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Autore: Abby_da_Edoras    23/12/2016    4 recensioni
Dunque, chi legge le mie storie sa già che non sono normale XDDD e che da un piccolo dettaglio posso inventare deliri allucinanti, soprattutto quando mi prendo a cuore un personaggio e voglio salvargli la vita a tutti i costi.
La mia storia a capitoli (sì, perché ci ho fatto proprio una long con questa vicenda...) si intitola "Shadows and lights" e trae la sua "ispirazione" (vabbè, chiamiamola così...) dalla puntata 02X01 della serie TV The Borgias versione canadese: la parte di me che entra in empatia con i personaggi più improbabili è rimasta sconvolta dalla vicenda tragica del Principe Alfonso di Napoli torturato a morte dai francesi. Ecco, io mi sono creata una versione personale di tale vicenda (approfittando del fatto che, tutto sommato, quel personaggio è una licenza poetica e non è realmente esistito, così come la sua storia) e da questo è nata la ff. Stiamo parlando di AU, OOC e quant'altro, grazie a chi si prenderà la pena di leggere le mie allucinazioni e non siate troppo severi con me, lo so anch'io che sono da neurodeliri!
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alfonso II di Napoli, Altri
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Salvation'
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Capitolo 6: Our Neverworld

 

We are one in our Neverworld

We are gone, say farewell to you all

 the closer we are coming now the more it’s getting real

real for you and me

together we can take a piece of never

bring it back with us

and make this world our home.

(“Our Neverworld” – Xandria)

 

Dopo che il Generale lo ebbe portato in camera, deposto sul letto e medicato, Alfonso cadde addormentato: quella era stata per lui una giornata terrificante e l’aveva lasciato sfinito e stravolto. Per qualche tempo il Generale lo guardò dormire, riflettendo, come aveva già fatto molte volte, su quanto il Principe fosse giovane e indifeso e su fino a che punto avessero esagerato con lui. Adesso, però, non avrebbe più permesso che gli accadesse qualcosa di brutto. Alfonso era sempre più prezioso per lui e, per fortuna, averlo come ostaggio si era rivelata una scelta vincente sotto tanti punti di vista e questo avrebbe trattenuto il Re dal prendere decisioni avventate a suo danno. Sua Maestà ne avrebbe avuto la prova, se ancora ce ne fosse stato bisogno, proprio il giorno successivo: gli Sforza sarebbero giunti al castello con le loro pretese insensate, sicuri del fatto loro e forti della minaccia di una possibile guerra con la Spagna… Chissà che faccia avrebbero fatto trovandosi davanti il Principe Alfonso in salute, tranquillo e spontaneamente sottomesso al Re di Francia! Allora sarebbe stato molto difficile, per loro, continuare a sostenere il pericolo di un’aggressione spagnola e il comandante francese pregustava già quel momento di trionfo.

Tutto merito del giovane Principe che adesso dormiva, finalmente sereno e abbandonato tra le lenzuola; anche Sua Maestà avrebbe dovuto rendersi conto dell’importanza fondamentale del ragazzo per la loro causa e mettere da parte le proprie antipatie personali in nome di qualcosa di più grande.

Il Generale si rese conto che si era fatto tardi, a quell’ora sicuramente il Re era a tavola con gli altri cortigiani e la sua assenza sarebbe sembrata strana. Valutò se fosse il caso di svegliare il Principe per condurlo alla tavola del sovrano, ma poi pensò che il povero giovane ne avesse avuto abbastanza per quel giorno: sarebbe sceso lui per la cena e, più tardi, gli avrebbe portato qualcosa in camera. Ora come ora, il Principe Alfonso aveva soltanto bisogno di riposare per riprendere le forze.

 

Quando il Generale tornò in camera, due ore dopo, portando un piatto con carne e frutta e una coppa di vino per il Principe, Alfonso si era svegliato e lo guardò entrare nella stanza con gli occhi scuri sgranati.

“MI avete portato la cena?” chiese, stupito.

Il francese si sedette sul letto accanto a lui e gli porse il piatto, mettendo la coppa sul comodino.

“Sì, perché ti sorprendi tanto?”

Il Principe si lasciò sfuggire un lieve sorriso che colpì profondamente l’uomo: era la prima volta, da quando lo conosceva, che lo vedeva sorridere e così sembrava ancora più giovane e tenero. Era quella, dunque, la parte del ragazzo che non conosceva?

