mani sul vetro, lasciò due sottilissime impronte di condensa attorno alla forma delle dita, e avvicinò la fronte. Socchiuse gli occhi per scrutare in mezzo al buio, fasci di una luce bianca e fredda penetrarono nell’aria, filtrarono attraverso i rami infittiti degli alberi e sbatterono contro le sue palpebre assottigliate. Si sporse di più, poggiò anche la guancia al vetro gelato, tirò su le spalle facendo attrito con i polpastrelli e rivolse gli occhi al terreno. Ombre di uomini si spostarono davanti all’auto, i loro passi schiacciati dagli stivali emisero un suono scricchiolante sul suolo del sottobosco dove la strada sterrata si infilava in mezzo agli alberi. Non c’era la neve.

Il fascio di uno dei riflettori si impennò, tagliò l’aria davanti all’auto ferma, e illuminò le sagome di tre ufficiali in piedi davanti a loro. Uno dei tre si spostò, sollevò il braccio, e gli altri due tirarono su la sbarra di contenimento che bloccava l’accesso.

Finlandia aggrottò le sopracciglia, sospirò condensa contro il vetro, le dita strinsero.

Dove siamo?

L’auto ripartì in un rombo, sfilò davanti agli ufficiali fermi accanto al posto di blocco, e Finlandia non riuscì a incrociare i loro volti bui, leggermente appannati dal gas di scarico che era scivolato nell’aria illuminata dai riflettori.

L’auto proseguì nella foresta, altre luci si alternarono brillando lungo la strada, passi secchi e pesanti di uomini in marcia annunciarono l’arrivo di una pattuglia armata in esplorazione. Avanzarono lungo il terreno passando accanto a piccole colline bardate di filo spinato, nascoste da cespugli e arbusti, dove altri soldati sull’attenti erano a guardia di portelloni blindati sommersi nell’ombra.

Finlandia staccò la fronte dal finestrino, aggrottò le punte delle sopracciglia, e una scossa di ansia gli strinse il cuore.

Sembra quasi un quartier generale.

Diede un’altra sbirciata fuori, premette più in alto le mani, spinse le spalle in avanti tirandosi sulle punte dei piedi, ma non riuscì a inquadrare bene le uniformi degli ufficiali e dei soldati nascosti dalle ombre del bosco. Non le riconobbe.

Ma chi è che lo sta costruendo? Per di più, dovremmo essere quasi in Polonia, considerando quanto ci abbiamo messo ad arrivare qua.

Un brivido gli scosse la schiena, gli fece diventare la bocca secca e amara, uno sfarfallio allo stomaco annodò un senso di nausea che gli fece sentire le vertigini. Finlandia tornò a sedersi, deglutì a vuoto, si strofinò le spalle, e una riga di sudore gelato gli scese lungo la tempia.

Che cosa ci facciamo qui?

Ebbe l’impulso di girarsi verso Svezia, fece scattare una mano verso la sua. “Sve?” Gliela strinse.

Svezia voltò il palmo, gli avvolse le dita, strinse due volte trasmettendogli una scossa di coraggio, e lo lasciò venire più vicino a sé, le loro spalle si toccarono.

L’auto curvò, i freni stridettero, gli pneumatici scricchiolarono a fondo, rallentando, e si fermarono davanti a una delle dune in cui erano scavate le entrate per i bunker. L’auto si spense, due militari si avvicinarono, illuminarono il finestrino con i fasci delle torce, e uno di loro agguantò la maniglia posteriore, spalancò lo sportello e si mise in disparte. L’altro tracciò una scia con la propria torcia, come un tappeto di luce per fare strada ai piedi dell’auto. Svezia scese senza mollare la mano di Finlandia, rimase chino fino a che lui non poggiò i piedi a terra, e gli passò il braccio attorno alle spalle tenendolo protetto dalle occhiate degli ufficiali. Finlandia sbirciò da sotto il gomito di Svezia, gettò lo sguardo sulle uniformi degli uomini che brillavano sotto i fasci delle torce. Tedeschi.

Finlandia iniziò a capire. Un’ondata di paura gelida gli annaffiò la schiena e lui si aggrappò a Svezia, gettò gli occhi lontani da quelli freddi e inquisitori dei soldati attorno a lui.

Un altro sportello si aprì, scese anche l’autista in uniforme svedese, si mise sull’attenti lasciando che Svezia e Finlandia gli sfilassero di fianco.

Svezia gli lanciò un’occhiata dura. “Stanna här.” Il suo fiato non fece nemmeno condensa nel gelo della foresta, era più freddo di quell’aria.

L’autista annuì e non si mosse.

I due ufficiali tedeschi li scortarono fino all’entrata blindata di una delle costruzioni interrate, il soldato di guardia abbassò la sua torcia, si piazzò come un palo davanti a Svezia, squadrò prima lui, poi Finlandia, e sollevò il mento, bloccando il passaggio. Svezia usò la mano che non stringeva quella di Finlandia per estrarre la busta dalla tasca della giacca. Scartò l’involucro giallo, lo aprì davanti al petto, e lo porse all’uomo. Il soldato lo abbagliò con il raggio della torcia, assottigliò gli occhi, scorse le poche righe e calò la luce. Fece un passo di lato e mimò un cenno col capo, li lasciò passare.

Finlandia si aggrappò alla mano di Svezia, trattenne il fiato, e si lasciò ingoiare dal buio.

 

.

 

Svezia non gli lasciò la mano nemmeno per un secondo.

Una delle guardie li scortò attraverso i corridoi sotterranei, una doppia fila di luci bianche e fredde splendeva dal soffitto così basso che quasi sfiorava la testa di Svezia. Gli echi dei loro passi rimbalzavano densi e pesanti fra le pareti di cemento che trasudavano un fitto odore metallico, di umidità e di polvere. Finlandia sentiva una leggera pressione sul viso, fra la radice del naso e la fronte, dove il respiro si faceva più faticoso da risucchiare.

La guardia si fermò di fronte a una delle porte rivestite d’acciaio. Con un gesto meccanico si appese all’aggancio del portellone e lo tirò a sé, diede una spinta di spalla verso l’interno e la spalancò, si tenne in disparte e accanto alla porta.

Svezia avanzò per primo, diede una spintarella alle spalle di Finlandia e lo fece sussultare. Finlandia si tenne premuto al suo fianco, deglutì a secco, un nodo di tensione si allacciò al suo stomaco e gli tese i muscoli che indurirono come cemento. Trascinò i passetti camminando affianco a Svezia e finì abbagliato dalla luce spanta dall’interno della camera sotterranea.

Finlandia sollevò il braccio davanti alla fronte, restrinse gli occhi accecati, e riuscì solo a scorgere due sagome buie che lo aspettavano in fondo alla stanza.

Una voce ruvida e familiare interruppe il silenzio. “Ben arrivata, Cenerentola.”

Una spina di paura gli si conficcò nel cuore, trasmise una scossa rovente che discese il petto e la schiena, gli incementò le gambe al pavimento.

Gli occhi di Prussia furono i primi che incrociò, e Finlandia si sentì trafiggere come se gli avesse scagliato due tizzoni ardenti addosso alla faccia. Finlandia esitò, fece un sobbalzo all’indietro, rimbalzò contro Svezia, e allontanò lo sguardo da Prussia che lo scrutava a braccia conserte dall’angolo della camera. Incontrò quello di Germania, ghiaccio su fuoco, che restrinse una palpebra, aggrottò il sopracciglio, e gli raggelò il respiro.

