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Autore: SherlokidAddicted    04/01/2017    4 recensioni
- John, tu chi sei per me? – Si asciuga le lacrime con il palmo della mano. Mi sembra di guardare un bambino indifeso e impaurito. E quel bambino indifeso ha bisogno di qualcuno che lo aiuti e che lo sostenga, ed anche se non mi riconosce voglio essere io quel qualcuno che lo prende per mano e lo guida. Accenno un sorriso ed abbasso lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.
- Vuoi davvero saperlo? – Lui annuisce. Il velo di paura nei suoi occhi sta pian piano svanendo, sembra ricominciare a fidarsi di me. – Ci arriverai da solo, con calma. -
Cosa mi passa per la testa, dite?
Perché non ho semplicemente detto “Sherlock, io sono tuo marito”?
Non lo so. Ho come l’impressione che questo sia il modo giusto per affrontare la cosa. In fondo non sa chi sono, credo che avrebbe reagito male se avesse saputo già da subito la verità. E questo non è mentire! Semplicemente lascerò che sia lui a capirlo… o spero a ricordarlo.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cocci di vetro




In questi giorni Sherlock ha scoperto il suo violino. Lo ha trovato sotto il tavolo del soggiorno e ha pensato fosse mio. Quando gli ho rilevato il vero proprietario è rimasto piacevolmente sorpreso. Ovviamente non può essersi dimenticato come si suona, ma la sua testa è confusa, piena di dubbi e piccoli sprazzi di ricordi insignificanti, ricordi che si accorge di avere solo nel momento in cui si ritrova a svolgere piccole abitudini che non lo hanno mai abbandonato: tenere gli occhi chiusi per concentrarsi, iniziare a preparare il tè anche per me (dopo avermi gentilmente chiesto come lo preferivo), sbuffare quando Mycroft veniva a trovarci per controllarlo, perché diceva che io ero abbastanza per prendermi cura di lui e che non c’era alcun bisogno della sua presenza… certe cose forse non potevano mai cambiare. E adesso pizzicare le corde con la mano sana, con le palpebre chiuse a concentrarsi su ogni nota.
È così che lo trovo quando esco da sotto la doccia e raggiungo il salotto, asciugando parzialmente i capelli con un asciugamano. Per un momento sembra lui, il vecchio Holmes che rimugina su un caso, ma quando guardo il suo braccio ancora ingessato sono costretto a tornare alla realtà.
- Sei ancora in pigiama! – Esclamo, notando che indossa ancora la sua vestaglia blu di seta. Apre gli occhi e li punta immediatamente su di me.
- Dobbiamo fare qualcosa? – Mi chiede, smettendo di pizzicare le corde e piegando leggermente la testa verso destra. Sembra un cagnolino quando è confuso, ed il solo pensiero mi fa sorridere appena mentre riprendo a strofinare l’asciugamano sulla mia testa.
- Oggi hai la prima seduta con lo psicologo. – Dico, ricevendo in risposta un’espressione sorpresa. Se lo era dimenticato forse, e in un certo senso me lo aspettavo, date le sue condizioni.
- Giusto… - Sospira e poggia il violino sotto la poltrona (un’altra delle abitudini), poi si alza e mi supera guardandomi di sottecchi. Lo sento indugiare quando mi passa accanto, sembra quasi imbarazzato… beh, non lo biasimo affatto dato che ho indosso solo una vestaglia. Ma mi è parso di vederlo anche arrossire, o forse sono io che sto dando di matto.
Il suo passo si velocizza e poco dopo si chiude in camera sua.
Ho il tempo di tornare in bagno e di cominciare a sistemarmi come si deve, dato che ho deciso di accompagnarlo ad ogni seduta, almeno finché non riprenderò il mio lavoro in ambulatorio. È una cosa del tutto nuova per lui, e vorrei di sicuro evitare che abbia un altro attacco di panico come l’ultima volta. Non potrei sopportarlo, e nemmeno lui potrebbe.
Indosso una camicia bianca, un suo regalo per l’anniversario. Sì, mi ha regalato un indumento ed è andato nel panico quando ho iniziato a spacchettarla. Ha cominciato a parlare a raffica, facendomi capire che non è un tipo che fa regali molto spesso e che non aveva idea di cosa sarebbe stato giusto per me. Poi ha accennato a quel cardigan:

