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Autore: MaDeSt    20/12/2016    4 recensioni
Non è necessario leggere il prologo ma è caldamente consigliato.
Sei ragazzini provenienti da un villaggio sperduto, cresciuti in un piccolo paradiso, ignoranti dell'orrore che li circonda, si ritrovano ad avere tra le mani sei uova di drago, di cui poi diventeranno amici... e la loro leggenda ha così inizio.
Dovranno salvare il mondo, ecco ciò che ci si aspetta da loro. Ma ne saranno all'altezza? Riusciranno a capire chi è il loro vero nemico prima che questo li distrugga?
[Pubblicazione interrotta. Non aggiornerò più questa storia su EFP, non aggiornerò i capitoli all'ultima versione, pubblicherò solo in privato per chi realmente è interessato a seguire la storia a causa di plagi e ispirazioni non autorizzate non tutelati a discapito del regolamento apparentemente ferreo. Trattandosi della mia unica storia, a cui lavoro da anni e a cui sono affezionata, non vale la pena rischiare. Chi fosse interessato a capire come seguire la storia troverà tutte le informazioni nelle note all'inizio dell'ultimo capitolo pubblicato. Risponderò comunque alle recensioni qualora dovessi riceverne, ma potrei accorgermene con del ritardo.]
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dargovas'
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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

OUIN

La mattina Cedric fu il primo ad alzarsi, svegliato dal dolore che ancora provava di quei violenti colpi, e decise di curiosare meglio la stanza finalmente alla luce del giorno e senza tende tirate. Lo colpì in particolare un solco poco profondo incavato in una bassa mensola, sulla quale stavano alcune boccette di diversi colori. Ne prese una e l’aprì scoprendo così che aveva un profumo sorprendentemente intenso, tanto da spingerlo a chiudere il tappo di cristallo. Sulla mensola non c’era spazio per altro, e dedusse che non si trattasse d’inchiostro ma piuttosto di oli aromatizzanti, ricavati probabilmente da alcune delle piante che il giorno precedente aveva studiato insieme a Jennifer.
Storcendo il naso ancora infastidito dall’intensità di quel profumo prese la giacca e la indossò per coprirsi mentre si dirigeva verso la sala ripensando, parecchio deluso, alla mancanza di una porta. Ma non si soffermò a lungo sulla questione perché Layla lo salutò uscendo dalla propria camera alla sinistra della sua.
Prepararono la colazione anche per gli altri più giovani, poi li aspettarono in silenzio, inginocchiati a terra al proprio posto al tavolo, che avevano scelto la sera precedente. Lei si rigirava in continuazione la collanina tra le dita sentendo la mancanza della madre, lo sguardo vago perso davanti a sé. Lui invece rifletteva chiedendosi se fosse stato un bene o un male non portarsi dietro le erbe che per anni avevano alterato il suo umore: non gli era mai piaciuto prenderle perché sapeva perfettamente che il suo benessere in realtà dipendeva da quelle e non dal fatto che lui effettivamente stesse bene; ogni volta che l’effetto svaniva stava peggio di prima, con quella consapevolezza in mente. Ma non era certo che gli altri avrebbero compreso il motivo dei suoi futuri possibili sbalzi d’umore mentre cercava di combattere la sorta di assuefazione che aveva sviluppato suo malgrado.
Susan fu la prima a unirsi a loro, seguita da Jennifer, e cominciarono a parlare di come fossero comodi i letti sebbene sotto la fodera ci fossero rami e foglie fresche distogliendo entrambi i più grandi dai propri tristi pensieri.
«Non fa né caldo né freddo anche se è quasi inverno e c’è un silenzio così piacevole!» esclamò Susan entusiasta versandosi l’acqua bollente per l’infuso; le foglie essiccate aromatizzanti per le bevande si trovavano in mezzo al tavolo ed erano già lì prima che i ragazzi abitassero la casa, in barattolini di legno con relativo coperchio su cui era inciso qualcosa che nemmeno Cedric era riuscito a leggere.