Un ronzio di panico e confusione gli trapanò le tempie, Finlandia lo sentì stridere, la vista divenne rossa, le gambe molli e cedevoli.

Era davanti a Germania e Prussia. Russia non lo sapeva. Doveva andarsene.

Germania tese una mano verso di lui, il suo sguardo rimase di pietra. “Finlandia, fermo.” Si spostò dalla parete, raggiunse l’orlo del tavolo che li separava, e guardò Finlandia negli occhi, senza ostilità. “Non avere paura, non vogliamo farti del male.” Rivolse lo sguardo anche a Svezia e sollevò le sopracciglia. “Né a te né a lui.”

Senza che Finlandia se ne accorgesse, Svezia lanciò a Germania una profonda e buia occhiata di disprezzo che avrebbe potuto congelare anche il cuore di Russia.

Alle loro spalle, la porta si chiuse – crack! – sigillandoli nella camera incavata nel cemento.

Altri tremiti di freddo e di paura entrarono sotto la carne di Finlandia, gli scossero le ossa già attanagliate dall’umidità che impregnava le pareti sotterranee, e gli fecero battere i denti.  “Come...” Finlandia scivolò di un altro passo all’indietro, si sentì diventare gelido e pallido in viso, gli occhi gonfi di paura saettarono più volte da Germania a Prussia, da Prussia a Germania. “Cosa...” Strinse la mano ancora chiusa attorno a quella di Svezia e portò indietro anche quell’altra, si aggrappò alla sua manica. “Quando...” La bocca tornò secca, la lingua parve fatta di pergamena, le parole si incastrarono in gola, i pensieri divennero un vischioso turbine nero di confusione e paura.

Se Russia lo avesse scoperto, se Russia lo avesse scoperto, se Russia lo avesse scoperto...

Germania socchiuse le palpebre, la penombra della camera delineò un profilo più morbido attorno al suo viso. “Puoi rilassarti.” Incrociò le braccia al petto e fece un passo attraverso il muro, dietro il tavolo che li separava. Lanciò di nuovo uno sguardo a Svezia, ignorando quegli occhi di ghiaccio, forse ancora più dei suoi. “Se Svezia ha accettato di portarti qui da noi, significa che sa che non ti succederà nulla di male.”

Finlandia sobbalzò. “Sve?” Sollevò di colpo gli occhi, e Svezia gettò il viso lontano. Una prima sbavatura di colpevolezza incrinò la sua aria austera, fece tremare la mano stretta a quella di Finlandia. Finlandia restò a bocca socchiusa, ancora più confuso e smarrito, e non seppe cosa dire.

“Tuo marito ha fatto da tramite,” intervenne Prussia, scollandosi dall’angolo della camera, “gli abbiamo chiesto noi di portarti qua.” Si avvicinò allo spigolo del tavolo e vi saltò sopra con un balzo, sedendosi. Accavallò le gambe e annodò le braccia al petto, fece dondolare un piede. “Non potevamo contattare te senza il rischio che Madre Russia ci scoprisse, dato che sei un territorio condiviso,” indicò Svezia con un gesto del capo, “e ci siamo rivolti a lui in modo che ti...” Snodò una mano dall’intreccio e mulinò il polso. Gli rivolse un’occhiata ammiccante. “Informasse in via privata.”

Svezia schiacciò sul fianco il pugno libero. Dentro la sua giacca, sentì la busta involucrata di giallo ricominciare a pulsare e a diventare bollente, quasi fosse scoppiata a ridere di lui.

“Ma dobbiamo sbrigarci,” disse Prussia, spolverandosi una spallina, “dato che tu devi tornare a casuccia prima dell’alba, o finiremmo tutti in un mare di guai.”

Gli occhi di Finlandia rimasero vuoti e spaesati, l’iride diventata grigia per il buio del sotterraneo divenne lucida di spavento e di tensione, le palpebre si rifiutarono di sbattere, le labbra socchiuse divennero secche e amare. Finlandia sollevò di nuovo lo sguardo su Svezia e non riuscì a incrociarlo, gli strinse la mano ma la trovò fredda e immobile. Tornò a guardare alle sue spalle, all’entrata della camera scavata sottoterra, e si sentì mancare l’aria, come ad avere due mani gelate strette sotto la gola, ad accorciare ogni respiro e ad appesantire i polmoni.

Prima dell’alba... tornare a casa... Russia non deve saperlo...

Prussia si accorse che il viso sbiancato di Finlandia stava diventato cinereo, quasi cianotico, e sollevò un sopracciglio. “Rilassati, Cenerentola.” Indicò Svezia con un’alzata di mento. “Finché hai la Fata Madrina a guardarti la schiena non devi preoccuparti di niente, no?”

Finlandia aprì e chiuse le labbra. “Ma per...” Tornò a guardare Germania, aggrottò la fronte e prese un breve respiro per rafforzare la voce. “Perché Russia non deve saperlo?” Guardò Prussia, e di nuovo Germania. Una minuscola briciola di rabbia si infilò nel suo cuore. “Cosa volete da me?”

Prussia voltò la coda dell’occhio verso Germania, Germania fermò lo sguardo su di lui, entrambi i loro visi rabbuiarono, le palpebre si strinsero, le iridi di Prussia sembrarono accendersi in sottili fiammelle rosse, e lui annuì.

Germania strinse le braccia che aveva incrociato al petto, prese un lungo respiro, e indicò a Finlandia una delle seggiole davanti al tavolo. “Siediti, Finlandia.”

Finlandia impietrì, incollò i piedi a terra e serrò la mano dentro quella di Svezia. “No,” disse, la voce ferma e decisa. “Prima...” Inspirò a lungo per inghiottire una boccata di coraggio, serrò il pugno libero sul petto, aggrottò la fronte per gettare ombra sugli occhi che ancora tremavano di paura, e si sforzò di tenere ferma la voce. “Prima spiegatemi cosa sta succedendo.” Anche se già la vocina di un sospetto glielo stava sussurrando dietro l’orecchio.

Germania e Prussia si scambiarono un’ultima occhiata di complicità. Senza che si dicessero nulla, Germania si avvicinò al tavolo, mettendosi di fronte a Finlandia, e sul suo viso duro comparve una ruga di rassegnazione. “Visto che abbiamo poco tempo, verrò subito al punto.” Posò entrambe le mani sul tavolo, tenne le braccia dritte, e gli occhi puntarono lo sguardo di Finlandia, lo isolarono dal buio della camera, dall’ostilità che galleggiava attorno a Svezia come una nube nera, e lo risucchiarono. “È in corso la preparazione di un piano di invasione nei confronti dell’Unione Sovietica.”

Finlandia trattenne il fiato, un silenzio sordo risucchiò i suoni nelle orecchie, gli tappò l’udito battendogli una martellata al cranio che gli fece girare la testa. La stanza ondeggiò, gli angoli delle pareti offuscarono di nero, il buio si impadronì del suo sguardo e un conato di nausea risalì le pareti dello stomaco diventato di ghiaccio.

Si accorse di essere ancora lì, in piedi, cosciente, solo quando sentì la stretta di Svezia dargli una lieve spremuta alla mano, come per risvegliarlo.

Finlandia separò le labbra, raccolse un piccolo gemito, emise un soffio strozzato. “Siete matti,” sussurrò. Il viso bianco come carta, gli occhi sconvolti come quando si era ritrovato con le ginocchia a terra e il capo prono dopo aver perso la Guerra al Nord.