“Ho visto quel cardigan che Harriet ti ha regalato al tuo compleanno, quello grigio. Così ho pensato che una camicia sarebbe andata bene per abbinarcela… o… non saprei, John. Ci ho pensato per giorni interi, ho chiesto consigli a Molly, e perfino a Sarah su quello che sarebbe stato un regalo perfetto. Sai cosa mi hanno risposto? Che qualunque cosa sarebbe andata bene, che ciò che conta è che ci metta il cuore. Sono andato nel panico. Non metto il cuore nelle cose che faccio se non si parla del mio lavoro e tu lo sai bene, ma se dovevo farlo per te allora ci avrei provato… e mi è venuto in mente il cardigan grigio che tieni in fondo al cassetto e che non metti mai perché sei ancora arrabbiato con tua sorella per il suo alcolismo, e quando ho visto questa insignificante camicia ho pensato che addosso a te sarebbe diventata una camicia speciale… ignorami, sono un completo idiota, non so cavarmela in queste…”

E l’ho fermato, ho interrotto il suo fiume di parole con un bacio. Un qualunque gesto del genere da parte sua per me significava tutto. So che tipo è, so che non ama fare regali, ma quella camicia è diventata la mia preferita da quel giorno, ed era bellissimo vedere il suo sorrisetto soddisfatto ed innamorato ogni volta che la indossavo.
Certo, quando l’ho indossata la prima volta per fargli vedere come mi stava… non nego che due secondi dopo è finita sul pavimento, insieme a tutti i vestiti, formando un percorso ben visibile fino alla camera da letto.

Chissà se lo ricorda.

