Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.212 (Fidipù)
Note: Finalmente, dopo eoni, riesco ad aggiornare anche questa storia! Sembrava davvero che fosse maledetta (un po' come me, durante il periodo natalizio, dato che non c'è storia: ogni anno mi ammalo!). Comunque si continua e, come ben si capisce (o almeno lo spero), c'è stato un bel timeskip rispetto al prologo e...
Beh, chi sono io per spoilerarvi ciò che succederà?
Come sempre, voglio ringraziare tutti voi che leggete, commentate, inserite questa storia in una delle liste, mi supportate e quant'altro.
Grazie di tutto cuore!
In tutta Paris esisteva un nome che portava
a morte certa: il popolo lo sussurrava, ricordando vecchi tempi in cui il
signore della città, con mano benevola, aiutava il volgo e lo faceva
prosperare; veniva detto a bassa voce, lontano dalle guardie, poiché ogni
persona che veniva additata come imparentata o legata a quella famiglia
trovava morte certa.
Un nome che, in quel negozio, era tabù ancor più che nel resto di tutta
Paris.
«Al tempo dei Dupain non avrei pagato simili cifre per del pane.»
sentenziò una donna dai tratti appuntiti del volto si guardò attorno,
sbuffando alla vista del conto, abbassando la voce sul nome maledetto e
osservando la ragazza che, diligentemente, stava sistemando il pane nella
cesta: «A quei tempi…»
«Madame Mendeleiev.» la riprese la padrona della panetteria, avvicinandosi
alla donna e sorridendo: «Potrebbe smettere di dire quel nome nel mio
negozio? Non voglio guai con le guardie degli Agreste.»
«Le guardie non vengono fino a qua, Sabine.» dichiarò madame Mendeleiev,
sistemandosi gli occhiali con un gesto stizzito della mano: «Quindi non
dovresti preoccuparti dei nomi che dico.»
«Preferisco non rischiare.» continuò Sabine, pulendosi le mani sporche di
farina al grembiule e fissando l’altra: «Come ben sa, l’altro giorno
monsieur Hapréle ha…»
«Lo so, lo so.» sbuffò la donna, con un gesto stizzito della mano ossuta e
scuotendo il capo: «I piagnistei della figlia sono giunti fino alla mia
casa. E per cosa? Per qualche mobile rotto…»
«Fosse solo quello…» bisbigliò la ragazza, rimasta in silenzio fino a quel
momento, mentre posava il cesto del pane sul banco e sorrideva alla
cliente: «Le sue baguette, madame.»
Madame Mendeleiev inspirò l’aria, assottigliando lo sguardo e passando in
rassegna il volto dai lineamenti fini, gli occhi azzurri e i capelli mori:
«Tua figlia è bella.» sentenziò, massaggiandosi il mento e sorridendo:
«Potresti darla in sposa a qualche nobilotto, ultimamente ne girano
parecchi da queste parti. Forse c’è scarsità di fanciulle fra le casate
ricche…» spostò nuovamente l’attenzione sulla ragazza, sbuffando:
«Certo, quei capelli così corti e quelle mani così rovinate non
aiutano la causa ma…»
«Madame Mendeleiev, immagino avrete molto da fare oggi.» sentenziò Sabine,
prendendo il cesto con il pane e consegnandolo alla donna, spintonandola
poi leggermente verso la porta con il sorriso sulle labbra: «Una donna
come lei, così facoltosa, non ha di certo tempo da perdere con delle
semplici panettiere.»
«Sì, ovviamente.» dichiarò la donna, sistemandosi i vestiti, scoccando
un’occhiata da dietro le lenti all’altra: «Ci vediamo domani, Sabine.
Mettimi da parte il solito.»
«Certamente. A domani, madame Mendeleiev.» la salutò Sabine, sorridendo e
osservando la figura secca farsi largo fra la calca della strada: alcuni
bambini corsero nella direzione opposta a quella della donna, non
accorgendosi della pozzanghera e schizzando il vestito, rimediando
rimbrotti.