Svezia non gli mollò la mano ma anche lui allontanò lo sguardo. Restrinse gli occhi, e un lampo di dolore attraversò anche la sua espressione di marmo. Dentro di sé, anche lui aveva capito tutto ancora prima di sentirlo dire da Germania.

Germania non mutò i tratti del viso. Strinse i pugni posati sul tavolo e sollevò il mento. “Attaccheremo in primavera,” disse, “in modo da sfruttare tutta la durata della stagione calda e concludere l’offensiva prima del ritorno dell’inverno.” Rivolse a Finlandia uno sguardo complice, ma il suo tono di voce non riuscì a tradire una sfumatura di minaccia.  “Il tuo supporto sarà indispensabile, considerata la tua posizione sia politica che geografica rispetto a Russia.”

Prussia annuì e sollevò un indice al soffitto, fece ondeggiare la punta del dito. “Proprio ora ci troviamo in una delle basi che faranno da quartier generale durante l’offensiva. Non è ancora conclusa, ma sarà un ottimo punto di comunicazione fra il nostro territorio e...” Ammiccò senza riuscire a contenere un mezzo sorriso appuntito. “Quello che presto diventerà un altro nostro territorio.”

“Voi non...” Finlandia guardò per terra, scosse il capo più volte, si tenne aggrappato alla mano di Svezia come per paura di precipitare sotto il pavimento. “Non potete fare sul serio. È...” Un suicidio, una pazzia, una condanna a morte, il modo più veloce per far finire in cenere metà Europa e gettare nel caos il mondo intero. “È...” Tornò l’ondata di capogiro. Finlandia oscillò e urtò il braccio di Svezia con la spalla.

Svezia lo sorresse, gli toccò il braccio con la mano libera, quella che non reggeva la sua, e spostò gli occhi su una delle sedie, facendogli anche lui cenno di sedersi. Finlandia si aggrappò allo sguardo rassicurante di Svezia, sentì soffiare via la nebbia di confusione che gli aveva riempito la testa, e il viso tornò tiepido, il cuore riprese a battere regolare, il sangue circolò fino alle punte delle dita, gli trasmise una piacevole sensazione di forza e coraggio.

Finlandia annuì. Si slegò dalla stretta di Svezia e fece un passo avanti, raccolse una delle seggiole e si mise composto, ma le gambe e la voce tremavano ancora.

Si sforzò di tenere calmo il tono, freddo come quello che aveva sentito uscire dalla bocca di Germania. “Un punto di comunicazione?” Strinse i pugni sulle cosce, tenne le spalle dritte e larghe davanti a Germania, anche se faceva male, e lo guardò negli occhi. Percepiva la rassicurante presenza di Svezia alle sue spalle come una coppia di ali avvolte attorno a lui, a proteggerlo. “Fra voi e Russia?” domandò. “Ma allora cosa posso c’entrare io con voi o...” Respira. Calmati. “O con i vostri piani?”

Germania fece scivolare le mani giù dal tavolo, raccolse anche lui lo schienale di una sedia. “Tu sei un territorio in bilico, Finlandia.” Si sedette anche lui, intrecciò le mani sul tavolo, lo sguardo alto rivolto a quello di Finlandia. “Due potenze come noi e Russia che condividono un potere così grande nelle loro mani saranno sempre in una pace apparente, ma non potrà durare per sempre. Noi dobbiamo attaccare Russia e conquistarlo prima che possa essere lui a farlo con noi.”

Finlandia aggrottò leggermente la fronte, si pizzicò l’interno del labbro inferiore. Una strana e bruciante sensazione gli formicolò nel petto.

“Noi possiamo ridarti la tua libertà, Finlandia,” continuò Germania. Strinse le dita intrecciate, la pelle divenne bianca. I profondi e scuri occhi azzurri gli parlarono direttamente all’anima. “Se tu collaborassi con noi, saresti sotto la nostra protezione, e a quel punto io potrei renderti nuovamente indipendente e non più un pezzo di territorio sfruttato per una guerra che non ti appartiene.”

Finlandia prese un faticoso respiro ma tenne gli occhi alti e lo sguardo duro. “Quindi...” Strinse più forte i pugni posati sulle gambe, voltò la guancia. “Dovrei tradire Russia?” Una punta di disdegno si infilò nella sua voce. “Dovrei tradirlo attaccandolo alle spalle?”

Prussia contenne una risata sogghignante. “Pft,” sbuffò facendo rimbalzare le spalle. “Tradire.” Sciolse un braccio dall’intreccio sul petto e sventolò l’indice verso Finlandia. “Tu non sei un suo alleato,” gli disse con quel mezzo sorriso di scherno sempre lì, “sei un suo prigioniero.”

Finlandia indurì il tono. “Non sono nemmeno un vostro alleato, se è per questo.” Si posò una mano sul petto. “Sono un prigioniero di Russia tanto quanto lo sarei di voi se decidessi di passare completamente dalla vostra parte.”

Prussia fece roteare gli occhi al cielo e sventolò la mano. “Oh, andiamo.” Saltò giù dal tavolo, si rivolse a Finlandia e aprì le braccia, gli mostrò i palmi stringendosi nelle spalle. “Non vuoi riprendere in mano la tua libertà?” Si spinse un pollice sul petto, sotto la croce di ferro. “Noi possiamo dartene l’occasione,” rivolse il pollice alla parete, “al contrario del bell’imbusto che ti terrà incollato come un’ostrica per l’eternità.”

Finlandia sollevò le spalle, si spinse verso Prussia. “Lo farei,” ribatté, “lo farei lo stesso. Lottando.” Il suo sguardo severo ma ancora scosso tornò su Germania. “E non saltando alle spalle di qualcuno che sta comunque provvedendo a me e che sarebbe disposto a proteggermi.” La mano che aveva ancora sul petto strinse, raccolse un battito del cuore. “Anche se mi ha portato via dalla mia casa.”

Germania sospirò. “Lo farebbe come tuo proprietario,” specificò, “non come qualcuno che vuole davvero il tuo bene.”

Negli occhi di Finlandia si accese una scintilla. “E voi lo fareste per il mio bene?”

Germania inarcò un sopracciglio, Prussia imbronciò un angolo della bocca storcendo il sorriso, ed entrambi si scambiarono un’occhiata fulminea. Nessuno rispose.

Finlandia prese un respiro più breve ma parte del peso che gravava sul cuore si era sciolto, lasciò spazio a una leggera e più calda sensazione di sicurezza e determinazione. Strizzò di nuovo le mani sulle cosce, immaginandosi di reggere la situazione fra le sue dita come un paio di redini. “Non so cosa speriate di ottenere in cambio da me,” disse, la voce calma ma forte, “ma...” Guardò di nuovo Germania negli occhi, gli parlò a cuor sincero. “Attaccare Russia è pericoloso e...”

Attaccare Russia. Buttarsi contro Russia puntandogli le armi alla testa. Rischiare che Russia si rivolti come un cane a cui hanno tirato la coda. Rischiare di finire sotto la sua morsa, di restare schiacciati fra le sue mani d’acciaio, di vedere l’Europa rasa al suolo dalla sua rabbia, di finire ingoiati dalla sua sete di vendetta.

