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Autore: AvalonGirl    27/05/2009    2 recensioni
E' facile essere genitori nella giungla urbana di New York City? Per Judith Ferrante, yankee ventitrenne italoamericana, di certo no...specialmente se hai una suocera che fa invidia alla strega di Biancaneve, un marito super bello, super intelligente, super tutto e corteggiato da qualunque essere femminile (ma anche maschile, eh!) nel raggio di cinquecento metri, una famiglia che più stramba non si può e la laurea alle porte...riuscirà a far conciliare il tutto con la sua gravidanza?
Vedremo, vedremo...
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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University and Gynecology
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-Ju, tutto bene? Mi fai entrare, per favore?- il tono di Andy era a metà tra il preoccupato e lo scocciato. Lo capivo benissimo, ma non potevo farci niente, stavo troppo male.
Beh…non proprio troppo…diciamo che mi sentivo sul punto di rimettere l’anima, o forse l’avevo gia fatto.
-Allora?- la sua voce continuava a chiamarmi. “Esco subito.” Avrei voluto rispondere, ma l’ultimo di una serie di lunghi coniati di nausea mi bloccarono le parole sul nascere. Mi coprii la mano con la bocca nella varia speranza che servisse a qualcosa; che illusa.
Tirai di nuovo lo scarico del wc, appoggiando la testa sul muro alle mie spalle.
Maledizione, perché fra tutti i sintomi della gravidanza proprio le nausee mi dovevano capitare? E poi non erano chiamate “mattutine”? Perché mi venivano a qualsiasi ora della giornata? Che cavolo! Quando non avevo le nausee, invece, mangiavo come un’orchessa; di conseguenza, mezz’ora dopo ero con la faccia quasi dentro il wc.
Mia madre mi aveva avvertito di queste piccole…ehm…inconvenienze ma le aveva minimizzate per non mettermi ansia. Avevo fatto una piccola ricerca su internet e avevo scoperto che le nausee erano più che comuni nel primo trimestre, mentre andavano scemando sempre di più verso il secondo e il terzo. Non c’erano cause chiare per spiegarle, sta di fatto che colpivano il 79,4% delle donne incinte. C’era pure l’altro fattore del 15% in cui le nausee potevano protrarsi per tutta la durata della gestazione; quaranta settimane passate nel bagno con la testa sul wc, che bello! Conoscendo la mia infinita fortuna tutto mi lasciava presupporre che sarei rientrata in quella piccola percentuale di sfortunate, specialmente con tutti i pensieri negativi che Evangeline mi doveva rivolgere in quel periodo.
Andrew ed io non avevamo più parlato del fatto che mia nuora mi aveva chiesto, seppur implicitamente, di abortire, né del fatto che il Dottor Allen aveva parato con entrambi. Senza contare che Evangeline stava stentando di mettersi in contatto cin Andy da più di una settimana senza risultati. Io avevo preferito non intromettermi in questa storia, ma avevo ugualmente precisato ad Andrew che poteva sentirsi libero di chiamare sua madre quanto voleva; anche suo padre gli aveva chiesto di farlo, ma Andy era stato più che chiaro.
Quella mattina sveglia non aveva neanche suonato che ero corsa verso il bagno, avevo chiuso la porta a chiave e avevo dato inizia al mio inferno.
Se non sopportavo neanche due giramenti di stomaco, mi chiesi come sarei riuscita a sopravvivere al travaglio. La sola idea mi fece stare male di più.
E non erano neanche le sette di mattina, ma che bella giornata! Senza considerare che quel pomeriggio avrei avuto la mia seconda visita ginecologica. La prima era stata molto confusionaria e anche un po’…shockante; non avevo avuto il tempo (né la capacità) di chiedere nulla alla ginecologa, né lei mi aveva informato precisamente su cosa andavo incontro. Per telefono mi aveva suggerito di portare il mio compagno, in modo che fosse reso partecipe e anche lui fosse informato sul come doversi comportare durante questi…sette mesi.
