Capitolo 2 - Gregory
... Lisa?
...tesoro, che succede?
Arlene guardò sua figlia. La sua mano tremava ed era così pallida che sembrava che stesse per svenire.
Perché... era così.
"Oddio... devi sederti" disse mentre il telefono cadde dalla mano di Cuddy, rimbalzando sul pavimento e poi aprendosi a metà mentre la batteria rotolava sotto al tavolino.
Quasi non percepì la mano di sua madre sul suo braccio mentre la guidava verso il divano, facendola sedere. Chiuse gli occhi, cercando di controllare l'affanno del suo respiro.
"Lisa?" Provò di nuovo, guardando con uno sguardo preoccupato la mano appoggiata sulla sua pancia "Chi era?"
Non aprì gli occhi, sussurrando a fatica solo un 'House'.
"Giuro su Dio che lo mando di nuovo in prigione, se solo cerca di avvicinarsi a te o ai bambini" sibilò, sedendosi accanto a sua figlia, che di nuovo non rispose.
"Lisa, devi calmarti" Disse ancora, mettendo a sua volta una mano sulla sua pancia e guardandola mentre una smorfia di dolore compariva sul suo viso e si portava l'altra mano sulla fronte, mentre la sua pancia si induriva sotto alle sue dita.
"Per favore... dimmi che non è vero" sussurrò, ancora con gli occhi chiusi "Oh mio Dio, mamma... non può essere vero..."
Non riusciva a respirare. Si sentiva come se avesse un macigno sul petto.
Arlene la guardò con uno sguardo ancora più preoccupato.
"Cosa non può essere vero?" Le chiese.
"È... è morto" sussurrò "Il padre di mio figlio è morto"
...
Due anni erano passati da quel giorno.
La sua vita era finita in quel momento. E cominciata di nuovo in quello stesso giorno. Perché la morte cambia tutto! E una parte di lei era morta con lui in quello stesso giorno. Aveva cercato di convincersi che non lo amava più, ma più ci provava più si rendeva conto che non era vero. Sarebbe sempre stata legata a lui. Quello che aveva fatto, schiantarsi con l'auto contro casa sua, era qualcosa di talmente grave che non poteva comportarsi come se nulla fosse successo, doveva proteggere se stessa e Rachel, ma la verità era che non lo biasimava davvero tanto quanto fingeva di biasimarlo. Era colpevole, quanto lei. Non l'aveva aiutato come avrebbe dovuto fare. Sapeva della sua dipendenza. Sapeva che non poteva biasimarlo per quello e per la sua debolezza di fronte a quello. Sapeva che doveva incolpare se stessa tanto quanto incolpava lui. Perché se l'amore è sostenersi a vicenda e confidare l'uno nell'altro... beh, in questo aveva fallito.
Ma il destino aveva giocato sporco.
Aprì il cassetto e si sedette sul letto, rigirando quella lettera tra le mani. Quella era per lui, ma lui non l'aveva mai letta. Il postino l'aveva ributtata nella sua buca delle lettere un paio di giorni dopo quella telefonata. Un 'Destinatario non trovato. Restituito al mittente' stampato sulla busta.
Non aveva mai saputo. Non aveva mai saputo della vita che cresceva dentro di lei. Aveva trascorso tante notti sveglia, pensando a cosa fare. A come dirgli la verità. Era stata così determinata nel tenerglielo nascosto all'inizio! Ma poi i mesi erano passati... e ogni calcio del piccolo dentro alla sua pancia le faceva pensare a lui. Trasferirsi in Massachusetts non era stato abbastanza. Quelle quasi 300 miglia non erano abbastanza, e sapeva che nemmeno tremila miglia sarebbero state abbastanza. Aveva cercato di andare avanti... cambiare lavoro e... vita, ma non aveva funzionato. Per niente. E ogni tempesta tiroidea che vedeva come Primario di Endocrinologia le faceva pensare a lui... a lui che bussava alla sua porta nel mezzo della notte, fingendo di aver bisogno di un consulto. Ecco perché, alla fine, aveva deciso di scrivergli quella lettera.
