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Autore: cowslipkkoch_    24/12/2016    1 recensioni
How small the probability is to let me gain the ability to bravely love again? This is destiny's generosity, this is the heart's honesty.
 
destino ( = destiny, kismet ): /de·stì·no/, l'insieme imponderabile delle cause che si pensa abbiano determinato (o siano per determinare) gli eventi della vita; spesso inteso come personificazione di un essere o di una potenza superiore che regola la vita secondo leggi imperscrutabili e immutabili.
 
( raccolta di one shots SuChen )
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chen, Chen, Suho, Suho
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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{ intro: Joonmyun è un medico con il cuore spezzato e Jongdae un tirocinante pronto a curare qualsiasi malanno. }

Love is the cure

 

 

 

Se c'era una parola per descrivere la vita di Kim Joonmyun, quella era sicuramente frenetica. Alzarsi alle cinque e mezza del mattino, prepararsi in meno di venti minuti, mettersi la camicia più bella, fare una colazione veloce e leggera, sistemarsi la cravatta e affrettarsi ad uscire senza perdere altro tempo (il traffico a Seoul era imprevedibile e anche due minuti in più potevano condannarti a stare bloccato nel traffico per più di mezz'ora), arrivare a lavoro con la speranza che non ci sia nessun collega a dire "Siamo in ritardo oggi, Kim" e iniziare subito con le visite da box a box, fino alla fine del turno.
"Dottor Kim, deve visitare un paziente nel box tre".
"Il dottor Kim Joonmyun è pregato di venire in terapia intensiva".
"Dottor Kim, il dottor Oh la vuole vedere nel suo ufficio".
"Oggi deve controllare i pazienti del box sei e del box otto".
Correre da un corridoio all'altro, passare da box a box, ricevere cartelle su cartelle e controllarle lungo il tragitto da un reparto all'altro, firmare fogli, firma lì e firma là, correre di nuovo da un box, rassicurare i paziente e affrontare quelli più testardi, magari quelli che non vogliono pagare le spese mediche per le cure. No, non aveva un attimo di pace, e tutto ciò si ripeteva giorno dopo giorno, sette giorni su sette, ogni mese di ogni anno, e Joonmyun viveva tutto questo da ben sei anni.
"Non ti stanchi mai di lavorare così tanto, ogni giorno? A momenti non vai nemmeno in vacanza", gli chiedeva sempre Yixing, un suo collega e suo vecchio compagno d'università, quando Joonmyun si degnava di fermarsi anche un misero minuto per prendere del caffè con i colleghi.
La verità? No, lui non si stancava mai di lavorare così duramente fino alla fine dei suoi turni. Anzi. Lavorare così duramente lo faceva stare in pace con se stesso, poiché sapeva che nelle sue ore non faceva altro che aiutare e salvare vite, e non c'era singolo momento in cui si ripeteva che aveva fatto la scelta giusta, che il suo voler diventare medico non era mai stato uno sbaglio.
"No, mi piace lavorare", rispondeva semplicemente Joonmyun, a quel punto, dopo aver preso un piccolo sorso di caffè e aver accennato a un breve sorriso.





