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Autore: floricienta    30/12/2016    0 recensioni
In una società governata dalla tecnologia più avanzata combinata alla forza del Mana, la divinità dell'oceano, Tangaroa, minaccia la sopravvivenza del genere umano, costringendolo a ritirarsi a vivere sulle aeronavi e obbligandolo a compiere sacrifici per beneficiare la propria benevolenza.
È in questo contesto che si intrecciano i destini e i sentimenti di due persone. Ari, un ragazzo timido e pauroso, che si è visto portar via tutto ciò che di più caro gli era al mondo, e con un potere dentro di lui che non può neanche immaginare; e Nael, un ladruncolo di strada che, per diverse vicissitudini, si è ritrovato a convivere proprio con Ari, aiutandolo giorno per giorno a diventare sempre più forte con la sua presenza.
Un insieme di turbamento, tristezza, felicità, disperazione, amore.
Sarà proprio la catena che li lega indissolubilmente a determinare la salvezza o la distruzione dell'umanità.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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CAPITOLO 17
QUANDO TUTTO EBBE INIZIO (TERZA PARTE)


Dicembre, anno 430 del XII periodo

 

Ari stava crescendo come un bambino normale, insieme ai suoi genitori nella fattoria dove suo padre e sua madre allevavano diversi animali e coltivavano i prodotti della terra a dispetto della tecnologia che sapeva esistere al di fuori del loro piccolo mondo, situato ben lontano dal centro delle città, che solo raramente visitava.
Non gli era mai stato fatto cenno della magia, non sapeva che dentro di lui c'erano dei poteri ben sigillati e che anche i suoi genitori, un tempo, erano stati dei maghi; era stato tenuto distante da quell'esistenza e Temaru ed Heirani speravano ogni giorno che non ne sarebbe mai venuto a conoscenza.
Purtroppo, vivevano in un periodo dove la divinità degli oceani, Tangaroa, aveva scagliato contro l'umanità la sua ira a causa dell'inquinamento delle acque, dovuto a tutti gli strumenti che utilizzavano gli uomini per sopravvivere al meglio delle loro possibilità. Quindi, era successo che da parecchi anni, ogni mese, veniva scelta una persona che servisse da sacrificio alla divinità stessa per purificare le azioni malvagie di cui si erano macchiati tutti.
Per questo non avevano potuto tener lontano Ari completamente da quella vita, dove chi regnava era chi possedeva il Mana, ovvero i Maghi. Fortunatamente, non avevano ancora affrontato questo argomento, non avrebbero mai voluto vederlo impaurito per qualcosa come la morte a cui neanche loro erano capaci di poter dare un significato.
Avevano sempre pensato che fosse meglio così.


Fin dalla sua infanzia, Ari non era mai entrato in contatto con altre persone, o quasi mai. Accadeva ogni tanto che arrivasse un cliente che volesse frutta, verdura o qualche altro prodotto direttamente dalla loro cascina, ma lui se ne stava in silenzio, seduto composto sul divano o sulla sedia in cucina e aspettava che se ne andasse, non avendo il coraggio di andare a disturbare come avrebbe fatto qualsiasi altro bambino.
Questo distacco verso le persone era dovuto al fatto che loro non erano mai stati considerati cittadini all'interno della società, quindi Ari non aveva il diritto di andare a scuola o di frequentare biblioteche o altre zone pubbliche dove servisse un documento. Ma a lui non aveva mai importato molto perché aveva sempre passato tutte le sue giornate con i genitori.
La madre gli aveva fatto da maestra, insegnandogli a leggere, scrivere, far di conto e tutte quelle materie che giovani studenti erano costretti ad apprendere stando seduti dietro ad un banco, mentre lui comodamente anche sul proprio letto – nonostante la madre fosse più rigida di quanto si mostrasse normalmente, perché ci teneva particolarmente alla sua istruzione. Così era diventato un bambino molto intelligente, con nozioni su ogni argomento, e aveva preso il piacere di leggere libri che lo aiutavano a scoprire quel mondo da cui era escluso.
Se da una parte non gli importava molto, dall'altra era comunque curioso di sapere come sarebbe stato avere un amico, una persona a cui volere bene, che non fossero unicamente i suoi genitori, e qualcuno con cui ridere, arrabbiarsi o addirittura piangere. Erano tutte emozioni che non aveva mai sperimentato nella sua vita, se non solo per qualcosa concernente il rapporto con i genitori.
Questo l'aveva portato ad essere introverso e chiuso con qualsiasi estraneo si presentasse nella loro casa, perché non sapeva come comportarsi e quasi ne aveva paura poiché poteva sembrare strano agli occhi di chiunque.
Anche suo padre gli aveva insegnato molto su tutto quello che riguardasse la coltivazione della terra e la cura degli animali. Infatti, accadeva spesso di alzarsi presto la mattina per aiutarlo con la mungitura delle vacche, la raccolta nei campi e qualsiasi altro piccolo lavoro potesse fare un bambino. Aveva anche imparato a zappare, strappare le erbacce e riconoscere quale frutto fosse maturo e quale no e si divertiva nel farlo.
Se tutti i bambini avevano un sogno per il futuro, il suo era quello di diventare un figlio perfetto per i suoi genitori, che lo trattavano con così tanta cura e amore, fino ad emularli per poter continuare a vivere in quella fattoria per il resto della sua vita.
Inoltre, era ormai capace alla sua età di quasi dodici anni di prendersi perfettamente cura di se stesso e della casa: sapeva pulire, cucinare, lavare i vestiti e quasi tutti i mestieri che ci si aspettava si facessero per mantenere un appartamento.

