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Autore: ffuumei    14/01/2017    2 recensioni
XiuChen, side!LayMin
Jongdae è un'anima errante senza alcun posto a cui appartenere. Minseok si domanda se sarebbe mai potuto essere abbastanza da diventare quel posto.
Ciò che accade dopo, è una storia che attende solo l'abile mano capace di scriverla.
00:00:00:20
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chen, Chen, Lay, Lay, Xiumin, Xiumin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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C'era un fastidioso fruscio ripetuto che disturbava la quiete del suo torpore. Il rumore della plastica che strofinava continuamente sul legno, un raggio di luce che gli scaldava la guancia, qualcosa di ingombrante che gravava sulle sue spalle e un senso di incompletezza e vuoto e nulla, tra le sue braccia.

Minseok si svegliò dal sonno profondo in cui non ricordava di essere caduto, quella stessa mattina. L'orologio segnava le nove in punto e la testa gli girava vorticosamente, le tempie pulsavano e gli occhi faticavano terribilmente a mantenersi aperti. Si strofinò le palpebre, piano, uno sbadiglio che lasciava le sue labbra e la sua bocca impastata dal sonno, le braccia indolenzite, la schiena dolorante e la vista che, con estrema lentezza, metteva finalmente a fuoco la situazione.

Si era addormentato sul divanetto del locale. L'ultimo ricordo che aveva risaliva alle prime luci dell'alba della stessa mattina, la stanchezza che minacciava di farlo crollare e che aveva vinto, a dispetto del suo desiderio di continuare a passare le dita tra i capelli di Jongdae in tante, lievi e morbide carezze. Ricordava di aver avuto il suo capo poggiato sulle gambe, e di aver osservato il suo viso rilassato per un quantitativo indefinito ed incalcolabile di tempo. I suoi occhi avevano il riflesso dei raggi tiepidi del sole e le sue ciglia lunghe creavano ombre scure in completo contrasto con la sua pelle chiara. Minseok aveva tenuto una mano tra i suoi capelli per tutto il tempo, beandosi della morbidezza di quelle ciocche scure, mentre l'altra la teneva Jongdae tra le sue, giocherellando ad intrecciare le loro dita.

Si mise seduto, la vista ora limpida e la mente lucida, risvegliata dal sonno. C'era qualcosa che non era come sarebbe dovuto essere, a cominciare dal fatto che si era addormentato così, senza accorgersene, per giunta sul divanetto di un locale. E la proprietaria del suddetto si stava occupando in quel momento dell'ordinaria manutenzione, spazzando qua e là con una scopa di vecchio stampo, fatta di tanti legnetti, incurante della sua presenza. Chissà se era stata lei, a mettergli addosso quella coperta di lana che gli era appena scivolata dalle spalle.

"Mi scusi..." Cominciò, ripiegando l'oggetto e posandoselo sulle gambe intorpidite.

La signora si voltò nella sua direzione, un lieve cenno del capo e un sorriso troppo triste, per la mattina del giorno di Natale. Tuttavia, Minseok non ci diede importanza.

"Dov'è Jongdae?" Chiese, e solo in quel momento realizzò cosa davvero non fosse come doveva essere.

"Oh..." L'anziana si concentrò maggiormente sulla pulizia di un angolo del salone, evitando il suo sguardo. "Mi ha detto di dirti che non ha potuto trattenersi di più, e che gli dispiace tantissimo averti lasciato solo, così, in quel modo."

Ci mise un po', ad elaborare e comprendere quanto gli venne spiegato.

"E mi ha detto anche di dirti che, se vorrai rivederlo, lui tornerà qui domani..." Sospirò, posando la scopa e asciugandosi il sudore dalla fronte con un lembo del suo grembiule. "Per le cinque del pomeriggio."

Minseok era sempre stato una persona piuttosto empatica, ma a posteriori. In quel preciso momento, non captò la malcelata malinconia nel tono di voce della donna, così come non si soffermò oltre a riflettere sulla tristezza del sorriso che continuava a rivolgergli.

"Verrai?" Si sentì domandare, dopo che un lungo silenzio si era impossessato della conversazione.

"Verrò."

Jongdae fu il solo a non rispettare la parola data.

 

 

"Oh! Guarda, Jongdae, una stella cadente!"

"Dove?"

"Lassù, guarda! Sono sicuro di averne vista una."

"Ah, davvero?"

"Non hai visto anche tu?"

"Veramente, non-"

"Shh, devo esprimere un desiderio."

 

 

"Che cos'è?"