Troppo pochi ma al contempo molti. Non sapevo che decidere.
Sospirai tremante, mentre mi preparavo a un altro coniato.
-O apri immediatamente questa porta, o giuro che la scardino!-.
Odiavo trattare così Andy, ma proprio non mi andava che mi vedesse in questo stato. Dovevo Pallida e spossata, con le borse sotto gli occhi e non dovevo avere neanche un buon odore.
Sospirai di nuovo, più profondamente, per darmi l’azione necessaria per alzarmi e aprire la porta.
La maniglia scattò e sentii Andrew esclamare –Finalmente!-, io ritornai accasciata accanto al wc.
Mi si sedette accanto, passandomi un asciugamano –Come ti senti?- mi chiese accalorato. Non ebbe bisogni di una mia risposta, ma gli lanciai un’occhiata inequivocabile traducibile con “Non puoi costatarlo da solo?”. Stavo diventando più tosto acida, dovevo ammetterlo, ma proprio non sopportavo quella situazione.
Odiavo fammi vedere così…debole e indifesa, cavolo! Anche se era Andrew. Mi spostò i capelli da visto da viso sudato, -Forse è meglio se rimani a casa.- constatò.
-No!- risposi immediatamente, non avrei lasciato che delle semplici nausee sconvolgessero la mia giornata –Non posso saltare altre lezioni, - aggiunsi, ed era vero; in quel periodo erano più le volte che non andavo che il contrario, il mio prossimo esame era lontano. Ma non potevo di certo starmene sugli allori.
-Ok, ma prendiamo la macchina, va bene?- mi chiese, ed io annuii. La metro traballava troppo per il mio stomaco, non ero sicura che sarei riuscita a reggere. Probabilmente no, considerai mentre ricominciai a rimettere nella taccia del wc, con Andy che mi teneva i capelli con una mano e che mi guardava preoccupato.
-Non dovremo preoccuparci?- il tono era un filino ansioso –Passi là maggior parte della mattina in bagno.-.
-Non credo.- risposi io mentre mi sciacquavo la bocca, -Ho letto ovunque che sono molto frequenti i primi tre mesi.-.
Notai dal suo sguardo che non era ancora perfettamente convinto, sorrisi –Oggi lo chiederemo alla ginecologa, ok?- e lui annui, non ancora soddisfatto.
Mi aggrappai alla mano che mi porgeva e mi aiutò ad alzarmi, mi sentivo un po’meglio, forse perché non mi era rimasto nulla da rimettere.
Andrew uscì da bagno, diretto in cucina, dicendo che andava a preparare la colazione e di chiamarlo in caso di bisogno. Certo…come se sarei riuscita a buttare giù qualcosa!
Ne approfittai per farmi una doccia veloce, in modo da togliermi da dosso quell’orribile odore di acidità.
Quando ne uscii, mi sentivo notevolmente meglio, anche se la pesantezza di stomaco continuava a tormentarmi peggio di un mal di mare.
Mi asciugai in fretta e mi guardai allo specchio. Il mio ventre era ancora completamente piatto, infondo ero solo di otto settimane e due giorni, cioè di due mesi. Avrei dovuto aspettare la fine del terzo mese o l’inizio del quarto per notare qualcosa.
Anche se la mia pancia era ancora allo status quo io me lo sentivo. Mi sentivo incinta, in tutti i significati possibili. Le nausee avevano preso a tormentarmi verso metà del mese scorso, accompagnate da un rifiuto totale per gli odori di ogni genere, inoltre avevo sonno, molto sonno, al punto che a volte mi addormentavo cenando (sempre le lo stomaco mi permetteva di mangiare) o mentre ero il aula (quello si che era imbarazzante), oppure mi sentivo intrappolata in una tormenta di sentimenti, alternavo felicità a tristezza e tristezza a beatitudine. I miei sbalzi d’umore spaventavano non poco Andy che, poverino, non sapeva proprio come prendermi.