La sua vita poteva avere l'apparenza di essere più dura rispetto a quella di chiunque altro della sua età, ma ad Ari piaceva. Lui era felice di passare tutto il proprio tempo con la mamma e il papà, era felice di aiutare Heirani per il pranzo, spostare il fieno tra un compito e l'altro e poi lavare i piatti di sera prima di coricarsi, distrutto e con il sorriso.
Era arrivato anche al punto di pensare che il mondo esterno quasi non esistesse, che non ne aveva bisogno perché tutto quello che gli serviva era incluso in quel recinto bianco che ne faceva da perimetro.
La sua era una vita tranquilla e gli andava bene così, perché non conosceva altre vite. Però, a volte, provava un senso di solitudine dovuto a quello stesso steccato.
Finiva così per perdersi in fantasticherie.

Dai cinque ai sette anni aveva avuto un amico immaginario che abitava lungo il fiume – che scorreva di fianco alla propria casa – e che nuotava con lui d'estate, si riparava nella stalla quando pioveva e beveva con lui la cioccolata nelle giornate invernali più fredde. Poi, sua madre aveva preso la tazza che riservava sempre per quel suo amico e Ari si era arrabbiato molto, sostenendo che fosse una donna insensibile per mancare così di rispetto ad una persona buona come il suo amico. Heirani era scoppiata a ridere e aveva deciso che quel giorno l'avrebbe portato in città per la prima volta a giocare in un parco pubblico con altri bambini come lui.
Ari si era stretto alla gonna della mamma e camminava a testa bassa dietro di lei. Vedere case molto diverse dalla propria e una folla di gente che passeggiava tra vie asfaltate l'aveva stordito e impaurito. Era tutto nuovo per lui e così diverso da quello che era solito conoscere, che sentiva solo il battito accelerato del suo cuore a causa dell'ansia.
Quando finalmente erano giunti al parco, Ari non era riuscito a staccarsi dalla madre, nonostante l'avesse incitato per andare a giocare con gli altri. Dopo parecchi minuti, si era convinto e aveva camminato mogio mogio verso un bambino con gli occhiali e i capelli a spazzola che stava costruendo una fortezza con sassi e foglie.
Gli si era messo davanti ed era rimasto lì immobile fino a quando l'altro gli aveva detto di spostarsi perché era sopra a quello che sarebbe diventato il ponte levatoio. Si era scusato e aveva fatto un complimento per il castello, così erano finiti a giocare insieme e si era divertito tantissimo. Quando erano tornati dalle proprie mamme con il viso tutto sporco di fango, le due donne stavano parlando insieme, anche se si sentiva una tensione nell'aria e l'altra aveva preso il figlio e si era allontanata dicendo che non doveva più giocare con lui.
Ari si era voltato verso la mamma, che con un sorriso gli aveva detto: “Almeno ci abbiamo provato.” ed erano tornati nella loro cascina.
Una volta giunti a casa, gli era stato spiegato il perché quella donna avesse agito così. Non erano cittadini e non erano molte le persone che volevano avere a che fare con quelli come loro, quindi sarebbe stato difficile farsi un amico vero.
Ari non aveva capito molto, ma era corso tra le braccia della mamma e le aveva detto che non voleva degli amichetti, voleva solamente stare con lei e il papà.

Perciò era arrivato a questo punto.
Non conosceva nessuno al di fuori e non era neanche sicuro di volerlo conoscere. Si era fatto bastare tutte le sue illusioni e i suoi viaggi mentali mentre leggeva una storia appassionante, creandosi situazioni fasulle nella sua mente e fantasticando su possibili avvenimenti che puntualmente non accadevano.
Da quella volta, però, era stato costretto dalla madre ad andare con suo padre per delle commissioni in città quando ne aveva la possibilità e Ari, dopo parecchie spinte, aveva accettato e così aveva iniziato a guardare il mondo esterno con degli occhi diversi, sempre più curiosi e inesperti e i suoi pensieri aumentavano giorno per giorno, immaginando una storia d'amore che nasceva tra i tavoli di un bar e un litigio nel vicolo opposto, ma lui non era mai il protagonista. Osservava tutto da spettatore in un angolo dove nessuno poteva accorgersi di lui e se lo faceva bastare.
Si sentiva tranquillo, nonostante tutto, e non pensava che sarebbe mai capitato il giorno in cui questa tranquillità si potesse spezzare.