Stringeva tra le dita infreddolite un foglio di carta bianca, accuratamente ripiegato in quelle che parevano quattro parti. La superficie liscia era resa discontinua dai segni della penna e dell'inchiostro scuro, utilizzati per scrivere all'interno.

"È una sua lettera."

Aveva appena messo piede nel solito locale, nemmeno il tempo materiale necessario per sfilarsi il cappotto e scaldarsi un po', che subito l'anziana signora aveva richiamato la sua attenzione e si era ritrovato con quel foglio di carta in mano.

"Come... Perché?"

Fu tutto talmente rapido da non avergli permesso di conservarne lucidi ricordi.

Faceva notevolmente più freddo, quel trentuno di dicembre, ma qualcosa continuava a ripetergli di non mentire ulteriormente a se stesso, di ammettere che quel brivido che gli percorse la spina dorsale non era per nulla dovuto al maltempo.

"Mi ha detto che avrei dovuto dartela solo se ti fossi presentato qui per una settimana intera, ad aspettarlo e chiedere di lui... Era la sua condizione, senza la quale mi aveva fatto giurare di prendere la lettera e strapparla in mille pezzi."

Fu come se il mondo avesse smesso di girare su se stesso, come se l'ossigeno avesse cessato di riempirgli i polmoni, come se il peso dell'intera atmosfera avesse terminato di gravare sulla terra. Il tempo era fermo, immobile, e il suo corpo ed il suo viso statici, bloccati in un'immagine sfuocata.

Corse fuori dal locale prima ancora di registrare tale azione come dettata dal proprio volere, mentre le parole dell'anziana signora rimbombavano nel suo inconscio al pari di un pensiero sconclusionato.

"Quel ragazzo sa essere un vero diavoletto. È astuto e malizioso, sempre con la battutina pronta... E un tantino crudele, con gli altri e con se stesso," Gli aveva detto, prima che lui le desse le spalle ringraziandola e augurandole una buona serata, e abbandonasse il suo locale, gli occhi umidi e liquidi e il cuore che andava con la quinta marcia.

"Ma è anche un ragazzo d'oro. Quando sorride, trasmette felicità. Non è stato qui per molto, ma da quando se n'è andato è come se il locale si fosse spento. Lui era... Era una presenza luminosa. Emanava una luce tutta sua. Era speciale."

 

 

Non ci fu nessun conto alla rovescia per lui, quella notte. Nessuna cena importante, nessuna festa in compagnia, nessun brindisi, niente fuochi d'artificio e niente colazione all'alba.

Nel buio della sua stanza, la luce troppo intensa dello schermo del computer gli appannava la vista e le parole scaturivano come il torrente di un fiume dalla sua sorgente, inondando pagine e pagine, e ancora pagine, di acqua sporca.

 

 

"Che cosa hai desiderato, Minseok?"

"Desidero restare così, per tutta la vita."

"Ma se lo dici ad alta voce, il desiderio non si avvera."

"Ops."

 

 

Scrisse tanto. Forse per giorni, forse per settimane. Le ore gli scivolavano via dalle dita come fossero aria, mentre digitava lettere in nero su bianco con la tastiera del pc, il rumore dei tasti pigiati che riempiva il silenzio del suo appartamento come la più nervosa delle sinfonie.

Intanto, i suoni del mondo parevano essersi zittiti tutti, uno ad uno, in un solo click. Non aveva poi tanta importanza che quel rumore corrispondesse alla chiave rigirata nella serratura, non era rilevante che si fosse chiuso in casa, chiuso in se stesso, chiuso nel suo mutismo fatto di rancore e rabbia e parole ed il suo romanzo.

Minseok rigettò tutto nel suo lavoro. Spense i suoi pensieri, così come l'interruttore della luce, e lasciò che tutto fluisse in testi e capitoli e parole prive di voce.

 

 

Dicembre e gennaio diventarono febbraio per tutto il mondo, ma per lui no. Lui era fermo, bloccato nel tempo, come un orologio dalle batterie scariche. Andava a rilento, e non proseguiva affatto.

 

 

"Non ci girerò intorno, Minseok."

Il sole era accecante, in quella mattina di marzo inoltrato. Rifletteva i suoi raggi tiepidi sulla scrivania in legno lucido dell'editore.

"Fa schifo. È un insieme abnorme di stronzate colossali."

Si stupiva sempre un pochino, quando guardava il cielo. Era quasi un fastidio, troppa luce gli dava alla testa dopo mesi di buio.

"Romanzo? Tu chiami davvero questa merda un romanzo?"