Andrew e Mike invece se la presero comoda, il primo perché proprio non ce la faceva ad alzarsi presto la mattina, il secondo perché si sentiva ancora un po’ frastornato dal lungo viaggio.
Quando ebbero finalmente finito di fare colazione andarono a chiamare i draghetti, e prima di partire scesero nelle radici per esaminare il bagno sotto casa, scoprendo così che altro non erano che stanzette prive di porta al cui centro c’erano delle specie di fori che scendevano molto in profondità.
«Non c’è nemmeno un secchio per lavarsi!» commentò Jennifer infastidita.
Si fecero accompagnare dai draghetti in città verso l’albero bianco di Tygra in tarda mattinata. Sperarono che fosse già sveglia e disposta ad accompagnarli da colui che avrebbe insegnato loro a gestire la magia senza usarla; quello l’avrebbero imparato a Eunev.
Sulla strada s’imbatterono in uno dei bagni costruiti attorno a una sorgente e decisero di entrarvi uno alla volta, sebbene i posti fossero una ventina, per non recare disturbo o imbarazzo a ognuno degli altri. Quei bagni essendo costruiti sulle sorgenti offrivano diverse possibilità di lavarsi, a eccezione della vasca da bagno.
Susan commentò di non trovare comodo doversi addentrare nella città per potersi anche solo lavare le mani, ricevendo l’approvazione degli altri che ritenevano pressoché inutile la presenza di un bagno sotto casa loro se non vi era possibilità di sciacquarsi senza portarvi personalmente un catino o una bacinella.
Dovrete abitare qui solo un mese o poco meno, fatevelo andare bene disse loro Rubia in una strana imitazione di un umano che girava gli occhi esprimendo fastidio.
«In un mese ci dovremo lavare, prima o poi!» esclamò Jennifer irritata a sua volta dalla noncuranza con cui la piccola dragonessa stava affrontando una questione per loro delicata.
Beh gli elfi sono abituati così, non faranno eccezioni solo per voi per un solo mese ribatté Rubia.
Per fortuna arrivarono all’albero di Tygra, dove la Ninfa già li aspettava, prima che Jennifer potesse ribattere di nuovo. Li salutò e, a proposito di saluti, Cedric le domandò quali fossero le parole elfiche usate per salutare, così che avrebbero potuto usarle.
«Ci sono quattro diversi modi di salutare.» rispose lei indicando loro la via perché s’incamminassero «Un saluto formale da usare se ci si trova di fronte a qualcuno di rango più alto; un saluto informale da usare se ci si trova di fronte a qualcuno di rango pari o inferiore; e due saluti neutri, da usare uno la sera e uno il resto della giornata. Rispettivamente sono: niryastare; nirya; elengleyn; e awidyn.»
I ragazzi, rimasi sconvolti dalla complessità che la lingua elfica presentava anche solo per un banale saluto, decisero di provare a pronunciarli perfino imitando con braccia e mani i relativi gesti che la Ninfa mostrò loro per gran parte della durata del viaggio; Tygra sembrava non stancarsi mai di correggerli quando sbagliavano gesto e soprattutto ripetergli le stesse quattro parole fino alla nausea, anche lentamente in modo da rendere meglio udibile la pronuncia.

Tygra li condusse verso un edificio di pietra argentea venata di verde, più si avvicinavano più il sentiero serpeggiante per raggiungere la porta era delimitato da colorati fiori dal profumo inebriante alti oltre tre piedi e piccole rocce candide. Qui e là spuntavano dei funghi luminosi di piccole dimensioni, che forse servivano a illuminare il sentiero di notte.
Jennifer perse il malumore di poco prima e saltellò girando su se stessa con allegria, circondata da tutte quelle piante che sua madre avrebbe pagato per vedere.
Sulphane pareva l’unica tra i draghetti a non essere infastidita dal profumo pungente, anzi si strusciava sui fiori catturando il loro polline con la criniera sul collo ancora piuttosto corta e spelacchiata.
