Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: IrethTulcakelume    17/01/2017    2 recensioni
Park Jimin, 21 anni, testa sempre tra le nuvole – sì, se le nuvole hanno i capelli neri e tre anni in meno di lui.
Jeon Jungkook, 18 anni, mente brillante versata per lo studio, un po’ meno per gli affari di cuore.
Min Yoongi, 22 anni, passione per il basket, ma qualche problemino con i blackout.
Kim Namjoon, 29 anni, uno studio di psicologia tutto suo che spesso ospita un paziente in via in guarigione.
Kim Seokjin, 31 anni, cattedra universitaria di economia e un incorreggibile complesso del salvatore.
Kim Taehyung, 18 anni, tante foto, incubi abituali e un paio di conti in sospeso con il passato.
Jung Hoseok, 21 anni, una sorella fortunatamente ficcanaso e vigliaccheria a profusione.
Non si sentono i suoni se non c’è silenzio.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Park Jimin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angolo autrice:
Buonasera gente! Dunque, che caspita ci faccio qui, ad aggiornare con ben due giorni - due giorni sono tanti eh - di anticipo? Clamoroso, clamoroso. Tuttavia, non ci sono buone notizie, nel senso che se prima non riuscivo ad aggiornare per motivi scolastici, adesso ho un altro problema, che non so quando lo risolverò, di carattere sentimentale/personale. E... sì, questo non è esattamente un momento fantastico nella mia vita. Avrei voluto iniziare il capitolo dieci, ma questo simpatico problema si è interposto tra me e i miei buoni propositi. Ergo, non vi so dire quando arriverà il capitolo dieci... spero il più presto possibile, ovviamente, ma non posso darvi una data, scusatemi tanto.
E ora, finito questo pappone, vi lascio al pappone di Jungkook! (Capirete a breve perché lo chiamo così).





 