Finlandia deglutì a vuoto, ma il groppo in gola rimase, gli rese di nuovo la bocca asciutta come se avesse ingollato segatura. Un brivido viscido e colloso si arrampicò attraverso la pelle della schiena, simile alla sensazione di un rivolo di sangue che gocciola da una ferita aperta.

“Qual è il vostro vero obiettivo?” domandò Finlandia. Lo sguardo buio e ancora scosso divenne uno sguardo inquisitorio, gli occhi bassi studiarono prima Germania e poi Prussia. “A cosa puntate per spingervi così lontano?”

Prussia e Germania si guardarono ancora, assottigliarono le palpebre, Prussia inarcò le sopracciglia e tamburellò le dita strette agli avambracci incrociati, trattenne un sospiro.

Germania raddrizzò le spalle e i suoi occhi calarono nel buio. La voce profonda. “Questo te lo diremo solo nel caso tu accettassi la nostra proposta.”

Finlandia gettò il viso a terra. “Io...” I pugni sulle cosce ripresero a tremare assieme alle spalle e alle braccia. Finlandia si morse un labbro, il cuore martellò facendolo sudare freddo, il respiro accelerò facendogli vibrare le labbra e strozzandogli la voce. “Io...” D’impulso, senza pensarci, voltò lo sguardo e cercò il viso di Svezia dietro di lui.

Incrociò quegli occhi così calmi, sentì la sensazione rassicurante avvolgerlo e sorreggerlo come un braccio attorno alle spalle, e percepì un’ondata bruciante annaffiargli il viso, fargli salire una voglia di pianto a pizzicare negli occhi e in fondo alla gola.

Finlandia flesse le sopracciglia in un’espressione di dolore e di dubbio. Cosa faccio?

“Non guardare tuo marito,” intervenne Prussia, “guarda noi.”

Finlandia tornò a girarsi, si ritrovò davanti ai taglienti occhi rossi di Prussia che lo squadravano dall’alto.

“Questa è una decisione tua,” Prussia scoccò un’occhiata di astio a Svezia, lo fissò di traverso, “lui non c’entra.”

Svezia ricambiò, ghiacciandolo con gli occhi, ma stette zitto.

Un pugno di offesa gli strinse il cuore, Finlandia imbronciò il viso sentendo tornare una spintarella di coraggio, come una pacca sulla schiena.

Loro hanno accettato di lasciarmi in bilico fra loro e Russia...

Una secchiata di realizzazione gli ghiacciò il sangue, il labbro inferiore stretto fra gli incisivi fremette, scosso dai brividi di rabbia che gli attraversarono la carne.

Lo hanno fatto proprio perché sapevano che saremmo arrivati a questo punto! Proprio perché già speravano di manipolarmi contro Russia.

Finlandia sollevò un sopracciglio, l’espressione si congelò in un’ultima piega di dubbio che gli pizzicò la pancia, gli fece portare una nocca fra le labbra.

Ma come potevano sapere che io avrei accettato?

“Cosa mi state nascondendo?” Si avvicinò di più al tavolo, aprì un braccio e mostrò un palmo che ancora tremava leggermente. Ma la sua voce suonò dura e sicura. “Mi avete già rivelato le vostre intenzioni di attaccare Russia, senza nemmeno sapere se avrei accettato, pur sapendo che vivo assieme a lui e che potrei rivelargli tutto quello che avete in mente di...” La risposta arrivò da sola. Giunse come lo sparo di un proiettile che esplode nel cranio.

Finlandia impallidì di colpo, sgranò le palpebre, gli occhi si restrinsero, tremarono di panico, le labbra ancora socchiuse rimasero mute, un sibilo attraversò la bocca e morì risucchiato in fondo alla gola.

Il cuore cadde ai suoi piedi, ne udì il tonfo sordo, un laccio di paura gli stritolò lo stomaco facendo di nuovo salire il sapore della bile a riempirgli le guance.

Finlandia capì tutto. Rimase ghiacciato sulla sedia come se gli avessero scaricato una scossa elettrica lungo la schiena, come se fosse rimasto secco sul colpo.

Prussia sollevò un sopracciglio. “Hai già capito da solo, vero?” disse con una punta di soddisfazione.

Un primo sospiro di terrore scivolò fra le labbra di Finlandia, lo fece diventare grigio sulle guance, gli occhi annacquati si smarrirono in un baratro vuoto e buio.

Finlandia premette entrambe le mani sulla bocca, trattenne un vagito di dolore e panico, flesse le spalle in avanti, torcendosi, e il pianto sgorgato direttamente dal cuore rimase in bilico fra le palpebre nere e gonfie. Svezia gli posò una mano sulla spalla, gliela strinse, ma Finlandia non la notò nemmeno.

Germania rimase freddo come un blocco di pietra, tenne le mani intrecciate sul tavolo e lo squadrò con un’occhiata di ammonimento. “Se dalla tua bocca uscirà anche solo una parola di quello che è successo questa notte e di quello che ti abbiamo detto,” un lampo di crudeltà attraversò il riflesso dei suoi occhi, “Norvegia e Danimarca saranno i primi a pagare per causa tua.”

Finlandia guaì di nuovo sotto le dita premute sulla bocca. Scosse il capo, scacciò via quell’ipotesi, e le lacrime ballarono dentro gli occhi spalancati dal terrore, ma senza scivolare sulle guance.

Germania rivolse lo sguardo a Svezia. “Cosa credi abbia spinto Svezia ad accettare la nostra chiamata, altrimenti?”

Svezia serrò a pugno la mano che non aveva posato sulla spalla di Finlandia, la schiacciò contro il fianco, e un grumo di rabbia si annodò dentro il suo petto, gli fece diventare il viso nero, gli occhi lividi di odio.

Finlandia ingollò un respiro profondo, fece scivolare le mani dalla bocca, la voce soffocata dal dolore suonò fioca e tremante. “Non potete.” Scosse il capo, sollevò una mano e la premette contro un occhio, anche se non piangeva. “Non potete farlo,” ripeté più forte. “Dan e Nor sono vostri alleati, sono...” Respirò a fatica, poggiò un braccio contro il tavolo e spinse le spalle in avanti, ma gli occhi rimasero bassi e bui. “Sono territori che vi appartengono e non potete...” Tirò su lo sguardo. Bruciava di odio come quello di Svezia. “Non potete fargli del male, ne risentireste anche voi.”

Germania sollevò un sopracciglio, impassibile. “Cos’è più pericoloso, secondo te?” Aprì una mano verso la parete. “Annichilire due territori ausiliari, o rischiare di essere distrutti dall’intera Unione Sovietica?”

Un’altra ondata di panico gli aggredì il cuore e la testa. La voglia di piangere crebbe come una marea, gli riempì gli occhi, incendiò le guance, e gli fece sentire un viscido sapore di sale fra le guance.

La mano di Svezia continuava a stringergli la spalla. Gli massaggiò la scapola, tornò su, strisciò verso l’osso della clavicola, e spremette di nuovo scivolando all’indietro, in quelle piccole spintarelle di coraggio. Sono qui, sembrava dirgli. Sono qui con te.

Finlandia raccolse la forza e l’energia di sollevare una mano e di posarla sopra quella di Svezia. La sentì calda sotto la sua che era un pezzo di ghiaccio. “Quindi...” Strinse leggermente le dita, gli occhi rimasero coperti dalla penombra della frangia. “La vostra non è una richiesta,” inspirò piano, “è un ricatto.” Stropicciò le sopracciglia in un’espressione di sprezzo e amarezza, la rivolse sia a Prussia che a Germania. “Mi avete chiamato qui, già sapendo quale sarebbe dovuta essere la mia risposta.”