"Abbiamo fatto gli ultimi controlli ed è in perfetta salute, può tornare a casa".
Ed ecco che l'ennesimo paziente della giornata veniva dimesso, dopo controlli su controlli. Lo seguì fino al bancone dell'infermiera, gli fece pagare le cure mediche e poi lo salutò con uno dei suoi calorosi sorrisi, quelli che servivano ad ogni tipo di persona che metteva piede in quel posto per farsi controllare. Quel sorriso non resse più di due minuti, cadendo nell'esatto momento in cui la figura del paziente scomparve dietro al muro, per lasciare il via libera a un pesante sospiro, che attirò l'attenzione dell'infermiera al bancone.
"Visita pesante?", chiese lei con un sorrisino divertito, vedendo come il dottore prese a massaggiarsi il ponte del naso.
"La gente ormai è così paranoica che per un semplice mal di testa pensa di avere il cancro", rispose Joonmyun scuotendo la testa. In sei anni dalla sua laurea ne aveva sentite di tutti i colori, eppure si sorprendeva ancora con persone del genere, che trovavano le diagnosi più violente nelle cose più piccole.
L'infermiera di turno non poté far altro che ridacchiare, capendo perfettamente come si sentisse il suo superiore, prima di poter tornare su dei fogli che stava controllando, silenziosamente. Joonmyun aspettò pazientemente la sua prossima cartella e rimase piuttosto sorpreso quando, dopo cinque minuti, non gli diedero niente. Si erano all'improvviso dimenticati dei pazienti?
"Jiyoo, la cartella del prossimo paziente?", chiese gentilmente, sporgendosi sul bancone.
"Oh? Non ci sono altri pazienti al momento, dottor Kim", lo informò lei, con il suo dolce sorriso stampato sul viso.
Non ci sono altri pazienti. Ecco, questi erano i momenti in cui l'uomo si annoiava pure a lavoro, non sapendo né cosa fare né dove andare. Girare come un cucciolo perso fino alla prossima visita? Occupare uno dei letti nelle stanze dedicate al personale, per riposare almeno una mezz'ora? Uscire per prendere una boccata d'aria fresca? Fermarsi alla macchinetta del caffè e magari parlare con qualcuno? Scrollò le spalle, salutò con gentilezza Jiyoo e mettendo le mani nelle tasche del camice girò sui tacchi, dirigendosi lentamente verso il corridoio vuoto che portava verso l'ascensore.
L'ospedale era sempre gremito di gente, non c'era corridoio in cui le persone non dovevano fare zig zag fra loro per andare da una parte all'altra, e più si scendeva di piano e più queste aumentavano, per via delle varie sale d'attesa e degli uffici, e non c’era per niente da sorprendersi se le macchinette del caffè erano sempre affiancate da delle persone, e nel caso dell'area riservata al solo personale, dai medici. Difatti, appena Joonmyun arrivò, trovò Yixing e un altro collega immersi in una conversazione con dei volti nuovi.
"Ma guardate un po' chi c'è!", esclamò Yixing sorridente, fissando gli occhi sul nuovo arrivato, che gli lanciò un'occhiata, "Qual buon vento ti porta qui, Joonmyun?".
"L'assenza dei pazienti", rispose il diretto interessato, scrollando le spalle e cercando il portafogli, così da poter prendere del thè.
"Anche tu in attesa, ah?", chiese il secondo collega, schioccando la lingua contro il palato, prima di poter prendere un sorso dal suo bicchiere.
"Ragazzi, avete già conosciuto il dottor Kim?", domandò poi Yixing, rivolgendosi alle persone che prima Joonmyun, al suo arrivo, aveva etichettato come volti mai visti.
La persona in questione subito si girò verso i nuovi arrivati, ricordandosi all'improvviso della loro presenza, e fece un breve inchino mentre loro, con la testa, negavano. Ovvio che non lo conoscevano, lui non era mica come i suoi due colleghi, che trovavano ogni occasione buona per fare una piccola pausa e andare alla macchinetta del caffè, lui se ne stava sempre nel suo reparto a controllare più pazienti possibili per poi tornare a casa appena finiva il suo turno. Osservò quei tre ragazzi che se ne stavano al suo fianco e che lo guardavano come se fosse un alieno, da com’erano vestiti poté capire facilmente che erano dei tirocinanti e soprattutto il terzo (orecchie leggermente a sventola e gli angoli della bocca all'insù, graziosa, secondo il dottore) sembrava sorpreso nel vederlo, tanto che i suoi occhi erano spalancati.
"Sono Kim Joonmyun, piacere", si presentò brevemente con un piccolo sorriso a contornargli il viso. Sapeva com'erano i tirocinanti, e il miglior modo per guadagnarsi la loro fiducia era sembrare amichevole sin dall'inizio.
Proprio come desiderato, i tre ragazzi si presentarono subito dopo, sembrando a loro agio: quello paffuto e con un orecchino all'orecchio sinistro si chiamava Kim Minseok, il secondo che se ne stava al centro era Byun Baekhyun e quello che alla sua vista sembrava essersi spaventato era Kim Jongdae. Parlare con quei tre ragazzi fu la cosa migliore e a fine della loro conversazione gli sembrò di aver preso una boccata d'aria fresca, poiché non pensò al lavoro e alle visite che dopo avrebbe dovuto fare, ma in mente crebbero solo pensieri piacevoli, ricordi di quando lui e Yixing erano al posto dei tre. Inesperti, eccitati dall'idea di poter vivere un'esperienza del genere e vogliosi d'imparare, di sapere tutto ciò che dovevano sapere del lavoro dai loro superiori. Forse, staccare qualche minuto dal lavoro non era stato poi così male.
Se ne andò con Yixing nell'esatto momento in cui entrambi furono chiamati per un paziente, lasciando il loro collega con Minseok, Baekhyun e Jongdae, e lungo il percorso per il quinto piano il primo non poté far altro che notare lo sguardo persistente dell'amico.
"Vuoi dirmi qualcosa per caso?", chiese il coreano.
Il cinese si lasciò andare a una piccola risata, mettendo in mostra le sue adorabili fossette, e scosse lievemente il capo, "Solo... è bello vederti di tanto in tanto in pausa".
"Non abituarti troppo".
"Lasciami sognare, Joonmyun!", esclamò egli, seguito a ruota da una risata che lasciò le labbra del coreano.





