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Autore: keska    24/05/2009    32 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Il cuore aveva cominciato a battermi furiosamente nel petto, mentre con le mani mi paravo il viso dal calore, e lasciavo cadere la mela in terra con un tonfo sordo

Capitolo riveduto e corretto.

 

Il cuore aveva cominciato a battermi furiosamente nel petto, mentre con le mani mi paravo il viso dal calore e lasciavo cadere la mela in terra con un tonfo sordo. Fiammate alte e bollenti si stagliavano davanti ai miei occhi. Non feci neppure in tempo ad accorgermene, che mi ritrovai a volare, e vedere le cose sfrecciarmi intorno, veloci. Mi sentii scivolare dal colosso di pietra al quale ero aggrappata.

«Reggiti!» ringhiò sommessamente Emmett, aumentando la stretta sulle mie braccia.

Mi strinsi con le gambe intorno al suo busto, mentre, tremando, nascondevo il viso sulla sua schiena.

Il muro di fuoco era davvero enorme, gli correvamo parallelamente, ma sembrava non finire mai. Era spesso almeno sette file di alberi. Ancora non riuscivo a spiegarmi per quale motivo fosse scoppiato così all’improvviso. Non potevo accettare l’unica soluzione che subito mi era venuta alla mente.

Se Jacob era arrivato a me, allora Edward…

Non mi accorsi quasi quando Emmett si fermò di botto. Il mio cuore aveva smesso di battere. Sentivo il corpo irrigidito, vigile. Ogni muscolo era teso, contratto.

«Maledizione, siamo chiusi in un cerchio!» imprecò.

L’incendio non era affatto casuale. Il pugnale che mi era stato puntato al cuore reclamava il mio petto come fodero. Sentii il crepitio del fuoco punzecchiarmi le orecchie.

«Allora, è stato lui?» chiesi senza fiato, gli occhi ampi. Dovevo sapere.

Emmett ringhiò, facendomi scendere al suolo con un movimento dalle sue spalle. «Sento puzza di cagnaccio».

Mi ritrovai malamente sorretta sui miei stessi piedi. Emmett scrutava le fiamme, tentando di individuare un varco, credo.

«Edward?» la voce mi era uscita alquanto flebile.

Il grosso vampiro si portò le mani fra i capelli, ansioso. «Non lo so, non lo so, accidenti! Non so che diavolo fare!» esclamò, lo sguardò impazzito che si muoveva rapido fra il mio viso e le fiamme, in scatti repentini. Era sempre tanto coraggioso che non si sarebbe certo tirato indietro nel caso di uno scontro. Ma quando non c’era il nemico, non c’era chi fronteggiare, tutto diveniva più complicato.

Respirai, piano. Sentivo il cuore nelle orecchie, ma non era un suono disturbante. Chiusi gli occhi, e presi un altro lungo respiro, portandomi la mano a livello del petto, sulla cicatrice che lo tagliava in obliquo. Erano in sei, e Edward avrebbe saputo difendersi. Cosa avrei potuto fare, comunque, in quel momento, per lui? Niente che non fosse salvare me stessa e suo fratello.

«Emmett». L’istante di silenzio che passò fu riempito dal rumore di un albero bruciato che cadeva in mezzo alle fiamme. Feci un passo in avanti e poggiai le mie mani sulle sue braccia, non potendo con la mia bassa statura, arrivare alle sue spalle. Lo fissai negli occhi con decisione. «Chiamiamo Edward».

Annuì, e per un istante mi parve smarrito e impaurito. Sapevo cosa stava pensando.

«Staranno bene, Rosalie starà bene» provai a rassicurarlo.

Voltò lo sguardo e ringhiò. No, ruggì. Un suono basso e cavernoso, come quello di un orso. «Se solo potessimo uscire da questa dannata gabbia».

Abbassai il viso, cavandomi il cellulare dalle tasche. ‘Il servizio non è attualmente disponibile, ci…’ rispose la voce registrata.

Mi portai una mano alle tempie, stringendo con forza. Il fumo si stava abbassando, per colpa del vento. «Pensiamo, cosa possiamo fare? Non possiamo saltare il muro?» domandai spaventata.

«Se vuoi rischiare di morire» ringhiò frustrato.

«Ehi, calma. Non eri tu il super-vampiro?».

Mi mostrò i denti. «Se non sbaglio sei infiammabile. E anch’io, sai?» sbottò sarcastico.