Penso mentre metto il cardigan grigio in questione, abbottonando delicatamente i bottoni.
Indosso velocemente i jeans, quando vengo interrotto da ovattate imprecazioni che mi fanno corrugare le sopracciglia. Poi sento pronunciare il mio nome con voce irritata e mi affretto a raggiungere la camera di Sherlock, assistendo ad una scena comica per la quale mi costringo a trattenere le imminenti risate.
- Non stare lì impalato, aiutami! – La camicia azzurra che ha deciso di indossare si è incastrata al tutore che mantiene il suo braccio fermo. Con una sola mano non riesce ad afferrare la manica per poterla infilare cautamente dove c’è il gesso. Quindi ha iniziato a girare su sé stesso come una trottola nel tentativo di afferrare invano la stoffa.
- Se magari ti fermassi! – Dico con un sorriso divertito mentre mi avvicino alla sua schiena, individuando il punto d’incastro e facendo scivolare l’indumento da sotto la fascia del tutore per liberarlo. A questo punto potrebbe fare tutto da solo, perché non ha mai avuto problemi a vestirsi con una sola mano, ma stavolta decido che sarò io ad aiutarlo. – Forse prima di infilare la camicia sarebbe stato meglio togliere il tutore, che ne dici? – Dico mentre con cautela sfilo la fascia dal suo collo e rimuovo ciò che tiene sollevato il suo braccio. Lo toglieva sempre di solito, ma questa volta lo aveva dimenticato, come l’aver dimenticato il nome della sua bevanda preferita. I normali sintomi di un trauma cranico, quelli che provocano confusione e piccole distrazioni. Cerco di non farglielo pesare per evitare il suo panico, e ci riesco molto bene, perché si limita a deglutire rumorosamente, consapevole del fatto che aveva appena avuto un altro di quei problemi di memoria. – Non è successo niente, ok? – Dico con voce calda e gentile, e lui annuisce velocemente mentre mi lascia fare.
Mi cimento a sbottonare i suoi polsini, in modo da permettere al gesso di passare tranquillamente attraverso la manica, poi lo aiuto ad indossarla e sposto perfino le mani sul suo petto per allacciare pian piano ogni bottone, sfiorandolo pelle su pelle, ed osservandolo rabbrividire mentre lo faccio. Mi accorgo che le sue guance si sono imporporate e non posso fare a meno di chiedermi se si stia imbarazzando o se invece sia lusingato dalle mie attenzioni.
- Ce la fai a mettere giacca e cappotto da solo? – Annuisce velocemente una seconda volta, facendomi notare quanto in realtà il mio tocco lo abbia reso nervoso. Forse avrei dovuto osare un po’ di meno, penso mentre lui si gira dalla parte opposta per indossare la giacca. Riesce addirittura a rimettersi per bene il tutore e a lasciare il cappotto adagiato sulle spalle, con solo un braccio sistemato nell’apposita manica. – Vado a darmi una sistemata e possiamo andare. –
Circa cinque minuti dopo, Sherlock è già al piano di sotto a conversare con la signora Hudson. La porta d’ingresso è aperta e il taxi ci sta già aspettando.
Lo studio privato del dottor James Portman si trova nella sua graziosa casetta a Southwark. Ci accoglie una governante grassottella e con un gran sorriso che vorrebbe essere cordiale ma che mi fa solo accapponare la pelle per quanto è inquietante.
Veniamo fatti accomodare in un salone modernamente arredato, su un divano ad angolo bianco splendente, talmente tanto che ho paura di sporcarlo anche solo con la forza del pensiero.
- Avverto il dottor Portman. – Dice la donna mentre lascia la stanza.
Per scegliere uno psicologo abbastanza bravo ci siamo rivolti a Mycroft. Lui ha diverse conoscenze e ci ha fornito il numero di questo dottore, e dicono sia il migliore sulla piazza. Ci siamo fidati, se questo significava aiutare Sherlock con la sua memoria.
Lo sguardo mi cade sul vassoio ben sistemato sul tavolino di vetro di fronte a noi: è pieno zeppo di caramelle e cioccolatini. Accanto c’è una pila di riviste di vario genere e mi sorprendo di quanto quel vetro sia splendente e senza una minima impronta digitale.
Aspettiamo circa dieci minuti in totale silenzio e, sebbene io fossi stato attratto da quelle leccornie sul vassoio, ho resistito con tutto me stesso, perché l’idea di lasciare delle cartacce in un posto così pulito mi metteva in ansia. Alla fine il dottor Portman ci viene incontro, facendoci sussultare per via dell’improvviso rumore della porta. Ci siamo presentati e alla fine mi ha chiesto di aspettare lì mentre lui e Sherlock facevano la prima seduta. Mi ha detto di fare come se fossi a casa mia, ma in realtà casa mia non era mai stata così ordinata e pulita. È vero che io lo pregavo sempre di mettere un po’ di ordine, ma guardando il luogo in cui adesso mi trovo penso che non riuscirei a vivere senza il “disordine organizzato” di mio marito.
Mi ritrovo da solo, e non sapendo quanto avrei dovuto aspettare, inizio ad incamminarmi lungo la gigantesca libreria che fronteggia il divano in cui pochi minuti fa ero nervosamente seduto.
Sherlock diceva che la libreria di un uomo è il modo migliore per conoscerlo a fondo. Mi aveva insegnato qualche trucchetto e, nell’attesa, non esito a metterlo in atto.
Il dottor Portman possiede, come mi aspettavo, due scaffali pieni di libri sulla medicina. Noto poi alcuni libri su Freud, altri prettamente scientifici e altri sono biografie di medici e psicologi famosi. Quindi penso sia un tipo abbastanza legato al suo lavoro, tanto da leggere sull’argomento anche fuori dall’orario lavorativo. Ma cosa dire di James Portman che non riguardi la psicologia? Semplicemente lo si può notare dalla sua insolita collezione di libri fantasy. Chi lo avrebbe mai detto!
Non si possono escludere però i libri storici, quelli su vari autori importanti, le opere di Shakespeare, una raccolta di Enciclopedie molto costose ed infine un libro che ha catturato la mia attenzione come una calamita attratta da un’altra: Mozart e le sue opere. A Sherlock piaceva Mozart, avrebbe adocchiato quel volume con evidente apprezzamento se solo si fosse ricordato del suo passato e dei suoi interessi.

