University and
Gynecology
-Ju, tutto bene? Mi fai entrare, per favore?- il tono di
Andy era a metà tra il preoccupato e lo scocciato. Lo capivo benissimo, ma non
potevo farci niente, stavo troppo male.
Beh…non proprio troppo…diciamo che mi sentivo sul punto di
rimettere l’anima, o forse l’avevo gia fatto.
-Allora?- la sua voce continuava a chiamarmi. “Esco
subito.” Avrei voluto rispondere, ma l’ultimo di una serie di lunghi coniati di
nausea mi bloccarono le parole sul nascere. Mi coprii la mano con la bocca
nella varia speranza che servisse a qualcosa; che illusa.
Tirai di nuovo lo scarico del wc, appoggiando la testa sul
muro alle mie spalle.
Maledizione, perché fra tutti i sintomi della gravidanza
proprio le nausee mi dovevano capitare? E poi non erano chiamate “mattutine”?
Perché mi venivano a qualsiasi ora della giornata? Che cavolo! Quando non avevo
le nausee, invece, mangiavo come un’orchessa; di conseguenza, mezz’ora dopo ero
con la faccia quasi dentro il wc.
Mia madre mi aveva avvertito di queste
piccole…ehm…inconvenienze ma le aveva minimizzate per non mettermi ansia. Avevo
fatto una piccola ricerca su internet e avevo scoperto che le nausee erano più
che comuni nel primo trimestre, mentre andavano scemando sempre di più verso il
secondo e il terzo. Non c’erano cause chiare per spiegarle, sta di fatto che
colpivano il 79,4% delle donne incinte. C’era pure l’altro fattore del 15% in
cui le nausee potevano protrarsi per tutta la durata della gestazione; quaranta
settimane passate nel bagno con la testa sul wc, che bello! Conoscendo la mia infinita fortuna tutto mi lasciava
presupporre che sarei rientrata in quella piccola percentuale di sfortunate,
specialmente con tutti i pensieri negativi che Evangeline mi doveva rivolgere
in quel periodo.
Andrew ed io non avevamo più parlato del fatto che mia
nuora mi aveva chiesto, seppur implicitamente, di abortire, né del fatto che il
Dottor Allen aveva parato con entrambi. Senza contare che Evangeline stava
stentando di mettersi in contatto cin Andy da più di una settimana senza
risultati. Io avevo preferito non intromettermi in questa storia, ma avevo
ugualmente precisato ad Andrew che poteva sentirsi libero di chiamare sua madre
quanto voleva; anche suo padre gli aveva chiesto di farlo, ma Andy era stato
più che chiaro.
Quella mattina sveglia non aveva neanche suonato che ero
corsa verso il bagno, avevo chiuso la porta a chiave e avevo dato inizia al mio
inferno.
Se non sopportavo neanche due giramenti di stomaco, mi
chiesi come sarei riuscita a sopravvivere al travaglio. La sola idea mi fece
stare male di più.
E non erano neanche le sette di mattina, ma che bella
giornata! Senza considerare che quel pomeriggio avrei avuto la mia seconda
visita ginecologica. La prima era stata molto confusionaria e anche un
po’…shockante; non avevo avuto il tempo (né la capacità) di chiedere nulla alla
ginecologa, né lei mi aveva informato precisamente su cosa andavo incontro. Per
telefono mi aveva suggerito di portare il mio compagno, in modo che fosse reso
partecipe e anche lui fosse informato sul come doversi comportare durante
questi…sette mesi.
Troppo pochi ma al contempo molti. Non sapevo che
decidere.
Sospirai tremante, mentre mi preparavo a un altro coniato.
-O apri immediatamente questa porta, o giuro che la
scardino!-.
Odiavo trattare così Andy, ma proprio non mi andava che mi
vedesse in questo stato. Dovevo Pallida e spossata, con le borse sotto gli
occhi e non dovevo avere neanche un buon odore.