La Ninfa aprì loro la porta introducendoli nel nuovo ambiente con un elegante gesto del braccio, facendo svolazzare il velo azzurro, e sorrise ricordandogli i saluti che gli aveva insegnato poco prima. Quindi entrarono in un edificio che pareva essere più un porticato aperto su un grande cortile circolare piuttosto che una vera e propria stanza. Al centro del cortile c’era un solo albero dalla corteccia marrone e le foglie verdi, ma vi erano diverse piante in aiuole delimitate da sassi bianchi.
C’erano otto giovani elfi al momento sparsi per la struttura e un elfo adulto; tutti si stavano facendo gli affari propri, ma cessarono ogni attività al loro ingresso, guardando i draghi più che i ragazzi. L’elfo adulto venne loro incontro con un sorriso incoraggiante, mentre i giovani apprendisti si avvicinavano circospetti e incuriositi pur mantenendo una distanza di sicurezza pari a minimo dieci braccia.
Il maestro, dai capelli argentati e la pelle di un blu pallido, indossava una semplice casacca gialla stretta in vita da una cintura, aveva ampie maniche e spacchi su entrambi i fianchi, e sui bordi aveva delicate decorazioni floreali di colore verde. Non indossava calzature ai piedi, ma le gambe erano coperte da braghe di uno strano tessuto marrone. I suoi occhi avevano iride bianca, incorniciata da una sottile linea blu, e pupilla nera.
Allargò le braccia e si presentò: «Nirya, Amici dei Draghi. Il mio nome è Ouin, e ho l’incarico di iniziarvi al controllo e all’uso della magia.»
Layla piegò il capo e si esibì in una timida riverenza: «Niryastare Maestro Ouin, il mio nome è Layla e ti ringrazio per la tua gentilezza.» diede una rapida occhiata alla dragonessa viola e decise di presentare anche la creatura: «Lei è Ametyst, la mia amica dragonessa.»
Ouin s’inchinò dinanzi ad Ametyst sussurrando qualche parola in elfico, poi si rialzò e ascoltò pazientemente le presentazioni di tutti gli altri. Infine fece lui il primo passo, percependo la timidezza e l’imbarazzo dei giovani umani; si avviò verso il cortile facendo cenno di seguirlo e loro obbedirono, coi draghetti al seguito che fissavano gli altri giovani apprendisti con velata diffidenza.
Si fermò davanti a un basso tavolo e si sedette sull’erba a gambe incrociate prendendo posto, i ragazzi fecero lo stesso, e dopo poco Ouin chiuse gli occhi e parlò con voce pacata dei principi alla base di tutta la Magia, di come secondo diverse credenze fosse nata insieme ai Draghi e facesse parte di essi. Si rivolse anche e soprattutto ai draghetti, spiegando loro che genere di creature probabilmente sarebbero senza la presenza della Magia; non in grado di sputare fuoco, né di controllare gli elementi a loro piacere, e nemmeno di pensare e quindi comunicare in ogni lingua che apprendessero. Disse persino che probabilmente non sarebbero in grado di volare, dal momento che era possibile che i draghi adulti di notevoli dimensioni sfruttassero inconsciamente la Magia per controllare l’aria attorno a loro e permettergli di sollevare il loro peso.
I piccoli draghi non gli aprirono la mente e non fecero domande, quindi lui proseguì e tornò a rivolgersi ai ragazzi spiegando loro come funzionava la Magia e perché rischiassero addirittura la vita senza apprendere come controllarla. I Gatti Ferali già l’avevano accennato, ma Ouin spiegò loro nel dettaglio come la Magia aveva bisogno di una determinata quantità delle loro energie per funzionare: offriva loro un immenso potere, ma esigeva qualcosa in cambio; si trattava sostanzialmente di uno scambio reciproco di energie per mantenere l’equilibrio del Mondo senza che nessuna delle due parti, mago e magia, spendessero senza ricevere. Per questo, in base a ciò che volevano la Magia facesse per loro, perdevano le energie necessarie a sostenere l’incantesimo.
Layla era perplessa e domandò timidamente: «Posso fare una domanda, Maestro?»
Ouin le sorrise e le rispose col suo strano accento: «Sono qui per questo. Poni la tua domanda.»