Chissà se anche sarebbe riuscito a suonare come una volta il suo preziosissimo violino.

Ci spero, perché mi manca sentirlo suonare anche fino alle tre del mattino.
La seduta dura quasi più di un’ora. Sherlock torna nel salone con la testa bassa, seguendo il dottor Portman e indugiando poco dietro di lui mentre quest’ultimo mi rivolge la parola.
- Dottor Watson, - mi dice con un sorriso soddisfatto – Tutto è andato molto bene. Direi che ci vedremo giovedì prossimo per fissare degli appuntamenti. Voglio vedere il signor Holmes una volta a settimana ed appuntare ogni suo progresso. -
- Perfetto, non c’è problema. –
- Per oggi ci siamo limitati a parlare, ma metteremo in pratica alcuni esercizi per allenare la memoria e poi vedrà che servirà a migliorarlo. –
Ci salutiamo cordialmente, mentre Sherlock accenna ad un movimento leggero con la testa come saluto. Sul taxi inizia a giocherellare con l’orlo del suo cappotto scuro, mantenendo quel timido silenzio a me nuovo da parte sua.
Poco dopo ho il coraggio di chiedergli com’è andata la seduta. Mi ha spiegato che Portman gli ha chiesto di parlare di ciò che ricordava. Ovviamente Sherlock aveva la testa completamente svuotata da ogni memoria e non ha saputo parlare di molto, ma poi ha raccontato di provare delle sensazioni che non gli erano del tutto nuove quando gli capitava di fare una determinata azione. Sensazioni che sapeva aveva provato prima di subire il trauma cranico. Quando gli ha chiesto di spiegare che cosa provava, però, Sherlock non ha saputo rispondere. Così Portman gli ha detto di tornare la settimana prossima e di fare caso alle circostanze avrebbero provocato di nuovo queste sensazioni. Avrebbero lavorato su quello. Le sensazioni sarebbero state il suo esercizio per la mente.
 
***
 
Oggi è sabato. Sono passati due giorni scarsi dalla seduta con lo psicologo, ed in questo periodo Sherlock mi è sembrato più sveglio ed attento. Sembra analizzare tutto ciò che gli sta intorno, e sembra che stia cercando di decifrare un minimo sbalzo d’umore, così da poterlo raccontare al dottor Portman. E come mi accorgo che lo sta facendo? Beh, semplicemente chiude gli occhi e rimane immobile. Se avesse avuto entrambe le braccia funzionanti avrebbe di sicuro portato le mani giunte davanti alle labbra.

Lavori in corso: starà ricostruendo il suo palazzo mentale?

Questa sera Lestrade ci ha fatto una sorpresa. Si è presentato a casa nostra con delle porzioni abbondanti di cibo cinese.
- Ho pensato che vi avrebbe fatto piacere. – Ha detto con un sorriso sgargiante.
Le abbiamo spazzolate in pochissimo tempo, seduti sul tappeto del salone, con tre bottiglie di birra fredda e una pila di tovaglioli sulle gambe.
- Quindi, come sta andando la riabilitazione di tuo… di Sherlock? –

Marito, gli stava sfuggendo quella parola.