Il legno scuro della scrivania venne rimpiazzato dal bianco latte di una pila di fogli sfalsata. La carta era spiegazzata e stropicciata in più punti. Alzò una nuvoletta di polvere che risaltò nei fasci di luce.

"Te lo dico schiettamente. Non sei tagliato per scrivere. Questo lavoro non fa per te. Porta via questo insulto alla scrittura e cercati un impiego altrove, fammi questo favore."

Minseok stirò le labbra, prese tutti i fogli tra le braccia, accennò un inchino e si diresse verso la porta dell'ufficio, tanto silenzioso come quando vi era entrato. Non volle sapere se quel gesto forzato con la bocca risultò essere un sorriso o una smorfia, non si interrogò particolarmente sul perché di quel vago tremore agli avambracci.

Fuori, il tepore del sole cedeva il posto ad un vento ancora freddo. Marzo aveva portato con sé la primavera, eppure Minseok tremò come una foglia. Come se in lui persistesse ancora l'inverno.

 

 

"Qui, con te, per tutta la vita... Sarebbe bellissimo."

 

 

L'insieme di carta straccia che era il suo romanzo, o ciò che lui avrebbe voluto che fosse, aveva trovato il suo posto idilliaco sulla scrivania, accanto al computer spento. C'erano attimi in cui Minseok si soffermava involontariamente a guardarlo ed era un buco nero senza fondo, sul quale le pagine scritte si riflettevano e non scomparivano. Altre volte, quando osservava di sua spontanea iniziativa, gli pareva di vedere i granelli della polvere e la carta ingiallirsi e sbriciolarsi, sotto il suo sguardo esausto.

Era il venticinque di marzo. Il sole filtrava attraverso i buchi nella serranda abbassata e il cinguettio sporadico degli uccellini giungeva all'interno del suo appartamento, nonostante le finestre chiuse.

Pensò che sarebbe dovuto uscire, uno di quei giorni. Magari proprio l'indomani, il ventisei di marzo. Il ventisei di marzo era il giorno del suo compleanno.

Non aveva programmi, non aveva organizzato assolutamente nulla per festeggiare. Chissà, magari non sarebbe stato così male, se avesse deciso di chiudersi in un bar, invece che nel suo appartamento. Magari avrebbe preso un caffè, pensando ad un'altra storia da raccontare per iscritto. Magari avrebbe fatto una passeggiata in centro, alla ricerca di un po' d'ispirazione, di un'idea brillante. Magari sarebbe inciampato negli occhi di un'altra persona, senza farci caso.

O, magari, sarebbe rimasto a casa, in silenzio, ad ascoltare il suono dei ricordi che riempivano le pareti della sua stanza.

 

 

"Minseok..."

"Mmh?"

"Ricordati di me"

"Non potrei mai dimenticarti."

 

 

Nel cassetto della sua scrivania, frugando un po', spostando penne usate e altri oggetti futili, incappò in un foglio accartocciato e gettato malamente sul fondo. Se lo rigirò tra le mani incerte, il dubbio dipinto sul viso, una tazza di caffè fumante davanti e l'intenzione di assaporarla, completamente sfumata nel nulla così come la sua convinzione.

E si sentiva un emerito idiota, Minseok, perché aveva aspettato ormai tre mesi. E li aveva sprecati, li aveva gettati al vento, insieme alla sua possibilità di diventare scrittore e pubblicare il suo lavoro, insieme ad un mucchio di sogni e speranze campati in aria come castelli di sabbia, destinati a sgretolarsi in un'onda di mare. Aveva chiuso gli occhi prima ancora di guardare in faccia la realtà, prima ancora di scoprirne i lati nascosti, prima ancora di svelarla a se stesso e darsi modo di elaborarne il contenuto. Aveva semplicemente preteso che nulla fosse successo, che nulla fosse accaduto, nel vano desiderio di cancellare così ciò che c'era stato.

Ma il passato non si cancella e la realtà non sarà diversa: chiudere gli occhi illude, inganna e ferisce, e ciò che pare salvezza muta in prigione.

Minseok si sedette sul pavimento a gambe incrociate. Era freddo, ma andava bene lo stesso. L'orologio del suo cellulare segnava già da un po' le ventitré e cinquantanove. La cosa lo fece sorridere. Un sorriso un po' storto e triste, ma pur sempre un sorriso.

Tre, due, uno...

Prese un respiro profondo e distese le pieghe del foglio.

 

 

Che cosa curiosa, il corpo umano. Centinaia di migliaia di cellule a comporre ciò che le ossa sostengono, quando tutto ciò che le ossa non possono sostenere, è proprio ciò che ci trascina nell'abisso.