Aprì la busta e guardò quel foglio mordendosi il labbro, guardando il soffitto mentre la sua vista si appannava. Non poteva farne a meno. Le mancava. Talmente tanto che a volte il dolore era quasi un dolore fisico. Guardò di nuovo quella lettera, in cui qua e là l'inchiostro era sbiadito per colpa delle sue stesse lacrime cadute così tante volte su quello stesso foglio in quei due anni.
Riusciva a malapena a leggere per via delle lacrime che le riempivano gli occhi, ma ormai la conosceva a memoria.
House,
Se stai leggendo significa che almeno non
hai buttato questa lettera nella spazzatura non appena hai letto il mittente
sulla busta, quindi... è già un passo.
Vorrei dirti non so perché lo sto facendo,
ma la verità è che... lo so. Ho provato. Dio solo sa quanto ci ho provato. Ho provato
a dimenticarti. Ma non ci sono riuscita. E mi manchi. Mi mancano i tuoi occhi,
mi manca il tuo modo di prendermi in giro e di prenderti gioco di me, mi manca
tutto di te. Mi manchi tu. Mi manca il tuo essere tu. E come pensavo di volere
che fossi... solo... il tuo essere tu.
Ho provato. Ho provato con tutta me stessa...
ma non riesco ad odiarti. Non ci riesco. Non sono riuscita ad amarti e non sono
riuscita a odiarti.
Quindi... Dio, House, cosa c'è che non va in
me? Cosa c'è che non va in noi? Mi
hai fatto del male in tutti i modi in cui qualcuno poteva farmi del male... e
ti amo ancora. E non posso fare a meno di chiedermi: "Mi ha mai amata
davvero?"
Pensavo che mi amassi. Pensavo davvero mi
amassi. Voglio credere che mi amassi! E allora... continuo a chiedermi:
"Perché?". Ci ho pensato così tante volte. So che non volevi
uccidermi. L'ho pensato, in un primo momento. Ecco perché sei andato in
prigione, ed ecco perché sono andata via, lontano dal mio lavoro, dai miei
amici, dalla mia vita. Lontano da te. Non ha funzionato. Tu mi perseguiti. Ogni
notte, da quel giorno. Ma sai una cosa? Mi hai ucciso. Quel giorno, l'hai fatto
davvero. E a volte mi sento come se fossi solo il fantasma di me stessa. Ora so
cosa significa essere te. So cosa significa essere infelici. Fingo di essere
felice, ma non riesco nemmeno a ricordare cosa voglia dire essere felici... e
mi chiedo se sarò mai felice di nuovo.
Scusa... Non è pietà quello che voglio da
te. Né farti sentire ancora più miserabile. Né farti sentire più in colpa di
quanto non sappia che già ti senti.
Ecco, adesso posso quasi sentire la tua voce
che mi prende in giro e mi chiede "Allora? Cos'è che vuoi da me,
Cuddy?"
Vorrei fosse facile rispondere a questa domanda.
In realtà lo è. Per me lo è. Ma... le cose non sono mai state facili tra noi, vero?
So che forse mi sto rendendo ridicola, ma
non posso fare a meno di pensare "Mi ama ancora come lo amo io?" ...Perché,
beh... So che ti ho ferito quanto tu hai ferito me... quindi... non posso
biasimarti se non è così... se sei andato avanti...
So da Wilson che vivi ancora nel tuo
appartamento e, beh, conosci Wilson, ovviamente ha sentito il bisogno di dirmi
anche che Dominika se n'è andata. So della tua nuova squadra al Plainsboro. So
del tuo nuovo capo. Beh, in effetti penso di sapere troppo per qualcuno che vuol
far credere che non le importi.
Mi dispiace, House! So che diresti che è a
causa del mio ebraico senso di colpa... ma mi dispiace. Davvero. Mi dispiace di
non essere stata là per te. Mi dispiace per le parole che non ci siamo detti.