- Bene, bene… - Dico tossicchiando nervosamente, ricevendo delle occhiate di scuse dal mio amico ispettore. Però, quando mi soffermo a guardare Sherlock, lui sembra non essersi accorto di niente, dal modo in cui cerca di afferrare il cibo cinese con le bacchette, senza riuscirci come si deve. È troppo concentrato altrove, grazie al cielo. – Sì, sta facendo enormi progressi per essere solo all’inizio. –
- Magnifico! Quindi… ricordi qualcosa? – I nostri occhi sono tutti rivolti a lui. Sta masticando con piacere il suo cibo quando scuote la testa con vigore. Un movimento abbastanza brusco del capo da fargli scricchiolare l’osso del collo…

Oh, giusto, le sue pillole!

Mi ricordo all’improvviso, scattando in piedi e dirigendomi verso l’armadietto delle medicine, tutte ordinate in base all’orario in cui avrebbe dovuto prenderle.
- Ma ho come dei piccoli déjà-vu e delle sensazioni non del tutto nuove, sto lavorando su questo. –
- Beh, è un ottimo esercizio! – Esclama Greg mentre io riempio di acqua un bicchiere e tiro fuori una pillola dal barattolino di plastica. – Ho notato che non avete ancora rimosso la mappa del caso della banca. – Aggiunge, indicando con il mento gli appunti, le foto e le cartine appese alla parete sul divano.
- Sherlock vuole lavorarci su. – Dico io, passandogli la pillola ed il bicchiere mentre mi rimetto a sedere sul tappeto.
- So parlare da solo, John. – Afferra bruscamente il bicchiere di vetro e porta nervosamente la pillola fra le labbra. – Quello ricordo come si fa! – Non mi guarda nemmeno mentre sputa fuori quelle parole amare che riescono soltanto a farmi sprofondare mille metri sottoterra. Non aveva mai reagito così prima e non ho idea del perché adesso mi abbia parlato con quel tono seccato. Sono forse stato troppo assillante? Ho per caso esagerato in qualcosa? Non riesco a rispondere a tutto ciò mentre mi soffermo a guardare un punto indefinito della stanza.
- Scusa, stavo solo… -
- Parlando al posto mio! – Esclama rivolgendomi finalmente uno sguardo che, purtroppo per me, è abbastanza truce. – Ho perso la memoria, non la capacità di parlare. Ti creerebbe fastidio se rispondessi da solo alle domande di Greg? – Di due cose mi sono stupito: del suo tono sprezzante e accusatorio, e del fatto che abbia chiamato Lestrade col suo vero nome.
- John cerca solo di aiutarti, Sher… -
- IO SO PARLARE DA SOLO! – Il suo è un urlo improvviso che ci ammutolisce, mentre scaglia con forza il bicchiere ormai vuoto sul pavimento, rompendolo in mille pezzi. I suoi occhi sono furenti e sprigionano fiammate di rabbia che mai avevo visto da parte sua, mai così tanta. Per un attimo ho anche paura che possa prenderci entrambi a schiaffi, ma poi vedo i suoi occhi inumidirsi, si guarda intorno spaesato e con la paura dipinta in volto, deglutisce rumorosamente e si alza dal pavimento, raggiungendo velocemente la sua camera e chiudendosi a chiave nella stanza.
Piomba il silenzio, un silenzio assordante che mi è difficile sopportare. Greg si alza in piedi, con un’espressione comprensiva e dispiaciuta, e mi porge la mano per aiutarmi a fare lo stesso. Mi sollevo, sentendo soltanto dopo che le mie mani hanno cominciato a tremare.
- Forse vuoi rimanere da solo. – Mi dice portando le mani nelle tasche dei jeans e tenendo le spalle sollevate, come a voler infossare la testa fra di esse per nasconderla. – Ma posso darti una mano a ripulire. –
- Non ce n’è bisogno Greg, faccio da solo. – Dico con voce calma e tremante allo stesso tempo, mentre faccio vagare velocemente lo sguardo sui cocci di vetro sparsi nella stanza. Lui annuisce, poi poggia una mano sulla mia spalla e mi guarda incoraggiante.
- Sherlock è solo spaventato. – Sussurra, nella sua voce riesco a sentire quanto spera che quella frase mi tranquillizzi. Mi limito a sospirare per riprendere il controllo dei tremori del mio corpo, poi annuisco.
- Ti accompagno alla porta. –
Quando però torno nel salone mi sento mancare le forze, non riesco nemmeno a piangere per il dispiacere, quindi dopo aver poggiato la testa contro il divano, mi addormento profondamente, distrutto. I resti del cibo cinese e del bicchiere frantumato ancora sul pavimento.
Sogno di essere a letto con Sherlock. Sogno di fare di nuovo l’amore con lui, di immergere delicatamente le dita fra i suoi riccioli scuri e di toccare le sue labbra con le mie, di lapparle dolcemente con la lingua e di intrecciare le gambe con quelle chilometriche di mio marito. Sembra tutto vero quando la mia mano sfiora la sua pelle liscia e diafana, quando avverto il suo respiro caldo sulla pelle e quando tuffo i miei occhi nei suoi dalle varie sfumature chiare.