Ti capita mai di fermarti a pensare e domandarti se tutto questo durerà per sempre? Se finirai per portarti dentro tutta questa tristezza, tutto questo senso di niente, per il resto della tua vita?

E mi chiedo se tutto questo sia una cosa comune. Magari tutti gli scrittori sono un po' come me e come te, e questa profonda insoddisfazione e radicata malinconia è ciò che ci spinge a scrivere, scrivere per evadere il mondo e trovare la pace. Magari è così, o magari no, mi piacerebbe saperlo.

C'è chi si crogiola in questa miscela devastante di sentimenti per tutta la vita, e chi, invece, tenta di levarsela di dosso, di liberarsene.

Io ci ho provato, e ho capito una cosa, durante il mio viaggio verso la libertà.

Puoi anche decidere di partire, di prendere il primo volo verso qualsiasi posto, perché non ha davvero importanza il luogo in cui sei diretto. Il punto è che... Ovunque andrai, porterai te stesso con te.

Ma io sono un'anima errante, Minseok, e non smetterò mai di esserlo. Perché questo continuo bisogno di cercare e spostarmi e viaggiare, è parte integrante del mio essere.

Le persone sembrano così complicate, eppure alla fine sono così semplici. Non trovi? La mente umana è davvero sorprendente. Si crea un infinito groviglio intricato di pensieri e paure e problemi, quando tutto si riduce in un unico punto. È il bisogno di essere felici, che muove le nostre azioni.

Forse, forse è per questo che continuo, imperterrito, a spostarmi di luogo in luogo, di città in città. Oppure, si tratta di pura e semplice testardaggine.

In ogni caso, è grazie al mio essere recidivo nel mantenere abitudini controproducenti, che ho conosciuto te.

Viaggiare, senza meta e senza scopo. Fissare spudoratamente ciò da cui mi sento attratto. Camminare con una tazza di caffè e panna tra le mani, e la testa tra le nuvole. Indovina a chi stavo pensando, quando ti ho rovesciato sulla camicia l'intero contenuto della tazza.

Le cose belle accadono nei momenti più impensabili, non trovi?

Tu sei stato un incidente di percorso completamente inaspettato. Sei stato una cosa bella, nel bel mezzo di un viaggio che di bello non aveva più nulla.

"Non siamo altro che anime erranti, alla continua ricerca di un posto in cui colmare il vuoto e sentirci a casa."

Ricordi?

Io penso di averlo trovato, il mio posto. Penso di sapere qual è.

Ma, forse, se restassi con te, spezzerei la magia. Se restassi con te, finirei per trasformare tutto quello che abbiamo costruito insieme e renderlo abitudine, renderlo monotonia, renderlo equivalente a ciò da cui entrambi stiamo cercando di scappare da tutta la vita.

Non voglio, Minseok. Non voglio stancarmi di te, così come sono stanco di me stesso.

Ma, chi può saperlo, magari un giorno, in un'altra vita, ce la farò. Magari, sarò forte abbastanza da fermarmi, tornare indietro sui miei stessi passi.

A quel punto, ci incontreremo ancora, e quella sarà la volta in cui non me ne andrò. Quella sarà la volta in cui ti sveglierai ed io sarò lì, accanto a te. Quella sarà la volta in cui non avrò bisogno di inventarmi la ricetta della felicità, per vedere il tuo sorriso. E sarà la volta in cui non ti scriverò una lettera alle sei del mattino, pur di non vedere le tue lacrime.

 

A Minseok,

per tutta la vita.

 

 

Aprile volò via insieme a tutti gli altri mesi della primavera, in un soffio di vento, sostituendosi all'estate e ad un sole nuovo.

Minseok era tornato nell'ufficio di colui che sarebbe dovuto essere il suo editore, si era inchinato più e più volte, e lo aveva implorato di dargli una seconda possibilità, un'altra opportunità. Settembre distava l'equivalente di un passo e lui avrebbe dovuto correre per consegnare un nuovo tentativo di romanzo. Che si trattasse del rifacimento del precedente o di uno completamente nuovo, non aveva importanza. Doveva essere un altro lavoro, differente dal primo, migliore del primo. Avrebbe dovuto superare se stesso e creare un capolavoro degno di essere pubblicato, per dare inizio alla sua carriera di scrittore.

Minseok aveva accettato senza paura, senza timore, senza preoccuparsi del tempo e del futuro. Uscito da quell'ufficio, aveva sorriso al cielo terso che lo sovrastava, nonostante fosse persino senza idee e privo di una qualsivoglia forma d'ispirazione per il libro che avrebbe dovuto scrivere.