Mi vestii nel minor tempo possibile, indossando dei comodi pantaloni neri e un pullover azzurrino, avevo sviluppato un sentimento d’odio per tutti i vestiti che non fossero larghi o comodi. Era troppo provata per pensare ai capelli, così li legai all’indietro, cosa che mi risultò un po’difficile dato che erano abbastanza corti.
Scesi scalza verso la cucina, con tutta l’intenzione di mangiare almeno qual cosina, tanto per mantenermi in vita. Forse avevo perso qualche chilo, in gravidanza non era l’incontrario?
Ad ogni modo, tutti i miei buoni propositi sulla nutrizione andarono a frasi un giro quando arrivai in cucina. L’odore era così forte e sgradevole che quasi mi girò la testa, inutile dire che non avrei mangiato assolutamente nulla.
Entrai nella stanza respirando con la bocca, per evitare che il mio caro, carissimo stomaco decidesse di metterli a ballare ancora.
Andrew mi sorrise e mi mise davanti agli occhi del succo di frutta al mango e delle uova strapazzate. Le guardai inorridita.
-Ehm…Andy, credo di non avere molta fame.-, gli disse coprendomi la bocca con una mano.
Lui mi guardo severo, -Amore, non so se lo sai, ma…dovresti mangiare per due e tu non lo fai neanche per te stessa.-.
Si pentii subito delle sue parole, forse notando la mia espressione, e mi abbracciò. –Scusa, Ju. Solo prova a mangiare almeno qual cosina, ok? Almeno il succo di frutta, ti prego!- mi stava, letteralmente, implorando con gli occhi da cucciolo più languidi che avessi visto.
Sbuffai contrariata e afferrai il bicchiere con il succo…mmm…non aveva poi un odore così cattivo. Cercai di mandarlo giù di un fiato, senza pensarci. Andrew mi guardava soddisfatto.
Adoravo quando si preoccupava per il bambino, -Ti amo.- gli dissi sorridendo.
Lui mi rispose ammiccante, -Come poteva essere altrimenti?-.
 
 
Arrivammo a Washington Square in perfetto orario, parcheggiammo la macchina nel parcheggio riservato agli studenti e ci incamminammo per la piazza. Nonostante l’ora era gia piena di vitalità, adoravo quella piazza; il grande arco la sovrastava quasi interamente creando un’atmosfera davvero unica, per non parlare di tutti i musicisti che circondavano la grande fontana al centro, alcuni davvero sprecati nel fare i suonatori di strada. Rallegravano la piazza e la rendevano ancora più viva e movimentata di quanto lo fosse già, con tutti gli studenti della NYU che correvano verso gli edifici della propria facoltà. Andrew ed io camminavamo vicini, non avevo per niente voglia di staccarmi da lui.
Stare vicino ad Andy mi faceva sentire sicura, pronta per affrontare qualsiasi cosa, lo avevo sposato anche per questo. Era quel genere di persona in grado di prendere qualsiasi decisione, la quale era comunemente giusta.
Andavo così dannatamente fiera della fede che portavo sul dito! Beh…in realtà, in principio, le avevo sempre odiate, le avevo sempre paragonate a delle manette o a un marchio di riconoscimento, come a voler dire “Guardate sono sposata!”. Ora non ero più della stessa idea, sicuramente.
Vidi Amber e Nike venire verso di noi salutandoci.
-Amore, ora devo andare. Ci vediamo a pranzo, ok? Qualsiasi cosa chiamami.-mi baciò velocemente e andò via. Io sorrisi divertita, Andy diventava sempre un po’nervoso quando cera Nike nei paraggi. Potevo capirlo perfettamente, soprattutto dopo…beh…dopo quello.
-Come sta la nostra bella mamma?- mi domandò Amber raggiante.
