Capitolo 6: Our Neverworld
We are one in our Neverworld
We are gone, say farewell to you all
the closer we are coming now the more it’s getting real
real for you and me
together we can take a
piece of never
bring it back with us
and make this world
our home.
(“Our Neverworld” – Xandria)
Dopo
che il Generale lo ebbe portato in camera, deposto sul letto e medicato,
Alfonso cadde addormentato: quella era stata per lui una giornata terrificante
e l’aveva lasciato sfinito e stravolto. Per qualche tempo il Generale lo guardò
dormire, riflettendo, come aveva già fatto molte volte, su quanto il Principe
fosse giovane e indifeso e su fino a che punto avessero esagerato con lui.
Adesso, però, non avrebbe più permesso che gli accadesse qualcosa di brutto.
Alfonso era sempre più prezioso per lui e, per fortuna, averlo come ostaggio si
era rivelata una scelta vincente sotto tanti punti di vista e questo avrebbe trattenuto
il Re dal prendere decisioni avventate a suo danno. Sua Maestà ne avrebbe avuto
la prova, se ancora ce ne fosse stato bisogno, proprio il giorno successivo:
gli Sforza sarebbero giunti al castello con le loro pretese insensate, sicuri
del fatto loro e forti della minaccia di una possibile guerra con la Spagna…
Chissà che faccia avrebbero fatto trovandosi davanti il Principe Alfonso in
salute, tranquillo e spontaneamente sottomesso al Re di Francia! Allora sarebbe
stato molto difficile, per loro, continuare a sostenere il pericolo di
un’aggressione spagnola e il comandante francese pregustava già quel momento di
trionfo.
Tutto
merito del giovane Principe che adesso dormiva, finalmente sereno e abbandonato
tra le lenzuola; anche Sua Maestà avrebbe dovuto rendersi conto dell’importanza
fondamentale del ragazzo per la loro causa e mettere da parte le proprie
antipatie personali in nome di qualcosa di più grande.
Il
Generale si rese conto che si era fatto tardi, a quell’ora sicuramente il Re
era a tavola con gli altri cortigiani e la sua assenza sarebbe sembrata strana.
Valutò se fosse il caso di svegliare il Principe per condurlo alla tavola del
sovrano, ma poi pensò che il povero giovane ne avesse avuto abbastanza per quel
giorno: sarebbe sceso lui per la cena e, più tardi, gli avrebbe portato
qualcosa in camera. Ora come ora, il Principe Alfonso aveva soltanto bisogno di
riposare per riprendere le forze.
Quando
il Generale tornò in camera, due ore dopo, portando un piatto con carne e frutta
e una coppa di vino per il Principe, Alfonso si era svegliato e lo guardò
entrare nella stanza con gli occhi scuri sgranati.
“MI
avete portato la cena?” chiese, stupito.
Il
francese si sedette sul letto accanto a lui e gli porse il piatto, mettendo la
coppa sul comodino.
“Sì,
perché ti sorprendi tanto?”
Il
Principe si lasciò sfuggire un lieve sorriso che colpì profondamente l’uomo:
era la prima volta, da quando lo conosceva, che lo vedeva sorridere e così
sembrava ancora più giovane e tenero. Era quella, dunque, la parte del ragazzo
che non conosceva?
“No,
è che… mi avete ricordato una cosa…” rispose timidamente il Principe Alfonso.
“Questo lo facevo io per mio padre, ero io a imboccarlo e, quando fu costretto
a rimanere a letto, gli portavo i pasti.”
“Lo
facevi tu? Non un servitore?” si stupì il Generale.
“Perché
no? Era mio padre, in fondo” replicò tranquillo Alfonso, iniziando a mangiare.
Solo in quel momento si rendeva conto di quanto fosse affamato e per lui
occuparsi del padre era stata una cosa normale, perciò considerava chiuso
l’argomento, ma non era così per il Generale. Ecco un altro aspetto
sorprendente della personalità di Alfonso: chi avrebbe mai detto che un
principino viziato, altezzoso e schifiltoso come lui sarebbe stato così
servizievole con l’anziano e infermo padre? Piacevolmente sorpreso, l’uomo gli
accarezzò i capelli.