Non importava, si era detto. In quel preciso attimo della sua vita, non sentiva più freddo. C'era un tepore nuovo, che partiva dentro di lui e si irradiava in tutto il suo corpo. Quel calore aveva la stessa luce di un raggio di speranza.

 

 

Ci aveva riflettuto parecchio, prima di giungere a quella conclusione.

Le mura della sua stanza gli ricordavano una rabbia distruttiva, aria stantia, buio opprimente. Non sarebbe mai riuscito a portare a termine un lavoro soddisfacente, lì dentro, per cui valeva la pena tentare di farsi piacere un altro posto. Le pareti coperte di carta da parati del solito bar gli parevano scontate. Sarebbero state certamente meglio del suo piccolo appartamento, ma poteva trovare di meglio e ne era sicuro.

Il locale in cui lo aveva portato Jongdae sembrava un buon posto. Chissà come sarebbe stato, rimetterci piede e respirare ancora tutti quei profumi. La carta invecchiata, l'essenza di vaniglia, il caffè, i biscotti. Minseok camminava sorridendo lungo il marciapiede, un chiaro percorso scolpito precisamente nella testa e un'emozione grandissima, tanto da fargli luccicare gli occhi e tremare il cuore.

Tuttavia, quando giunse nella via simile a quelle malfamate che si vedono nei film, quando la percorse al fine di trovarsi dinanzi alla sua meta, ciò che vide si ridusse a sbarre e transenne, cartelli di divieto, una scritta a lettere cubitali che recitava: "in vendita".

Il suo sorriso si spense lì, davanti a ciò che rimaneva di quel posto pieno di ricordi.

"La signora è la proprietaria di questo locale e abita nella palazzina soprastante, ci si arriva salendo le scale. Ho lavorato qui da quando sono arrivato in città. L'ho trovato per caso, questo posto, e l'ho subito adorato."

Jongdae gli aveva detto questo, durante una delle loro chiacchierate. Nonostante fosse luglio, l'estate non aveva cancellato i ricordi del precedente inverno. Non aveva cancellato nulla.

"Mi piacciono le cose particolari, quelle che solo in pochi riescono a notare, hai presente? Quel genere di cose che tutti tendono a trascurare, e che invece conservano una bellezza senza eguali."

Poggiò la schiena al muro antistante il locale e mantenne lo sguardo diritto, fermo, a dispetto delle lacrime che non arrestavano la loro discesa sul suo viso.

"Questo posto è così, per me. Non ha nulla di speciale, all'apparenza, ma a renderlo tale non sono i muri e l'arredamento. È ciò che c'è dentro. La vita che scorre e che muta, all'interno delle pareti. Se ti soffermi a pensarci, la percepisci vibrare nell'aria."

Minseok si chiese come mai non gli fosse mai passato per la testa il pensiero di scattare qualche fotografia. Al locale, alla cucina, agli oggetti. A Jongdae.

Quante, quante cose aveva dato per scontate. Quanti dettagli non aveva impresso nella sua memoria, quanti momenti, quante situazioni, quante stupidaggini, quanti istanti importanti si era lasciato sfuggire. Quanto tempo aveva sprecato, quanto futile si era rivelata essere la sua frustrazione. 

Quante cose non sarebbero mai più rimaste come prima. Quante cose possono cambiare nel corso del tempo.

 

 

A quel punto, non gli restò alternativa. Tornò indietro sui suoi stessi passi e imbucò la via principale del centro, diretto al bar che aveva fatto da sfondo ad innumerevoli giornate passate.

Le sue lacrime si asciugarono alla luce calda del sole, mentre ripercorreva la solita strada, non più affollata come durante le feste natalizie e non più piena di persone in cerca di qualcuno con cui trascorrere il venticinque di dicembre.

 

 

Assurdo, si era detto, non appena aveva messo piede nel solito bar ed aveva constatato che di "solito" non aveva più nulla.

Doveva essere cambiata la gestione interna, e di conseguenza l'estetica e parte dell'abituale clientela. Persino il personale non era più lo stesso. Minseok si sedette al bancone e si domandò da dove venisse quel ragazzo che faceva il barista e pareva completamente fuori posto, fuori rotta, fuori dal mondo. Sguardo svampito ed assonnato, una lentezza curiosa nei movimenti. Il cartellino sulla sua camicia bianca diceva Yixing. In assenza di ordinazioni, poggiava con la schiena contro il lavello e leggeva il giornale.