Oh, quegli occhi…

Quando ci ritroviamo abbracciati e silenziosi, con la sua testa comodamente sistemata sul mio petto, mi rendo conto che tutto è solo un sogno, ma ciò non mi impedisce di rivolgermi a lui come se fosse lo Sherlock di qualche mese fa.
- Sherlock… -
- Mh? – Mormora, tenendo gli occhi socchiusi e la voce bassa ed impastata dal sonno e la spossatezza.
- Mi faresti una promessa? – Chiedo mentre la mia mano inizia a giocare con il suo boccolo disordinato, quello che gli cade sulla fronte.
- Non smetterò di riempire il frigo di parti del corpo, se è questo che vuoi chiedermi. – Accenno una risata e scuoto la testa, sollevandomi appena per poterlo guardare meglio negli occhi. Finalmente ho la sua totale attenzione, e posso perfino notare una nota di preoccupazione sul suo volto stanco.
- Non è questo, anche se la cosa continua a darmi fastidio. –
- Allora cos’è? –
- Io so che tutto questo è solo un sogno, e so che tu non sei reale in questo momento. –
- Lo so che lo sai. –
- Sei la persona più intelligente e in gamba che conosca, sai sempre tutto. –
- John, arriva al punto. – Si è spostato su di me e mi sta fissando dritto negli occhi, sovrastandomi con il suo corpo statuario e piacevolmente caldo. Mi sembra di stare in paradiso, è sempre così con i bei sogni, in fondo.

È sempre così con lui.

- Hai probabilità di riacquistare la memoria? –
- Certo. –
- Allora mi prometti di ricordarti di me? – La sua mano si solleva fino al mio viso ed inizia ad accarezzare la mia guancia con devota dolcezza e delicatezza. Da quel tocco riesco a sentire tutto il suo amore, e sembra così reale che non riesco a trattenere una lacrima. I miei occhi si inumidiscono senza che io riesca a controllarmi. Il mio corpo mi tradisce.

Tranquillo, John, è solo un sogno, non è reale.

- Oh, John… - Mormora in un sussurro triste mentre poggia la sua fronte contro la mia. – Solo se mi prometti una cosa anche tu. –
- Qualunque cosa. – La mia voce trema, ma non ci faccio assolutamente caso.
- Voglio rivedere il soldato che eri una volta. La mia situazione ti sta distruggendo pezzo per pezzo e così non va assolutamente. Non lasciarti travolgere. Sii forte per me, io ho bisogno del tuo aiuto per recuperare, e vederti toccare il fondo di certo non mi farà stare meglio. – Le mie labbra accolgono ogni sua parola sussurrata disperatamente contro di esse. La sua non è una semplice richiesta, ma una preghiera.
- Se te lo prometto mi ricorderai? –
- Sì, John. –
- Allora ci proverò. –
- Non devi provarci, devi farlo e basta. – Mi sollevo quel tanto che basta per sfiorare le sue labbra umide in un bacio casto e languido.