Sospirai di nuovo, più profondamente, per darmi l’azione
necessaria per alzarmi e aprire la porta.
La maniglia scattò e sentii Andrew esclamare
–Finalmente!-, io ritornai accasciata accanto al wc.
Mi si sedette accanto, passandomi un asciugamano –Come ti
senti?- mi chiese accalorato. Non ebbe bisogni di una mia risposta, ma gli
lanciai un’occhiata inequivocabile traducibile con “Non puoi costatarlo da
solo?”. Stavo diventando più tosto acida, dovevo ammetterlo, ma proprio non
sopportavo quella situazione.
Odiavo fammi vedere così…debole e indifesa, cavolo! Anche
se era Andrew. Mi spostò i capelli da visto da viso sudato, -Forse è meglio se
rimani a casa.- constatò.
-No!- risposi immediatamente, non avrei lasciato che delle
semplici nausee sconvolgessero la mia giornata –Non posso saltare altre lezioni,
- aggiunsi, ed era vero; in quel periodo erano più le volte che non andavo che
il contrario, il mio prossimo esame era lontano. Ma non potevo di certo
starmene sugli allori.
-Ok, ma prendiamo la macchina, va bene?- mi chiese, ed io
annuii. La metro traballava troppo per il mio stomaco, non ero sicura che sarei
riuscita a reggere. Probabilmente no, considerai mentre ricominciai a rimettere
nella taccia del wc, con Andy che mi teneva i capelli con una mano e che mi
guardava preoccupato.
-Non dovremo preoccuparci?- il tono era un filino ansioso
–Passi là maggior parte della mattina in bagno.-.
-Non credo.- risposi io mentre mi sciacquavo la bocca, -Ho
letto ovunque che sono molto frequenti i primi tre mesi.-.
Notai dal suo sguardo che non era ancora perfettamente
convinto, sorrisi –Oggi lo chiederemo alla ginecologa, ok?- e lui annui, non
ancora soddisfatto.
Mi aggrappai alla mano che mi porgeva e mi aiutò ad
alzarmi, mi sentivo un po’meglio, forse perché non mi era rimasto nulla da
rimettere.
Andrew uscì da bagno, diretto in cucina, dicendo che
andava a preparare la colazione e di chiamarlo in caso di bisogno. Certo…come
se sarei riuscita a buttare giù qualcosa!
Ne approfittai per farmi una doccia veloce, in modo da
togliermi da dosso quell’orribile odore di acidità.
Quando ne uscii, mi sentivo notevolmente meglio, anche se
la pesantezza di stomaco continuava a tormentarmi peggio di un mal di mare.
Mi asciugai in fretta e mi guardai allo specchio. Il mio
ventre era ancora completamente piatto, infondo ero solo di otto settimane e
due giorni, cioè di due mesi. Avrei dovuto aspettare la fine del terzo mese o
l’inizio del quarto per notare qualcosa.
Anche se la mia pancia era ancora allo status quo io me lo
sentivo. Mi sentivo incinta, in tutti i significati possibili. Le nausee
avevano preso a tormentarmi verso metà del mese scorso, accompagnate da un
rifiuto totale per gli odori di ogni genere, inoltre avevo sonno, molto sonno,
al punto che a volte mi addormentavo cenando (sempre le lo stomaco mi
permetteva di mangiare) o mentre ero il aula (quello si che era imbarazzante),
oppure mi sentivo intrappolata in una tormenta di sentimenti, alternavo
felicità a tristezza e tristezza a beatitudine. I miei sbalzi d’umore
spaventavano non poco Andy che, poverino, non sapeva proprio come prendermi.
Mi vestii nel minor tempo possibile, indossando dei comodi
pantaloni neri e un pullover azzurrino, avevo sviluppato un sentimento d’odio
per tutti i vestiti che non fossero larghi o comodi. Era troppo provata per
pensare ai capelli, così li legai all’indietro, cosa che mi risultò un
po’difficile dato che erano abbastanza corti.