Mi dispiace non averti detto quello che sentivo dentro di me e... di non averti
dato modo di dirmi quello che sentivi dentro di te. Il tuo "Vuoi sapere
come mi sento, Cuddy?" continua a girare nella mia mente insieme a quel "mi
sento ferito". E sì, mi sento in colpa. Perché quello era il momento esatto
in cui avremmo potuto cambiare le cose. Non potrò mai perdonarmi per averti
lasciato andare via dopo quello scontro. Né per averti lasciato andare via dopo
che mi hai riportato quella dannata spazzola.
So cosa stai pensando in questo momento, e...
no. Non meritavi la prigione, House! E ancora di più... la prigione non era
quello di cui avevi bisogno. Avevi bisogno di me. E se ti avessi amato anche solo
un quarto di quanto io so di averti amato, avrei dovuto essere lì. Per te.
Perché è così facile scriverti queste cose
adesso? Perché invece è così difficile dire le stesse cose ad alta voce?
Ci sto provando, House. Sto cercando di non
fare di nuovo gli stessi errori.
Quindi, beh... non c'è un modo semplice per
dire quello che ho da dire. Voglio solo che tu sappia che non ti sto chiedendo
nulla. Non ti sto forzando a fare niente. E... mi conosci abbastanza bene da
sapere che non sono qui, a scriverti, per questo. Penso solo che tu abbia il
diritto di sapere. Di sapere che in poche settimane un bambino guarderà il
mondo per la prima volta.
Il nostro bambino, House. Nostro.
Quindi, beh... ho mentito. Ho mentito quando
ti ho detto che non sono qui a causa sua. Perché... ognuno dei suoi calci mi fa
pensare a te. E... non posso. Non è qualcosa che posso nasconderti. Non ti sto
chiedendo di essere suo padre. Ma sei suo padre in ogni caso. Mi chiederà di
te. Un giorno, mi chiederà di te. Che cosa devo dirgli, House? Cosa vuoi che gli
dica?
Di nuovo, non ti sto chiedendo nulla. Non
voglio forzarti in qualcosa che è più grande di te, ma... beh, l'unica cosa che
voglio che tu sappia è che non ho intenzione di tenerlo lontano da te.
Non so cosa gli dirò quando crescerà. So
solo che non ho intenzione di mentirgli. È così sbagliato dirgli che è venuto dall'amore
dei suoi genitori? Perché... è così, House.
Stavo quasi pensando di mandarti una foto della
mia ultima ecografia, ma, sai, improvvisamente la tua voce è risuonata nella
mia testa con un "È solo un feto. Come puoi essere così emotiva, Cuddy?"
quindi ho deciso che effettivamente era una pessima idea.
Se vorrai, beh, ora sai dove trovarmi. Trovarci.
Il mio indirizzo è sulla busta. Lavoro al Massachusetts General Hospital. Non
cercare il Direttore Sanitario perché non sono più un Direttore. Sono tornata
ad essere un dottore vero. Chi l'avrebbe mai detto?! Quindi... Endocrinologia.
Dove tutto è iniziato.
Beh... penso che sia meglio che ti saluti
adesso. La schiena mi fa male da impazzire, quindi riesco totalmente a mettermi
nei tuoi panni in questo momento. Infelice e sofferente.
E innamorata di te.
Cuddy
xxx
Guardò la sua stessa firma scarabocchiata sul foglio. E poi di nuovo quel 'e innamorata di te', e non poté evitare che un'altra lacrima cadesse sulla y del suo nome, trasformandola in una macchia grigia.
"No piange-e, mamma..."
Chiuse gli occhi, asciugandosi le lacrime dalle guance e inspirò ed espirò profondamente, cercando di riprendere il controllo di se stessa, prima di guardarlo, accennando un sorriso alla vista del suo bimbo nel suo pigiamino azzurro.
"Va tutto bene, amore", disse in tono morbido, mentre lui si arrampicava sul letto e si rannicchiata tra le sue braccia "Non sto piangendo"
Lui mise le sue piccole braccia intorno al suo collo e lei seppellì il naso nei suoi morbidi capelli scuri, inalando il suo profumo. Adorava il suo profumo.
"Cosa c'è che non va, amore mio?" Gli chiese mentre col dito tracciava cerchi attorno ai piccoli dinosauri del suo pigiama.