Ci conoscevamo dal primo anno di liceo ed era una delle poche con cui ero rimasta in contatto alla fine della scuola, anche perché frequentavamo la stessa facoltà.
Amber Richie era quel genere di ragazza che definire eccentrica era assolutamente riduttivo. Si notava immediatamente dai suoi capelli, un tempo castano chiaro, ora blu; o dal suo stile d’abbigliamento. Ricordava incredibilmente quello di Nancy Spungen, ed era così che tutti la chiamavano. Per lei andava più che bene, giacché adorava i Sex Pistols, diceva solo che adesso le mancava il suo Sid Vicious. Quando le facevamo notare che Nancy era stata la causa della rovina del giovane Sid, lei rispondeva con –Dettagli.- e cambiava argomento.
Sorrisi, se avevo sperato di mantenere la notizia non proprio segreta, ma quasi, mi ero sbagliata alla grande. Nel giro di una settimana tutta, e sottolineo tutta, la facoltà d’arte, dagli studenti ai docenti, ne era venuta a conoscenza. Queste cose non accadevano soltanto nei paesini dove tutti si conoscono?
Evidentemente no, e sapevo anche di chi era la colpa, pensai guardando Amber.
-Sto bene, grazie.-le risposi –ma potresti evitare di affiggere i manifesti per tutta la piazza?-, inutile solo a dirlo. Infatti, mi guardò confusa, -Che male c’è? Dovresti essere felice che tutti vogliano condividere la felicità tua e di Andy, no?-.
-Anche persone che non conosco?- ma sapevo gia la risposta.
-Assolutamente si.-.
A quel punto Nike intervenne –A proposito…dov’è quel gran pezzo di figliuolo di Andrew?- domandò con occhi sognanti. Non potei fare altro che alzare gli occhi al cielo divertita –E? scappato non ha penna ti ha intervisto.-le risposi semplicemente.
Nike assunse un’espressione finta offesa, si portò una mano al petto con sguardo scandalizzato ed esclamò –Perché mai succede con tutti gli uomini che incontro?- la sua espressione era in perfetto stile “Drama Queen”.
-Te lo chiedi anche?- s’intromise Amber –Li spaventi, Nicholas.-, sospirai, quei due non facevano altro che stuzzicarsi.
Nicholas “Nike” assunse un’aria d’orrore –Non pronunciare mai quel nome!- esclamò con voce squillante, mi sorpresi che non indietreggiasse sconvolto.
-Perché?- continuò lei –E’il tuo nome, no?-, fortunatamente ero passata in secondo piano, sospirai felice.
-E’ un nome maschile!- spiegò con tono ovvio –Io mi chiamo Nike come…-ma lei lo fermò
 -…come le scarpe!-.
-Assolutamente no! Nike come la dea greca della vittoria, ignorante!- e alzò il volto oltraggiato.
-Ma tu sei un uomo. Non c’è nulla di sbagliato se ti chiamo Nicholas, Nike.- sorrise quasi maligna.
-Fate retro satana!- veramente incrociò le dita per formare una croce e la mise quasi in faccia ad Amber, che lo guardava divertita.
-La mia anima è quella di una VERA donna!- puntualizzò guardandoci entrambe, -E’ il mio corpo ad non essere convinto, purtroppo.-finì sconsolato.
-La natura è crudele, lo so.- annuì Amber.
-Già, basta guardare te!-.
-Almeno non ho nulla d’ingombrante tra le gambe, io!-.
-Come ti per…-.
Quei due mi avrebbero fatto impazzire, alla fine. Quando mi ero iscritta alla New York University, ero stata davvero felice che ci fosse anche Amber, nonostante non fossimo proprio amiche, al liceo; non conoscevo nessuno nell’università e il fatto che ci fosse un volto familiare mi faceva sentire meglio, ed era così anche per Amber (tutto questo prima che conoscessi Andrew, naturalmente). In seguito si aggiunse a noi Nike, Nicholas Deltion, tanto bello quanto omosessuale. Dovevo ringraziare Nike, perché era grazie a lui che avevo conosciuto Andy. Amber non era il tipo da festa, così Nike trascinò me, a quella famosa festa da campus.