Prussia sbuffò, alzò gli occhi al cielo e calpestò un passo di lato, mettendosi di profilo, lo sguardo al soffitto. Germania non cedette, resse lo sguardo di Finlandia come se stesse raccogliendo una sfida.

Finlandia voltò la guancia, lo guardò di sbieco, gli tremarono le labbra. “Voi...” Un sentimento di indignazione gli fluì attraverso il sangue, gli fece accapponare la pelle e tremare i pugni. Le parole passarono attraverso la bocca come bile. “Voi siete uguali a Russia. Voi due...” Si strinse una mano sul petto, dove il peso della prigionia diventava più denso e stretto. Un intreccio di filo spinato incarnato nei muscoli. “Voi due venite da me dicendomi che volete attaccare Russia per evitare che sia lui a fare la stessa cosa con voi, fingendo di stare agendo anche per il mio bene o quello della mia famiglia, quando in realtà vi importa solo di voi stessi.” Finlandia tirò più su le spalle e mostrò il viso in luce, ma gli occhi erano ancora bui, bordati dall’ombra delle palpebre infossate. “Russia...” Il ricordo della mano gelata di Russia sulla sua testa, del soffio del suo respiro nell’orecchio e delle sue labbra inarcate nel dolce sorriso di minaccia incrinarono la tensione sul suo viso. Finlandia dovette respirare di nuovo per farsi coraggio e far affluire il sangue alla testa. “Russia potrebbe anche essere avido e possessivo nella vostra stessa maniera,” disse, “ma almeno è onesto con se stesso e con quello che vuole ottenere.” Aprì la mano che aveva stretto sul petto, la fece scivolare lungo il busto. “Ed è onesto anche davanti a me,” abbassò la voce, “anche se in maniera crudele.”

Prussia storse un angolo della bocca, Germania chinò la fronte ma il suo viso rimase rigido, quasi capisse.

“Ma noi siamo onesti,” disse Germania. “E questo non è un ricatto.” Sciolse una mano dall’intreccio di dita e volse il palmo a Finlandia, un gesto d’invito. “Tu hai una scelta, Finlandia. Se tu andassi ad avvertire Russia, sempre ammesso che ti creda, avresti l’occasione di fermare questo attacco ancora prima che possa iniziare.” Il suo sguardo si incupì, gli occhi tornarono a luccicare di minaccia, di sfida. “Se Russia si merita il potere più di noi, stando a come dici tu, dovrebbe essere una scelta vantaggiosa.”

Prussia fece spallucce, le mani aperte, e un mezzo ghigno a piegargli le labbra. “Norvegia e Danimarca finirebbero nei guai ma, ehi,” ridacchiò, “cosa sono due nazioni in confronto all’intero pianeta?”

Finlandia aprì la bocca per ribattere, sentendo le labbra infiammarsi di sdegno, travolte dalla fiammata sgorgata dal cuore, ma Prussia si portò davanti a lui, si mise di fianco a Germania.

“Anzi.” Piegò anche lui le spalle in avanti e premette le mani sul tavolo. “Sono sicuro che entrambi vorrebbero che tu pensassi solo alla tua condizione.” Accennò un punto fuori dalla camera sotterranea e ammiccò con le sopracciglia. “Non è quello che è successo lo scorso inverno al Nord?”

Svezia fece scivolare la mano dalla spalla di Finlandia, chiuse anche quel pugno sul fianco, il braccio tremò, in viso divenne così nero e freddo che gli occhi si trasformarono in sottili lame di ghiaccio. Finlandia gli toccò il braccio, il suo palmo scivolò verso il basso, gli avvolse il polso e gli diede due soffici colpetti per calmarlo. Lo guardò in viso e scosse il capo, lo fece rimanere in disparte. Il volto di Svezia tornò a distendersi.

Le dita scesero dall’avambraccio di Svezia, Finlandia le raccolse sul petto, intrecciò le punte e fece ticchettare le unghie con movimenti timidi e nervosi. “Posso...” Si avvicinò di più al tavolo, tirando la seggiola con i piedi, e rimase a occhi bassi, con aria colpevole. “Posso farvi una domanda?” mormorò.

Prussia e Germania si guardarono. Un’occhiata scettica e fulminea.

Finlandia guadagnò un respiro profondo. “Voi cosa...”

Si ritrovò di nuovo sotto gli alberi, all’ombra del cielo annuvolato, fra i vortici di vento ghiacciato, i piedi scavare la via in mezzo alla neve, Hanatamago raccolta fra le braccia e la presenza di Bulgaria a camminargli affianco.

“Se tu un giorno dovessi scegliere fra il tuo paese e quelli che ami,” ripeté la voce di Bulgaria, tornandolo a guardare con quegli occhi sconfortati, bui come il cielo gonfio di nubi cineree, “da che parte decideresti di stare?”

Finlandia sollevò quegli occhi già stanchi e sciupati, la luce racchiusa fra le palpebre traballò di tristezza. “Voi cosa fareste al posto mio?” domandò. “Rispondetemi...” Strinse di più le mani al petto, si chiuse nelle spalle. “Rispondetemi sinceramente,” guaì.

Quelle parole entrarono dentro a entrambi, Prussia voltò lo sguardo, lo tenne distante da Germania e si grattò la nuca, una lievissima espressione di dubbio e di conflitto a corrugargli la fronte.

Germania chinò gli occhi sul tavolo, intrecciò le dita davanti al viso, lo sguardo si estraniò per un istante. “Io prenderei in considerazione ciò che è meglio per il mio paese.” Si spostò leggermente e, nel muovere il petto e le spalle, fece luccicare un braccio della croce di ferro. “È vero, noi nazioni possediamo sentimenti simili a quelli degli esseri umani,” scosse il capo, “ma ci sono momenti in cui vanno accantonati per ricordarci quale sia la nostra vera natura.”

Finlandia strinse i denti, fece stridere lo smalto, e soppresse la voglia di piangere che era tornata a inondargli gli occhi. “Non è vero,” stridette. Si tappò gli occhi e scosse la testa. “Non è vero, se...” Gettò le mani via dal viso e le spinse contro il petto, sporse le spalle in avanti. “Se noi possediamo questi sentimenti è proprio perché dobbiamo prendere decisioni del genere ascoltando anche la nostra parte umana oltre che quella da nazione.”

Prussia fece di nuovo spallucce. “Allora vedila così.” Tenne una mano sul tavolo e girò attorno allo spigolo, si portò più vicino a Finlandia e chinò le spalle. Lo fronteggiò ignorando la cupa ombra di Svezia che era calata su di lui. “Aiutaci con l’attacco,” tese l’indice tenendo premuta la punta sul banco, lo tamburellò, “passa definitivamente dalla nostra parte, e potrai anche ritornare affianco a Norvegia e Danimarca.”

Finlandia sbarrò gli occhi, rimase pietrificato, il cuore silenzioso.

Prussia fece scivolare l’indice e lo rivolse lontano, alla parete. “Sconfiggiamo Russia, ci impadroniamo dell’intera Europa prima di un intervento di America, e potremo sconfiggere definitivamente anche Inghilterra.” Si spolverò le mani come per ripulirsi da una pellicola di lerciume rimasta incollata alla pelle. “Con Inghilterra raso al suolo,” sollevò un sorriso da furbo, crudele, “sarà uno scherzo riprenderci anche Islanda.”