Una notte di Settembre aveva sentito suo padre urlare e si era svegliato, la madre gli aveva detto di rimanere in camera, quindi era andato a sbirciare dalla finestra e aveva visto un ragazzo scappare veloce come il vento con in mano un sacco che si agitava da solo.
Solo dopo aver sentito le grida del padre, aveva capito che quello era un ladro e subito si era sentito terrorizzato, pensando che avrebbe potuto far del male alla sua famiglia, invece lo vide sparire nell'erba alta tutto d'un tratto. Era troppo allarmato per tornare a dormire, quindi era rimasto a fissare fuori facendo ben attenzione che non tornasse per avvisare il padre.
Ad un certo punto, il ragazzo era sbucato fuori dai campi e si era voltato proprio verso di lui. Ari aveva sussultato, ma era rimasto immobile dalla paura, continuandolo a fissare fino a quando non si sentì preso in giro dal suo inchino e il successivo sorriso, che era sicuro di aver scorto nel suo volto per quanto fosse lontano.
Dopo quella notte, era successo ben più di una volta che quel ragazzo tornasse nella cascina e, puntualmente, mancavano all'appello una gallina o una piccola parte del raccolto o un coniglio.
Ari, da quel momento, aveva sviluppato una leggera forma di panico nell'andare a dormire perché aveva sempre il pensiero di rivedere quel ladro, però, aveva capito che non gli interessava nient'altro che un po' di cibo e questo lo fece riflettere sul fatto che fosse solamente un poveraccio che non aveva di che mangiare e quasi provò pena per lui.
Tuttavia, dopo qualche settimana che non si fece più vedere, si dimenticò addirittura di lui e pensò di esser tornato alla sua vita calma e tranquilla.
L'unica che conosceva fino a quel giorno.



Stava facendo un giro in città con sua madre e suo padre, che avevano approfittato di un giorno dove non vi era nulla da fare in fattoria per passarlo completamente con lui.
Camminava mano nella mano con la mamma e il padre era di fianco alla donna. Avevano appena comprato delle caramelle e Ari ne stava gustando giusto una alla fragola.
“Non sembra neanche che abbia nevicato ieri.” disse Temaru guardandosi intorno.
Le strade erano già state ripulite e la neve si poteva notare solo sugli alberi e poco altro.
“È molto più bello da noi.” rispose Ari con un sorriso.
“Per te che puoi stare sotto le coperte tutto il giorno.” scherzò Heirani mettendosi a ridere.
“Non sto sotto le coperte tutto il giorno!” ingrossò le guance, ottenendo una risata ancora più alta.
Ari si sentiva calmo anche nel centro della città se con lui c'erano i suoi genitori e la caramella che aveva in bocca si stava sciogliendo, regalandogli uno squisito sapore che sperò durasse a lungo sul palato.
Alzò gli occhi al cielo e lo riscoprì di un bianco sporco che si rifletté nelle sue iridi, che in quel momento erano di un azzurro intenso. Prese un grande sospiro e continuò a camminare.

L'aria di città non ha niente a che fare con quella della cascina, ma ha un qualcosa di buono comunque.

Era vero, era diversa. La sentiva impregnata di qualcosa che non aveva mai sentito. Era un'aria vissuta molto di più di quella che era solito respirare nella parte incontaminata della città.
Scosse la testa e fece per staccarsi dalla madre per mettersi le mani in tasca, dato che aveva freddo e non si era messo i guanti, convinto che non ne avesse bisogno.
In quell'attimo, i suoi occhi furono attraversati da una debole luce. Si girò completamente verso di essa e vide la mano della donna colorata di un flebile verdino che ricordava l'erba dell'orto in estate colpita dal Sole, eppure non sembrava per niente un buon segno.
“Mamma?” disse con una punta tremante nella voce.
“Cosa c'è, Ari?”
“La tua mano... che cosa...?”
Heirani voltò lo sguardo e, subito dopo, sgranò gli occhi.
“Com'è possibile?” sussurrò quasi a se stessa.
“Oh, Santo...” Temaru bloccò la frase prima di pronunciare qualche imprecazione di fronte al figlio.
“Cosa succede?” domandò ancora Ari.
“Niente, piccolo mio.” provò a rispondere con un sorriso.
Non poteva essere niente. La sua mano, così come il polso e il braccio, si stavano illuminando sempre di più e tutti quanti per strada si erano fermati a guardare la scena.
Ari se ne accorse e si strinse nelle spalle, avvertendo chiaramente il cuore battere velocemente e la paura che gli premeva alla gola.

Cosa sta succedendo?