"Vo-io dormire nel tuo letto g-ande" Disse aggrappandosi ancora di più a lei.
"Cos'ha che non va il tuo letto?" Gli chiese ancora, anche se poteva già prevedere la sua risposta.
"Non sei là" Rispose, mentre lei non poteva fare a meno di sorridere, tenendolo stretto tra le sue braccia.
"Quindi... vuoi lasciare Rachel là tutta sola?" Gli chiese, stuzzicandolo, ma spostando di lato il lenzuolo per fargli spazio.
"-Echel g-ande. G-ego-y piccolo" Disse appoggiando la testa sul cuscino e rannicchiandosi sotto alle lenzuola mentre lei sorrideva e gli baciava i capelli, sdraiandosi accanto a lui e stringendolo a sé.
"Già..." sorrise di nuovo al pensiero di quante R ci fossero in quella frase e nel suo nome, e quanto difficile fosse per lui essere capace di pronunciarlo "Sogni d'oro, mio dolcissimo cucciolo" sussurrò sui suoi capelli, accarezzandogli il braccio e assaporando il calore che si diffondeva dal suo piccolo corpo.
Gregory.
Non aveva ancora deciso un nome per il suo
bambino. L'avrebbe probabilmente chiamato James, come suo padre, ma in realtà
non aveva ancora deciso, nonostante le pressioni di sua madre. Sapeva che
doveva decidersi in quelle poche settimane, ma pensava di avere ancora tempo.
"Oh mio Dio, mamma... non può essere
vero ..."
"Lisa, devi calmarti" Disse
ancora, mettendo a sua volta una mano sulla sua pancia e guardandola mentre una
smorfia di dolore compariva sul suo viso e si portava l'altra mano sulla
fronte, mentre la sua pancia si induriva sotto alle sue dita.
"Devo andare là, mamma", disse
dopo qualche istante, alzandosi in piedi e ignorando sua madre "Devo
vederlo"
"Vederlo?" Lei la guardò «È morto,
Lisa. Non c'è niente che tu possa dire o fare. Non più. So come ti senti in
questo momento, ma non posso lasciarti guidare per ore solo per..."
La prese per un braccio e Cuddy la fulminò
con lo sguardo.
"Tu non puoi neanche lontanamente
immaginare come mi sento adesso, mamma" Rispose, sostenendo il suo
sguardo.
"Hai ragione! Ma non posso lasciarti
guidare in queste condizioni. Guardati, Lisa! " Disse, indicando lo
specchio di fronte a lei "Quelle che hai adesso sono contrazioni. Respiri
a fatica. Vuoi forse partorire mio nipote sulla superstrada?"
Guardò sua figlia chiudere gli occhi e
trattenere il respiro, tenendosi la pancia con una mano.
"Tesoro, sei sconvolta in questo
momento. Hai ragione... Io non posso nemmeno immaginare quello che ti sta passando
per la testa in questo momento... ma, per favore... hai già perso lui. Non puoi
correre il rischio di perdere anche il suo bambino"
Quel che venne dopo era nebuloso... come se fosse avvolto nella nebbia...
Ricordava... dolore. Tanto dolore. Ma il dolore fisico non era niente in confronto a quello mentale. Due tipi di dolore legati insieme in modo tale che la morte sarebbe stata una liberazione. L'avrebbe accolta come una confortante sorella maggiore.
In quel giorno, era morta. E poi tornata a
vivere in quello stesso giorno. Le lacrime scendevano lungo le sue guance
mentre guardava il bambino che teneva tra le braccia. Il loro bambino. Il suo
piccolo pugno avvolto attorno al suo dito e quegli occhi azzurri che la
fissavano.
Gregory.
Sapeva che avrebbe vissuto per lui. Che
sarebbe stata felice per lui. Che sarebbe stata là per aiutarlo a diventare
l'uomo di cui anche suo padre sarebbe stato fiero. E che sarebbe stata là per
dirgli ancora, e ancora e ancora, quanto suo padre fosse l'uomo più incredibile
che avesse mai conosciuto.