Sentii il calore bruciarmi il viso e istintivamente feci alcuni passi indietro, seguita da Emmett. Ingoiai il magone di paura che mi stava stringendo la gola.

«Troviamo un cazzo di modo per uscire di qui, allora!» strillai isterica, il calore che mi invadeva ad ondate.

Scosse il capo, con un sorriso. «Accidenti a te, stupida umana».

Gli restituii il sorriso. Cancellando intanto il velo di sudore che mi copriva la fronte.

Sospirò. «Proviamo una cosa. Tieni questa, e non ti abbrustolire» fece, sfilandosi l’enorme giacca e porgendomela.

Corrugai le sopracciglia. «Perché? Ho caldo» protestai.

Mi bloccò le spalle. «Primo, qui si fa come dico io. Secondo, ne so qualcosa in più di te sulle ustioni. Mettila, e copriti bocca e naso».

Sbuffai, obbedendo, tuttavia. Il fumo aleggiava nell’aria pizzicandomi gli occhi e facendomeli lacrimare. Tossicchiai. In un attimo scomparve alla mia vista. «Emmett!» urlai, troppo tardi.

Tornò dopo pochi secondi, con il grosso tronco di un albero fra le braccia.

«Cosa diavolo hai intenzione di fare con quello?» strillai, mentre lo faceva ondeggiare pericolosamente.

«Ci dobbiamo sbrigare» borbottò «il fuoco sta divampando».

«Emmett!».

Mi scoccò un’occhiata. «Sta’ a vedere». E abbassò l’albero divelto, usandolo per spazzare i tronchi bruciacchiati e in fiamme. Riuscì ad abbatterne solo tre, prima che il tronco che aveva in mano prendesse fuoco.

Deglutii, spaventata. Troppo lento. «Di questo passo non ce la faremo mai!» urlai, avvicinandomi per farmi sentire nonostante il crepitio del fuoco. Una zaffata di fumo caldo m’investì in pieno.

«È l’unica cosa che mi è venuta in mente» ringhiò, voltandosi di scatto nella mia direzione. Allargò gli occhi e mi prese fra le braccia, facendo un balzo indietro. «E sta’ lontana, dannata zuccona!».

Scossi il capo, le lacrime ai lati degli occhi. «Non funziona» gracchiai, la voce soffocata.

Abbassò le spalle in un lungo sospiro. «Lo so. Cazzo, lo so» sbottò, gli occhi fissi sul fuoco. «Sali su, proviamo a saltarlo».

Sgranai gli occhi. «Ma, hai appena detto…».

«So cosa ho appena detto» sibilò sui denti. «Salta su».

Tremai, esitai. E poi feci come mi diceva. Forse aveva ragione, un’ustione era meglio della vita. Mi strinsi con tutta la mia forza umana al suo torace ampio. Il fuoco era troppo, troppo alto. E tutto questo accadeva, ancora una volta, solo a causa mia…

Emmett caricò sulle gambe, pronto a saltare.

In quel momento si udì un ringhio mostruoso e un ululato, tanto che chiusi istintivamente gli occhi e mi tappai le orecchie. La presa della mani di Emmett si annullò e caddi a terra. Quando li riaprii lo spettacolo che mi si presentava dinanzi era alquanto pauroso.

Jacob, al centro della radura, tremava in modo violento, nudo, fissando in maniera malsana il velo da sposa che si agitava sui miei capelli. Il cuore prese a battermi velocissimo nel petto. Emmett si era posto davanti a me, a proteggermi.

Jacob alzò lo sguardo, puntandolo nei miei occhi. Il peggiore dei miei incubi si stava realizzando, ed era quasi assurdo che fosse così, quando la persona che avevo davanti era stata un tempo quella che consideravo il mio migliore amico. Ma chi, sano di mente, appicca un fuoco in una foresta solo per avere con sé una donna, una per cui ha un interesse che non può essere definito null’altro che morboso?

«Lasciala a me… E tu te ne potrai andare. Lasciala e me, e vi salverete entrambi. Lasciala a me…» ringhiò fra i fremiti «è mia!» urlò, serrando i pugni. Mi sentii sprofondare. Tutte le speranze che avevo serbato fino a quel momento, in un attimo si erano dissolte nel nulla. Non ero capace di muovermi, di parlare, di fare nulla. Ero bloccata dalla paura. Paura che non era comparsa quando davanti ai miei occhi si era presentata la mia morte. Paura per adesso, con Jacob, per qualche motivo, di fronte a me.