“Sei
stato un bravo figlio, sono certo che Re Ferrante fosse fiero di te” gli disse.
“Oh,
questo non lo so: negli ultimi tempi non si rendeva più conto di niente e magari
non mi riconosceva neanche” minimizzò il Principe, continuando a mangiare come
se niente fosse e senza capire perché il Generale fosse rimasto così
impressionato da un fatto tanto semplice.
“Ad
ogni modo, è bene che ora mangi e ti riposi, perché domani avrai una giornata
impegnativa e ciò che farai sarà molto importante” riprese il militare,
cambiando argomento. “Ci sarà un grande banchetto con degli ospiti venuti
appositamente per importunare Sua Maestà e vederti al nostro fianco sarà per
loro un’amara sorpresa.”
“Ancora
ospiti?” si lamentò il giovane. Odiava quei banchetti, il sovrano faceva di
tutto per metterlo a disagio e ricordargli i tormenti subiti, invece di
essergli grato per il fatto di mostrargli il suo appoggio!
“Giovanni
Sforza e sua cugina Caterina” spiegò il Generale, notando l’improvviso
rabbuiarsi del Principe. “Non hanno alcun potere effettivo, ma si sentono in
diritto di accampare pretese su Sua Maestà. Quando avranno saputo che tu sei
nostro ospite e che appoggi le
rivendicazioni della Francia sul trono di Napoli, dovranno tornarsene a casa
con la coda tra le gambe e Sua Maestà non potrà fare a meno di riconoscere
quanto sei prezioso per noi.”
Un
sorrisetto malizioso comparve sul viso di Alfonso.
“Giovanni
Sforza? Ma non è quello che…”
“Sì,
è l’uomo che aveva sposato la figlia del papa Borgia e che poi, per annullare
il matrimonio, ha dovuto dichiarare pubblicamente di essere impotente” rispose
l’uomo, anche lui sorridendo divertito. “Ti sembra opportuno che un essere
simile sia tanto arrogante da importunare il Re di Francia?”
Il
Principe Alfonso non riuscì a resistere e scoppiò in una risata, una delle sue,
sonora e liberatoria. Il Generale parve affascinato nel sentirlo ridere così e
vederlo tanto allegro: ecco un altro lato del Principe che non aveva ancora
avuto modo di conoscere…
Il
ragazzo tentò di soffocare la risata mettendosi una mano sulla bocca, ma gli
occhi ridevano ancora.
“Ah,
mi… mi dispiace di essermi lasciato andare così, ma sapete” spiegò, “un tempo,
quando ero ancora il Principe di questo regno, mi divertivo tanto a
sbeffeggiare così i miei ospiti e… sì, lo so che ora tutto è cambiato…”
“Ma
no, Principe, niente affatto” lo incoraggiò il Generale, al quale era piaciuto
moltissimo il riso spontaneo e squillante del Principe e avrebbe voluto vederlo
di nuovo sereno e vivace. “Anzi, credo proprio che faresti bene a lasciarti
andare quanto desideri con questi Sforza: avranno così modo di vedere che sei a
tuo agio con noi e si sentiranno ancora più umiliati.”
Attratto
dai nuovi aspetti della personalità del giovane Principe e, soprattutto, dal
suo lato più allegro e monello, il Generale si avvicinò a lui, lo prese tra le
braccia e cominciò a baciarlo a fondo e lungamente, distendendolo sul letto e accarezzandolo.
Le attenzioni audaci dell’uomo, come sempre, sulle prime sconvolsero Alfonso,
ma poi anche lui sentì che il suo corpo rispondeva inspiegabilmente a ogni
sollecitazione e si abbandonò, lasciando che il Generale facesse di lui tutto
ciò che voleva e dimenticando in quel vortice confuso di sensazioni tutte le
sofferenze e i terrori di quella giornata.
Il
giorno seguente tutto era pronto, alla reggia di Napoli, per accogliere
Giovanni e Caterina Sforza. Il Re e tutto il suo seguito si erano abbigliati
con estrema eleganza e ogni sala del castello risplendeva, per ostentare
appieno il potere dei francesi, che non temevano niente e nessuno.