Il ragazzino era rimasto a bocca aperta mentre non riusciva a cogliere le parole che si stavano rivolgendo i propri genitori, ma sentì chiaramente l'agitazione del padre e vide il volto bagnato dalle lacrime della madre.
“Mamma...” provò ad attirare la sua attenzione, spaventato da quel bagliore che non accennava a sparire, piuttosto si allargava sempre di più, ricoprendo più zone e facendo diventare lo splendido cappotto rosso di un verde amaro.
“Ormai stanno per arrivare.”
Heirani abbassò il capo, sconsolata, poi si inginocchiò di fronte al figlio e gli mise le mani sulle spalle.
“Piccolo mio, devi promettermi che farai il bravo.”
“Perché?” la voce di Ari era strozzata, completamente paralizzato davanti a quello che stava succedendo e che ancora non aveva compreso.
“La mamma sta per andare via, però non devi essere triste, va bene?”
“Dove vai?” urlò prendendole le mani sulle proprie spalle.
“Tangaroa mi sta chiamando. Vuole che vada a servirlo nella sua dimora.”
“Non devi andarci per forza! Tu hai già un posto dove vivere!”
“Purtroppo non posso decidere io.” gli sorrise accarezzandogli la guancia dove stava cadendo una piccola lacrima.
“E quando tornerai da me?”
“Presto.” mentì.
“Davvero?”
“Il tempo passerà più in fretta di quanto pensi.”
“Non voglio che vai via.” insistette con ormai il pianto alle porte. “Non posso venire con te?”
“Tu devi occuparti di papà, devi fare in modo che mangi tre volte al giorno, devi aiutarlo nei campi e dovete farvi forza a vicenda.”
Ormai anche il volto della donna si stava dipingendo di verde.
Ari annuì non sapendo che altro fare.
“Ari, promettimi anche che ti sforzerai per trovare un amichetto che ti accetti così come sei.”
“Ma...”
Ari non riuscì a ribattere che venne stretto dall'abbraccio della madre.
“Non è un addio, mio piccolo Ari.”
“Mamma...”
Qualche lacrima cominciò a scendere anche sulle gote di Heirani, successivamente, diede un piccolo bacio sulla fronte del figlio e si rialzò per parlare con il marito.
“Portalo lontano, non voglio che veda.”
“Heirani...”
Ari notò che anche il padre ormai era sul punto di piangere e salutò la moglie con un bacio e un abbraccio.

Se non è un addio, perché sembra tanto che lo sia...

Era arrivato al punto da non riuscire più a distinguere per bene i lineamenti della mamma, la luce si era fatta intensa e quasi gli bruciava agli occhi.
Non aveva neanche fatto caso alla folla di persone che si erano accerchiate intorno a loro e che bisbigliavano frasi di ogni genere, da sollevate a stizzite a terrorizzate, ognuno con un riflesso verde nelle iridi che non gli piaceva per niente.
“Andiamo, Ari.”
Il padre lo prese per la mano e lo trascinò via a denti stretti.
“Cosa? No! Mamma!” il ragazzino si agitò, voltandosi verso la donna che lo guardava con un sorriso e che lo stava salutando con la mano. “Non possiamo lasciare la mamma!”
“Ari, per favore, fai il bravo e vieni con me.”
“Mamma!”
Cosa stava succedendo? Come era possibile che si stava separando dalla propria madre senza un motivo? Cos'era quella luce verde? Non sapeva dare una risposta a nulla di tutto ciò, tutto quello che sentiva in quel momento erano le mani fredde del padre sulle sue dita che non accennavano a lasciare la presa, il vento che si insinuava al di sotto della sua sciarpa e che gli aveva seccato le labbra e quel colore verde chiaro che stava odiando dal profondo del suo cuore.
Era confuso. Poteva solo continuare a camminare tenendo lo sguardo fisso verso la madre.

Ad un certo punto, sentì uno scossone e quasi perse l'equilibrio.
Temaru si era fermato con la mano chiusa a pugno, tremante.
“Ari, nasconditi qua dietro e non uscire per nessun motivo.”
Adesso era ancora più disorientato.
Il padre l'obbligò ad acquattarsi dietro ad un cespuglio colmo di neve ancora fresca.
“Dove vai, papà?” lo afferrò per la manica e il padre gli diede una carezza in volto.
“Vado a riprendere la mamma. Tu non farti vedere e, se dovesse succedere qualcosa, scappa più veloce che puoi, va bene?”
Ari respirava a fatica, creando tante piccole scie di fumo che gli uscivano dalle labbra.
Vide il padre allontanarsi ancor prima di poter dare una risposta.