«Scordatelo, cagnaccio!» di rispose furioso Emmett, con un ghigno di sfida stampato in faccia.

Qualcosa svolazzò davanti a i miei occhi. Una foglia bruciata che cadeva lentamente, cullata dal vento, consumandosi nel rosso del fuco. La stessa cosa stava facendo nella mie mente buia un pensiero ramingo. «Dov’è Edward?» chiesi con voce tremante.

Gli occhi di Jacob si scurirono di rabbia. «Pensi sempre a lui, eh? Sempre e solo a lui. È un’ossessione, la tua, come puoi non capirlo? È senza vita, Bells! Il suo cure non batte! Come puoi non vederlo, come puoi non capirlo?».

Serrai i pugni, controllandomi a stento. Non volevo rispondergli. Lui mi ama, gli avrei detto. Mi ama, e questo lo rende più vivo che mai. «Dimmi, dov’è, Edward» scandii, inferocita. La testa cominciò a girarmi, per l’angoscia e per il calore insopportabile.

Fortissimi tremiti, simili a convulsioni, lo attraversarono. Un lento sorriso malevolo si disegnò sulle sue labbra. «No. Lui non c’è più, ci sono solo io ora» ghignò, malevolo.

Il respiro divenne affannoso, mi si bloccò in gola. «Cosa significa non c’è più?!» la mia voce era rotta, roca, a stento controllavo le lacrime, sia per la tensione, che per il fumo nero che mi offuscava la vista. Tossii. Non fidarti di lui. Ascolta la voce nella tua testa. Edward è ancora vivo. Non fidarti di lui. Una trappola, era solo una trappola.

Il suo sorriso si fece strafottente, compiaciuto. Come poteva dire di volermi e cullarsi nel mio dolore? Mi sollevai malamente sulle gambe, andandogli incontro con la cieca intenzione di fargli del male, del male fisico. Di uccidere la sua strafottenza, di seppellirla sotto il fuoco e la cenere, di seppellirlo sotto il fuoco e la cenere.

Emmett mi trattenne per un braccio. «Dicci dov’è, o taci e muori».

Jacob scoppiò in una fragorosa risata. Strafottente. «Se io muoio, chi vi salva?».

Ebbi un fremito. Ero completamente sudata, e il calore mi stava divorando, e mi offuscava la mente. L’angoscia per la sorte di Edward mi stava consumando. Emmett mi mise un braccio intorno al corpo, alleviando il mio malessere con la sua frescura. Jacob ringhiò. Mi sentivo profondamente stordita. Mio malgrado mi abbandonai contro il suo petto, tossicchiando per il fumo.

«Non vedi che sta morendo di caldo? La stai facendo soffrire, cane!».

Jacob parve per un attimo ridestarsi, ritornare il ragazzino di sempre. «Io… io non… non volevo… io non voglio fare del male!».

Provavo odio. Il calore si riversava come un’onda, spinto dal vento. «Cosa vuoi da me?» sibilai a voce bassa, per quanto riuscissi.

Fece un gesto stizzoso con le braccia. «La possibilità di farti capire cosa vuoi veramente».

«L’hai già avuta» sbottai duramente.

«Non davvero» incalzò, ammorbidito da quello che aveva preso come una mia apertura nei suoi confronti. «Non davvero, Bells! Non hai ancora capito che mi ami!».

«Perché non ti amo!» ribattei, frustrata. «Ti sei preso con la forza una parte di me, insinuandoti nella mia vita come un conforto, una spalla su cui piangere. E poi mi hai chiesto sempre di più, sempre di più, non ti bastava mai. Mi hai chiesto ciò che non potevo o volevo darti - no, l’hai preteso. Sei sempre stato abituato a fare uso della tua forza. Basta, Jacob! Ora basta! Lasciami andare!».

«Mai!» urlò, paonazzo.

Sollevai le braccia al cielo, fra il fumo. Mi girava la testa. «Non ti rendi conto quanto folle sia tutto questo? Come puoi non farlo? Come?! Hai appiccato un incendio in un bosco! Solo per parlarmi!». Mi portai le mani sugli occhi, mentre sentivo il mio corpo scivolare inesorabilmente verso il basso, e la presa di Emmett farsi più forte.