Alfonso,
felice di potersi ancora una volta mostrare elegante e aggraziato come il
Principe che era, si stupì non poco nel vedere anche il Generale abbigliato in
modo ricercato: quel giorno non sembrava affatto il comandante dell’esercito
francese bensì un vero e proprio uomo di potere, magari un conte o un duca. Non
avrebbe sfigurato affatto di fronte ai nobili italiani venuti a discutere con
Re Carlo!
“Perché
sei tanto sorpreso, Principe?” sorrise l’uomo, notando che Alfonso lo fissava
perplesso e affascinato allo stesso tempo.
“Voi…
non vi avevo mai visto così elegante, non sembrate nemmeno più un guerriero” rispose,
confuso, il giovane.
“Certo,
tu mi hai visto soltanto nelle vesti di Generale dell’esercito, ma in Francia
mi è capitato spesso di abbigliarmi così, vivo anch’io a Corte con Sua Maestà e
partecipo ai suoi banchetti e ricevimenti” disse il comandante francese,
divertito dallo sbigottimento del Principe.
“Beh,
se non lo sapessi… ecco… insomma, sembrate molto più regale voi di Sua Maestà!”
“Mi
fa piacere, ma è meglio che tu non lo ripeta davanti a lui” ribatté il
Generale, stringendo a sé il Principe e baciandolo velocemente, compiaciuto
della complicità che si stava rinforzando sempre di più fra di loro.
A
quanto pareva, anche Alfonso aveva scoperto dei lati della personalità del
Generale che gli piacevano!
Poco
più tardi, nella sala del trono, tutti attendevano l’ingresso di Sua Maestà e,
nel frattempo, Caterina Sforza si era fatta avanti a parlare con il Generale,
mentre suo cugino Giovanni stava in piedi dietro di lei. Nessuno dei due aveva
ancora notato la presenza del Principe Alfonso…
“Non
mi è ancora chiaro per quale motivo Sua Maestà dovrebbe abbandonare il regno
che ha conquistato e tornare in Francia proprio adesso” stava dicendo il
Generale. “La sua posizione è solida qui e, comunque, il nostro esercito non ha
certo bisogno della protezione degli Sforza.”
“Potreste
averne bisogno, invece” replicò Caterina, togliendo di mano all’uomo, in gesto
di sfida, la coppa di vino che si era appena fatto versare, “se la Spagna
decidesse di attaccarvi per riprendersi il regno di Napoli. Allora voi e il
vostro sovrano sareste ben felici di avere la protezione del nostro esercito.”
A
quel punto, con un’encomiabile scelta di tempo, il Principe intervenne per
afferrare il polso della nobildonna e costringerla a rendere al Generale la sua
coppa di vino.
“La
Spagna non muoverà mai guerra contro la Francia, visto che io sono qui e che ho
riconosciuto la legittimità di Sua Maestà come sovrano di Napoli, dopo che è
stato incoronato dal papa” disse con un sorrisetto provocatorio. “Sono desolato di infrangere in questo modo le
vostre speranze, ma le cose stanno così.”
Caterina
Sforza fece un passo indietro, presa alla sprovvista, mentre suo cugino
Giovanni fissava il ragazzo con aria incredula.
“Voi
siete… il Principe Alfonso di Napoli?” domandò la nobildonna, la prima dei due
a riprendersi dalla sorpresa. “E che cosa ci fate qui?”
“Cosa
ci faccio qui? Che domanda assurda!” ribatté Alfonso, scoppiando a ridere. “Io
qui ci abito, mia signora!”
“Ma…
le voci… dicevano che il Re di Francia vi aveva ucciso…” intervenne Giovanni
Sforza sempre più allibito.
“Oh,
le voci! Le voci dicono tante cose, per esempio che voi siate… beh, lo sappiamo
entrambi, no?” replicò soavemente il giovane Principe.
Giovanni
Sforza serrò le mascelle, seccato; Caterina gettò indietro la testa con un gesto
brusco, preparandosi a rispondere a tono; il Generale guardò Alfonso sentendosi
profondamente orgoglioso di lui e anche piuttosto attratto da quel suo modo di
fare ironico e sprezzante… ma poi le porte del salone si aprirono e Re Carlo
fece il suo ingresso, spinto sulla carrozzella da uno dei suoi servitori. Tutti
si inchinarono davanti al sovrano che guardò i due Sforza con un’espressione di
sincero schifo dipinta sul volto prima di parlare.