Dio, quanto mi mancano quelle labbra.

- Lo farò, te lo prometto. –
Mi sveglio poco prima di baciare l’uomo dei miei sogni. Sono ancora sul divano con la testa poggiata sul cuscino, ma adesso ho una coperta addosso per fortuna, perché sembra esserci abbastanza freddo nella stanza. Mi sollevo lentamente con il busto e sbatto un paio di volte gli occhi per scacciare il sonno. Sul tavolino noto un vassoio con una tazza di caffelatte, dei biscotti, un succo d’arancia e un croissant fumante. Quel profumino sembra rianimarmi e senza pensarci afferro il bicchiere di succo e ne mando giù qualche sorso per dare sollievo alla mia bocca secca.
Poco dopo mi rendo conto che anche i cocci di vetro sono spariti dal pavimento, e che nel vassoio c’è un bigliettino bianco. Lo afferro e sul dorso vi è scritto solo un tremante “mi dispiace”. Mi sfugge un sorriso intenerito e quando sollevo lo sguardo, Sherlock è sulla porta che mi guarda preoccupato e soprattutto pieno di vergogna. Dietro di lui Janet sta già preparando le sue medicine. Non l’ho proprio sentita arrivare…
- John, io… -
- Non c’è bisogno di scusarti. –
- No, John, io devo scusarmi. – Mormora in risposta mentre si stringe nella vestaglia di seta blu. Emette un sospiro e si siede accanto a me, guardando intimidito le punte dei suoi piedi. – Non so cosa mi sia preso ieri sera. Non mi dà veramente fastidio che tu risponda per me e non volevo davvero accusarti di qualcosa. – La sua mano inizia a vagare fra i suoi ricci per scompigliarli ancora di più. – Io so che tu mi stai solo aiutando, e te ne sono grato perché è proprio quello di cui ho bisogno. Credo che la seduta col dottor Portman mi abbia innervosito più del solito, e non so se quella reazione sia dovuta a questo o dal fatto che il trauma cranico mi abbia fatto ammattire… -
- Non ti ha fatto ammattire. Tu sei solo spaventato, tutto qui. E magari io sono troppo assillante nei tuoi confronti… -
- Oh no! – Esclama lui poggiando una mano sulla mia coscia. – Tu sei perfetto. – Quelle parole scatenano il rossore sulle sue guance e un sorriso intenerito sul mio viso ancora assonnato. Lo vedo abbassare lo sguardo imbarazzato, senza togliere la mano dal mio ginocchio. – Lo sei davvero. – Sussurra con un filo di voce quasi impossibile da udire. In risposta lascio ricadere il bigliettino sul pavimento e mi permetto di circondare il suo busto con le braccia e poggiare il mento sulla sua spalla, stringendolo in un tenero abbraccio.
- Questo vuol dire che mi perdoni? –
- Certo che ti perdono, Sherlock. – E non c’è bisogno di dire altro, perché il fatto che anche lui mi stia stringendo mi fa capire che adesso è tutto apposto.




Note autrice:
Prima di dire altro... AVETE VISTO LA 4X01? AVETE SOFFERTO AMARAMENTE COME ME?
Chiudiamo questa dolorosa parentesi.
Il capitolo era pronto da un po' ma il dolore per la puntata non mi dava le forze di pubblicare (l'ho vista tre volte, capitemi). Non so quando arriverà il prossimo ma... volevo ringraziarvi per il successo che questa storia sta riscuotendo, cioè tipo 28 seguiti, MAI AVUTI TALMENTE TANTI. Grazie davvero tesorini!
Spero di poter pubblicare presto il continuo, e che questo vi piaccia.
Un bacio e alla prossima!
  
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