Un particolare attirò l'attenzione di Minseok e la sottrasse alla figura di quel ragazzo.

"Mi scusi?" Chiese, alzando un po' la voce al fine di assicurarsi di essere udito.

"Ah!" Quasi saltò sul posto, il giovane barista nuovo. "Certo, mi dica pure, signore, cosa desidera?"

Minseok sorrise al suo essere fra le nuvole e gli chiese un caffè, insieme alla prima pagina del suo giornale.

"Oh... Non è una bella notizia, questa qui," Gli spiegò lui, mentre preparava la sua bevanda con una destrezza e precisione stupefacenti. "Ho letto poco fa l'articolo. Pare che ci fosse un locale, in una via interna della città, dove abitava e lavorava una signora anziana. E... Dicono che è morta, di vecchiaia e solitudine. Suo marito e suo figlio sono passati oltre tanti anni fa, il primo in guerra ed il secondo per un incidente durante il servizio militare."

Il barista sembrava profondamente turbato da quanto aveva letto, a giudicare dal tono di voce che aveva utilizzato. Minseok non vide la sua espressione, però, troppo concentrato nel trattenersi dal mostrare la propria e farsi leggere come fosse un libro aperto. Era troppo scosso per riuscire a mascherare quel velo di tristezza che gli copriva il viso.

"Spero tanto che ai giornalisti sia sfuggito qualcosa," Aggiunse ancora il ragazzo. "Non so, magari quella signora aveva dei clienti, dei dipendenti, qualcuno che l'andava a trovare? Dev'essere per forza così, ne sono sicuro... Lei non pensa lo stesso?"

Il caffè gli venne posato dinanzi delicatamente, al punto che la tazzina sul legno non fece alcun rumore. Minseok ne osservò il contenuto denso e scuro fino a distinguere i contorni del proprio riflesso. Sarebbe stato bello, riuscire a distinguere anche l'ombra di una risposta.

"Sì... Lo penso anche io."

Chissà se Jongdae c'era davvero stato come gli aveva detto. Chissà se aveva fatto compagnia a quella signora, se le aveva alleviato le sofferenze, almeno per un pochino. Se le aveva lasciato una copia della sua ricetta della felicità.

"Quel ragazzo sa essere un vero diavoletto. È astuto e malizioso, sempre con la battutina pronta... E un tantino crudele, con gli altri e con se stesso. Ma è anche un ragazzo d'oro. Quando sorride, trasmette felicità. Non è stato qui per molto, ma da quando se n'è andato è come se il locale si fosse spento. Lui era... Era una presenza luminosa. Emanava una luce tutta sua. Era speciale."

Si ricordava ancora le ultime parole che aveva sentito pronunciare a quella donna. Ripassandole mentalmente, una ad una, seppe finalmente di aver detto la cosa giusta.

Curioso come, nonostante il tempo avesse mutato tutto quanto e non restasse più nulla di ciò che c'era prima, lui continuasse a ricordare. Pensò che fosse davvero, davvero curioso, come le cose e le persone continuino a vivere dentro di noi, anche quando nella realtà è tutto finito.

Minseok bevve il caffè e pensò che Jongdae era come l'alba, quell'alba che avevano osservato insieme, prima di addormentarsi uno tra le braccia dell'altro.

Fugace, ma incantevole.

 

 

"C'è qualche problema, signore?"

Yixing era sempre così gentile e premuroso. Gli offriva ogni volta un cappuccino, quando lo credeva giù di morale, e si ostinava a dargli del lei, nonostante gli avesse espressamente chiesto di non farlo.

Ormai parlavano ogni giorno, dal momento che Minseok aveva ripreso a sedere nel bar così di frequente, e Yixing pareva proprio il tipo di persona testarda fino all'osso, oppure recidiva nelle proprie convinzioni.

"Non so cosa scrivere," Gli rispose, in un lungo sospiro, osservando la crema del latte nella tazza. "Ogni storia che mi passa per la testa sembra così dannatamente banale e stupida."

Yixing poggiò entrambi i gomiti sul bancone, dinanzi a lui, e rimase fermo in contemplazione del nulla, riflettendo.

"Se può esserle utile, sono convinto che tutte le storie abbiano bisogno di essere raccontate," Esordì, dopo qualche secondo. "Anche quelle banali, anche quelle più stupide, anche quelle grigie e monotone."

Aveva una bella voce, Yixing. Era calma e soffice. Gli ricordava la crema del latte, la stessa che gli macchiava le labbra, dopo averla finita di bere.