Scesi scalza verso la cucina, con tutta l’intenzione di
mangiare almeno qual cosina, tanto per mantenermi in vita. Forse avevo perso
qualche chilo, in gravidanza non era l’incontrario?
Ad ogni modo, tutti i miei buoni propositi sulla
nutrizione andarono a frasi un giro quando arrivai in cucina. L’odore era così
forte e sgradevole che quasi mi girò la testa, inutile dire che non avrei
mangiato assolutamente nulla.
Entrai nella stanza respirando con la bocca, per evitare
che il mio caro, carissimo stomaco decidesse di metterli a ballare ancora.
Andrew mi sorrise e mi mise davanti agli occhi del succo
di frutta al mango e delle uova strapazzate. Le guardai inorridita.
-Ehm…Andy, credo di non avere molta fame.-, gli disse
coprendomi la bocca con una mano.
Lui mi guardo severo, -Amore, non so se lo sai,
ma…dovresti mangiare per due e tu non lo fai neanche per te stessa.-.
Si pentii subito delle sue parole, forse notando la mia
espressione, e mi abbracciò. –Scusa, Ju. Solo prova a mangiare almeno qual
cosina, ok? Almeno il succo di frutta, ti prego!- mi stava, letteralmente,
implorando con gli occhi da cucciolo più languidi che avessi visto.
Sbuffai contrariata e afferrai il bicchiere con il
succo…mmm…non aveva poi un odore così cattivo. Cercai di mandarlo giù di un
fiato, senza pensarci. Andrew mi guardava soddisfatto.
Adoravo quando si preoccupava per il bambino, -Ti amo.-
gli dissi sorridendo.
Lui mi rispose ammiccante, -Come poteva essere
altrimenti?-.
Arrivammo a Washington Square in perfetto orario,
parcheggiammo la macchina nel parcheggio riservato agli studenti e ci
incamminammo per la piazza. Nonostante l’ora era gia piena di vitalità, adoravo
quella piazza; il grande arco la sovrastava quasi interamente creando un’atmosfera
davvero unica, per non parlare di tutti i musicisti che circondavano la grande
fontana al centro, alcuni davvero sprecati nel fare i suonatori di strada.
Rallegravano la piazza e la rendevano ancora più viva e movimentata di quanto
lo fosse già, con tutti gli studenti della NYU che correvano verso gli edifici
della propria facoltà. Andrew ed io camminavamo vicini, non avevo per niente
voglia di staccarmi da lui.
Stare vicino ad Andy mi faceva sentire sicura, pronta per
affrontare qualsiasi cosa, lo avevo sposato anche per questo. Era quel genere
di persona in grado di prendere qualsiasi decisione, la quale era comunemente
giusta.
Andavo così dannatamente fiera della fede che portavo sul
dito! Beh…in realtà, in principio, le avevo sempre odiate, le avevo sempre
paragonate a delle manette o a un marchio di riconoscimento, come a voler dire
“Guardate sono sposata!”. Ora non ero più della stessa idea, sicuramente.
Vidi Amber e Nike venire verso di noi salutandoci.
-Amore, ora devo andare. Ci vediamo a pranzo, ok?
Qualsiasi cosa chiamami.-mi baciò velocemente e andò via. Io sorrisi divertita,
Andy diventava sempre un po’nervoso quando cera Nike nei paraggi. Potevo
capirlo perfettamente, soprattutto dopo…beh…dopo quello.
-Come sta la nostra bella mamma?- mi domandò Amber
raggiante.
Ci conoscevamo dal primo anno di liceo ed era una delle
poche con cui ero rimasta in contatto alla fine della scuola, anche perché
frequentavamo la stessa facoltà.