“No, è che… mi avete ricordato una cosa…” rispose timidamente il Principe Alfonso. “Questo lo facevo io per mio padre, ero io a imboccarlo e, quando fu costretto a rimanere a letto, gli portavo i pasti.”

“Lo facevi tu? Non un servitore?” si stupì il Generale.

“Perché no? Era mio padre, in fondo” replicò tranquillo Alfonso, iniziando a mangiare. Solo in quel momento si rendeva conto di quanto fosse affamato e per lui occuparsi del padre era stata una cosa normale, perciò considerava chiuso l’argomento, ma non era così per il Generale. Ecco un altro aspetto sorprendente della personalità di Alfonso: chi avrebbe mai detto che un principino viziato, altezzoso e schifiltoso come lui sarebbe stato così servizievole con l’anziano e infermo padre? Piacevolmente sorpreso, l’uomo gli accarezzò i capelli.

“Sei stato un bravo figlio, sono certo che Re Ferrante fosse fiero di te” gli disse.

“Oh, questo non lo so: negli ultimi tempi non si rendeva più conto di niente e magari non mi riconosceva neanche” minimizzò il Principe, continuando a mangiare come se niente fosse e senza capire perché il Generale fosse rimasto così impressionato da un fatto tanto semplice.

“Ad ogni modo, è bene che ora mangi e ti riposi, perché domani avrai una giornata impegnativa e ciò che farai sarà molto importante” riprese il militare, cambiando argomento. “Ci sarà un grande banchetto con degli ospiti venuti appositamente per importunare Sua Maestà e vederti al nostro fianco sarà per loro un’amara sorpresa.”

“Ancora ospiti?” si lamentò il giovane. Odiava quei banchetti, il sovrano faceva di tutto per metterlo a disagio e ricordargli i tormenti subiti, invece di essergli grato per il fatto di mostrargli il suo appoggio!

“Giovanni Sforza e sua cugina Caterina” spiegò il Generale, notando l’improvviso rabbuiarsi del Principe. “Non hanno alcun potere effettivo, ma si sentono in diritto di accampare pretese su Sua Maestà. Quando avranno saputo che tu sei nostro ospite e che appoggi le rivendicazioni della Francia sul trono di Napoli, dovranno tornarsene a casa con la coda tra le gambe e Sua Maestà non potrà fare a meno di riconoscere quanto sei prezioso per noi.”

Un sorrisetto malizioso comparve sul viso di Alfonso.

“Giovanni Sforza? Ma non è quello che…”

“Sì, è l’uomo che aveva sposato la figlia del papa Borgia e che poi, per annullare il matrimonio, ha dovuto dichiarare pubblicamente di essere impotente” rispose l’uomo, anche lui sorridendo divertito. “Ti sembra opportuno che un essere simile sia tanto arrogante da importunare il Re di Francia?”

Il Principe Alfonso non riuscì a resistere e scoppiò in una risata, una delle sue, sonora e liberatoria. Il Generale parve affascinato nel sentirlo ridere così e vederlo tanto allegro: ecco un altro lato del Principe che non aveva ancora avuto modo di conoscere…

Il ragazzo tentò di soffocare la risata mettendosi una mano sulla bocca, ma gli occhi ridevano ancora.

“Ah, mi… mi dispiace di essermi lasciato andare così, ma sapete” spiegò, “un tempo, quando ero ancora il Principe di questo regno, mi divertivo tanto a sbeffeggiare così i miei ospiti e… sì, lo so che ora tutto è cambiato…”

“Ma no, Principe, niente affatto” lo incoraggiò il Generale, al quale era piaciuto moltissimo il riso spontaneo e squillante del Principe e avrebbe voluto vederlo di nuovo sereno e vivace. “Anzi, credo proprio che faresti bene a lasciarti andare quanto desideri con questi Sforza: avranno così modo di vedere che sei a tuo agio con noi e si sentiranno ancora più umiliati.”

Attratto dai nuovi aspetti della personalità del giovane Principe e, soprattutto, dal suo lato più allegro e monello, il Generale si avvicinò a lui, lo prese tra le braccia e cominciò a baciarlo a fondo e lungamente, distendendolo sul letto e accarezzandolo. Le attenzioni audaci dell’uomo, come sempre, sulle prime sconvolsero Alfonso, ma poi anche lui sentì che il suo corpo rispondeva inspiegabilmente a ogni sollecitazione e si abbandonò, lasciando che il Generale facesse di lui tutto ciò che voleva e dimenticando in quel vortice confuso di sensazioni tutte le sofferenze e i terrori di quella giornata.