Le sue narici si allargavano, mentre respirava rumorosamente. Come un toro infuriato. «Per averti! Non per parlarti… per averti».

«Non mi avrai» ribattei, infuriata. «Mai. Non mi avrai mai! Piuttosto mi ucciderò, hai capito?» strillai, isterica, e gli avrei strappato gli occhi con le unghie se Emmett non mi avesse trattenuta. «Questi mesi sono stati un incubo! Un incubo! Ho vissuto con il terrore che potessi tornare da me. Ho pregato perché mi stessi lontano. E te lo devo confessare, ho pregato, perché tu morissi!».

«Bella».

Mi voltai. Emmett mi teneva stretta nella sua presa. Battei le palpebre, incerta. L’avevo solo immaginato…? La mia mente mi pareva così confusa, adesso, così lontana ora che tutto il fiato mi era uscito dai polmoni.

«Bella!» una voce lontana, mascherata e ovattata dal crepitio del legno che brucia.

Ne ero certa. Non era un’allucinazione. «Edward!» urlai, con tutta la forza che avevo. Mi sentivo immediatamente rinvigorita, più forte, sveglia, come se un dolce balsamo e un velo di seta fosse passato sulle mie ferite pulsanti.

«Lei è mia!». Il grido di Jacob si espanse per tutta la foresta in fiamme.

Risposi con altrettanto vigore e decisione urlando un «No!».

All’istante un enorme lupo furioso, con i denti digrignati, si lanciò verso di me. Mi portai, in un gesto istintivo quanto inutile, le braccia sulla testa, per proteggermi.

Passarono alcuni istanti, ma non successe nulla.

Allora riaprii gli occhi, osservando la scena che mi si presentava a circa venti metri di distanza. Emmett stava lottando contro l’enorme lupo, ad una velocità cui difficilmente riuscivo a tenere testa, soprattutto ora che la mia mente era offuscata.

Avvertii un movimento nella tasca dei miei jeans. Quasi come un automa afferrai il cellulare, e risposi. «Bella!».

Emisi un lungo sibilo. «Edward» poi, più forte «Edward? Dove sei?». Il rumore del fuoco in avanzamento copriva la mia voce.

La sue parole, pur volendo essere rassicuranti, uscirono alquanto ansiose «Sono qui, sono vicino, non temere».

Ero ansiosa, preoccupata. «Edward, lui è qui! E’ tornato, è tornato! E’ stato lui ad appiccare l’incendio…» lanciai un’altra occhiata allo scontro che imperversava.

«Lo so Bella, lo so. Ci ha ingannati tutti, non era lui dentro la casa! Ci ha fatto perdere un mucchio di tempo prezioso, mentre lui era qui con te! Accidenti… Jasper aveva ragione, c’era qualcosa che non andava, ci ha ingannati tutti!» sbottò frustrato, e lo immaginai passarsi una mano fra i capelli, come faceva sempre quando lo era. «Ma ora verrò a prenderti, te lo giuro».

Alcune parole di Jacob mi tornarono alla mente. «Edward?» lo chiamai.

«Sono sempre qui».

«Lui sa come farci uscire da qui, c’è un modo. Quando è scoppiato l’incendio, lui non c’era nel cerchio, è venuto dopo!».

«Carlisle, hai sentito?» gli sentii mormorare. Poi la sua voce si fece più rassicurante. «Lo troverò. Troverò il modo».

Udii un ululato, e mi voltai, spaventata, verso il suo luogo di provenienza. Emmett teneva Jacob per il collo e una zampa, mentre lui si dibatteva, azzannando l’aria con i denti, pericolosamente vicino alla testa di Emmett.

Chiusi le palpebre, e vivida nel buio vivi un’immagine. Il fuoco. L’unica cosa che potesse ferire un vampiro era il fuoco. Jacob aveva progettato perfettamente il suo piano. Voleva che Edward morisse. E voleva avere me. Non gli avrei permesso di ottenere nulla di tutto questo.

Tossii.

«Bella? Bella, cos’hai?».

«N…nulla…» mi cancellai, quasi inutilmente, il sudore che mi ricopriva il viso. La testa mi girava, stavo per cadere a terra, le ginocchia non mi avrebbero sorretto ancora per molto.