Temaru era stato colpito dall'istinto. Voleva salvare a tutti i costi la propria moglie, non voleva che diventasse la prossima vittima e sperò di poter davvero cambiare qualcosa grazie alla posizione che avevano ricoperto da giovani all'interno della società.
Di certo, doveva anche salvaguardare il proprio figlio e, per il suo bene, non avrebbe dovuto compiere avventatezze, altrimenti l'avrebbe lasciato da solo, eppure, in quel momento, la ragione era scomparsa ed era stata rimpiazzata da un fervore dentro di sé che gli diceva di aiutare Heirani a qualunque costo.
Non voleva vedersi portar via la moglie con il rimpianto di non aver provato a salvarla.
Corse come un matto fino a tornare da lei.
“Temaru! Cosa ci fai qui? Dov'è Ari? Ti avevo detto di andartene!” la voce della donna era impaurita.
“Ari è al sicuro e anche tu lo sarai.”
“Temaru, non...”
All'improvviso tremò la terra per qualche secondo e, un istante dopo, comparvero due maghi davanti a loro, distinti dalla loro tunica – una dai ghirigori gialli e l'altra neri – e dalla pietra al collo.
“Che la tua anima possa placare l'ira delle divinità.” affermò il mago della terra.
Heirani abbassò il capo, sconfitta, e camminò verso di loro, però, venne afferrata saldamente al polso dal marito.
“No!” esclamò. “Non la porterete via!”
“Non hai il diritto e il potere per metterti contro dei maghi, quindi fatti da parte e lasciaci eseguire il nostro compito.”
“Quale compito?” urlò Temaru. “Quello di approfittarvi delle persone prive di Mana per darle in pasto alle divinità? Non è quello che dovrebbero fare dei maghi.”
“Come osi parlare a questo modo. Non sai neanche il significato di quelle parole.”
“Invece lo so bene.” lo sguardo dell'uomo era duro ed evidentemente arrabbiato. “Voi maghi siete diventati tutto quello che più di corrotto possa esistere al mondo.”
“Temaru!” Heirani richiamò la sua attenzione, spaventata da quelle parole imprudenti.
Un attimo dopo, Temaru si ritrovò inginocchiato a terra con una mano stretta al cuore, che si lamentava di dolore.
Gli occhi della donna caddero sulla mano del mago del buio, illuminata di nero.
“Lasciatelo stare! Vi prego! Non è lui quello che volete!”
“Insultare dei maghi non è certo la cosa migliore per un semplice umano come te.” il mago non la stette neanche ad ascoltare. “Verrai giudicato per la tua immoralità dal Consiglio stesso e lasceremo a questo la decisione riguardo la tua punizione.”
Temaru cadde a terra privo di coscienza e Heirani gli fu subito addosso per sorreggerlo, mentre il pianto aveva preso il sopravvento al pensiero di Ari che da qualche parte, probabilmente, stava assistendo a tutta la scena e che adesso sarebbe rimasto solo.
“Piccolo mio... mi dispiace. Pregherò le divinità per te.”
Heirani sentì tremare la terra sotto di sé e un istante dopo era svanita nel nulla insieme al marito.



Ari aveva osservato tutto quanto da dietro il cespuglio.
Quando erano comparse quelle due persone, non aveva la minima idea per cosa fossero venuti, li aveva solo identificati come maghi grazie a quello che aveva imparato negli anni dai libri.
Non era riuscito a sentire neanche mezza parola di tutto quel trambusto, ma era più che evidente che fossero successe moltissime cose spiacevoli e negative.
Quando aveva visto inveire il padre contro i due maghi, le gambe avevano cominciato a tremare e non aveva avuto la forza di andare da loro per prenderli e trascinarli via. Inoltre, continuava a ripetersi l'ammonimento che gli aveva ripetuto poco prima e non gli avrebbe mai disobbedito.
Poi, suo padre era crollato a terra e Ari si era sentito mancare il fiato, le unghie erano infilzate nel terreno sotto di sé e aveva cominciato a piangere.
“Papà!”
Aveva urlato con quanto fiato aveva in gola, prima di rendersi conto che non gli era uscito a causa del pianto. Qualcuno si era girato verso di lui, ma non ci aveva dato troppo peso, intento a fissare quello che stava accadendo a metri di distanza.
Aveva provato a mettersi in piedi, tuttavia le ginocchia tremavano ancora più forte e la vista gli si era appannata da quanto gli occhi fossero ormai gonfi.
Quella luce nera che illuminava la mano di uno dei maghi era terribile, aveva percepito dentro di sé la malvagità di quel potere e aveva scosso la testa fortemente, sperando che quel dolore finisse al più presto.
All'improvviso i due maghi erano spariti, portando con loro i suoi genitori.



Ari si sporse in avanti per guardare meglio, ma cadde con la faccia per terra, incapace anche di sorreggersi con le braccia, troppo spaventato da ogni cosa.

Mamma... Papà...

La gente ancora stava farfugliando, anche dopo che tutto fu concluso, sebbene alle sue orecchie non giungeva nessun suono.

Perché? Cosa vogliono i maghi dai miei genitori? Cosa è successo?

Aveva gli occhi talmente arrossati e il naso gli colava. Si ripulì il volto con la manica del giubbotto e prese a correre ritrovando in un baleno tutte le forze. Corse fino al punto dove prima vi erano i suoi e dove adesso la folla si stava sparpagliando.
“Mamma! Papà!”
Urlò più volte, mentre tutti si voltavano verso di lui, qualcuno cosciente che fosse il figlio della coppia che era appena stata scelta come prossimo sacrificio.
Ari notò lo sguardo pieno di pietà nei loro volti e si ritrovò a respirare con affanno.
Le ginocchia gli cedettero e cadde nel mezzo della strada, gridando e piangendo più forte che poteva.

Sono solo...

Come sarebbe sopravvissuto? Aveva sempre avuto solo ed esclusivamente i propri genitori al suo fianco, ora, invece, come avrebbe vissuto le sue giornate?
Non era che un bambino di quasi dodici anni e, anche se sapeva cavarsela, non avrebbe mai potuto affrontare in solitudine il resto della sua vita. C'erano così tante cose che ancora non conosceva e che non avrebbe più potuto conoscere.