 

Il giorno seguente tutto era pronto, alla reggia di Napoli, per accogliere Giovanni e Caterina Sforza. Il Re e tutto il suo seguito si erano abbigliati con estrema eleganza e ogni sala del castello risplendeva, per ostentare appieno il potere dei francesi, che non temevano niente e nessuno.

Alfonso, felice di potersi ancora una volta mostrare elegante e aggraziato come il Principe che era, si stupì non poco nel vedere anche il Generale abbigliato in modo ricercato: quel giorno non sembrava affatto il comandante dell’esercito francese bensì un vero e proprio uomo di potere, magari un conte o un duca. Non avrebbe sfigurato affatto di fronte ai nobili italiani venuti a discutere con Re Carlo!

“Perché sei tanto sorpreso, Principe?” sorrise l’uomo, notando che Alfonso lo fissava perplesso e affascinato allo stesso tempo.

“Voi… non vi avevo mai visto così elegante, non sembrate nemmeno più un guerriero” rispose, confuso, il giovane.

“Certo, tu mi hai visto soltanto nelle vesti di Generale dell’esercito, ma in Francia mi è capitato spesso di abbigliarmi così, vivo anch’io a Corte con Sua Maestà e partecipo ai suoi banchetti e ricevimenti” disse il comandante francese, divertito dallo sbigottimento del Principe.

“Beh, se non lo sapessi… ecco… insomma, sembrate molto più regale voi di Sua Maestà!”

“Mi fa piacere, ma è meglio che tu non lo ripeta davanti a lui” ribatté il Generale, stringendo a sé il Principe e baciandolo velocemente, compiaciuto della complicità che si stava rinforzando sempre di più fra di loro.

A quanto pareva, anche Alfonso aveva scoperto dei lati della personalità del Generale che gli piacevano!

Poco più tardi, nella sala del trono, tutti attendevano l’ingresso di Sua Maestà e, nel frattempo, Caterina Sforza si era fatta avanti a parlare con il Generale, mentre suo cugino Giovanni stava in piedi dietro di lei. Nessuno dei due aveva ancora notato la presenza del Principe Alfonso…

“Non mi è ancora chiaro per quale motivo Sua Maestà dovrebbe abbandonare il regno che ha conquistato e tornare in Francia proprio adesso” stava dicendo il Generale. “La sua posizione è solida qui e, comunque, il nostro esercito non ha certo bisogno della protezione degli Sforza.”

“Potreste averne bisogno, invece” replicò Caterina, togliendo di mano all’uomo, in gesto di sfida, la coppa di vino che si era appena fatto versare, “se la Spagna decidesse di attaccarvi per riprendersi il regno di Napoli. Allora voi e il vostro sovrano sareste ben felici di avere la protezione del nostro esercito.”

A quel punto, con un’encomiabile scelta di tempo, il Principe intervenne per afferrare il polso della nobildonna e costringerla a rendere al Generale la sua coppa di vino.

“La Spagna non muoverà mai guerra contro la Francia, visto che io sono qui e che ho riconosciuto la legittimità di Sua Maestà come sovrano di Napoli, dopo che è stato incoronato dal papa” disse con un sorrisetto provocatorio. “Sono desolato di infrangere in questo modo le vostre speranze, ma le cose stanno così.”

Caterina Sforza fece un passo indietro, presa alla sprovvista, mentre suo cugino Giovanni fissava il ragazzo con aria incredula.

“Voi siete… il Principe Alfonso di Napoli?” domandò la nobildonna, la prima dei due a riprendersi dalla sorpresa. “E che cosa ci fate qui?”

“Cosa ci faccio qui? Che domanda assurda!” ribatté Alfonso, scoppiando a ridere. “Io qui ci abito, mia signora!”

“Ma… le voci… dicevano che il Re di Francia vi aveva ucciso…” intervenne Giovanni Sforza sempre più allibito.

“Oh, le voci! Le voci dicono tante cose, per esempio che voi siate… beh, lo sappiamo entrambi, no?” replicò soavemente il giovane Principe.