“Giovanni
Sforza…” disse, come unico saluto.
“Sì,
Vostra Maestà, e questa è mia cugina Caterina Sforza” rispose l’uomo, mentre la
nobildonna si faceva avanti.
“Ah,
vostra cugina” commentò in tono annoiato il Re. “Avete molti cugini, mi hanno
detto. E… sono tutti impotenti come voi?”
Alla
battuta del sovrano, i due Sforza si irrigidirono, nervosi, mentre gli altri
presenti in sala si lasciarono sfuggire delle risatine più o meno trattenute.
Chi non si trattenne affatto fu il Principe Alfonso che scoppiò in una delle
sue sonore risate, facendo diventare ancora più livido di rabbia Giovanni
Sforza.
“Ah,
è così che stanno le cose? Non sapevo che anche l’impotenza fosse ereditaria!” commentò il ragazzo,
sfogando tutta la sua ilarità con grande imbarazzo dei due nobili italiani.
Re
Carlo, colto alla sprovvista dalla risposta sincera e divertita di Alfonso, lo
guardò sorpreso come se lo vedesse per la prima volta, poi anche lui si lasciò
andare a una gran risata.
“Ma
l’avete sentito? Ha spirito, il nostro Principe!” commentò, godendosela un
mondo a osservare le diverse espressioni che attraversavano i volti di Giovanni
e Caterina Sforza. Volevano i suoi cannoni? Beh, lui gli avrebbe volentieri
suggerito dove avrebbero potuto
infilarseli, i cannoni francesi, se ci tenevano così tanto…
“Questa
è solo una calunnia messa in giro dal papa Borgia!” tentò di protestare
Giovanni Sforza, ma era chiaro che nessuno, ormai, lo stava più a sentire. C’era
chi rideva apertamente, sentendosi giustificato dal fatto che anche Sua Maestà
sghignazzava soddisfatto, e chi mormorava ai suoi vicini fissando gli Sforza
senza nemmeno dissimularlo.
Tutti,
però, tacquero quando il Re riprese la parola in tono sarcastico.
“Dunque
voi volevate intimorirci insinuando che la Spagna ci avrebbe attaccati, non è
così? Per questo avremmo dovuto appoggiare le vostre richieste… ma, come
vedete, noi e la Spagna siamo in perfetto accordo, avendo come ospite nel nostro regno un illustre rappresentante
della casata degli Aragona” disse il sovrano.
Caterina
Sforza strinse le labbra, indignata, mentre volgeva lo sguardo verso il
Principe Alfonso che continuava a ridacchiare. Poco distante, il Generale
osservava la scena con un sorriso pieno di soddisfazione dipinto sul volto: il
Principe si stava comportando in modo esemplare e, forse, stava finalmente
conquistando almeno in piccola parte le simpatie di Sua Maestà. Le cose non
sarebbero potute andare meglio di così!
“Ritengo
che dovremmo andarcene” sibilò, invelenita, Caterina Sforza. “Non abbiamo più
niente da fare qui.”
“Oh,
volete già lasciarci?” ribatté il Re, con un vago tono di minaccia. “Non potete
farlo: il banchetto è in vostro onore
e ci riterremo oltremodo offesi se non vi prenderete parte.”
Gli
Sforza non potevano permettersi di arrecare ulteriori offese al Re di Francia.
Dovettero perciò fare buon viso a cattivo gioco e sedersi a tavola con il resto
della Corte, pieni di rabbia e umiliazione.
Ovviamente,
per tutta la durata del banchetto Re Carlo continuò a fare allusioni all’impotenza e a coloro che avevano la
sventura di soffrire di tale incresciosa infermità e, per una volta almeno, il
Principe Alfonso poté godersi il pranzo e la compagnia senza essere preso di
mira, divertendosi e illudendosi di essere ancora, come un tempo, l’erede al
trono di Napoli che se la godeva irridendo i suoi ospiti.
Tuttavia,
la sua posizione alla Corte del sovrano francese quel giorno era diventata più
salda e, forse, le cose sarebbero cambiate in meglio.
FINE