...nessuno mi vorrà più bene...

Chi altro si sarebbe preso cura di lui? Era sempre stato evitato da tutti quanti, le uniche persone con cui aveva avuto un minimo di contatto erano gli acquirenti che si recavano alla fattoria per il cibo.
Sapeva che quello era un addio, l'aveva capito nonostante tutto, nonostante non sapesse il significato di quell'avvenimento. Lo sentiva dentro di sé e sentiva esplodere il petto dalla disperazione.
“Non mi lasciate!”
La fronte toccava l'asfalto e le lacrime cadevano all'interno della sua bocca aperta per gli ansimi, i capelli biondo cenere ricadevano anch'essi per terra nascondendogli il volto agli estranei.
Aveva perso tutto.
Il suo tutto erano sempre stati i genitori e adesso cosa poteva succedere ad un ragazzo come lui?

Sarò costretto a vivere per strada o verrò portato via... Cosa mi accadrà?

Piangeva ancora sotto lo sguardo sconcertato di tutti quanti, alcuni erano andati via come per allontanarsi da quella faccenda che non gli concerneva.

Voglio la mamma e il papà.

Sentiva il corpo pesante, la testa nella stessa maniera.

Vi prego, tornate da me.

In quel momento, una mano lo toccò sulla schiena e si tirò su di scatto, colto alla sprovvista.
“Posso fare qualcosa per te, ragazzino?”
Era una signora anziana, con la gobba e una montagna di rughe che le ricoprivano il volto, insieme ad un enorme scialle.
Ari si pietrificò all'istante.

Se non puoi ridarmi i miei genitori, allora non c'è niente che puoi fare per me.

Trovò il vigore di alzarsi in piedi, rimanendo in silenzio, e indietreggiò.

Se torno nella mia casa andrà tutto bene, quel posto è sicuro, lì troverò sicuramente mamma e papà.

Non comprendeva neanche lui il flusso di coscienza che non riusciva a fermare nella sua testa. Si era convinto che fosse tutto un incubo e che, non appena si fosse riparato al di là del recinto bianco, sarebbe tornato tutto alla normalità. Percepiva la città come un qualcosa di malvagio e pressante e lui non doveva trovarsi in quel luogo.
Gli venne in mente la voce di suo padre che lo incitava a correre se fosse successo qualcosa e così fece.
Partì in quarta, contrastando tutta la stanchezza del corpo, e la testa che gli vorticava tanto da voler collassare sull'asfalto e svenire per risvegliarsi nella fattoria. Ma si oppose a tutto questo e corse più velocemente che poté.
Quando giunse alla cascina non c'era nessuno ad aspettarlo, la casa era vuota e si sentiva unicamente il verso delle mucche che proveniva dalle stalle.



Quella sera, Natanael aveva proprio voglia di arraffare una grande quantità di cibo per riempirsi lo stomaco e non c'era posto migliore che la fattoria situata appena al di fuori della città.
Valeva la pena affrontare una notte gelida per una buona gallina e, probabilmente, anche un coniglio, dato che l'inverno era sempre stato il periodo più duro per la propria sopravvivenza. Infatti, era iniziato da qualche giorno Dicembre e il freddo peggiore sarebbe arrivato a breve. Si maledì solamente perché non sarebbe mai riuscito a prendere una mucca e portarla via.
Natanael teneva come al solito il sacco sulla spalla e scavalcò il recinto atterrando dall'altra parte senza il minimo rumore. Le luci erano tutte spente e il ragazzo si avviò prima di tutto verso la stalla, sperando di trovare qualcosa di piccolo e interessante da rivendere.
Aprì con cautela la porta in legno, illuminando un piccolo spicchio dell'interno, e subito la richiuse dietro di sé.

Vediamo cosa abbiamo qua...

Accese la torcia elettrica e la puntò contro una mucca che stava dormendo, guardandola affamato.

Se solo ti potessi portare con me...

Si ripulì la bava alla bocca e, in quel momento, sentì chiaramente un sussulto che non poteva appartenere a uno degli animali.

Che succede?

Si spaventò e controllò in ogni parte della stalla con la torcia, fino a quando non vide qualcuno rannicchiato per terra proprio in fondo ad essa.
Era un ragazzino molto più piccolo di lui – pensò non avesse più di dieci anni in confronto ai suoi quindici – dai lunghi capelli biondo cenere tenuti raccolti da una mezza coda sulla testa, che spuntava fuori dalle ginocchia strette al petto.
Gli puntò direttamente la luce addosso e si tranquillizzò nel vederlo.

È solamente un bambino...

