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Autore: Elykei    14/01/2017    1 recensioni
Questa è la storia di Margherita.
Margherita ha 18 anni, un fratello minore rompiscatole, una mamma un po' particolare e un pappagallo di nome Pietro.
Come ogni diciottenne Marghe si presta ad affrontare gli esami di maturità e accanto a lei c'è una classe di 17 individui considerati da tutti scalmanati ed immaturi.
L'intera terza D però si ritroverà obbligata a dover crescere tutta d'un colpo, perché la società ti dice che a 17 anni non sei abbastanza maturo da poter compiere scelte da solo, ma appena ne fai 18 devi decidere del tuo intero futuro.
Questo è il racconto delle vicissitudini di una ragazza come tante altre che insieme a compagni di classe ed amici affronta la vita, quella vita segnata da piccole difficoltà che sembrano montagne e grandi gioie che a volte non bastano.
Ma infondo vivere vuol dire questo: affrontare alti e bassi e andare avanti perché come diceva Jovanotti la vertigine può anche essere semplice voglia di volare.
Questa è la mia prima storia, spero che vi piaccia.
Il rating è arancione più per scurezza che per altro.
P.s. naturalmente qualsiasi commento sarà sempre ben accetto!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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17. Ti va una rimpatriata?

- Sai Umbè, oggi non siete gli unici baresi in città -.

- Chi altro c’è? -. Domandò Obi. – Ti immagini è il tizio che ti fa ripetizioni? -.

- Nemmeno il destino è tanto crudele -. Dissi ridendo io.

- Non ne sarei tanto certo -. 

Mi voltai verso la voce, ma quali crimini avevo commesso nella vita passata per ritrovarmi sempre davanti la gente che non avevo voglia di incontrare?

 

 

 

Se lo scambio di messaggi con Genna era stato un indizio su come sarebbero andare le riconciliazioni quel giorno, allora mi aspettava un’altra litigata.

Litigare però avrebbe implicato rovinare le possibilità di rendere quello il mio luogo della felicità, e poi ad Ostuni non potevo andarmene e tornare a casa con poi così tanta facilità, cercai perciò di dare alla mia frase un tono scherzoso più che irritato - Mi segui per caso? -.

Raffaele non mi riservò la stessa delicatezza - Dovrei dirlo io, prima al Fiji e ora qui? Inizia a darmi fastidio la cosa -.

Lo guardai indecisa tra il colpirlo e il mandarlo a fanculo, magari avrei potuto fare entrambe le cose?

- Il mondo è proprio piccolo eh? -. Mi interruppe Umberto prima che potessi agire.

- Tristemente -. Rimarcò Raffaele.

Feci un passo verso lui, già pronta all’urlo, Obi però non dovette essere l’unico a percepire la tensione perché anche Lisa interloquì riuscendo a bloccare il mio secondo attacco.

- Non mi dite! Vi conoscete sul serio? -.

- Andiamo nella stessa scuola -.

- Grandi amici scommetto -.

- Sempre opportuno tu Riccardo -.

- Che c’è? Forse non dovevo farlo notare? -.

Alessio alzò gli occhi al celo al candore dell’amico poi propose un caffè.

- In realtà noi veniamo ora dal Bar del Mar e io volevo far fare un giro a Marghe, non è mai stata qui prima d’ora -.

- Oh okay, andiamo verso la cattedrale allora, che ne dite? -.

- Ottima idea -.

Fortunatamente l’atmosfera della Città Bianca nel mese di Natale era più che sufficiente a distrarmi.

La strada per la cattedrale era in salita, piena di luci e negozietti tutti addobbati a festa.

I ristorantini e i bar erano quasi nascosti, così da essere presenti, ma al contempo da non disturbare il quadretto da cartolina.

Umberto e gli amici ridacchiavano e scherzavano di chissà cosa io però non li ascoltavo, ero troppo assorta.

Ispirai profondamente l’odore di zucchero filato e caldarroste, era uno strano miscuglio che in qualche modo risultava piacevole, anzi inebriante.

Un ambulate con indosso delle corna da renna vendeva calze piene di dolciumi e canticchiava Jingle Bell’s.