Giovanni Sforza serrò le mascelle, seccato; Caterina gettò indietro la testa con un gesto brusco, preparandosi a rispondere a tono; il Generale guardò Alfonso sentendosi profondamente orgoglioso di lui e anche piuttosto attratto da quel suo modo di fare ironico e sprezzante… ma poi le porte del salone si aprirono e Re Carlo fece il suo ingresso, spinto sulla carrozzella da uno dei suoi servitori. Tutti si inchinarono davanti al sovrano che guardò i due Sforza con un’espressione di sincero schifo dipinta sul volto prima di parlare.

“Giovanni Sforza…” disse, come unico saluto.

“Sì, Vostra Maestà, e questa è mia cugina Caterina Sforza” rispose l’uomo, mentre la nobildonna si faceva avanti.

“Ah, vostra cugina” commentò in tono annoiato il Re. “Avete molti cugini, mi hanno detto. E… sono tutti impotenti come voi?”

Alla battuta del sovrano, i due Sforza si irrigidirono, nervosi, mentre gli altri presenti in sala si lasciarono sfuggire delle risatine più o meno trattenute. Chi non si trattenne affatto fu il Principe Alfonso che scoppiò in una delle sue sonore risate, facendo diventare ancora più livido di rabbia Giovanni Sforza.

“Ah, è così che stanno le cose? Non sapevo che anche l’impotenza fosse ereditaria!” commentò il ragazzo, sfogando tutta la sua ilarità con grande imbarazzo dei due nobili italiani.

Re Carlo, colto alla sprovvista dalla risposta sincera e divertita di Alfonso, lo guardò sorpreso come se lo vedesse per la prima volta, poi anche lui si lasciò andare a una gran risata.

“Ma l’avete sentito? Ha spirito, il nostro Principe!” commentò, godendosela un mondo a osservare le diverse espressioni che attraversavano i volti di Giovanni e Caterina Sforza. Volevano i suoi cannoni? Beh, lui gli avrebbe volentieri suggerito dove avrebbero potuto infilarseli, i cannoni francesi, se ci tenevano così tanto…

“Questa è solo una calunnia messa in giro dal papa Borgia!” tentò di protestare Giovanni Sforza, ma era chiaro che nessuno, ormai, lo stava più a sentire. C’era chi rideva apertamente, sentendosi giustificato dal fatto che anche Sua Maestà sghignazzava soddisfatto, e chi mormorava ai suoi vicini fissando gli Sforza senza nemmeno dissimularlo.

Tutti, però, tacquero quando il Re riprese la parola in tono sarcastico.

“Dunque voi volevate intimorirci insinuando che la Spagna ci avrebbe attaccati, non è così? Per questo avremmo dovuto appoggiare le vostre richieste… ma, come vedete, noi e la Spagna siamo in perfetto accordo, avendo come ospite nel nostro regno un illustre rappresentante della casata degli Aragona” disse il sovrano.

Caterina Sforza strinse le labbra, indignata, mentre volgeva lo sguardo verso il Principe Alfonso che continuava a ridacchiare. Poco distante, il Generale osservava la scena con un sorriso pieno di soddisfazione dipinto sul volto: il Principe si stava comportando in modo esemplare e, forse, stava finalmente conquistando almeno in piccola parte le simpatie di Sua Maestà. Le cose non sarebbero potute andare meglio di così!

“Ritengo che dovremmo andarcene” sibilò, invelenita, Caterina Sforza. “Non abbiamo più niente da fare qui.”

“Oh, volete già lasciarci?” ribatté il Re, con un vago tono di minaccia. “Non potete farlo: il banchetto è in vostro onore e ci riterremo oltremodo offesi se non vi prenderete parte.”

Gli Sforza non potevano permettersi di arrecare ulteriori offese al Re di Francia. Dovettero perciò fare buon viso a cattivo gioco e sedersi a tavola con il resto della Corte, pieni di rabbia e umiliazione.

Ovviamente, per tutta la durata del banchetto Re Carlo continuò a fare allusioni all’impotenza e a coloro che avevano la sventura di soffrire di tale incresciosa infermità e, per una volta almeno, il Principe Alfonso poté godersi il pranzo e la compagnia senza essere preso di mira, divertendosi e illudendosi di essere ancora, come un tempo, l’erede al trono di Napoli che se la godeva irridendo i suoi ospiti.

Tuttavia, la sua posizione alla Corte del sovrano francese quel giorno era diventata più salda e, forse, le cose sarebbero cambiate in meglio.

 

 

FINE

 

 

     

 

   
 
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