Il resto è storia.
-Ehm…forse dovremmo andare.-suggerii, i due si voltarono a guardarmi e annuirono, dimenticandosi della loro lite.
Amber e Nike erano fatti così.
Insieme ci avviammo verso la facoltà d’arte della New York University.
 
 
 
 
 
 
Avevo salutato Niki e Amber da qualche minuto, lasciandoli che litigavano sulla strada verso la biblioteca, e mi ero diretta verso la fontana della piazza, aspettando Andrew. Era quasi la mezza e l’appuntamento con la ginecologa era fissato per due, considerando che lo studio di ostetricia e ginecologia si trovava a Brooklyn potevo dire di essere gia in potenziale ritardo, in più avevo un sonno assurdo.
Mi sedetti su una panchina a caso, in mezzo alla folla di gente che popolava Washington Square, un ragazzino stava suonando qualcosa con la chitarra, era molto bravo per la sua età; doveva avere massimo undici o dodici anni.
Mi avvicinai alla custodia della chitarra e gli buttai cinque dollari, lui mi sorrise per ringraziandomi e continuò a suonare.
Ero ancora intenta ad ascoltare il ragazzino con la chitarra, quando mi sentii abbracciare da dietro. Sapevo gia chi fosse, sorrisi felice e ricambiai il bacio di Andrew.
-Scusa, - mormorò a fior di labbra –sono in ritardo.-.
-Credo di poterti perdonare, questa volta, signor Allen.-.
-Che ne dici di andare, signora Allen?- io annui e ci dirigemmo alla macchina.
Come previsto, trovammo traffico, quindi chiamai la ginecologa per informarla del nostro possibile ritardo, lei rispose che non c’era nessun problema.
Durante il tragitto io e Andy chiacchierammo un po’, ma più ci avvicinavamo allo studio più mi sentivo agitato.
Se fosse andato storto qualcosa? Il primo trimestre è il periodo più difficile di ogni gravidanza, la maggior parte degli aborti avveniva tra il primo e il terzo mese. La parola “aborto” mi faceva venire la pelle d’oca.
Erano passati solo due mesi, ma mi ero così profondamente abituata all’idea di essere incinta che il pensiero che potesse succede qualcosa mi faceva stare troppo male. Mia madre gia parlava di ripescare dalla vecchia e ammuffita cantina di casa nostra la mia vecchia culla, quella che aveva visto nascere me e tutti i miei fratelli. Mi sarebbe piaciuto se il nostro bambino avesse dormito nella mia stessa culla; il Dottor Allen ci veniva a trovare più spesso ultimamente ed era anche più flessibile con gli orari di Andrew. Tutti si erano abituati all’idea di un nuovo membro della famiglia.
Secondo i libri di ginecologia il nostro bambino doveva essere di circa quattro centimetri, incredibile come un esserino tanto piccolo porti così tanti cambiamenti.
Da gravidanza accidentale la mia si era trasformata in scopo della mia vita. Strano, vero?
Sinceramente non mi vedevo ancora a fare la madre. Ero terrorizzata, senza escludere che non sapevo se sarei riuscita a sopravvivere al parto. Non avevo una soglia del dolore molto buona, anzi, non c’è l’avevo per niente.
Eppure era così, ero una futura mamma. Forse eravamo giovani, Andrew ed io, avevamo appena ventitré anni, lo avevo sentito dire da molte persone, ma non poteva importarmene di meno.
Io e Andy avevamo entrambi la testa sulle spalle e saremmo stati degli ottimi genitori, o meglio, Andrew sarebbe stato un ottimo genitori…io ancora non lo sapevo.
“Pensa positivo, tesoro.” mi aveva mamma qualche giorno fa, mentre le avevo confidato questi miei disparati dubbi, “Essere madre è nell’istinto do ogni donna, e poi io sarò sempre con te.”.