Dei bambini giocavano ad acchiapparello sfruttando vicoli e persone come ostacoli, quella che doveva essere la mamma di uno di loro li rimproverò, purtroppo però la reprimenda ebbe effetto breve, dopo un minuto di quiete la corsa riprese.

Un uomo e una donna si guardavano negli occhi sotto un arco di lucine bianche, lui sorrideva, lei gli passava una mano tra i capelli biondi. La temperatura era bassa, vedevo il loro fiato trasformarsi in fumo e mescolarsi.

La cattedrale di Ostuni aveva la facciata divisa in tre sezioni, se le ore di storia dell’arte mi avevano insegnato qualcosa questo indicava una navata a croce latina, o forse le due cose non erano collegate, non lo sapevo, ero troppo distratta per saperlo.

Distratta dai rumori, e dai colori e dai luccichii.

Distratta perché se non lo fossi stata avrei pensato ai litigi, alle incomprensioni, al fatto che quasi tutti i miei amici erano arrabbiati con me.

E poi mi sarei detta che in realtà non erano arrabbiati con me, ma erano irritati da me.

E allora avrei anche pensato che non erano loro in torto, tutta quella gente non poteva aver sbagliato.

Doveva essere colpa mia.

Doveva essere colpa mia.

Ma io ero distratta e quindi non ci pensavo.

C’era un carretto dei gelati, con quel freddo? Chi mai ne avrebbe preso uno? Ah forse quella donna, era di profilo e non le vedevo le mani, però aveva un angolo della bocca sporco di cioccolata.

 Perché reagivo tanto male, come con Delia. Era stata una litigata inutile quella.

Avevamo pareri differenti certo, ma in principio la mia rabbia verso Lidia, la ragazza di Gigi, era nata perché mi avevano dato fastidio i suoi giudizi nei confronti di chi, come la mia migliore amica, voleva solo avere la libertà di amare.

Avevo fatto tutto per difendere Delia e invece avevo finito per bisticciarci.

Ero stata proprio stupida.

Ero stata, al trapassato prossimo, perché in quel momento ero troppo distratta per pensarci.

La strada era diventata in discesa, dove stavamo andando? Lo domandai.

- Scendiamo allo stradone -. Mi rispose il ragazzo dai capelli blu, Riccardo.

- Che posto è? -.

Umberto mi prese a braccetto - Mi ricorda un pochino la nostra Muraglia, la vista è altrettanto mozzafiato se pur parecchio differente -.

- Niente mare? -.

- C’è di mezzo un bel po’ di campagna -.

- Sembra carino -.

- Lo è, andiamo -.

La salita era stata più lunga di quanto io non avessi notato, a giudicare dal numero di scalini che ci separavano dalla meta.

Obi aveva ragione, anche quel punto aveva in sé della magia.

Che aveva quella città? Era tutto tanto incantevole davvero, oppure ero io propensa a vedere solo il bello per tirarmi su di morale?

Decisi di allontanarmi dagli altri per scattare una foto, magari avrei potuto sfruttare quel posto della felicità senza andarci ogni volta, forse sarebbe bastata un’immagine sul cellulare.

Niente filtri per quell’occasione.

All’improvviso mi si avvicinò un gatto, doveva essere un adulto dato che era piuttosto grande.

Era nero con gli occhi giallissimi ed una piccola macchia sul dorso, quasi come la luna in un cielo senza stelle.

Provai a tendergli una mano, mi si avvicinò. Lentamente, ma lo fece, era cauto.

Gli animali che vivevano per strada dovevano esserlo, infondo non tutti erano benintenzionati verso di loro.

Lo accarezzai.

Aveva il pelo ispido, sfregiato da qualche crosta e molte cicatrici, segni di passate battaglie.

La fiducia del gatto mi aveva ravvivato la giornata, un po’ come Umberto, a quel punto mi toccò chiamare il gatto Obi.

Alzai lo sguardo dal felino solo per incrociare quello di Raffaele, anche se in realtà il suo puntava al gatto.

- Non graffia, puoi accarezzarlo -. Gi dissi.