Amber Richie era quel genere di ragazza che definire
eccentrica era assolutamente riduttivo. Si notava immediatamente dai suoi
capelli, un tempo castano chiaro, ora blu; o dal suo stile d’abbigliamento. Ricordava
incredibilmente quello di Nancy Spungen, ed era così che tutti la chiamavano.
Per lei andava più che bene, giacché adorava i Sex Pistols, diceva solo che
adesso le mancava il suo Sid Vicious. Quando le facevamo notare che Nancy era
stata la causa della rovina del giovane Sid, lei rispondeva con –Dettagli.- e
cambiava argomento.
Sorrisi, se avevo sperato di mantenere la notizia non
proprio segreta, ma quasi, mi ero sbagliata alla grande. Nel giro di una
settimana tutta, e sottolineo tutta, la facoltà d’arte, dagli studenti ai
docenti, ne era venuta a conoscenza. Queste cose non accadevano soltanto nei
paesini dove tutti si conoscono?
Evidentemente no, e sapevo anche di chi era la colpa,
pensai guardando Amber.
-Sto bene, grazie.-le risposi –ma potresti evitare di
affiggere i manifesti per tutta la piazza?-, inutile solo a dirlo. Infatti, mi
guardò confusa, -Che male c’è? Dovresti essere felice che tutti vogliano
condividere la felicità tua e di Andy, no?-.
-Anche persone che non conosco?- ma sapevo gia la
risposta.
-Assolutamente si.-.
A quel punto Nike intervenne –A proposito…dov’è quel gran
pezzo di figliuolo di Andrew?- domandò con occhi sognanti. Non potei fare altro
che alzare gli occhi al cielo divertita –E? scappato non ha penna ti ha
intervisto.-le risposi semplicemente.
Nike assunse un’espressione finta offesa, si portò una
mano al petto con sguardo scandalizzato ed esclamò –Perché mai succede con
tutti gli uomini che incontro?- la sua espressione era in perfetto stile “Drama
Queen”.
-Te lo chiedi anche?- s’intromise Amber –Li spaventi,
Nicholas.-, sospirai, quei due non facevano altro che stuzzicarsi.
Nicholas “Nike” assunse un’aria d’orrore –Non pronunciare
mai quel nome!- esclamò con voce squillante, mi sorpresi che non
indietreggiasse sconvolto.
-Perché?- continuò lei –E’il tuo nome, no?-, fortunatamente
ero passata in secondo piano, sospirai felice.
-E’ un nome maschile!-
spiegò con tono ovvio –Io mi chiamo Nike come…-ma lei lo fermò
-…come le scarpe!-.
-Assolutamente no! Nike come la dea greca della vittoria,
ignorante!- e alzò il volto oltraggiato.
-Ma tu sei un uomo. Non c’è nulla di sbagliato se ti
chiamo Nicholas, Nike.- sorrise quasi maligna.
-Fate retro satana!- veramente incrociò le dita per
formare una croce e la mise quasi in faccia ad Amber, che lo guardava
divertita.
-La mia anima è quella di una VERA donna!- puntualizzò
guardandoci entrambe, -E’ il mio corpo ad non essere convinto, purtroppo.-finì
sconsolato.
-La natura è crudele, lo so.- annuì Amber.
-Già, basta guardare te!-.
-Almeno non ho nulla d’ingombrante tra le gambe, io!-.
-Come ti per…-.
Quei due mi avrebbero fatto impazzire, alla fine. Quando
mi ero iscritta alla New York University, ero stata davvero felice che ci fosse
anche Amber, nonostante non fossimo proprio amiche, al liceo; non conoscevo
nessuno nell’università e il fatto che ci fosse un volto familiare mi faceva
sentire meglio, ed era così anche per Amber (tutto questo prima che conoscessi
Andrew, naturalmente). In seguito si aggiunse a noi Nike, Nicholas Deltion,
tanto bello quanto omosessuale. Dovevo ringraziare Nike, perché era grazie a
lui che avevo conosciuto Andy. Amber non era il tipo da festa, così Nike
trascinò me, a quella famosa festa da campus.