Il traffico era odioso, nessuno lo ama, soprattutto una persona che portava il nome di Kim Joonmyun. Lo odiava con tutto il cuore, soprattutto se quel giorno poi si metteva a piovere. Traffico e pioggia, era una combinazione mortale per il povero medico, che in macchina non poteva far altro che attendere e guardare i tergicristalli portare le gocce di pioggia ai lati del parabrezza, mentre provava a vincere una battaglia contro certi pensieri e ricordi che lo inseguivano da anni, dove, ovviamente, avrebbe perso. Il traffico che c'era per le strade di Seoul, a ritorno da lavoro, gli dava del tempo e quando aveva tempo pensava, ma non a cose completamente casuali, ma pensava a Lei, e solo lui poteva capire quanto fosse fastidioso. Lei che, a differenza sua, amava il traffico, lei che adorava le giornate di pioggia, lei che lo aveva affiancato a lavoro e lei che poi se n'era andata per colpa di ciò che aveva amato. Si chiamava Chorong, Joonmyun l'aveva conosciuta attraverso Yixing e sin dal primo momento ci fu un'intesa speciale fra i due, che durò anni e anni e non si spezzò mai. Anzi. Si fece ancora più forte quando si fidanzarono e insieme iniziarono a lavorare in ospedale, collaboravano perfettamente e il modo in cui riuscivano a mettere da parte la loro relazione, in ambito lavorativo, sorprendeva pure i dottori che lavoravano lì da molto più tempo.
"Voi due siete una squadra perfetta", diceva sempre il dottor Oh, alla fine di ogni visita piuttosto impegnativa.
E lui non aveva mai smesso di amarla e ammirarla, perché non aveva mai visto donna così forte e decisa, che faticava più di chiunque altro per aiutare la gente, per garantire il benessere anche al paziente più malato. Era così determinata a lavoro e lui era così determinato a continuare a vivere e a lavorare con lei, a sposarla... se non fosse stato per quel giorno. Joonmyun lo ricordava ancora perfettamente, come se non fossero passati tre anni, e ricordava ancora come quella notte preferì pensare che tutto quello fosse solo un brutto e lungo incubo. Capitò in uno di quei giorni in cui non avevano gli stessi turni, lui stava dormendo tranquillamente nel loro letto quando alle quattro del mattino sentì il telefono squillare, più e più volte, lo prese con fare stanco e lo poggiò contro l'orecchio, pronto per sentire la sua voce sottile (perché sul display aveva chiaramente visto il nome Chorong, accompagnato da un cuore), quando dall'altra parte del dispositivo non sentì altro che la voce del dottor Oh, dispiaciuta.
"Joonmyun-ssi?", lo chiamò, come per accertarsi che fosse lui.
"Sì?", rispose confuso il diretto interessato, ignaro di ciò che sarebbe capitato dopo.
"Potresti venire qui? E' importante".
Lì, l'uomo si ricordava perfettamente come si recò immediatamente all'ospedale in cui lavorava da ormai tre anni, e fu così rapido nell'andare che nemmeno si preoccupò di cambiare la maglia del pigiama, preferendo nasconderla sotto la giacca, o sistemarsi per bene i capelli. Incontrò il dottor Oh all'entrata e lo sguardo che ricevette dal superiore non gli piacque per niente, e non amò nemmeno in modo particolare come a bassa voce gli disse di seguirlo, fino al suo ufficio, dove lì trovò pure i genitori della sua fidanzata. Perché erano lì? Perché gli era stato chiesto di recarsi lì? Non dovette attendere molto prima di ricevere risposta, e la verità fu più dolorosa del previsto.
"Sarò breve e non porterò molto avanti questa cosa. La dottoressa Park questa notte, lungo il tragitto verso casa sua, ha avuto un incidente stradale. E’ stata riportata con urgenza in ospedale ed è stata sottoposta a vari interventi", sapendo già dove sarebbe andato a parare, Joonmyun desiderò con tutto se stesso di diventare improvvisamente sordo, "Aveva ferite gravi e perdeva molto sangue, i dottori hanno fatto di tutto per salvarla... ma purtroppo non ce l'ha fatta.". Solo Dio poteva dire quanto fece male quella notizia.
Da quel giorno, il medico cancellò dal suo vocabolario le parole "vacanze", "pausa" e "relazione" e prese a lavorare ancora più duramente, dedicandosi completamente al lavoro senza distrazioni, perché voleva evitare che una cosa del genere succedesse a qualcun altro, desiderava che nessun altro soffrisse come lui aveva fatto per Chorong, e non era ancora pronto a cancellarla dalla sua vita.
E ora, come ogni sera da quasi tre anni, dopo essere rientrato a casa e aver messo in modo ordinato le scarpe nella piccola scarpiera, si spogliava degli abiti che aveva messo a lavoro e s’infilava nel suo pigiama, per poi sdraiarsi nella sua parte del letto e pensare a come aveva lavorato bene, e a come l'indomani avrebbe fatto di più in modo migliore, prima di potersi addormentare.






Joonmyun non si ricordò dei tre stagisti che una settimana addietro incontrò finché il dottor Oh non apparve davanti a lui con tutti e tre a suo seguito, quella mattina. Aveva appena finito una visita impegnativa, in cui aveva dovuto occuparsi di un paziente che rammentava dei forti dolori allo stomaco dopo aver subito un intervento, quando, davanti al bancone dell'infermiera, mentre aspettava la prossima cartella, il suo vecchio tutor si presentò insieme a Minseok, Baekhyun e Jongdae, tutti e tre ordinati come l'ultima volta in cui gli aveva visti alla macchinetta del caffè.
"Dottor Oh, cosa la porta qui?", chiese gentilmente il dottor Kim, inchinandosi. Ne era passato di tempo da quando Joonmyun si poteva definire "medico alle prime armi", eppure portava lo stesso rispetto nei confronti del più anziano, il che lo rendeva di sicuro umile.
"Tu", rispose con un sorriso genuino, ridendo appena davanti all'espressione confusa del medico, "Oggi sto assegnando a ogni dottore un tirocinante, così che possano vedere com'è il lavoro in prima persona, e ho pensato che a uno di loro avrebbe fatto bene passare la giornata insieme a te", spiegò brevemente, prima di potersi girare verso gli studenti.
Lui avrebbe dovuto tenere con sé uno di loro per tutto il tempo? Non aveva mai lavorato con degli studenti prima di allora e quasi si sentì mancare, mentre pensava a come sarebbe stato lavorare con un principiante e a quanta pazienza gli sarebbe dovuta servire nello spiegare tutto. Perso nei suoi pensieri, nemmeno si accorse che il dottor Oh aveva già fatto la sua scelta e se n'era andato con i restanti, lasciandoli soli. Scrutò attentamente il ragazzo davanti a sé, e quella bocca con gli angoli alzati gli fece capire che per tutto il giorno avrebbe dovuto trascinarsi dietro Kim Jongdae. Fantastico, pensò, guardando come il minore sembrasse di nuovo terrorizzato davanti a lui, il tirocinante terrorizzato.
"Hai ... delle domande?", chiese incerto.
Il minore scosse la testa, energicamente.
"Perfetto".
Essendo uno che non sprecava nemmeno un secondo, il dottor Kim iniziò subito a lavorare, e il povero ragazzo si ritrovò subito a dovergli correre dietro da una parte all'altra, mentre cercava di non perdersi nemmeno un movimento da parte del maggiore, da visita a visita.
"Non possiamo fermarci un attimo?", chiese Jongdae, sentendo un dolore allucinante ai piedi (mettere delle scarpe nuove non era stato il massimo, e le avrebbe sicuramente evitate, se avesse saputo prima quale dottore avrebbe affiancato).
Come risposta, l'infermiera che stava al bancone informò Joonmyun che doveva controllare ben tre pazienti, ed egli non risparmiò al minore un piccolo sorriso (era provocatorio, per caso?).