Ci aveva pensato, in passato, tuttavia non aveva mai preso seriamente in considerazione quell'idea. C'era davvero tanto, che valeva la pena di essere raccontato, e sicuramente avrebbe avuto più valore di un testo dettato dal rancore.

Fu lì che decise, dopo l'ultimo sorso di cappuccino e un sorriso tutto per il barista dal viso svampito e assonnato. Avrebbe scritto del Natale e delle passeggiate in centro, avrebbe descritto le ragazze invadenti e le donne ansiose, le vetrine affollate. Avrebbe parlato di come può essere facile inciampare nello sguardo altrui e scontrarsi con il destino, di come sia banale la ricetta della felicità, di quanto possa imprimersi nella mente il profumo del caffè e delle pagine di un libro consunto. Avrebbe scritto di corse nel freddo di dicembre e motivetti irritanti cantati davanti al bancone di un bar, di discorsi importanti e battute idiote, di baci a mezzanotte e addii fuori programma.

Avrebbe scritto di questo e di tanto altro. Avrebbe scritto di strade e della vita che cambia e che si trasforma, di viaggi verso il nulla e di speranza e di Jongdae.

 

Punto, a capo. Rileggi. Inspira, espira. Cancella, ricomincia. Ogni singola frase, ogni più piccola parola, non sembrava abbastanza. Minseok si massaggiò le dita e si sgranchì i polsi, sbuffando.

Chissà, si chiese. Chissà dov'era Jongdae, in quel momento. Chissà se anche lui si perdeva con lo sguardo in una pagina bianca e la mente in ricordi agrodolci e lontani. Chissà se anch'egli, ovunque fosse, stava pensando a lui. Chissà se piccoli stralci del loro tempo abbagliavano mai la sua memoria. Chissà se avrebbe mai letto il suo libro, se gli sarebbe piaciuto, se lo avrebbe fatto sorridere, se gli avrebbe strappato un lacrima.

Chissà...

Minseok scrisse di getto le ultime righe delle ultime pagine di quello che sarebbe stato il suo primo romanzo.

C'era dell'altro, tanto, troppo altro, da raccontare, ma per il momento quello sarebbe stato sufficiente. Non sapeva proprio da cosa cominciare, per questo iniziò dalla fine.

Al resto, avrebbe pensato dopo.

 

 

Non ti biasimerò più per essertene andato. Se fossi rimasto, sono certo che ti saresti sentito in gabbia, oppresso, recluso, e l'amore non è questo. L'amore è libertà, l'amore è sentirsi leggeri e pieni di vita, l'amore è stabilità e la sicurezza di due braccia forti, l'amore è completarsi a vicenda e sostenersi nel mentre, l'amore è la gioia di condividere e la bellezza delle piccole cose e tante, tante e troppe altre cose.

Ma l'amore è anche sofferenza. L'amore è angoscia, l'amore è tremare, l'amore è la paura di perdersi e non ritrovarsi, l'amore è la paura di farsi del male e non riuscire a fermarsi.

L'amore è tanti aspetti, tante sfaccettature, i diversi volti di una maschera costruita ad arte astratta e soggettiva.

L'amore logora l'anima e la ricuce con cura, sfibrandone il tessuto ancora ed ancora aggiungendo altro filo, in un circolo infinito.

È proprio questo a renderlo il sentimento più intenso che persista nel cuore delle persone, così semplice da prendere vita in venti, miseri secondi, eppure al contempo così complesso e ricco di difetti. Tanta emozione viene ricompensata con egual sofferenza, e non è forse questo il senso di marcia che prende la vita?

Mi sono domandato spesso se il destino esista davvero, e credo che non troverò mai una risposta che mi soddisferà pienamente.

In compenso, però, sono giunto ad una conclusione. Che il destino esista o meno, che sia il caso a decidere per noi o le nostre azioni a determinare il corso degli eventi, non ci è dato saperlo.

Indipendentemente da questo, nel corso della vita, ci sono storie che non possono avere un lieto fine. Ma questo non significa che non debbano essere ricordate, che vadano dimenticate, estirpate dalla propria memoria.

Ogni fine rappresenta un nuovo inizio, e tu mi hai insegnato la ricetta giusta con cui cominciare a muovere il primo passo verso la mia nuova strada.

Per quel breve tratto di percorso che abbiamo attraversato insieme, mi sono sorpreso a ringraziare il cielo più e più volte per avermi concesso di incontrarti ancora, e ancora, e ancora. Questo perché non m'importa se te ne andrai senza tornare mai più, non importa se non puoi restare per sempre, non m'importa se non posso averti.