Inizialmente mi ignorò, di tutto rimando io sbuffai.

Mi voltai di nuovo ad accarezzare la versione a quattro zampe del mio amico, che miagolò, attirando l’attenzione di Raffaele.

A quanto pareva il ragazzo poteva ignorare me, ma non un micio.

In tutta quella situazione la cosa che più mi infastidì fu che la sua reazione al piccolo Obi mi face ridere e addirittura mi fece quasi tenerezza. Guardava l’animale con così tanto dolcezza.

Che io avessi sbagliato anche con lui?

Forse Raffaele voleva seriamente aiutarmi, e io al contrario non avevo fatto altro che ostacolarlo.

L’Obi grande mi aveva fatto dubitare delle scelte compiute nel diverbio con Delia, e quello piccolo stava facendo lo stesso rispetto allo screzio con Raffaele, da quando ero diventata tanto insicura delle mie azioni?

Stupidi Umberto, erano la rovina dell’umanità.

Forse stavo esagerando anche in quello, però un minuscolo sfogo mi era concesso, no? Almeno quando quello era un pensiero al quale non davo voce!

Certo era che la lezione successiva sarebbe stata abbastanza imbarazzante se non avessimo chiarito prima.

Cercai di ricordare a quando l’avessimo programmata.

L’ultima lezione era stata il giorno prima e cioè di lunedì, ci eravamo messi d’accordo affinché quella dopo avvenisse di venerdì.

Al venerdì mancavano tre giorni, feci i conti, avremmo dovuto incontrarci il 23.

All’antivigilia? Mr. Puntualità non aveva nessun impegno per quel giorno? Che stranezza.

Certo anch’io a parte il pranzo ero piuttosto libera, ma un attimo. Dovevo avere a che fare con Raffaele subito dopo aver affrontato Delia?

Quando Dio aveva deciso di distribuire la fortuna io evidentemente non ero presente.

Ripensandoci probabilmente quel dì ero in fila per la testardaggine, poiché nonostante mi rendessi conto che far pace con lui poteva solo essere produttivo per me, comunque non avevo alcuna intenzione di fare la prima mossa.

- Oh mio Dio, che carino è quel gatto? -. Andrea, la ragazza bionda si fiondò sul piccolo Obi.

- Raffa, non è identico a quel piccolino che gironzolava per il giardino di casa mia? -.

- Quello aveva una zampa bianca, lui ha solo una macchiolina sul dorso -.

- Già è vero, sembrava quasi indossasse un guanto, era dolcissimo -.

- Non lo avevi chiamato Mr. Scarpetta? -.

- Ti prego rimuoviamo quel passaggio imbarazzantissimo -.

 - Non eri neanche tanto piccola da quello che ricordo, avevi quindici anni all’epoca -.

- Tu ne avevi sedici e non mi hai fermato -.

 - Non volevo causarti un trauma mettendoti davanti alla realtà dei fatti -.

- Oh ma che gentleman -.

Li lasciai chiacchierare e mi avvicinai al gruppetto seduto sui gradini.

Restammo lì per una mezzoretta ancora poi dovemmo spostarci al chiuso per il troppo freddo, era pur sempre dicembre.

Umberto mi riaccompagnò a casa poco prima di mezzanotte, in tempo per non destare sospetti.

I giorni successivi feci il possibile per tenermi lontana da Teresa, Debora e Alessandra. Forse era un comportamento codardo, ma non avevo ancora deciso cosa fare, e quindi decisi di non fare nulla.

Il ventidue fu l’ultimo giorno di lezioni, il che mi semplificò l’evitare determinati compagni di classe.

Il pranzo con Delia e Gennaro fu disastroso, la mia amica non fece altro che restare sulle sue, rivolgendomi a mala pena la parola per un saluto. Gennaro fece il possibile per farci interagire, ma se Delia non aveva voglia di farlo chi ero io per obbligarla?

L’unica nota positiva: il cibo.

Niente di meglio di un quintale di involtini primavera per affogare i propri dispiaceri.

L’ora X.

La nuova lezione.

L’ulteriore sessione di silenzi rabbiosi e parole mugugnate.