"Minseok, Jongdae!", esclamò Baekhyun dall'altro lato del corridoio, prima di poterli raggiungere.
"Ecco il ritardatario", disse Minseok con un sorriso divertito.
"Scusate se un paziente era particolarmente carino e cercavo di fare il simpatico", sbuffò il terzo arrivato.
"Se uscirà da qui, sicuramente non sarà grazie a te", esordì Jongdae, guadagnandosi un cinque da parte del maggiore.
Baekhyun sbuffò scocciato e velocemente inserì le monete per prendere il suo thè senza zucchero, sotto lo sguardo attento dei due amici, che già gustavano la loro bevanda calda.
"A chi vi ha assegnato il dottor Oh?", chiese Jongdae, leggermente corrucciato.
"Il dottor Cho Yonggi", rispose brevemente Minseok, alzando le spalle, "Baekhyun?".
"La dottoressa Ahn Hanyu, se non sbaglio", disse il diretto interessato, e dopo l'occhiata che ricevette per colpa di quel "se non sbaglio" gemette, picchiando la testa contro il fianco della macchinetta da caffè, "Siamo stati per tutto il tempo intorno a quel paziente carino, okay? Non avevo tempo per concentrarmi su di lei".
Le risate leggere dei due e lo sbuffo che lasciò le labbra del terzo si sentirono per bene nel corridoio per una frazione di secondo, prima che tornasse il silenzio. Rimase così, a sorseggiare le loro bevande, prima che Byun potesse girarsi verso Jongdae, con aria corrucciata.
"Jongdae".
"Sì?".
"Tu non sei col dottor Kim Joonmyun? L'amico del dottor Zhang? Quello che è conosciuto da tutti per non fermarsi un secondo?", lo riempì di domande egli, guardandolo confuso.
E lo sguardo che il diretto interessato gli lanciò era altrettanto confuso, "Sì, perché?".
"Allora perché sei in pausa?", domandò il ragazzo paffuto, precedendo l'amico.
Altro minuto di silenzio e Jongdae sentì le mani sudare freddo, prima che, da qualche parte, si potesse sentire la voce di Joonmyun che lo chiamava. Beccato.





“Muoviti, Joonmyun!”, urlò con voce affannata Yixing, mentre continuava a correre sul posto.

“Non è colpa mia se le scarpe si slacciano sempre!”, rispose con lo stesso tono Joonmyun, ancora a metà strada, piegato in avanti e con le mani sulle sue ginocchia scoperte.

Il dottor Oh, come ogni due settimane, aveva notato che il coreano aveva superato le sue ore lavorative un’altra volta e, fermamente convinto che il minore avesse bisogno di riposo, lo aveva letteralmente cacciato dal suo posto di lavoro, per l’ennesima volta, dandogli una giornata libera e tutta per sé. Fortuna volle che pure Yixing fosse a riposto, quel giorno, e, nelle prime ore dell’alba, i due amici avevano deciso di andare a correre – un po’ per tenersi in forma, un po’ per prendere una boccata d’aria fresca quando le prime persone si svegliavano e un po’ per passare del tempo assieme, sicuri di non essere disturbati. Questa, era quasi un’abitudine, o meglio, una vecchia abitudine. Qualche anno fa, quando Joonmyun non esagerava col lavoro e Chorong era ancora in vita, il ragazzo era solito andare a correre col collega, quando i giorni di riposo coincidevano, e spesso correvano per le rive del fiume Han, passando per i parchi, o andavano in periferia, così da poter fare corse più “toste” sulle colline. Non avevano fatto un’uscita del genere per anni, il maggiore dei due non correva veramente da anni, e non seppe dire a se stesso se la sensazione di tornare alle vecchie abitudini fosse bella o brutta.

“Scusa poco credibile!”, lo informò il cinese, e questa volta si fermò, per sistemare le cuffie.

Forse l’idea di ricominciare, andando a correre in collina, non era stata una buona idea; prese un grosso respiro e si tirò indietro i capelli appena bagnati, prima di poter riprendere a correre e raggiungere l’amico, il quale lo aspettava con le mani sui fianchi.

“Piccola pausa?”.

In fondo era da minuti che correvano, e non erano nemmeno le sei e mezza di mattina.

“Piccola pausa”.

A quanto pare, l’idea di mettersi seduti su una panchina di legno isolata, al limite di quella stradina in collina, era la cosa migliore. Il sole era sorto completamente a quell’ora e in cielo si potevano distinguere perfettamente le nuvole, il cielo e tutto ciò che lo attraversava, gli uccelli e gli aerei. Per una volta ogni due settimane, il coreano doveva riconoscere che gli faceva bene respirare dell’aria pulita, lontano dal centro di Seoul e dai posti chiusi come gli ospedali. Lì era tutto tranquillo: nessun clacson, alcuna persona con cui potevi scontrarti lungo il cammino, zero pazienti da curare, zero lamenti… nessuno stress. Il cinese lo osservò con la coda dell’occhio, trattenendo uno di quei sorrisi furbetti, e presto una sua mano si poggiò su quella dell’amico.

“Un giorno di questi dovrò ringraziare il dottor Oh”, disse Joonmyun, senza che l’altro gli chiedesse a cosa stesse pensando. Dopo tutti quegli anni passati insieme, potevano dirsi le cose senza aspettare una domanda.