«Non è vero che non è nulla, io ti vedo». Mi ricordai, scioccamente, solo allora della sua facoltà di leggere nel pensiero. Crollai accovacciata a terra, il cellulare ben saldo accanto all’orecchio. «Bella! Dannazione!». Un tronco d’albero incendiato cadde a pochi metri da me. Mi feci forza e gli gattonai lontano, verso altri alberi non ancora in fiamme.

«Edward» lo chiamai debolmente.

«Sono qui amore, sono qui. Sto venendo a prenderti».

«Edward» ripetei ancora, come se riempirmi la bocca del suono del suo nome fosse oltremodo rassicurante. «Non permettergli di ucciderti».

Solo il silenzio passò per la cornetta per alcuni secondi. «No. Non lo farò mai» rispose, incerto per le mie parole.

Presi un fiato e un breve respiro. Faceva male morire bruciati? Immaginavo di sì, molto. Chiusi gli occhi, e ricordai uno dei miei primi tentativi di fare un dolce. Ero ancora con mia madre, a Phoenix. Avevo appena sfiorato la teglia bollente, e poi mi aveva fatto male per tutto il giorno, prima di scomparire senza lasciare segni. Le mie palpebre tremolarono. Un altro ricordo. Stavo insegnando a Edward a fare dei biscotti, non più di un mese fa.

«Cosa ti importa? Li mangio solo io».

Aveva sorriso, un sorriso gentile e composto. «Voglio cucinare per te. Almeno per una volta. Dai, cosa ti costa? Insegnami».

C’era stata tanta farina per aria, e tanti baci, e tante prove per la prima notte di nozze. Volevo sempre di più, quando ero con lui.

E poi. «Ehi! Si stanno bruciando!» avevo esclamato, mezzo ridendo. Avevo aperto il forno di fretta, ma il mio anello era rimasto incastrato contro la grata. Solo per qualche secondo. Aveva fatto male qualche, terribile, orribile secondo, poi non avevo sentito più nulla. Era una bruciatura abbastanza grave, e mi era rimasta la cicatrice. Ma aveva fatto male solo per qualche secondo.

«Bella?».

Aprii gli occhi, rispondendo alla voce insistente del mio fidanzato. «Neppure io gli permetterò di prendermi» mormorai contro la cornetta. «Non posso, capisci? Non ci riuscirei». Sembrava facile, c’era molto fuoco.

Il panico comparve in un attimo nella sua voce. «Bella, Bella? Cosa stai dicendo, Bella? Ascoltami, ti prego. Non fare niente di stupido».

La testa mi girava, tossivo. Volevo lasciarmi andare. Forse sarebbe stato anche meno doloroso. Forse non avrei avuto scelta.

«Sì un tunnel, dev’essere proprio un tunnel!».

«Per di qua!».

Sentivo altre voci attraverso la cornetta, e le sentivo girare nella testa. 

«Bella!» - Edward.

«Sì».

«Non costringermi a venire lì adesso, capito? Non mi costringere» sibilò, facendomi sentire la paura nella sua voce, «perché sono pronto ad attraversare il fuoco, se serve».

Chiusi gli occhi, biascicando un «No» a fior di labbra.

«Amore? Ascoltami. Fai ciò che ti dico. Copriti il volto con la maglietta che ti ha dato Emmett. Respira il meno possibile, e con il naso. Fallo» mi ordinò fra i denti.

 Tentai di assecondare la sue richieste.

«Ci sei ancora?».

«Sì…» sospirai. Sentivo lontani rumori strozzati, schiocchi secchi. «Io…Emmett, ho paura per lui… non…non so…».

«Non ti preoccupare di questo, Emmett è un lottatore bravissimo e se la sta cavando alla grande. Presto ti tireremo fuori di lì, non ti preoccupare, ma ora fa come ti dico».

Tossii ancora. Il terreno mi bruciava contro la guancia. Provavo a convincermi, con tutta ma stessa, che Edward sarebbe venuto da me. Che nessuno si sarebbe fatto male.

«Sollevati in piedi, e qualunque cosa accada, non ti addormentare. Non ci provare, capito?!» disse con una disperazione e frustrazione immense.

«Va bene…» la voce mi usciva impastata, lenta, le palpebre erano pesanti. Feci pressione sul polso, posai dapprima un piede, poi mi sollevai sulle gambe inferme.

«Bene, ora cerca di portarti quanto più su puoi con il naso, non respirare più del necessario. Stiamo venendo a salvarti, va bene?! Ma tu devi resistere, resisti. Parlami, dimmi qualcosa…».