Spend every won on your dreams















Jungkook non era mai stato un tipo mattiniero: in particolare la domenica, non lo si poteva svegliare nemmeno con le cannonate. Anche se dormiva sempre con la tapparella alzata, riusciva tranquillamente a dormire, perfino d’estate, fino alle dieci, quindi in autunno inoltrato questa sua capacità di restare ancorato alla fase rem della sua vita era elevata all’ennesima potenza.
Per questo motivo, quando aprì gli occhi e vide il buio fuori dalla finestra, il suo primo pensiero fu che fosse un giorno feriale, ma non sentendo il trillo della sua sveglia si sentì alquanto spaesato. Sbatté le palpebre parecchie volte di seguito e si stropicciò gli occhi, poi, appurato che nessuna catastrofe naturale stava per abbattersi su di lui, cercò di capire per quale ragione il suo orologio biologico avesse preso la decisione di farlo svegliare.
Fame? No, non aveva fame, la sera prima Jimin era stato fin troppo generoso con le porzioni di bulgogi perché lui avesse già voglia di fare colazione.
Ansia? Ma era domenica, non era possibile che avesse l’ansia, avrebbe avuto senso se si fosse svegliato in quel modo il giorno dell’esame senza aver studiato mezza pagina.
Era stupido? Probabile, ma non era sicuro che la stupidità potesse essere annoverata tra le cause dell’insonnia.
Si rigirò nel letto, e il suo sguardo cadde casualmente sul coinquilino addormentato: era voltato dalla sua parte, gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta. I capelli scuri gli ricadevano sulla fronte, eppure non gli davano un’aria scompigliata: ogni cosa in lui emanava ordine e sicurezza.
Jungkook sospirò. Forse era giunto il momento di analizzare con calma i propri atteggiamenti delle ultime settimane nei confronti del ragazzo di fronte a lui.
Per lui Jimin aveva sempre rappresentato un’ancora, un punto fermo. Ogni volta che aveva un brutto pensiero, che era preoccupato per qualcosa, era a lui che si rivolgeva. Se aveva bisogno di aiuto, se stava male, anche se aveva banalmente qualche linea di febbre, era Jimin che si occupava di lui, che metteva tutto a posto.
E allora perché non gli aveva mai parlato neanche per sbaglio di Taehyung? Si ricordava che più volte, in quel paio di mesi che era trascorso da quando aveva conosciuto il compagno di corso, era stato sul punto di raccontare i propri pensieri al suo migliore amico, ma qualcosa l’aveva sempre trattenuto. Vedendo la sua faccia sorridente a cena, i suoi occhi socchiusi, ascoltando la sua voce che gli chiedeva se ci fosse qualcosa che non andava, aveva sempre risposto che andava tutto bene.
Che cos’era quel qualcosa? Se lo chiese, Jungkook, continuando a guardare Jimin. E si chiese anche perché, quando era andato a casa di Taehyung, quando l’aveva baciato, avesse sentito una stretta al petto. In quel momento aveva scacciato quella sensazione di disagio, classificandola come semplice imbarazzo, ma adesso che stava cercando di fare un minimo di chiarezza, si rese conto che era senso di colpa. Si rese conto che, anche mentre le dita di Taehyung scorrevano tra le sue ciocche corvine, con il pensiero era andato inevitabilmente alle mani di Jimin che gli scompigliavano affettuosamente i capelli mentre studiava.
Il suo Jimin. Il suo migliore amico. La persona con cui viveva da ormai due anni. Possibile che davvero gli piacesse, o che fosse addirittura innamorato di lui? Ma no, era assurdo come pensiero: per lui provava semplice affetto fraterno, ne era convinto. Certo, l’affetto che nutriva nei suoi confronti era decisamente maggiore rispetto a quello per i suoi amici delle superiori o dell’università, ma sempre di affetto si parlava, nulla di più. Eppure come altro avrebbe potuto spiegare il modo in cui si era sentito quando la mattina precedente quella cameriera aveva sorriso per un secondo di troppo a Jimin? Come spiegare il fatto che, quando la sera della festa gli aveva raccontato com’erano andate davvero le cose, gli era stato più difficoltoso ripensare alla sua indifferenza quando era tornato a casa che alla rabbia di Taehyung?
Poi, c’era un altro particolare non indifferente: il giorno prima gli era capitato di pensare più di una volta a come sarebbe stato baciarlo.
Al solo ricordo arrossì: la prima volta era successo al Lachata, poi mentre pattinavano, e ancora quando erano tornati a casa e si erano messi a studiare, e a cena.
Spostò una mano sotto la guancia per stare più comodo. Era attratto da Jimin? Non aveva nessun problema con il fatto di non essere etero: l’aveva accettato quando era alle superiori, e non ci vedeva assolutamente nulla di male. No, non era quello il problema, era un’altra la questione.
Jimin era la persona a cui teneva di più al mondo, l’amico più caro che avesse. Non aveva mai conosciuto qualcuno che lo capisse più a fondo, che si preoccupasse di più per lui. Nutriva una fiducia cieca nei suoi confronti, e... e se avesse rovinato tutto? Non poteva permettersi di perderlo per un proprio capriccio: se avesse parlato con lui dei propri sentimenti – sentimenti? Quando aveva iniziato a percepirli in quel modo? – e non fossero stati ricambiati niente sarebbe mai più stato come prima. E anche ammesso che Jimin avesse ricambiato, se poi si fossero lasciati? Poteva accadere di tutto...
Chiuse gli occhi. Stava viaggiando un po’ troppo di fantasia.
Doveva innanzitutto calmarsi, perché stava andando nel panico, e questo non andava affatto bene. Una cosa era certa: aveva iniziato a guardare con occhi diversi il coinquilino dalla sera della festa. Che cosa era cambiato rispetto a prima?
Be’, forse era proprio lui a essere cambiato. All’improvviso, rivide l’immagine di pochi giorni prima: Jimin steso sul letto, pallido, che lo trattava come se non gli importasse nulla di lui. Strinse di più le palpebre per scacciarla, ma quella tornò ancora più prepotente.
Aveva sempre dato la sua presenza per scontata, era quello il punto: Jimin che lo perdonava sempre, Jimin che non gli diceva mai di no, Jimin che gli preparava la cena, Jimin che gli faceva compagnia mentre studiava. E capì anche che, fino a quel momento, non aveva realizzato appieno come sarebbe stato perderlo, quanto fosse importante, essenziale, per lui.
Sempre tenendo gli occhi serrati e una mano sotto la guancia, si rannicchiò un po’ su se stesso. Forse avrebbe dovuto cercare di dormire un altro po’, continuare ad arrovellarsi su quei pensieri non poteva portarlo da nessuna parte, anzi, non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione in cui si trovava.
Stava per cercare nuovamente il conforto del sonno, quando sentì un frusciare di coperte provenire dal letto di Jimin. Ebbe la tentazione di aprire gli occhi, ma qualcosa lo trattenne dal farlo.
Il fruscio proseguì per un paio di secondi, poi si interruppe, sostituito dal rumore dei piedi di Jimin che andavano in cerca delle ciabatte. Jungkook continuò a tenere gli occhi chiusi, come in attesa.
Il rumore cambiò di nuovo: le estremità inferiori del corpo di Jimin avevano evidentemente trovato la loro preda, e adesso stavano portando il loro proprietario...
...in direzione del letto di Jungkook.
Il suo battito cardiaco accelerò di colpo. Fece di tutto per controllare il proprio respiro, sperando di riuscire a simulare il sonno, ma perché diamine lo stava facendo? