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Autore: Machi16    10/01/2017    2 recensioni
Le tracce di quegli insulsi pensieri che i due si scambiavano attraverso gli occhi diventarono parole precise, esse delinearono il loro essere Holmes e Watson e allo stesso tempo Watson e Holmes.
Non era mai esistito l' uno senza l' altro perché in una maniera sconosciuta e misteriosa i due erano complementari, in una maniera altamente improbabile e lo si vedeva ogni qual volta i loro sentimenti avversi combaciavano e il loro risolvere misteri indicava un lento districarsi della loro anima.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Mio caro Watson, ti prego di non cercare le tracce che eviterò di seminare quando i miei lenti passi si bloccheranno di colpo fino a raggiungere la meta che non mi è dato nominare ne a te ne a nessun altro. Mi scuso se per mia sciocca volontà posso arrecare dolore, lo faccio sempre, inconsapevolmente ma con la coscienza che il tuo bene (per qualche strana ragione) viene prima del mio”


 

L’ edificio che si parò di fronte ai piedi di Sherlock Holmes non era altro che una vecchia casa abbandonata in una magione senza nome, la fissò con estrema attenzione riconoscendo i tratti della bellezza oramai perduta che la contraddistingueva prima che le fiamme la divorassero portandola con loro in un inferno di cui non gli era dato conoscere il nome ma che era lo stesso dal quale il piccolo Holmes proveniva.

Fece un passo avanti, lentamente, provocando lo scricchiolio delle foglie secche sotto i suoi piedi, era un rumore che gli ricordava qualcosa ma non riusciva a focalizzare cosa nonostante nella sua mente si iniziavano ad aprire nuove stanze, nuove porte. Ora poteva vederlo chiaramente: Il giardino intorno a lui era immacolato, i fiori crescevano rigogliosi emanando un profumo addirittura troppo forte e pungente per i suoi gusti, gli attrezzi da giardino erano accuratamente riposti in una cesta appoggiata al muro di mattoni seminuovi e tirati a lucido, la vernice della porta verde smeraldo era intatta a parte per un piccolo segno vicino al pomello destro, un piccolo cerchio marrone fatto con il pollice quando la pittura era ancora fresca, di lato invece vi era una piccola casetta in legno di noce da cui spuntava fuori un musetto marrone e dolce che piano piano si portava avanti mostrando tutto il suo pelo ramato e le orecchie ondulate, corse incontro a Sherlock appena lo vide ed insieme varcarono la porta.

Una volta dentro tutto scomparve e il grigiore regnò sovrano divorando le scale a chiocciola e i pavimenti sottostanti, il profumo floreale fu coperto dalla puzza di cenere, fumo e animali morti.

Barbarossa era sparita così come il sorriso di Sherlock che ora era solo la riprova di una concentrazione troppo attenta e allo stesso tempo troppo distante: sapeva dove andare senza bisogno di osservare niente, sapeva quale era la porta da aprire definitivamente.

Terzo piano lungo il corridoio, seconda porta a destra prima del bagno e vicino alla cassettiera il legno di quercia con le maniglie dorato e lo specchio con i decori del medesimo colore. Ora tutto quello non c’ era più, il nulla capeggiava come unico possessore di quella casa passando dalle finestre rotte sotto forma di un gelido vento d’ inverno.

Tutto era andato perso tranne quella porta, quel frammento di memoria che gli mancava per completare il suo palazzo mentale, quel dolore ricorrente che provava e quel tassello che gli faceva perdere il controllo, tutto per una porta grigia mangiata dalle fiamme e consumata dal tempo tutto lì o forse niente.
 

 

Quando ebbe il coraggio di entra nel lato oscuro della sua mente si ritrovò solo in un luogo che nemmeno la sua brillante mente riusciva a raggiungere ma, effettivamente, niente di quello che i suoi occhi si trovarono di fronte fu così sorprendente da giustificare il dolore che provava ogni volta che nel suo palazzo mentale cercava di varcare quella soglia. Era una stanza piccola con un letto che un tempo doveva essere rosso mattone accatastato alla parete, la rete sfondata e il materasso fatto a brandelli da qualsiasi uomo o animale avessero dormito lì negli ultimi dieci anni, i resti di un mobile si ergevano invece sulla parete sinistra coperti da ammassi di vestiti strappati e accatastati che non riusciva a riconoscere come propri o come quelli di Mycroft. Quello che però colpì la sua attenzione furono dei vetri rotti a terra vicino a dei residui di legno spigolosi che avevano tutta l’ aria di essere i frammenti di una cornice, Sherlock Holmes si abbassò ad esaminarli a cercare a terra quella che si rivelò essere una foto bruciata ai margini ma ancora si distinguevano bene le tre figure principali, tre bambini: Sherlock, Mycroft e uno più alto, più snello ma con i loro stessi tratti anche se leggermente più maturi.

“Non mi hai detto di avere un altro fratello!”

Il detective si voltò al suono di quella voce così familiare e lo vide, sulla soglia della porta che poco prima aveva varcato, era lui. John.

“Come mi hai trovato?”

“Ti credi sempre troppo furbo sai!”

Rise come era solito fare quando quelle rare volte stupiva il suo amico, rise con un’ insana arroganza.

“N- n – no, No! Non può essere mio fratello, me lo ricorderei! Io mi ricordo sempre TUTTO!”

Gli urli di disperazione cominciarono a rimbombare in quella casa vuota senza arrivare da nessuna parte.

“Mio caro amico, tu credi di ricordare tutto, forse la tua mente è mediocre come la mia o forse sei ancora fatto. Ammettilo, sei di nuovo fatto!”

“NO!”

Sherlock chiuse gli occhi come se quel gesto riuscisse a farlo urlare più forte, con più rabbia, con più tristezza ma, quando li riaprì si ritrovò solo.

Era un estraneo in casa sua.

  
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