Inclinai in alto la testa, facendo come mi diceva. Con la coda dell’occhio osservai la lotta che imperversava davanti ai miei occhi, Jacob che lottava contro Emmett, senza esclusione di colpi. Si udì un ringhio e un guaito, poi ancora silenziosa lotta, animata dai giochi di luci perversi scatenati dalle fiamme. Oramai il cerchio non tempestato dalle fiamme si era davvero ridotto.

«Bella?» sentii richiamarmi da Edward, ansioso.

«Ci sono, scusa» biascicai «vorrei che lui non esistesse. Vorrei che non fosse mai esistito» mi lamentai, sentendo le lacrime spingere contro gli occhi.

Un pausa. «Lo so. Anch’io».

«L’hai trovato? Vai, vai!» sentii ancora delle voci di sottofondo, «andate prima voi! Veloci! Devo rimanere indietro a trattenere gli umani».

Colsi un bagliore bianco e grigio nel vento. «Il mio velo si è tutto bruciato» biascicai con voce tremante.

«Ne avrai uno molto più bello» mi cullò con le sue parole.

«Non capisci, Edward. Lui tornerà sempre». Allentai appena la presa contro il cellulare. Il metallo stava diventando incandescente.

«E tu starai sempre con me, finché ci sarò io».

Singhiozzai, lasciandomi andare carponi. «Perché mi fa desiderare di vederlo morto, Edward? Come può farmi desiderare una cosa tanto atroce? Non avrò…» la mia voce si affievolì «non avrò mai una vita felice insieme a te, finché lui sarà ancora qui».

«Cosa stai dicendo? Bella! - no, di là! Più veloce» aggiunse, rivolgendosi a qualcun altro.

Battei le palpebre, e provai a strisciare in avanti. Le braccia mi cedettero. «Vorrei vederlo morto» farfugliai ancora.

Qualcosa saltò nella mia direzione, facendomi allentare la presa sul telefono e cadere indietro, sui gomiti. Jacob. Puntò i suoi occhi scuri nei miei, ringhiando. Scoccai un’occhiata terrorizzata al cellulare, ad almeno due metri da me, e feci per sgattaiolare a riprenderlo. Mi bloccò la strada con un’enorme zampa. «L-lasciami! Lasciami stare!» strillai terrorizzata, cercando inutilmente la figura di Emmett. Cosa gli aveva fatto?

Le sue labbra arricciate divennero una line retta. Avanzò verso di me, facendomi indietreggiare. Verso il fuoco. Strillai quando un pezzo di ramo incandescente urtò contro il mio braccio. Era caduto da un albero, bruciato da un’estremità. Chinò il muso verso di me, annusando e uggiolando.

Chiusi gli occhi, sentendo le lacrime scendere sul volto. Non gli avrei permesso di prendermi. Non gli avrei permesso di avermi. Il fuoco, il fuoco, il fuoco. Aprii gli occhi, scoccando un’occhiata al piccolo oggetto argentato ormai troppo lontano da me. Edward.

Jacob posò il suo naso umido sulla mia guancia, leccandomi. Quanto ci avrebbe impiegato a trasformarsi e prendermi e portarmi via?

Il fuoco. Edward.

Strizzai gli occhi, scacciando via le lacrime. Con un gesto deciso afferrai il ramo dall’estremità integra colpendo con l’altra il muso del lupo. Guaì, ringhiò, si tirò indietro.

Con le ultime forze mi sollevai da terra, correndo, correndo lontano. Mi voltai solo un attimo per vedere un lupo arrabbiato con un taglio rossastro sul pelo. Si lanciò nella mia direzione, e l’unica cosa che riuscii a fare fu lasciarmi cadere per terra, raggomitolata, e sperare. Udii un grido, un grido umano, e quando osai guardare Emmett stava bloccando Jacob, a pochi metri da me.

«Scappa, Bella! Va’ via! Più lontano!» mi urlò.

Obbedii. Mi sollevai sui piedi, ma quando feci per correre ancora le mie gambe si erano trasformate in marmo. Riuscii a fare solo pochi passi, prima di sentirmi crollare. Ansimai, carponi, tossendo via il fumo, la cenere e il calore.

Poi le braccia non mi ressero più. Le palpebre si chiusero spinte dal calore divampante che mi circondava come una coperta.

Finché un rumore fragoroso, un tuono, mi fece immediatamente riaprire gli occhi.

 

   
 
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