Un’altra botta al cuore. Finlandia dovette aggrapparsi al tavolo per non sentirsi cadere all’indietro.

“Se invece decidessi di andare a fare la spia,” continuò Prussia, “non solo metteresti in pericolo Danimarca e Norvegia, ma rischieresti anche di trovarti a combattere contro di loro.” Un’altra scrollata di spalle, e il sorriso si incupì, divenne una crepa di indifferenza fra le labbra. “Ammesso che siano ancora in grado di tenersi in piedi con le loro gambe.”

Un dardo di dolore gli trafisse il cuore.

Finlandia fissò la sua ombra riflessa lungo il tavolo. Ripensò alle loro ombre che aveva visto scivolare via, allontanandosi sotto i suoi occhi, alla loro unione che si era spezzata come gli anelli di una catena che viene fatta saltare in aria, ai loro sguardi chini, ai piedi trascinati, alle spalle basse, alle labbra piatte che non riuscivano più a sorridere.

Tornò a sentire le stesse parole che aveva pronunciato davanti a Russia quel giorno della riunione.

“Non voglio più vedere la mia famiglia venirmi sottratta da sotto gli occhi, senza che io possa fare nulla per impedirlo.”

Finlandia aprì e chiuse le labbra impastate di amaro. “Ma... ma loro...” Inspirò, espirò. Di nuovo sudori gelidi gli bagnarono la pelle e i vestiti, luccicarono sul viso bianco come carta. Finlandia scosse il capo. “Non me lo perdonerebbero mai.” Le dita aggrappate al tavolo stridettero, le unghie grattarono il legno e bruciarono. “Mettere in pericolo il mondo per salvare loro...”

Il mondo in fiamme e noi cinque salvi. No, non saremo mai salvi. Non è questo il mondo che voglio per noi cinque, non è questo un mondo giusto per nessuno. Ma se questa fosse la mia ultima possibilità di...

“Io...” Finlandia si premette una mano sul viso, schiuse le dita davanti a un occhio che aveva già ripreso a luccicare e a gonfiarsi. “Io ho già preso,” nascose lo sguardo e si strofinò la palpebra, l’espressione pregna di risentimento, “tante di quelle decisioni sbagliate che...” Un velo di lacrime gli appannò la vista, Finlandia se lo asciugò subito, parlò con ancora la mano accostata al viso. “Non è questo che significa essere coraggiosi.” Scosse il capo, convinto, e guardò Germania con quegli occhi gonfi di dolore e di forza. “E non è questo che Danimarca e Norvegia si aspettano da me.”

Germania fece un breve cenno del capo, come se avesse annuito. “Ho già parlato a Danimarca.” Schiuse le punte della mano sul tavolo, le fece tamburellare. “E lui è stato il primo a dirmi che non si tirerà indietro nel caso dovesse scoppiare un’ennesima battaglia.”

Finlandia sobbalzò, strinse una mano sopra il cuore. “D-Dan?” esclamò incredulo. Lo vide prono davanti a Germania, i pugni stretti a terra, il peso spinto sulle ginocchia, e la sua espressione frustrata, lacerata dal dolore e dall’odio, che non riusciva a sollevare da terra. Finlandia si posò la mano sul cuore, percepì la sua sofferenza battere anche dentro di lui.

“Visto?” fece Prussia. “Hai la tua occasione.” Poggiò il fianco al tavolo, tornò a stringere le braccia al petto, e sul suo viso comparve la prima espressione seria e adulta della serata. “Il paese è tuo, Finlandia.” Scosse il capo. “Non loro.”

Finlandia portò anche l’altra mano alla testa, si strinse il viso, le dita salirono e si intrecciarono ai capelli. Nascose la bocca tremante dietro un palmo, vide il riflesso dei suoi stessi occhi vibrare sul lucido del tavolo.

“Io non posso più lottare,” ripeté la sua voce che aveva parlato a Bulgaria quello stesso pomeriggio, “e non c’è nulla che possa fare per farci tornare tutti e cinque assieme.”

E ora invece posso. Il cuore martellò, il sangue così caldo e rapido batté sul cranio, affogò i pensieri in una nebbia di dolore, confusione e panico. O noi o il mondo? No, deve esserci un’altra soluzione, ma se anche Dan ha deciso di combattere per Germania, ma come può essere, e io cosa devo fare, e se l’avesse fatto per tenere lontano me, e come faccio con Russia, come farò a guardarmi allo specchio, io lo sto tradendo, ma devo pensare più a loro che a Russia, e non so cosa fare!

Germania guardò il soffitto, quasi si affacciasse al cielo. “Starà quasi albeggiando, ormai,” disse.

Finlandia non lo ascoltava. Stava ancora ascoltando le grida della sua testa.

“Se tornassi indietro,” domandò il ricordo di Bulgaria, con quel viso malinconico e addolorato, pentito, “rifaresti le stesse scelte?”

Finlandia aveva annuito, aveva sorriso. “Sì,” aveva detto, “solo che cercherei di essere più forte e coraggioso nel portarle a termine.”

E allora fallo! Te ne sta dando l’opportunità, codardo! Dopo tutto quello che loro quattro hanno già fatto per te...

Il loro sangue versato nella neve al Nord, le loro ombre sempre a proteggerlo, le loro mani sempre tese ad aiutarlo, le loro braccia a sorreggerlo, il loro calore che non lo abbandonava mai.

Codardo, codardo, codardo, li stai abbandonando! 

“Sbrigati a decidere, Finlandia.”

Finlandia strinse le dita sulla faccia, le labbra mugugnarono, gli occhi vacillarono, vacui e larghi come sporgenti da un teschio, e una scossa gli trafisse la testa.

Finlandia decise.

 

.

 

Quando Finlandia uscì dalla porta blindata del bunker e finì investito dall’aria ghiacciata del bosco, il colorito del suo volto era diventato cadaverico. Il viso bianco e scavato nell’osso, spesse e profonde occhiaie scure sfumavano di blu gonfiandogli le palpebre, gli occhi larghi e spaesati vagarono nel vuoto, le labbra piatte e sottili non lasciarono uscire nemmeno un sospiro, nonostante la zaffata di gelo ad aggredirgli la pelle. Finlandia oscillò, compì un altro passetto tremante sul suolo del bosco, calpestò un rametto che si spezzò in uno schiocco secco e lo fece sussultare. Un soffio di condensa si sparse nell’aria.

Due dei soldati di guardia si misero in disparte, lo lasciarono passare senza nemmeno guardarlo.

Finlandia si resse la fronte, le luci delle torce nel buio gli fecero sentire un lieve capogiro che ronzò attorno alla testa, e dovette incrociare un passo barcollante per tenersi in equilibrio.

Un braccio forte e saldo si chiuse attorno alle sue spalle, lo resse in piedi facendogli stringere le dita sulla sua giacca e posare la fronte contro il suo petto. Finlandia sollevò gli occhi, incontrò lo sguardo di Svezia a un soffio dal suo, con quell’espressione piatta ma in cui brillava una scintilla di preoccupazione. Finlandia gli batté piano un palmo sull’avambraccio, in un cenno di assenso, sollevò una fioca ombra di sorriso, le labbra tornarono subito piatte, e lui tornò a reggersi sui suoi piedi. Svezia gli rimboccò la giacca sulle spalle e dietro il collo, lo aiutò a fare un altro paio di passi in avanti.