Il resto è storia.
-Ehm…forse dovremmo andare.-suggerii, i due si voltarono a
guardarmi e annuirono, dimenticandosi della loro lite.
Amber e Nike erano fatti così.
Insieme ci avviammo verso la facoltà d’arte della New York
University.
Avevo salutato Niki e Amber da qualche minuto, lasciandoli
che litigavano sulla strada verso la biblioteca, e mi ero diretta verso la
fontana della piazza, aspettando Andrew. Era quasi la mezza e l’appuntamento
con la ginecologa era fissato per due, considerando che lo studio di ostetricia
e ginecologia si trovava a Brooklyn potevo dire di essere gia in potenziale
ritardo, in più avevo un sonno assurdo.
Mi sedetti su una panchina a caso, in mezzo alla folla di
gente che popolava Washington Square, un ragazzino stava suonando qualcosa con
la chitarra, era molto bravo per la sua età; doveva avere massimo undici o
dodici anni.
Mi avvicinai alla custodia della chitarra e gli buttai
cinque dollari, lui mi sorrise per ringraziandomi e continuò a suonare.
Ero ancora intenta ad ascoltare il ragazzino con la
chitarra, quando mi sentii abbracciare da dietro. Sapevo gia chi fosse, sorrisi
felice e ricambiai il bacio di Andrew.
-Scusa, - mormorò a fior di labbra –sono in ritardo.-.
-Credo di poterti perdonare, questa volta, signor Allen.-.
-Che ne dici di andare, signora Allen?- io annui e ci
dirigemmo alla macchina.
Come previsto, trovammo traffico, quindi chiamai la
ginecologa per informarla del nostro possibile ritardo, lei rispose che non
c’era nessun problema.
Durante il tragitto io e Andy chiacchierammo un po’, ma
più ci avvicinavamo allo studio più mi sentivo agitato.
Se fosse andato storto qualcosa? Il primo trimestre è il
periodo più difficile di ogni gravidanza, la maggior parte degli aborti avveniva
tra il primo e il terzo mese. La parola “aborto” mi faceva venire la pelle
d’oca.
Erano passati solo due mesi, ma mi ero così profondamente
abituata all’idea di essere incinta che il pensiero che potesse succede
qualcosa mi faceva stare troppo male. Mia madre gia parlava di ripescare dalla
vecchia e ammuffita cantina di casa nostra la mia vecchia culla, quella che
aveva visto nascere me e tutti i miei fratelli. Mi sarebbe piaciuto se il
nostro bambino avesse dormito nella mia stessa culla; il Dottor Allen ci veniva
a trovare più spesso ultimamente ed era anche più flessibile con gli orari di
Andrew. Tutti si erano abituati all’idea di un nuovo membro della famiglia.
Secondo i libri di ginecologia il nostro bambino doveva
essere di circa quattro centimetri, incredibile come un esserino tanto piccolo
porti così tanti cambiamenti.
Da gravidanza accidentale la mia si era trasformata in
scopo della mia vita. Strano, vero?
Sinceramente non mi vedevo ancora a fare la madre. Ero
terrorizzata, senza escludere che non sapevo se sarei riuscita a sopravvivere
al parto. Non avevo una soglia del dolore molto buona, anzi, non c’è l’avevo
per niente.
Eppure era così, ero una futura mamma. Forse eravamo
giovani, Andrew ed io, avevamo appena ventitré anni, lo avevo sentito dire da
molte persone, ma non poteva importarmene di meno.
Io e Andy avevamo entrambi la testa sulle spalle e saremmo
stati degli ottimi genitori, o meglio, Andrew sarebbe stato un ottimo
genitori…io ancora non lo sapevo.
“Pensa positivo, tesoro.” mi aveva mamma qualche giorno
fa, mentre le avevo confidato questi miei disparati dubbi, “Essere madre è
nell’istinto do ogni donna, e poi io sarò sempre con te.”.