“Lavori troppo, lo sai?”, gli disse Yixing, rilassando le spalle.

“Lavoro il giusto”.

“Fai il doppio dei tuoi turni”.

In qualche modo, i due finivano sempre per parlare di quello, quando erano soli con nessun altro. Ormai, il maggiore era abituato a discorsi del genere. I genitori, il dottor Oh, i colleghi e gli amici gli dicevano che lavorava troppo.

“Mi piace solo lavorare, e a casa mi annoio”, disse il medico, poggiando la schiena contro lo schienale della panchina, cercando di mantenere un tono normale.

In seguito alla sua risposta, una piccola risata si disperse per l’aria, e subito l’attenzione fu spostata sulla figura del medico al suo fianco, che a sua volta lo guardava, con quello sguardo che tanto detestava – lo sguardo di chi sapeva, “Lo fai per Chorong”.

Dalle proprie labbra uscì un sospiro rassegnato, a quanto pare era troppo ovvio. In quel momento, sembrava tanto un bambino che era rimproverato dai genitori.

“Joonmyun, non puoi curare le persone in eterno. Non puoi fare quello che lei non ha potuto fare in questi anni”, disse con voce dolce Yixing, piegandosi leggermente sulle sue ginocchia, guardando verso la skyline di Seoul, “Sono passati tre anni, credi che–”.

“No”, il diretto interessato già sapeva cosa volesse domandargli, e la sua risposta fu un po’ ambigua. No, non voleva sentirla? No, credeva che Chorong avrebbe voluto che lui si riducesse così, a causa della sua morte?

Ci fu un attimo di silenzio, una macchina passò davanti ai loro occhi e si sentirono un paio di cinguettii, prima di poter udire il suono di voci in lontananza. I due medici rimasero in silenzio, entrambi con lo sguardo che viaggiava per tutta l’area; Yixing si tirò su, sistemandosi per l’ennesima volta le cuffie, prima di poter prendere in mano il cellulare.

“Andiamo?”, chiese e le fossette spuntarono fuori nell’esatto momento in cui sorrise.

Joonmyun lo guardò e non riuscì a trattenere un piccolo sorriso, “Andiamo”.

“Quindi… il paziente dopo un incidente stradale ha un collasso, cosa fai?”.

“Io– devo drenare il pneumotorace”.

Un’infermiera spuntò da dietro la tenda, con un timido sorriso, “Dottor Kim, la sala per la risonanza magnetica è pronta”.

“Mh, bene. Jihoon, porta il paziente; Jongdae, tu seguimi”.

Erano passati un paio di mesi da quando Jongdae era stato affidato a Joonmyun, e dire che la situazione in fatto di lavoro non era affatto migliorata, era dire poco. Se prima doveva seguirlo da una parte all’altra come un cagnolino, correndo, ora doveva pure rispondere a delle domande a sorpresa su cosa-fare-in-determinata-situazione, le quali non c’entravano un bel niente su ciò che stavano facendo in quel momento. Quel giorno, poi, era più impegnativo del solito. Al dottor Kim era stata data la cartella di una paziente appena arrivata da un incidente stradale, e dopo controlli su controlli era stato deciso di farle dei raggi X. Jongdae credette che a quel punto sarebbero dovuti andare nella sala di risonanza magnetica, per seguire la paziente, e invece il dottore gli disse di seguirlo da un’altra parte; magicamente finirono per seguire un altro paziente, e proprio lì lo stagista dovette fare un drenaggio pneumotorace.

Joonmyun, da parte sua, sembrava essere molto soddisfatto nell’avere Jongdae come tirocinante. Il ragazzo era intelligente e obbediente, e nonostante le sue continue lamentele sul fatto che lavoravano troppo, vedeva in lui quella voglia di voler fare di più e di aiutare più persone. Quando finalmente andarono in sala di risonanza magnetica, vide come il minore sembrò affasciato dagli attrezzi, e un piccolo sorriso spuntò sul suo viso.

“La paziente ha un trauma cranico moderato, quindi–”.

“Si manda in terapia intensiva per la fase acuta finché non si stabilizza”.

Magnifico.

Fino a quando non terminò il turno del giovane, continuarono in quel modo: visite fra domande e risposte. Nonostante l’espressione altrui sembrasse ancora intimorita da tutto ciò che lo circondava, il maggiore poté notare come fosse più rilassato in sua presenza, e in fin di serata ricevette pure un sorriso da parte del ragazzo, mentre lo vedeva aspettare Minseok e Baekhyun.

Joonmyun fece una piccola smorfia mentre timbrava il biglietto per l’uscita e lasciava il camice nel suo posto; era così strano lasciare il lavoro senza essere forzato da Yixing o il dottor Oh. Appena uscì dalle porte scorrevoli dell’entrata dell’ospedale, si chiese cosa stesse facendo, perché non fosse ancora dentro a lavorare, quando, però, vide in lontananza la figura di Jongdae, che lo stava aspettando nel parcheggio. Ecco il motivo per cui stava uscendo senza essere forzato: lo studente.

“Questa sera ceniamo insieme?”, chiese il minore quel pomeriggio, sembrando fin troppo rilassato questa volta.

Al medico ci vollero un paio di minuti prima di capire che si stesse rivolgendo proprio a lui, e un altro paio di minuti per controllarsi e non strozzarsi con la sua stessa saliva. Ecco, quella sì che era stata una domanda del tutto inaspettata, e non perché nessuno glielo aveva mai chiesto, ma perché se la sarebbe aspettata più da Yixing o qualche altro collega, piuttosto che da lui; sorprendentemente aveva accettato, e non aveva sorpreso solo se stesso, ma anche il tirocinante e Jiyoo, che a quanto pare aveva sentito la domanda; ecco com’era finito lì.