Alle loro spalle, ancora celata nell’ombra del bunker, tornò a comparire la presenza di Germania che li fermò sulla soglia.

“Fra qualche giorno terremo una riunione anche con gli altri per discutere dei comandi della direttiva,” disse, rivolgendo lo sguardo buio solo a Finlandia. Finlandia si voltò, il suo sguardo vuoto incrociò quello ristretto di Germania che gli parlava dalla penombra. “Ti manderemo a prendere come oggi,” indicò un punto lontano con un cenno del capo, “ma tu continua ad assicurarti che Russia non sospetti di nulla.”

Finlandia voltò lo sguardo, chinò la fronte, e annuì due volte. Gesti lenti e distratti. Gli occhi spenti come biglie di vetro affacciate nel vuoto. Allungò un primo passetto lontano dall’entrata del bunker, stando avvolto nel braccio di Svezia, ma la voce di Germania tornò a fermarlo.

“Finlandia.”

Finlandia si fermò, rimase immobile, prese un respiro freddo che sapeva di bosco, e ruotò gli occhi all’indietro.

Germania gli rivolse uno sguardo diverso, ravvivato da un’espressione di sincero rispetto, di ammirazione. Annuì. “È stata la scelta giusta.”

Quella frase arrivò in un colpo al cuore, come un boccone andato di traverso. Finlandia restrinse le labbra, lo sguardo scivolò in mezzo ai piedi, li vide offuscarsi, e annuì di nuovo. “Uh, uh,” gemette, un piccolo guaito rassegnato.

Svezia gli strinse di più le spalle, lo raccolse dentro il suo gomito, tenendolo sorretto sul suo fianco e facendogli poggiare la fronte sul suo petto. Camminò assieme a lui senza mai lasciargli la mano. Prima di tornare all’auto, voltò lo sguardo verso Germania. Lo guardò con odio, con occhi neri e pesanti, l’espressione più fredda della neve del Nord, tagliente come il vento del suo paese.

Il cuore gonfio e dolorante nella consapevolezza di avere la sua parte di colpa.

 

.

 

In auto non parlarono fino a che non passarono il posto di blocco e gli ufficiali abbassarono la sbarra di contenimento dietro di loro. L’auto scivolò attraverso la strada e uscì dalla foresta, imboccò la via asfaltata e procedette sotto il cielo stellato in cui già si intravedeva una sottilissima linea più chiara, dalle sfumature violacee, che percorreva l’orizzonte.

Finlandia tenne una tempia premuta al finestrino, raccolse le mani sul grembo, chiuse le ginocchia, strinse le spalle, e quell’aria smarrita appannò gli occhi vuoti e grigi. Le palpebre gonfie e nere di stanchezza si infossarono nel viso latteo come la luna che ancora galleggiava in cielo, più bassa e ora frastagliata dal profilo delle foreste.

Le oscillazioni morbide e regolari dell’auto in corsa vibrarono attraverso il sedile contro le sue spalle e la sua schiena, entrarono fin dentro i muscoli e gli sciolsero i nervi saliti a fior di pelle. Gli occhi vuoti e spenti di Finlandia, così larghi e lucidi, riflessero l’oscurità del cielo e lo scintillio bianco della luna.

Finlandia socchiuse le labbra bianche, assottigliate dal freddo e dalla stanchezza. Ne uscì un sospiro, un soffio. “Era...”

Svezia gli rivolse lo sguardo di scatto, sollevò le sopracciglia.

Finlandia non scollò il capo dal finestrino. La testa piegata di lato in quella posa lo faceva sembrare una bambolina rotta, gettata via e abbandonata in un angolo. Allargò leggermente le palpebre che non avevano sbattuto nemmeno una volta. “Era la scelta giusta, vero?” pigolò. “Ho fatto...” Fece scivolare la tempia sul vetro, voltò lo sguardo verso Svezia stampando la guancia contro il finestrino, e i suoi occhi tremarono riflettendo la luce della notte trapuntata da stelle di ghiaccio. Forzò un sorriso stanco, distrutto. “Così potrò fare in modo che tutti...” Il labbro inferiore vibrò, vi passò un respiro singhiozzante, tutto il corpo si scosse in uno spasmo, le guance divennero ancora più bianche. Finlandia posò una mano sul finestrino, restrinse le dita, le unghie sollevarono uno stridio. “Che tutti...”

Un barlume di timore incupì il viso di Svezia ma gli ammorbidì gli occhi. L’espressione di Finlandia gli lacerò il cuore, gli fece ingoiare un grumo di fiato che gli rimase incastrato in fondo alla gola, a bloccare i battiti cardiaci.

Finlandia prese altri due sospiri dalle labbra socchiuse che si torsero lentamente verso il basso. Gli occhi si allagarono, le palpebre annerite si gonfiarono riempiendosi di brucianti lacrime che gocciolarono lungo le guance bianche senza che Finlandia se ne accorgesse. Restrinse le palpebre, inspirò fra le labbra bagnate di pianto, e stridette un lamento che avrebbe spezzato l’anima anche un sasso.

“Perché?” Due singhiozzi gli soffocarono il respiro, Finlandia piegò le spalle in avanti, intrecciò le braccia sulle ginocchia, rintanò il viso in mezzo alla piega dei gomiti e pianse ancora. La voce soffocata dalla stoffa delle maniche. “Perché non riesco a trovare il coraggio di essere forte?” Voltò la guancia rossa e bagnata di pianto. Gli occhi erano due spicchi lacrimanti che luccicarono nel buio dell’abitacolo, volarono verso lo sguardo di Svezia, gli penetrarono il cuore in una coltellata di dolore. “Perché non riesco a proteggervi tutti?” Singhiozzò ancora, si tappò il viso dietro i palmi, altri lamenti gli scossero la schiena piegata dal peso della colpa e della vergogna.

Svezia scivolò accanto a lui, gli circondò le spalle con un braccio, gli strinse una mano e gli fece poggiare il capo ancora chino sul suo petto. Vicino come quando lo teneva riparato a sé per le vie di Leningrado. Finlandia pianse ancora, si aggrappò alla sua giacca, soppresse i gemiti contro la spalla di Svezia e gli circondò il collo con le braccia. Svezia chiuse l’abbraccio attorno alla sua schiena, lo fece salire sul grembo, le ginocchia di Finlandia attorno alla sua gamba, e gli carezzò i capelli facendogli tenere la fronte sulla sua spalla. Le guance unite, i due cuori tristi e addolorati che battevano uno sull’altro, il respiro di Finlandia a singhiozzare nell’incavo del collo, e quello più morbido e caldo di Svezia a cullarlo assieme alle carezze fra i capelli.

Finlandia non smise di piangere fino al loro ritorno a Leningrado.

 

.

 

Diari di Finlandia

 

Se ripenso lucidamente a quella notte che abbiamo trascorso in auto facendo su e giù da Leningrado, ora mi verrebbe davvero da scavare una fossa e nascondermi sotto terra per la vergogna. Capisco che fossi distrutto, stanco, straziato e tutto il resto, ma piangere in quel modo e crollare fra le braccia di Sve è stato davvero imbarazzatissimo! Però sono contento che ci fosse Sve con me. Sve è speciale! Dà l’impressione di non esserci mai, siccome è così riservato e silenzioso, ma quando ne ho bisogno non serve nemmeno che gli dica qualcosa che lui è già lì per sorreggermi, abbracciarmi o anche solo ascoltarmi. Capisce in un lampo quando ho bisogno di qualcuno che mi stia vicino.