In momenti come questi mi rendevo conto quanto la mia
famiglia fosse importante per me; poi guardavo Andy, che di famiglia non ne
aveva avuto granché, tra sua madre sconvolta per la morte di Lucas e suo padre,
sempre troppo impegnato.
Sapevo che questo bambino contava molto per lui, molto di
più di quanto potessi immaginare.
Rappresentava la sua possibilità di avere una vera
famiglia.
-Siamo arrivati.-disse dopo un po’. Lo studio della
dottoressa Wilder era nella zona centrale di Brooklyn, in una palazzina rosa al
numero 142 di Joralemon Street. L’avevo trovata tramite l’elenco telefonico di
New York, in una cabina telefonica.
Io e Andy scendemmo dalla macchina in fretta, eravamo in
ritardo di quasi mezz’ora. Arrivati nello studio, ci accolse la solita
infermiera dall’aria gentile che avevo incontrato l’ultima volta che ero stata
lì.
La sala d’aspetto, abbastanza grande, con le pareti di un
verde acqua tappezzate di manifesti e volantini sulla gravidanza, non mi
sembrava poi così spaventosa e soffocante come in precedenza; anzi, aveva un
aspetto molto sereno e rilassante.
Strabiliante come le nostre emozioni condizionino il
nostro modo di vedere le cose.
-Siete i signori Allen, vero?- ci domandò la cinguettante
infermiera, - la dottoressa mi aveva avvertito del vostro ritardo. Andate, vi
sta aspettando!- e ci sorrise incoraggiante.
Andy si schiarì la voce, sembrava un po’ nervoso.
Effettivamente doveva essere la prima volta che andava da una ginecologa.
Entrammo nello studio mano nella mano, la dottoressa
Wilder ci aspettava sorridente come l’avevo lasciata il mese scorso.
-Prego, accomodatevi!- e ci fece segno di sederci.
-Bene, - iniziò –vedo che ha portato anche suo marito.
Piacere!- e Andy e la dottoressa si strinsero la mano.
-Bene, ora faremo una visita molto più dettagliata, ok?-.
Dettagliata fu poco! Dopo la solita ecografia (Andrew
guardava tutto attento il monitor, non l’avevo mai visto così assolto), la
dottoressa mi pesò e mi disse che ai miei cinquantadue chili avrei dovuto
metterne all’incirca dodici o al massimo quattordici. Mi compilò una lista
molto dettagliata di come e di cosa avrei dovuto mangiare durante i nove mesi;
mi chiese poi se fumavo o se prendevo dei farmaci di qualsiasi genere ed io
risposi no a entrambe le domande. Mi stampò anche un elenco con tutti i tipi di
test e di esami che avrei dovuto eseguire nei prossimi mesi, e, accidenti, ne
erano davvero tanti! Per le nausee non c’era nessun rimedio che funzionasse
realmente, quindi avrei dovuto sopportarle per un altro mese, per mia sfortuna.
Concluse la visita dicendomi che quello studio medico era collegato con il New
Yorker General Hospital e che, se non avessi avuto nulla incontrario, avrei
potuto recarmi lì per eseguire le analisi o addirittura prenderlo in
considerazione per il parto. Conoscevo il General Hospital, era stato lì che
Claudia si era operata di appendicite qualche anno prima; era un buon ospedale,
quindi dicemmo di non avere nulla incontrario.
Quando un’ora dopo, Andrew ed io uscimmo mano nella mano
dalla palazzina che ospitava lo studio di ostetricia e ginecologia della
dottoressa Wilder, lui fissava sbalordito l’ecografia dove un’immagine molto
stilizzata di nostro figlio si distingueva chiaramente nello sfondo nero,
mentre io, con l’altra mano sulla pancia, mi sentivo veramente al settimo
cielo.
Alla prossima!