“Joonmyun-ssi, ci hai messo un po’!”, esclamò Jongdae, appena furono l’uno difronte all’altro, “Mi ero quasi arreso all’idea che fossi rimasto a lavorare”.

Tutta quella formalità anche fuori dal lavoro gli fece un effetto strano, “Ho solo– ecco– avuto problemi con la macchinetta per timbrare”, s’inventò.

“Bene, quindi– si cena da te o da me?”.

Ci fu un minuto di silenzio da parte del maggiore, il quale passò tutto il tempo a sbattere le ciglia – non lo aveva veramente chiesto, vero? Si diede un pizzicotto attraverso le tasche, e, con dispiacere, dovette costatare che no, il ragazzo diceva sul serio.

“Oh, io aveva pensato a un ristorante, sai–”.

“Ah! No, no! Non voglio che tu spenda soldi”.

Davvero, davvero carino da parte sua ma ora il problema era uno: andare a casa sua o a casa dell’altro? Si morse nervosamente il labbro quando―

“Andiamo a casa mia”, disse, senza nemmeno pensarci.

Si poteva dire che il medico e il tirocinante ormai si conoscessero da un bel paio di mesi, e durante quei mesi avevano avuto conversazioni che li avevano portati a conoscersi meglio. Nonostante ciò, però, nonostante la piccola confidenza che in qualche modo entrambi cercavano di nascondere, anche se erano da soli, il maggiore si sentì tremendamente nervoso quando entrarono nel suo appartamento. Il minore, ignaro del nervosismo che provava il padrone di casa, poté costatare ad alta voce che l’altro viveva in un bell’appartamento. Prima ancora che Joonmyun potesse dirgli qualcosa, si offrì per fare la cena da solo.

“Dovrei offrirgli qualcosa?”.

“Perché offrirgli qualcosa mentre sta cucinando?”.

“Giusto, giusto – magari lo aiuto?”.

“Rilassati”.

“Oddio, ho pure l’appartamento disordinato–”.

“Joonmyun”.

“Forse dovrei proprio aiutarlo”.

“Kim Joonmyun”.

“O sistemare casa, no?”.

“In tutto questo, perché Jongdae è a casa tua e tu sei così agitato?”.

Il diretto interessato boccheggiò, poggiandosi contro il muro e cercando una risposta plausibile e di senso compiuto per la domanda che gli fu appena posta. Già, Joonmyun, perché sei così agitato?

“Sono io quello che doveva fare delle domande, non tu!”, fu l’unica cosa che riuscì a dire, sbirciando dentro la cucina.

“Aspetta”, disse Yixing dall’altra parte del telefono, per poi accennare una risata, “E’ un appuntamento il vostro?”.

Ora il coreano dovette trattenere il fiato e sperare che la voce non giungesse pure dove Jongdae stava momentaneamente lavorando.

“Oddio ma tu devi lavorare”, sbuffò, prima di potergli chiudere in faccia la chiamata. Annotazione: Yixing da quel giorno era un pessimo amico con cui non confidarsi.

Passarono pochi minuti dalla chiusura della chiamata prima che Jongdae potesse chiamarlo, informandolo che la cena era pronta. Da ben tre anni, da quando viveva di ramen istantaneo e di cibo riscaldato, Joonmyun poté sentire il delizioso profumo del cibo fatto in casa e cucinato al momento. In qualche modo, il minore riuscì a preparare più pietanze in poco tempo e presto i due si ritrovarono a tavolo, immersi nel pasto che stavano consumando. C’era silenzio, ma a nessuno dei due dispiaceva, e passarono in quel modo il resto dei minuti, finché nei piatti non rimase alcuna briciola, se non qualche goccia di salsa, di qua e di là, e qualche chicco di riso.

“Cucini molto bene”, si complimentò il medico, sorridendo in modo genuino.

Lo stagista sorrise a sua volta, però timidamente, mentre accettava i complimenti, “E tu mangi molto bene, a quanto pare”, rispose, con una piccola risata, “Sembrava non mangiassi da anni”.

“Mettiamola così: non mangio piatti del genere da anni”.

Questa volta scappò una risata ad entrambi, spontaneamente, e dopo aver riordinato le posate e i piatti, andarono a sedersi in salotto, con delle birre in mano e pronti per una chiacchierata. A quanto pare, da come poté notare il maggiore, trovava più facile intraprendere una conversazione con l’altro al di fuori dell’ospedale che dentro – se a lavoro si limitavano a parlare in breve tempo di pazienti, senza contare le domande per provare la conoscenza dello studente, lì trovavano buono ogni argomento e riuscivano a parlare di tutto e di più.

“Perché hai scelto di essere un medico?”.

“Ho visto che il tuo arredo non ha colori molto accesi – ti piacciono i toni scuri?”.

“Ah, mi ricordo quando…”.

Era tutto più spontaneo, come se i muri dell’ospedale ricordassero ad entrambi che dovevano mantenere una certa professionalità, quindi un certo distacco. Passarono i secondi, perciò i minuti e così le ore, e senza nemmeno accorgersene i due si trovarono con le bottiglie di birra finite e l’orologio che segnala più di mezzanotte.

“Ammiro il modo in cui lavori”, disse ad un certo punto Jongdae, quando il silenzio fra loro due cadde.

Joonmyun sembrò sorpreso da quella frase e si voltò, così da poterlo guardare in viso, con un’espressione che non lo tradiva e dava a vedere il suo stupore.