Tutto ciò che mi basta per essere felice è sapere che, da qualche parte, in giro per il mondo, tu ci sei.

 

A Jongdae,

perché tutta la vita non basterà mai.

 

 

Non fu un successo clamoroso, non salì in cima alle classifiche, non divenne un best seller, non fu niente di spettacolare. Il suo primo romanzo venne pubblicato e raggiunse un modesto risultato, ma non vinse premi e non ne vennero acquistati milioni di copie.

La cerchia ristretta di critici che analizzarono la sua opera, fornirono giudizi relativamente positivi seguiti da pareri concordanti sul fatto che avesse del potenziale ed un enorme margine di miglioramento. Era ancora tutto un po' mediocre, ma ne era ugualmente così orgoglioso e sinceramente felice che non aveva importanza. C'era tempo per fare di meglio. Ci sarebbe riuscito.

Persino Yixing volle leggere il suo libro. Insistette tanto e, al termine, gli confessò di esserne rimasto profondamente colpito ed affascinato. Ma Yixing esagerava e non avrebbe mai risparmiato sulle parole gentili, sugli incoraggiamenti e sui commenti gratificanti. Era il suo carattere. Yixing era Yixing.

"E adesso?"

Minseok spostò lo sguardo fuori dalla finestra del bar. Era buio, e le stelle erano coperte da un telo denso di nuvole.

Ancora un po', e il turno lavorativo del barista sarebbe terminato. Chissà, magari avrebbe potuto chiedergli di uscire, un giorno. Oppure -perché no?- proprio quella sera stessa. Per il momento, però, si limitò a sorridergli.

"Andrò avanti."

 

 

Abbiamo tutti, nella storia della nostra vita, un punto particolare in cui tutto ha preso una svolta differente, in cui gli eventi si sono capovolti e ogni cosa è cambiata.

Il mio ha un nome, e si chiama Jongdae.

 

 

 

 

 

 

 

 

*tira un sospiro* 

Non ho mai lavorato così tanto ad un testo, prima di cominciare a scrivere questo. 

Sono 12200 parole circa di delirio misto a non so che razza di cose avevo in mente, per non parlare di Lay- Lay, come hai fatto ad imbucarti nella mia storia? Come? Da dove sbuchi? Santo Dio- davvero, io non lo so, credo che il Natale e i biscotti e l'ultimo comeback degli EXO mi abbiano dato alla testa lol 

Ah, prima che mi dimentico- l'articolo a cui alludo all'inizio, esiste davvero lol e il fatto che non si trascorrano le festività natalizie in famiglia, come invece accade in Europa, è perché ho deciso di complicarmi la vita ed ambientare tutto in una città non identificata della Corea. Quindi ho fatto delle ricerche e ho scoperto che il Natale, là, lo vivono come una specie di San Valentino, dove se non stai con la tua dolce metà è una disgrazia. La mia fantasia bacata ha partorito il resto, immaginando. 

E niente, non so cosa dire, se non che questa fic era nata prima di tutto come una storia originale, che poi -dato che odiavo qualsiasi personaggio la mia mente creasse, damn- si è evoluta in una ChenMin che doveva essere fluff e romantica e carina e coccolosa e soprattutto breve, poi lol non so cos'è successo ed è diventata questo coso abnorme che mi ha tenuta notti su notti in bianco perché per la miseria, ero curiosa anche io di vedere come avrei fatto a concluderlo :'D 

Mi è dispiaciuto tantissimo dover interrompere la narrazione e dividere tutto in due capitoli, ma se avessi lasciato così com'era -una oneshot di 12200 parole, suona molto tipo film horror- sarebbe stata esageratamente lunga, per questo ho scelto di spezzare il testo.

Spero davvero di aver fatto un buon lavoro. Non ho mai messo così tanto impegno nella stesura di un testo e ho cercato di migliorare un po' il mio stile, insomma ho fatto un tentativo- spero, se non altro, che sia gradevole e non ci siano errori x°° 

Un parere da parte di chi ha letto sarebbe molto gradito. Dico davvero, mi farebbe un immenso piacere sapere cosa ve ne pare di questa storia, anche solo due righe. ;-; 

Okay, detto questo, torno a scaricare foto dei LayMin mentre piango perché cOME DIAMINE HO POTUTO SEPARARE I MIEI CHENMIN LA MIA OTP SUPREMA ASDFGHJKL direi che posso salutarvi.

Grazie mille a chi è arrivato fin qui~~! 

 

 

 

  
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