Sabine ridacchiò, osservando i bambini correre via e additare la
Mendeleiev come spirito demoniaco: «Non la sopporto quando parla di me
come se fossi una vacca.» sbottò sua figlia dall’interno del negozio;
Sabine chiuse la porta, voltandosi verso la giovane e sorridendo,
vedendola piegata sul bancone, con il volto fra le mani e le guance
gonfie: «Non lo sopporto. Perché non va a comprare il pane da un’altra
parte? Viene ogni giorno e si lamenta sempre del prezzo…»
«Marinette.»
«E oggi che fa? Dice quel nome! Ma non lo sa che gli Agreste uccidono
chiunque lo dica?»
«Tesoro, gli Agreste non uccidono chiunque dica quel nome…»
«Sì, che lo fanno.» sbottò Marinette, battendo le mani sul banco: «Non ti
ricordi l’altra settimana? Quando hanno preso quel vecchio, solo perché
aveva detto qualcosa riguardo a quella famiglia?»
Sabine inspirò, trotterellando verso il retro del negozio e riprendendo a
lavorare la pasta del pane: conosceva l’uomo di cui sua figlia parlava e
sapeva benissimo perché era giunta la sentenza di morte. Non perché aveva
osato dire, da ubriaco, qualcosa sui Dupain ma perché lui faceva parte dei
Dupain: senza saperlo, sua figlia stava parlando della morte dello zio del
padre.
«Mi stai ascoltando?»
«Sì, Marinette.» dichiarò Sabine, voltandosi e sorridendo alla figlia: per
lei aveva rinnegato l’uomo che aveva amato, abbandonando ogni legame che
avevano avuto con i Dupain; erano giunte in quel quartiere, uno dei più
poveri della città, e nessuno aveva fatto domande a quella donna con una
bambina: è qualcosa di abituale,
le aveva detto Marlena, molte
prostitute giungono qui, cacciate dai bordelli e con un figlio o due al
seguito.
Sabine aveva storto la bocca, odiando che, chiunque la guardasse, potesse
vedere in lei una prostituta al termine della sua carriera ma per salvare
la figlia aveva ingoiato tutto; abbandonata la vita agiata, aveva iniziato
a lavorare, imparando il mestiere di panettiere e creando ciò che adesso
le permetteva di mantenere entrambe.
«Mamma?»
Sabine si riscosse, scuotendo il capo: «Mi hai detto qualcosa?» le
domandò, abbozzando un sorriso e voltandosi, incontrando lo sguardo
celeste preoccupato.
«Stai lavorando troppo.»
«Non può del solito.»
«Più del solito.» sentenziò la figlia, negando con il capo: «Non ti stai
riposando a sufficienza, pensi che non me ne accorga? Oltre al negozio,
adesso stai anche aiutando Marlena con le pulizie presso quei nobili e…»
«Marinette.» Sabine la interruppe, con il sorriso sulle labbra: «Sto bene,
tesoro. E dobbiamo lavorare, lo sai. Soprattutto adesso che il pane è
stato tassato.»
«Potrei andare io con Marlena.»
«No, tu rimani al negozio.»
«Ma perché?»
«Perché lo dico io.» E perché non voglio che qualcuno ti riconosca, per
quanto impossibile. Non voglio correre il rischio di perdere anche te.
«Io non capisco.» mormorò Marinette, stringendo nelle braccia e inspirando
profondamente: «Perché non vuoi? Posso farlo, posso toglierti quel peso…»
«Marinette, ma per me non è un peso.» dichiarò Sabine, avvicinandosi e
prendendo il viso della figlia fra le mani: «Prendermi cura di te non è
mai stato un peso e mai lo sarà. E adesso porta le brioches al signor Fu,
immagino che sbufferà perché sei già in ritardo con la consegna.»
«E’ vero!» sentenziò Marinette, saltando su e preparando velocemente il
cestino di dolci per l’anziano uomo, che viveva nel quartiere: «Vado!»
esclamò alla fine, sistemandosi il vestito e sorridendo alla madre, che la
osservò uscire velocemente dal negozio.
Andava bene.
Marinette sarebbe rimasta nel quartiere e non sarebbe mai stata notata
dagli Agreste.