Questo se ne accorse e fu preso da un attacco di panico, alzando velocemente il capo e Natanael poté notare, mentre si avvicinava a lui, quanto avesse gli occhi gonfi e lo sguardo impaurito.
“C-chi sei?” provò a parlare il bambino. “Vattene via!”
Natanael non lo ascoltò neanche, continuando a camminare verso di lui.
“Che ci fa un moccioso a piangere nella stalla di notte?” gli si parò proprio davanti e colse il tremolio nelle sue spalle, poi puntò la pila per terra per non accecarlo.
“Tu sei il ladro che viene spesso a rubare le galline...” disse il biondo con un sussurro.
“Ah, tu devi essere il figlio di quell'uomo che mi insegue con il fucile!” esclamò Natanael e si sedette proprio al suo fianco, spegnendo la torcia e rimanendo quasi nel buio totale. “Sono piacevolmente sorpreso di avere un faccino che rimane impresso.”
“Vattene!” ripeté il ragazzino, provando ad indietreggiare per non rimanergli vicino.
“Stai calmo, non ti faccio niente.” provò a tranquillizzarlo e si mise con la schiena poggiata alla parete e le gambe distese. “Come ti chiami?” chiese senza neanche guardarlo.
“Ari...” rispose tirando su con il naso e si rimise seduto vicino all'altro, incastrando ancora la testa tra le ginocchia.
Natanael notò chiaramente quanto fosse spaventato quel ragazzino e di quale sforzo stesse compiendo per non ricadere nel pianto, anche se non gli riuscì molto bene. L'attimo dopo, infatti, sentì risuonare nelle orecchie i gemiti ad intervalli regolari, quasi respirava a fatica.
“Cos'è successo? I tuoi genitori ti hanno sgridato e sei scappato via?” Natanael si mise a ridere ironico per quella situazione.

Non avrei mai pensato a un imprevisto del genere. Devo far andare via questo marmocchio prima che si faccia troppo tardi.

Vide Ari scuotere la testa, tirando ancora su con il naso e tossendo subito dopo.
“Mh?” insistette.
“Non ho genitori...” rispose Ari quando si fu calmato appena un poco, sussurrandolo tra le labbra.

Ma che problemi ha? Forza, non ho tempo da perdere!

“Ah, andiamo!” Natanael sventolò una mano in aria. “Cosa possono aver fatto di così terribile per essere trattati in questo modo!”
In quel momento pensò che lui aveva fatto molto di peggio, ma si sarebbe inventato di tutto pur di finire quel discorso al più presto e tornare ai suoi affari. Da una parte, però, si era reso conto di quanto fosse scosso quel ragazzino e poteva compiere la sua buona azione della giornata aiutandolo a tirarsi su di morale.
“Se ti sentissero, non sarebbero molto orgogliosi di te. Tutti i bambini vogliono bene ai loro genitori, quindi sono sicuro che puoi perdonarli.”
Natanael si morse il labbro internamente, consapevole che quella frase fosse un grande macigno per la sua anima, ma l'altro non accennava a porgergli il minimo sguardo, ormai fisso sul pavimento da minuti interi. Non sembrava neanche ascoltarlo per davvero.
Natanael rimase immobile, aspettando che accadesse qualcosa, e, solo dopo parecchio, tempo l'altro si convinse a parlare.
“Sono stati portati via dai maghi questo pomeriggio...” Ari sentì risalire le lacrime e fu costretto a continuare a piangere, riversando tutta la sua tristezza in quel modo non conoscendo altri modi per affrontarla.
Natanael si paralizzò.

I maghi...

Sapeva perfettamente cosa volesse dire, gli era stato spiegato da Kaleo durante una delle loro tante lezioni.

Quindi i suoi genitori sono ormai morti... la loro anima sarà offerta a Tangaroa...

Sgranò gli occhi, provando pietà per quel bambino. Nessuno si meritava qualcosa del genere e lui lo sapeva bene, avendo perso i propri genitori quando non era che un piccolo bambino di tre anni proprio nelle acque dell'oceano.
Strinse i pugni così forte da farsi diventare le nocche bianche e non volle cedere anche lui alle lacrime nel ripensare a quella giornata che non era mai svanita dai suoi ricordi, al contrario del volto dei suoi genitori che era andato sempre più sbiadendosi.
“Io... ecco...” provò a biascicare qualcosa. “Mi dispiace...” non riuscì a dire altro che questo, ma lo sentiva davvero dentro di sé.
Ari non aveva ancora smesso di piangere e non sapeva come calmarlo.
All'improvviso, la sua nottata all'inseguimento di qualche gallina si era trasformata in un tuffo nel passato e in quel sentimento martellante all'altezza del petto.
“Su, fatti forza...”
Natanael guardò altrove, incapace di trovare delle parole adatte per consolarlo.
Allungò una mano verso la sua spalla e la sfiorò appena. Non avvertendo nessun tremore, andò ad accarezzargli il braccio pungendosi il palmo con la stoffa del maglione.
“Andrà tutto bene.”
La sua voce era gentile e sincera.
Forse lo stava facendo davvero solo per compassione, però gli dispiaceva vederlo in quello stato.

È un duro colpo da affrontare da solo, almeno io ho avuto qualcuno al mio fianco per un po' di tempo.