Quella notte ha sicuramente cambiato molte cose, e non solo dal punto di vista politico, della guerra, delle alleanze. Molte cose sono cambiate anche dentro di me.

È strano, quasi buffo in un certo senso, quando ancora oggi mi trovo a riflettere su come i miei sentimenti in quegli anni di guerra fossero così simili a quelli che provava anche Danimarca. Entrambi ci ritenevamo responsabili di quello che era accaduto al Nord, entrambi ci davamo la colpa per la frammentazione che aveva subito la nostra famiglia, ed entrambi continuavamo a soffrire i dolori dei rimpianti e dei rimorsi per non essere riusciti a salvaguardare il nostro legame.

Entrambi avevamo avuto la stessa idea per riscattarci, infatti: lottare e mettere a rischio noi stessi a favore di un nemico per poi non sentirci più in colpa, per poter dire: “Io ora sto facendo tutto quello che posso, le sto davvero provando tutte per farci uscire dai pasticci, persino facendo qualcosa che non avrei mai creduto possibile: sottomettersi a Germania.” Anche se credo che Danimarca abbia usato un linguaggio, uhm, un po’ più colorito per arrivare a dirgli questo.

Sappiamo tutti ormai quello che è successo e quali sono state le conseguenze dell’attacco di Germania contro Russia, ma allo stesso tempo non riesco a definirmi pentito della decisione che presi quel giorno. Ogni tanto ci penso, questo è ovvio, e ricomincio a chiedermi cosa sarebbe successo se io mi fossi rifiutato di aiutare l’Asse, e se fossi andato da Russia a rivelargli le vere intenzione del suo alleato. Probabilmente non mi avrebbe creduto, ma allo stesso tempo Germania avrebbe prestato fede alla sua minaccia e si sarebbe comunque vendicato su Dan e Nor. Quindi non avrei ottenuto niente. Dan e Nor avrebbero solo sofferto per nulla, perché comunque Russia non si sarebbe messo ai ripari per prevenire un attacco di Germania.

A quel punto, pensai davvero che fosse un attacco inevitabile. Poi ero confuso, spaventato, mi sentivo in trappola, vulnerabile, e finii per cedere.

Avevo parlato sia con Estonia che con Bulgaria dei rischi di ritrovarsi dentro a una guerra fra due potenze così grandi, e avevo mostrato a parole tutto il coraggio che credevo di possedere perché volevo realmente cambiare la situazione. Per questo anche accettai. “Hai parlato così bene davanti a tutti,” mi dicevo. “E ora che potresti davvero mettere in pratica tutti quei bei consigli vorresti tirarti indietro?” Sarebbe stato umiliante e disonesto da parte mia. E di umiliazioni ne avevo già abbastanza da sostenere sulle spalle.

Effettivamente, però, Germania mi stava offrendo ciò che Russia non mi avrebbe mai dato: un’occasione. E un’occasione era tutto quello di cui avevo bisogno per riguadagnare fiducia in me stesso, per ritrovare la forza che credevo fosse rimasta sepolta nelle nevi della Guerra al Nord.

Quindi accettai. Ovvio che accettai.

Poi cercai di vederla in tutt’altro modo, e allora mi imposi di essere più ottimista a riguardo. Cercai di ritrovare quell’entusiasmo che avevo perso dopo il disastro al Nord, giurai a me stesso che avrei combattuto con anima e corpo per riportarci insieme, e pensare a noi cinque di nuovo uniti mi aiutò molto. Mi dicevo: “Dai, Fin, torna in te e combatti! È da un anno che non hai fatto altro che piangere e covare rimorsi, ora è il momento di tornare all’azione!”

Nei mesi che seguirono cercai quindi di riguadagnare un po’ di questo ottimismo, anche se era difficile e quasi sfiancante continuare a vivere con Russia, con Estonia e con gli altri, sapendo cosa sarebbe successo a giugno. Mi sentivo male anche solo a guardarli negli occhi, e anche semplicemente salutarli mentre ci incrociavamo nel corridoio diventava difficile. Sentivo come se avessi appeso al collo un grosso cartello con scritto ‘Traditore’ e che tutti riuscissero a leggerlo ogni volta che posavano lo sguardo su di me.

Cercavo di non pensare a come Russia avrebbe reagito all’attacco, e devo ammettere che me ne vergognai. Ebbi parecchia compassione nei suoi confronti. Credo che Russia si fidasse di Germania, e attaccarlo così alle spalle... sarebbe stato come fare uno sgambetto a un bambino che corre spensierato in mezzo al prato, facendolo precipitare con la faccia sulle rocce.

Russia in realtà non ha mai smesso di farmi compassione. Comprendevo il suo desiderio di avere un legame con qualcuno, e ora conoscevo anche io il dolore di ritrovarsi da soli. Mi sembrava tutto così crudele. Io non volevo fare del male a Russia, io volevo solo tornare libero assieme alla mia famiglia.

Anche dopo... anche quando la battaglia cominciò, quella volta in cui io e lui ci siamo ritrovati faccia a faccia e... e Russia ha provato, sì, a fare del male in quella maniera sia a me che a Sve rischiando di uccidere entrambi, forse all’inizio ho esitato a reagire e non sono riuscito a combatterlo proprio perché sentivo nuovamente quei sensi di colpa impadronirsi di me, dicendomi: “Ti meriti di soffrire in questa maniera, dopo quello che gli hai fatto”. È brutto però pensare che ho lasciato accadere qualcosa di così orribile prima di riuscire a tirare fuori tutta la mia forza e dimostrare a me stesso che anche io, in fondo in fondo, sono davvero in grado di riuscire a proteggere coloro che amo. Questa guerra mi è costata tanto, è costata tanto a tutti, ma almeno non è stato un prezzo inutile.

 

.

 

N.d.A. 

 

Per chi volesse, qui – Ninna nanna e Citazione gratuita – vi ho lasciato una piccola scena tagliata in riferimento a questo capitolo. È proprio una sciocchezzuola, vi avviso. Una mini parodia che fa riferimento a un’altra fan fiction (scritta da un certo qualcuno ben più famoso di me xD) che non riuscivo a togliermi dalla testa mentre scrivevo la prima parte. L’ho inserita sotto forma di flashfic perché potrebbe essere letta, secondo me, anche da chi non segue il Miele, quindi mi dispiaceva relegarla nello spazio qua sotto dove magari anche altra gente non sarebbe andata a leggerla.

Consideratela un piccolo regalino di Natale in anticipo da parte mia (^_^). Spero sia di vostro gradimento!

 

p.s. Sia a Natale che a Capodanno gli aggiornamenti avverranno regolarmente (cadono tutti e due di domenica, quest’anno, ‘nnaggia!) Forse arriveranno un po’ più in ritardo del solito o forse li posterò durante i lunedì, ma ci saranno, quindi gli auguri ve li farò durante le prossime settimane. Per chi è già in vacanza: buon inizio delle feste! (:3)

 

p.p.s. Abbiamo ufficialmente superato il milione di parole! Ancora tre milioni e potremmo diventare la fan fiction più lunga del mondo. Che detta così ha un che di vagamente patetico... E sinceramente spero di riuscire a finirla prima (xD).

   
 
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