«Mi chiedevo se... se la Magia richiede una certa quantità di energie, come possiamo fare più di un incantesimo senza rischiare la vita?»
«Una domanda interessante. Ma non è un problema che si protrae a lungo, in quanto il tempo è la soluzione. Più tempo dedicherete all’apprendimento e all’uso della Magia, più rapidamente sarete in grado di controllarla. E in maggiori quantità. Vedete, il vostro essere deve abituarsi gradualmente alla presenza di un tale potere, e ancor più tempo ci vuole perché lo possa controllare.»
«Quindi i maghi esperti possono controllare un’infinita quantità di Magia?» domandò Andrew.
«Non è esatto. Gli esseri come noi, che vivono con la Magia ma potrebbero vivere anche senza di essa, non possono controllarne infinite quantità. Notevoli sì, non c’è alcun dubbio. Ma siamo limitati.»
«I Draghi invece? Non potrebbero vivere senza Magia, o perlomeno non sarebbero i Draghi che noi conosciamo.» disse Mike.
«I Draghi sono la Magia. Scorre nei loro corpi dal momento in cui la madre depone l’uovo. I Draghi sono la manifestazione vivente della Magia stessa. Quindi sì, un drago esperto nel controllo della Magia può potenzialmente usufruire di una quantità infinita. Dipende dalla forza della creatura e dalla quantità di Magia che il suo corpo è in grado d’incanalare.»
Umbreon si lasciò sfuggire un ringhio vittorioso catturando tutti gli sguardi, anche quelli dei giovani elfi lontani, e facendo sorridere Andrew.
«Non esistono altre creature in grado di farlo?» domandò Susan.
«Non creature viventi. Ma è giunta voce di questa razza recentemente arrivata a Dargovas, e pare sia stata anch’essa creata dalla Magia. Una magia differente, capace di uccidere l’anima ma non il corpo, e quindi in grado di far vivere qualcuno pur se quel qualcuno in realtà non è vivo. Non-morti li chiamano, e credo che per questo siano legati alla Magia allo stesso modo dei Draghi; non potrebbero vivere senza essa nei loro corpi.»
I ragazzi rimasero atterriti e a bocca aperta, e Jennifer esclamò: «Non-morti?! Ma com’è possibile vivere essendo morti?»
«Grazie alla Magia ha detto.» le rispose Andrew.
«Sì ma... come? È contro natura!»
Ouin scosse la testa desolato: «Non si conoscono le ragioni, e io non ho mai personalmente incontrato uno di loro. Pertanto non spetta a me giudicare.»
«E noi invece, che siamo legati a dei Draghi... cambia qualcosa al nostro modo di controllare e usare la Magia?» domandò Layla.
«Qualcosa sicuramente, dal momento che siete qui.» sorrise l’elfo «La Magia scorre nei Draghi, e scorre ora in voi perché legati a loro. Potrebbe sì esservi più facile imparare a controllarla e permettervi di incanalarne maggiori quantità rispetto a un vostro simile di pari potere. Credo possiate sfruttare le energie dei vostri amici draghi come se fossero le vostre. Col tempo.»
Mike si lasciò sfuggire un verso di entusiasmo e lanciò una rapida occhiata a Zaffir, poi cercò di tornare tranquillo e l’elfo riprese la sua lezione. Si limitarono ad ascoltarlo parlare per tutta la giornata, Ouin voleva essere sicuro che gli fosse ben chiaro il funzionamento della Magia e il legame che avevano con essa prima di passare alla pratica.
Li lasciò andare nel tardo pomeriggio e gli disse di tornare la mattina seguente. Se ne andarono seguiti dai draghetti e dagli sguardi torvi dei giovani elfi che talvolta giocavano con la magia come se fosse una cosa naturale, per fargli invidia. Jennifer e Mike furono gli unici a prendersela e mantennero il broncio finché furono fuori.
Nell’aria aleggiavano diversi aromi, tra i quali l’odore di cibo, e i ragazzi si dissero di dover presto andare al mercato a prendere provviste se non volevano consumare quelle che si erano portati da Darvil.