In momenti come questi mi rendevo conto quanto la mia famiglia fosse importante per me; poi guardavo Andy, che di famiglia non ne aveva avuto granché, tra sua madre sconvolta per la morte di Lucas e suo padre, sempre troppo impegnato.
Sapevo che questo bambino contava molto per lui, molto di più di quanto potessi immaginare.
Rappresentava la sua possibilità di avere una vera famiglia.
-Siamo arrivati.-disse dopo un po’. Lo studio della dottoressa Wilder era nella zona centrale di Brooklyn, in una palazzina rosa al numero 142 di Joralemon Street. L’avevo trovata tramite l’elenco telefonico di New York, in una cabina telefonica.
Io e Andy scendemmo dalla macchina in fretta, eravamo in ritardo di quasi mezz’ora. Arrivati nello studio, ci accolse la solita infermiera dall’aria gentile che avevo incontrato l’ultima volta che ero stata lì.
La sala d’aspetto, abbastanza grande, con le pareti di un verde acqua tappezzate di manifesti e volantini sulla gravidanza, non mi sembrava poi così spaventosa e soffocante come in precedenza; anzi, aveva un aspetto molto sereno e rilassante.
Strabiliante come le nostre emozioni condizionino il nostro modo di vedere le cose.
-Siete i signori Allen, vero?- ci domandò la cinguettante infermiera, - la dottoressa mi aveva avvertito del vostro ritardo. Andate, vi sta aspettando!- e ci sorrise incoraggiante.
Andy si schiarì la voce, sembrava un po’ nervoso. Effettivamente doveva essere la prima volta che andava da una ginecologa.
Entrammo nello studio mano nella mano, la dottoressa Wilder ci aspettava sorridente come l’avevo lasciata il mese scorso.
-Prego, accomodatevi!- e ci fece segno di sederci.
-Bene, - iniziò –vedo che ha portato anche suo marito. Piacere!- e Andy e la dottoressa si strinsero la mano.
-Bene, ora faremo una visita molto più dettagliata, ok?-.
Dettagliata fu poco! Dopo la solita ecografia (Andrew guardava tutto attento il monitor, non l’avevo mai visto così assolto), la dottoressa mi pesò e mi disse che ai miei cinquantadue chili avrei dovuto metterne all’incirca dodici o al massimo quattordici. Mi compilò una lista molto dettagliata di come e di cosa avrei dovuto mangiare durante i nove mesi; mi chiese poi se fumavo o se prendevo dei farmaci di qualsiasi genere ed io risposi no a entrambe le domande. Mi stampò anche un elenco con tutti i tipi di test e di esami che avrei dovuto eseguire nei prossimi mesi, e, accidenti, ne erano davvero tanti! Per le nausee non c’era nessun rimedio che funzionasse realmente, quindi avrei dovuto sopportarle per un altro mese, per mia sfortuna. Concluse la visita dicendomi che quello studio medico era collegato con il New Yorker General Hospital e che, se non avessi avuto nulla incontrario, avrei potuto recarmi lì per eseguire le analisi o addirittura prenderlo in considerazione per il parto. Conoscevo il General Hospital, era stato lì che Claudia si era operata di appendicite qualche anno prima; era un buon ospedale, quindi dicemmo di non avere nulla incontrario.
Quando un’ora dopo, Andrew ed io uscimmo mano nella mano dalla palazzina che ospitava lo studio di ostetricia e ginecologia della dottoressa Wilder, lui fissava sbalordito l’ecografia dove un’immagine molto stilizzata di nostro figlio si distingueva chiaramente nello sfondo nero, mentre io, con l’altra mano sulla pancia, mi sentivo veramente al settimo cielo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Capitolo transitorio, corto e anche banale, lo so =_= abbiate pietà!
Alla prossima!
 
 
 
 
                                                 
 
  
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