Magari mi conveniva tornare a casa, avrei potuto mandargli un messaggio e dirgli che non mi sentivo bene. Avrebbe di certo intuito che era una cazzata, ma chi se ne fregava!

Non gli dovevo alcuna giustificazione.

- Hai intenzione bloccare il portone per un altro quarto d’ora o ti sposti? -.

Mi morsi l’interno del labbro, da quanto mi stava osservando? Che razza di figura!

- Avevo percepito una presenza inquietante alle mie spalle, volevo vedere per quanto avevi intenzione di restare a fissarmi -.

- Si certo, levati va -.

- Oh ma prego, spingimi pure, tranquillo -.

- Ti ho a mala pena sfiorata -.

Era vero, ma non gli avrei dato la soddisfazione di ammetterlo, mi sarei lagnata di qualsiasi cosa fino alla fine.

Sei seria Margherita? Farai la bambina rompiballe? Poi ti chiedi il perché di questo status perenne di lite.

Lo seguii in ascensore e poi in casa.

La prima mezz’ora, come ormai da abitudine, facemmo ripasso.

Se la descrizione per l’atmosfera che aveva caratterizzato l’incontro con Delia era gelo artico, quella per descrivere questo era scintille infernali.

Ci scambiammo battutine una dopo l’altra, dovevo ammettere però che ero sempre io ad iniziare.

Io biasimavo la sua arroganza e la sua prepotenza e lui rispondeva accusandomi di essere irragionevole ed infantile.

Mi stava spiegando un passaggio che in realtà non era poi così complesso, eppure mi parlava come se io non capissi la sua lingua, era estremamente fastidioso.

Io ero la prima ad ammettere che in chimica facevo schifo, però questo mi sembrava troppo.

- Non serve spiegarmi anche il significato delle virgole, fino a prova contraria l’italiano lo conosco ancora -.

Si fermò e mi fissò, socchiuse le palpebre – Si può sapere cosa vuoi da me? -.

- Io? Niente! Mi piacerebbe solo che la smettessi di trattarmi così -.

- Così come? -.

- Come un’idiota! -.

Si alzò dalla sedia allontanando di scatto il quaderno da sé – Adesso basta, mi sono rotto le palle di ‘sta storia. Io ho cercato di darti nuove idee e ti sei incazzata con me, allora ho deciso di assecondarti e comunque la cosa ti ha dato fastidio. Dici che oggi ti sto trattando da idiota, ma non ho fatto nulla di differente dalle altre volte, l’unica che al posto di starmi ad ascoltare ha iniziato a sfarfallare sei tu. Mi hai insultato per tutta la passata ora, all’inizio ho provato anche ad ignorarti ora però mi sono davvero rotto. Sembri una mocciosa che fa i capricci! -.

Ero pietrificata.

Non avevo mai visto Raffaele tanto adirato.

Avevo una gran voglia di rispondergli a tono, ma non potevo farlo. Lui aveva ragione.

Quella mattina mi ero svegliata con l’idea di fare la persona matura ed evitare di attaccar briga con Delia e Raffaele, il pranzo disastroso però mi aveva fatto dimenticare ogni buon proposito.

E così avevo iniziato le ripetizioni con animo tutt’altro che pacifico. Non avevo perso occasione per contrariarlo ed effettivamente era vero che inizialmente aveva provato a non rispondermi.

Dovevo averlo portato all’esasperazione.

- Io.. -.

- Tu cosa? Te lo ripeto un’ultima volta. Che cosa vuoi da me? -.

 Distolsi lo sguardo dal suo accusatorio. Esigeva risposte, giustamente. Però che dovevo dirgli? Che avevo un animo profondamente autodistruttivo? Che dato che tutto stava andando a schifio volevo qualcuno con cui prenderla? Che non avevo potuto litigare con la mia migliore amica quella mattina e quindi avevo fatto di tutto per litigare con lui?

Volevo sfogare la mia rabbia. Quella stessa rabbia che mi attanagliava da qualche giorno.