Ari scosse la testa.
“Non hai altri parenti?” Natanael lo strinse di più.
L'altro scosse ancora la testa.
“Non puoi certo stare da solo...”
Natanael provò a ideare una soluzione. La prima cosa a cui pensò fu di portarlo dagli altri della banda, ma non sembrava un ragazzo così forte da poter resistere in mezzo alla strada. Oltre ad essere gracile e troppo piccolo, sarebbe stata anche una bocca in più da sfamare ed era talmente sconvolto al momento che non sarebbe stato di nessuna utilità.
Un lampo lo colse all'improvviso.

Non ci posso credere di quello che sto per dire. Cazzo, Natanael, tu e le tue idee strampalate.

“Se vuoi rimango io con te.” affermò deciso.
“Eh?”
Ari alzò di scatto il volto sul suo e lo guardò incredulo e impaurito allo stesso tempo.
Natanael poté notare che aveva degli occhi così cristallini da sembrare trasparenti e pensò subito che il rossore acceso che li contornava non gli si addiceva per niente.
“Sì, insomma...” rifletté bene sulle parole da usare. “Tu non sarai solo e io non ti ruberò più niente, vivendo insieme a te.”
In effetti, era quello il motivo per cui gli era venuto in mente. Aveva pensato che avrebbe potuto cogliere la palla al balzo per togliersi dalla condizione scomoda della strada.
Un bambino era appena rimasto da solo, senza genitori, in un'enorme casa al di fuori della città e lui avrebbe tanto voluto avere un tetto sotto cui stare per ripararsi dal gelo, dalla pioggia e dalla gente che si incontrava nei vicoli cui era solito frequentare.
Quale splendida occasione.
Avrebbe dovuto prendersi cura di un bambino e, sicuramente, imparare a lavorare nei campi e allevare gli animali, ma quello era il minimo, se poteva vivere una vita tranquilla senza più disperarsi per trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Inoltre, lui era ben contento di avere sempre qualcosa da fare piuttosto che rimanere con le mani in mano, avrebbe sfogato la propria noia impegnandosi al massimo.
Sarebbe stato sempre meglio che vivere un giorno da una parte e quello dopo dall'altra, senza mai essere sicuro di sopravvivere per il giorno successivo ancora. Avrebbe imparato a convivere con quel bambino e, se non gli fosse andato a genio, se ne sarebbe semplicemente andato via.

Sì, potrebbe funzionare.

“Perché?”
La domanda del biondo lo fece destare dai suoi pensieri, tuttavia, rimase ammutolito.
“Perché dovresti aiutare uno come me?” insistette.
I suoi occhi penetrarono a fondo in quelli nei propri e quasi si sentì un mostro nel mentirgli così spudoratamente.
“Perché no?” gli mise una mano tra i capelli, già scompigliati di loro. “Mi prenderò io cura di te.”
Ari sussultò e spalancò gli occhi, le lacrime avevano cessato di uscire tutto d'un tratto.
“Accetti?” domandò Natanael, porgendogli un sorriso dolce e vero, togliendo la mano dalla sua capigliatura.
Il biondo annuì appena dopo qualche secondo.
“Fantastico! Quindi ora asciugati quelle lacrime, alzati dal pavimento lercio e andiamo a dormire al caldo!”
Non c'era niente che avrebbe voluto fare di più in quel momento, ma sentì il fragile corpo dell'altro che si era buttato sul suo e che lo stringeva forte ricominciando a piangere.
“Ari..?”

Spero di non essermi cacciato in qualcosa di terribile...

Roteò gli occhi al cielo, portandosi una mano alla fronte, e rimase immobile in quella posizione, anche perché non avrebbe avuto modo di muoversi.
Lasciò che quel bambino piangesse contro il proprio gilet sgualcito e che lo bagnasse fino a quando non terminò le lacrime – purtroppo per lui – solo molto tempo dopo, finendo così con il passare la notte in quella stalla gelida, riscaldati unicamente dal calore reciproco.



NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao a tutti! Questa volta siamo entrati nel passato di Ari.
Allora, avete visto come il suo carattere sia dovuto al fattore “esclusione dalla società”. È sempre stato solo, non ha mai sperimentato nulla, questo l'ha reso il ragazzo dalle mille paure, dalle mille ansie, dai mille problemi (troppi, mio piccolo Ari, troppi u.u ma io ti amo comunque).
Adesso sapete come sono andate le cose per quanto riguarda i genitori. In una botta sola li ha persi entrambi ed è rimasto solo per poche ore in realtà, perché ha incontrato Nael!
Oooh il loro incontro! Spero vi sia piaciuto! Nael vuole solo mangiare, sono 17 capitoli che vuole mangiare una mucca e ancora non ce l'ha fatta ahaha chissà se ci riuscirà mai u.u
Non ho molto da dire su questo capitolo, se non che spero vi abbia dato molti sentimenti diversi e contrastanti ;)
Ringrazio tutti quelli che commentano e che leggono e fate amare la Nari a tutto il mondo <3
Ne approfitto per farvi gli auguri di un buon anno nuovo e festeggiate insieme a chi vi vuole bene! Un bacio a tutti! Ci sentiamo domenica 8 con il prossimo aggiornamento.
Flor :)

  
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