Decisero di andarci la sera stessa giusto per vedere almeno come funzionava la compravendita dei beni e rimasero estremamente colpiti dal fatto che nessun oggetto era in vendita, ma piuttosto offerto. Gli venne spiegato che la razza elfica non disponeva di monete d’oro da scambiare, piuttosto pietre preziose se la merce era particolarmente pregiata. Ma non era certo il caso di frutta, verdura, carne, bevande, stoviglie e altri piccoli oggetti utili all’uso quotidiano. Persino alcuni mobili non avevano un prezzo. Presero dunque abbastanza vivande per una settimana o poco più, ringraziarono cercando di farsi capire al meglio con gesti e numerosi sorrisi, e tornarono a casa.
Sulla via del ritorno Sulphane decise di allenarsi a volare, e Smeryld Zaffir e Umbreon la seguirono senza ripensarci; caddero a terra diverse volte tutti e quattro, ma non sembravano darsi per vinti. Salirono di parecchi piedi di quota e ogni volta che precipitavano cercavano di rallentare la caduta tenendo le ali spalancate con la forza. Umbreon era interessato a spingersi il più in alto possibile, Smeryld a fare acrobazie che ogni volta fallivano miseramente, Sulphane a controllare tutte le sue piume, e Zaffir a volare sempre più a lungo senza perdere il controllo.
I loro ringhi divertiti catturarono inevitabilmente gli sguardi di parecchi elfi e ninfe, talvolta anche di qualche felino.
I ragazzi salirono per cenare e i draghetti decisero di rimanere fuori a svolazzare attorno alla loro nuova casa, questa volta anche Rubia e Ametyst fecero dei timidi tentativi, ma la draghetta rossa aveva le ali ancora troppo piccole e decise presto di rinunciare. Andarono a dormire tutti alla stessa ora, e di nuovo impiegarono qualche tempo per addormentarsi.

Anche il giorno successivo Maestro e allievi parlarono soltanto, seduti attorno al tavolo, loro ponevano le domande e lui rispondeva. Il terzo giorno qualcosa cambiò, fu lui a porre domande e chiamare il nome di chi doveva dare la risposta; se per caso sbagliavano lui spiegava nuovamente l’argomento, in modo che ascoltassero più attentamente o che meglio rimanesse impresso nelle loro menti. Talvolta facevano brevi pause in cui i ragazzi esploravano il cortile e studiavano le piante, o semplicemente si sdraiavano nell’erba e chiacchieravano. I draghi li seguivano ovunque andassero e la loro presenza impediva ai giovani elfi di avvicinarsi, ma non di schernire i ragazzi da lontano o di mettersi in mostra facendo incantesimi.
Passò così la loro prima settimana a Hayra’llen, lenta e tutta uguale ma non abbastanza noiosa da fargli perdere l’eccitazione di trovarsi lì. E l’urgenza di farsi un vero bagno cominciava a farsi sentire persino in Andrew e Mike, ma l’imbarazzo di doversi spogliare davanti ad altre persone, tra le quali i loro stessi compagni di viaggio, alla fine aveva sempre la meglio.
Ognuno di quei giorni Cedric rimase il più possibile in disparte e in silenzio, per evitare come meglio poteva che gli altri lo cogliessero pensare ad alta voce anche solo per sbaglio ma anche che notassero i suoi profondi disagi; non stava prendendo benissimo l’improvvisa interruzione di quella cura e non ne era realmente sorpreso, solo doveva evitare che i più giovani capissero che c’era qualcosa che non andava.
Ogni tanto coglieva i loro sguardi preoccupati e capiva che in qualche modo stavano capendo, ma tutte le volte sperava pensassero che il suo umore nero o i suoi sbalzi d’umore fossero dovuti alla sua brutta esperienza prima di partire. Per il momento quell’evento avrebbe potuto parargli le spalle, ma non era certo di sapere quale scusa si sarebbe potuto inventare in futuro, se le cose non fossero migliorate in fretta... e aveva paura che non sarebbero mai realmente migliorate.

  
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