Non ce l’avevo con lui. Né quel pomeriggio, né il lunedì precedente. Lui era un comodo bersaglio, lui che non aveva smesso di supportarmi nemmeno dopo che io stessa gli avevo detto di farlo.

- Mi dispiace -.

- Ti dispiace -.

- Si -.

- E di cosa di preciso? -.

- Di essere sembrata una stronza -.

- Sembrata -. Fece un verso di scherno.

- Okay, okay… mi spiace di esserlo stata -.

Fece un respiro profondo – Le scuse non sono sufficienti -.

- Che vuoi allora? Una dichiarazione scritta? Una pergamena nella quale ammetto ogni mio errore? -.

- Ricominci ora? -.

- No. Va bene. Dimmi che posso fare per farti dimenticare questo mio stupido comportamento, così che possiamo tornare alle nostre lezioni evitando di scannarci -.

- Così va meglio -. Si rimise a sedere - Mi serve un favore -.

- Cioè? -.

- Domani vado ad una rimpatriata -.

Lo invitai a continuare.

- Devi venire con me -.

- Perché scusa? -.

- Ci sarà una certa Luisa, Diego ha sempre avuto una cotta per lei -.

- Diego il tuo amico? -.

- Esattamente -.

- La situazione mi è meno chiara di prima, che c’entrano Diego e questa tipa? -.

- Quando c’è Luisa Diego diventa un ragazzino deficiente, ho bisogno di qualcuno che lo accompagni e che eviti di farlo ridicolizzare da solo -.

- In che senso? -.

- Luisa è una vera vipera, è sin dalle medie che non fa altro che prenderlo in giro e sfruttarlo, voglio evitare che lo faccia anche questa volta -.

- Ma lui non si sta sentendo con Annamaria? -.

- Si -.

- E tu hai paura che faccia cosa? La tradisca? -.

- Non stanno insieme non sarebbe tradimento, ma non è questo il punto. A Diego la tua amica piace sul serio, purtroppo però so che manderebbe tutto a puttane per Luisa -.

- E perché lo farebbe? -.

- Perché lui è stupido e lei è una manipolatrice bastarda -.

- Ma scusa non può venire Anna al posto mio? -.

- E rischiare di farle scoprire tutto? La loro relazione, o quello che è, finirebbe immediatamente -. 

- Vuoi che io non dica alla mia amica che il suo possibile ragazzo è uno stupido che rincorre la gonnella di una oca di nome Luisa? E per di più vuoi che io mi finga la sua accompagnatrice per tenerlo a bada? -.

- Lo faresti anche per lei, se scoprisse che Diego è tanto influenzabile ci resterebbe male -.

- E chi mi assicura che tra due settimane non spunti una nuova ‘’Luisa‘’ pronta a conquistarlo e lui non cada ai suoi piedi facendo a pezzi il cuore di Anna? -.

- Io -.

- Come cavolo puoi farlo? -.

- Lui non è ingenuo, lo è solo quando si tratta di Luisa, è stata la sua prima ragazza, la sua prima cotta. Con le altre non è così -.

- Non ti sembra che stia prendendo in giro Annalisa? È infatuato di un’altra eppure frequenta lei -.

- Hai detto bene. È infatuato di Luisa, ma potrebbe innamorarsi di Annalisa. Vuoi essere tu colei che preclude tale possibilità a quei due? Tutto perché vuoi sentirti moralmente superiore? -.

- Chi ha mai detto una cosa simile? -.

- Lo sai che l’unica ragione è questa. Se tu pensassi al bene della tua amica non saresti tanto disposta a deluderla per una cosa che potrebbe accadere come potrebbe non farlo. Infatti non è detto che Luisa ci provi con lui, né che lui accetti le sue avance. Ti voglio lì solo per sicurezza -.

- Sicuro di non chiamarti Luisa? -.

Mi guardò stranito.

- No perché mi pare che pure tu sia bravo a rigirare le situazioni -.

- Allora, ci stai o no? -.

- Domani è la vigilia di Natale, dovrei passarla in famiglia -.

- È dopo la mezzanotte, giocheremo a carte e ci ubriacheremo -.

Scossi il capo – Mi passi a prendere tu? -.

   
 
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