“Dico davvero!”, esclamò il primo, interpretando già lo sguardo che il secondo gli aveva lanciato, “Yixing mi ha parlato di quanto lavori, certe volte sforando gli orari dei tuoi turni, e io stesso ho potuto vedere di persona come ti muovi da paziente a paziente e come affronti ogni incarico con un sorriso e in modo deciso. Stai dedicando la tua vita per quella degli altri, per far sentire bene ogni tipo di paziente con qualsiasi sintomo, dal più piccolo al più grave. Quando riceverò la laurea, e inizierò a lavorare come vero medico, desidero essere tanto bravo quanto attento nel mio lavoro, come te... hyung”.

A quella confessione il cuore dell’altro perse un battito, sentendosi in qualche modo importante. Nessuno gli aveva mai detto cose del genere. Certo, nei suoi anni da medico aveva ricevuto vari complimenti, su come svolgeva il suo lavoro e come si comportava con i pazienti, ma mai in modo così diretto come aveva fatto in quel momento lo stagista. Sorrise dolcemente, tornando a posare il proprio sguardo sul viso altrui, e una mano andò a massaggiare la sua spalla.

“In questo momento sono capace di dire solo una cosa: sono felice di avere te come tirocinante. Sei bravo e intelligente, probabilmente sai fare cose che io, al tuo posto, non sapevo fare e sei paziente, forse fin troppo – scommetto che uno dei tuoi amici sarebbe già andato a lamentarsi con il dottor Oh, per quanto mi muovo velocemente”, scappò ad entrambi una risata all’ultima affermazione, “Sono sicuro che sarai un medico eccellente”.

Non c’era bisogno di dire grazie, perché nello sguardo di entrambi si poteva notare quel senso si gratitudine.

“Oh!”, esclamò dopo un po’ l’altro, e il sobbalzo lo fece avvicinare appena al corpo del più grande, “Questa mattina il dottor Oh mi ha detto una cosa, sai?”

“Davvero? Che cosa?”, chiese egli, curioso e allo stesso tempo confuso – perché sembrava così emozionato?

“Ci ha visti lavorare insieme, in questi giorni, e ha detto che formiamo un bel duo”, riportò, sorridente.

Il sorriso stampato sul volto del primo man mano si affievolì, nel frattempo che pensava a quelle parole, e un flashback breve quanto doloroso gli trapassò la mente.

“Tesoro! Ho appena parlato con il dottor Oh, sai? Ha detto che insieme siamo un bel duo!”, disse Chorong, appena incrociò Joonmyun nel corridoio.

All’uomo quasi non mancò il fiato, cercando di sembrare il più normale possibile, e, a disagio, si passò una mano fra i capelli, guardando l’ora sull’orologio da polso.

“Oh… guarda che ora è! E’ piuttosto tardi, non trovi? Penso – ecco, forse dovresti tornare a casa, domani hai un altro turno prima del weekend, no?”.

Forse aveva reagito male, forse era stato troppo impulsivo, ma in pochi minuti i due si augurarono la buonanotte – quello di Jongdae fu piuttosto confuso – e il medico si ritrovò nel silenzio del suo appartamento, per la prima volta in quella sera. Deglutì a fatica e cercò di non pensare a come la storia si stava ripetendo, a come il dottor Oh aveva detto la medesima cosa a due persone diverse, le quali erano comunque collegate – in qualche modo – a lui.

E’ solo una coincidenza, si disse fra sé e sé, mettendosi il pigiama, Una piccola stupida coincidenza.

L’atmosfera attorno a Joonmyun e Jongdae, dopo quella serata, si fece più fredda e rigida. In qualche modo il primo ancora non era riuscito a superare quella coincidenza e il secondo si accorse che qualcosa era cambiato dal momento in cui fu mandato via, in modo frettoloso e “gentile”. Durante le visite non si guardavano, non parlavano fra loro, il medico prendeva le decisioni con le infermiere e lo studente osservava, qualche volta aiutando le infermiere in certe operazioni in cui si dovevano effettuare incisioni o infilare gli aghi. Le domande a sorpresa c’erano, comunque, ma erano sempre più corte e venivano poste di rado, quando magari i due attendevano qualche cartella o il minore era a fine del suo turno; ad un certo punto, però, la freddezza nei loro piccoli discorsi era così fastidiosa che lo studente chiese di cambiare dottore e al maggiore, il giorno seguente, fu presentato un altro tirocinante.

“D’ora in poi ti seguirà lui”, lo informò un'infermiera.

Il medico non ebbe il coraggio di chiedere dove fosse finito Jongdae.

Una cosa che ogni medico sapeva, era quella che i giorni non erano mai uguali fra loro. Potevano essere simili, ma non uguali. C’erano i giorni in cui tutto filava liscio, quelli dove potevi iniziare col piede sbagliato e poi finire meravigliosamente e viceversa, e quelli in cui tutto andava male. Tutti cercavano di evitare il quarto tipo di giorno, preferendo puntare al primo tipo; tutti, nessuno escluso, e soprattutto Joonmyun. Poiché si era promesso di lavorare sempre bene, così da essere in pace con se stesso e garantire il benessere di tutti, così da non provocare incidenti e perdite, per lui anche il piccolo errore era grave, rivedere il paziente dimesso il giorno prima era imperdonabile e far terminare la vita di qualcuno era un reato da punire.

In tre anni aveva lavorato nella massima tranquillità e pace, pulito, poiché non aveva mai combinato qualcosa che potesse gravare sulla salute di un paziente, eppure, quel giorno, qualcosa andò storto.

Iniziò tutto con una cartella che presentava il bollino rosso, ciò era già qualcosa di grave, poiché bollino rosso stava a dire “emergenza”, poi la cosa andò a peggiorare man mano, lungo la visita. In tutta quella fretta, in tutti quegli ordini che dovette dare senza perdere la calma e il controllo, riusciva a ricordare solo una cosa: troppo sangue. Prima le ferite profonde e poi l’emorragia, e prima ancora che potessero bloccare ogni tipo di fluido, era tutto finito.