Sapeva che la stavano cercando.
Le stavano cercando.
Ma lei l’avrebbe protetta, in modo che la vita di suo marito non fosse
andata persa inutilmente.
La sua vita sembrava perfetta dall’esterno, Adrien Agreste lo sapeva bene:
cosa poteva chiedere di più, il figlio del signore della città?
Aveva servitori per ogni cosa, i piatti della sua tavola erano i più
ricercati e gli indumenti che indossava erano delle stoffe più pregiate.
Adrien Agreste aveva tutto eppure, al contempo, non aveva nulla.
La sua vita dorata era all’interno di una gabbia, creata apposta dal
padre: non poteva uscire dal castello, non poteva avventurarsi nel mondo
esterno e tutta la sua vita si limitava a ciò che avveniva dentro quelle
mura.
Presto avrebbe compiuto diciotto anni, ma del mondo non sapeva
assolutamente nulla.
«Ti vedo pensieroso.» lo riprese Nino, mentre gli passava un calice
contenente qualcosa: Adrien spostò la sua attenzione dalla porzione di
città, che si vedeva dalla finestra nel suo studio, all’amico e sorseggiò
la bevanda offerta, storcendo la bocca.
Vino.
A quanto pareva, Nino aveva deciso di introdurlo ai piaceri dell’alcool
per fargli dimenticare la sua vita da prigioniero?
«Qualcosa mi dice che non ti piace.» sentenziò il ragazzo, passandosi una
mano fra i corti capelli castani e alzando il proprio calice in gesto di
brindisi: «E non capisco perché. Ho scelto la migliore annata fra quelle
offerte dalla cantina di tuo padre.»
«Tu finirai nei guai.»
«Se continuo a dirmelo, uccello del malaugurio, è certo che finirò nei
guai.» sentenziò Nino, buttando giù una generosa sorsata di vino: «Sai
cosa si dice dei guai, no? Che chiamandoli, arrivano.»
Adrien sorrise, abbassando lo sguardo e facendo ondeggiare il liquido
cremisi all’interno del calice: «La prossima settimana compio diciotto
anni.»
«In effetti, stavo pensando di festeggiare la cosa.» dichiarò Nino,
sorridendogli: «Una festicciola e, magari, una bella uscita da questo
maniero.»
«Sai che è impossibile, Nino.»
«Per Adrien Agreste sì.» dichiarò il ragazzo, posando il calice sul tavolo
e avvicinandosi ad un baule: «Fortunatamente, il tuo fido amico e
servitore ha pensato a tutto. E se Adrien non fosse Adrien per una sera?»
«Cosa hai in mente?»
Nino sorrise, chinando leggermente la testa: «Devi sapere che, il giorno
del tuo compleanno, c’è una festa in città e tutti si mascherano per
l’occasione e, grazie a mio padre, ho saputo che le porte del castello
verranno aperte e…»
«E quindi noi potremmo uscire per andare in città.» concluse allegro
Adrien, posando il calice e avvicinandosi al baule anche lui, curiosando
l’interno pieno di maschere e costumi: «Posso travestirmi e uscire
finalmente.»
«Vedo che il mio piano ti piace.»
Adrien annuì, afferrando una maschera nera e un mantello dello stesso
colore, provandoli: «Sarò un’altra persona, quel giorno.» dichiarò con le
iridi verdi che brillavano da dietro la maschera: «E sarà una giornata
memorabile!»
«Ti porterò nella mia taverna preferita. E’ nella zona povera della città,
ma la birra che servono lì è buonissima. E poi c’è Alya.»
«Chi è Alya?»
«La più bella ragazza di tutta Paris.»
«Interessante.»
«E mia futura moglie. Se mai accetterà di sposarmi, quindi non ci pensare
nemmeno e trovati qualcun’altra.»
Adrien sorrise, togliendosi la maschera scura e tenendola fra le mani: non
gli interessava trovarsi una fanciulla, sapeva bene che il suo destino
sarebbe stato sposare la figlia dei Bourgeois, ciò che gli interessava era
uscire finalmente da quelle mura.
Essere libero, almeno per un giorno.