“Dottor Kim, non c’è battito”. Non c’è battito.

Quella frase non abbandonò la mente del medico, né quando abbandonò il box per andare dai parenti del paziente, già giunti in ospedale, né quando si mise in disparte, per avere un momento per sé. Aveva fallito e aveva mancato la promessi che si era fatto tre anni fa, dopo la morte di Chorong – mai lasciare che qualcosa del genere accadesse di nuovo sotto i suoi stessi occhi, mai lasciare che un’altra famiglia potesse soffrire per una cosa del genere.

Lasciò cadere la testa in avanti, poggiandola sulle mani, nel frattempo che stava piegato su se stesso, sulle sedie di quel corridoio vuoto, e ignorò i passi che man mano si facevano più vicini a sé.

“Tornerò subito, lasciatemi– aspettate solo qualche minuto, davvero”, disse lui, sicuro che fosse il nuovo tirocinante o qualche infermiera che in quel momento lavorava con lui.

“Le ferite erano troppo profonde e c’è stata una emorragia che nessuno è riuscito a controllare e fermare, purtroppo. Lo hai detto tu stesso, Joonmyun”, la voce di Jongdae rimbombò per il corridoio vuoto e sul volto coperto del diretto interessato si dipinse un sorriso amaro.

“Io―”, provò a dire lui, e odiò il modo in cui uscì la sua voce, spezzata.

“Tu niente. Per quanto tu possa essere bravo, per quanto tu ci prova, non riuscirai mai a controllare una situazione del genere, con ferite così gravi e emorragie che non si possono fermare, potrai fermare qualcosa, ma non tutto. Non è colpa tua se è arrivato in ospedale quando ormai era troppo tardi. Hai fatto solo il tuo lavoro”, nel frattempo che parlava, il ragazzo si sedette al suo fianco.

“Non volevo che accadesse di nuovo”.

“Di nuovo?”.

Joonmyun respirò profondamente, prima di alzarsi e voltarsi, mettendosi di profilo rispetto Jongdae, osservando la fine del corridoio, “Quando finisce il tuo turno?”.

“Tra un’ora. Perché?”, chiese confuso il minore.

Come lui, “Aspettami davanti la mia macchina”.

Le dita del medico cercarono velocemente l’interruttore della luce, nel momento in cui aprì la porta e fece accomodare lo studente. Entrarono in salotto insieme e si sedettero sul divano, l’uno di fianco all’altro.

Jongdae guardò attentamente Joonmyun, il quale si stava sfregando le mani con fare nervoso, nel frattempo che attendeva delle spiegazioni. Quel di nuovo non mollò la sua mente per l’intera ora in cui dovette aspettare.

“Il suo nome è Park Chorong, ed era la mia fidanzata”, iniziò, e non riuscì a trattenere un piccolo sorriso, “Abbiamo fatto gli stessi corsi all’università e siamo finiti per lavorare nello stesso ospedale, andava tutto bene e prendevo il mio lavoro seriamente – e non seriamente seriamente come ora. Finivo i miei turni quando terminavano, e nonostante amassi come ora il mio lavoro accettavo volentieri i giorni di pausa, mi piaceva passare il tempo fuori dall’ospedale e spesso uscivo anche con Yixing, o con lei. Andava tutto bene, finché tre anni fa non successe l’immaginabile. Chorong ebbe un incidente, e mi informarono solo quando– quando non riuscirono a salvarla. Fu la notte peggiore della mia vita, e da quel momento decisi di dedicarmi di più al mio lavoro, di eseguire ogni incarico con più attenzione, di evitare ogni incidente che potesse portare qualcuno nella stessa situazione in cui mi trovai io, quel giorno”.

“Per caso questo ha a che fare con la tua reazione quando ti ho detto che il dottor Oh pensava fossimo un bel duo? Chorong c’entra qualcosa?”, chiese piano.

“Lo disse pure a noi”.

Ci fu un attimo di silenzio dove entrambi guardavano ovunque, tranne nella direzione dell’altro, pensando e tacendo. Jongdae ora capiva perché Yixing sembrava preoccupato, ogni volta che gli parlava di quanto l’altro medico lavorasse, e capiva perché il più grande reagì in quel modo per quei due episodi. Dall’altra parte, mentre il minore collegava ogni domanda con ogni risposta, Joonmyun si sentì improvvisamente… leggero, come se quella confessione lo avesse aiutato a liberarsi di tutto ciò che in quei tre anni si era portato dietro.

“Però, hyung”, disse ad un certo punto il minore, dopo un lungo silenzio, “Penso che, ecco, tu debba voltare pagina, tornare alla vita di una volta”, ammise.

Il diretto interessato lo guardò, con un sorriso che portava un misto di amarezza e ironia, “Come può una persona con il cuore tuttora infranto cambiare pagina?”.

L’altro si avvicinò, e gli prese una mano, stringendola, “Permettimi di guarire il tuo cuore”.


Dopo tre anni dall’incidente, per la prima volta, Joonmyun non pensò a Chorong – non pensò a lei mentre tirava a sé Jongdae, non pensò a lei mentre coinvolgeva il minore in un bacio pieno di sentimento. Per la prima volta dopo tre anni, pensò a qualcun altro, pensò a Jongdae. Pensò a lui mentre, nel bacio, lo trascinava in camera, pensò a lui mentre faceva combaciare i due corpi perfettamente. Dopo tre anni, Joonmyun si lasciò andare nelle braccia di qualcun altro.

  
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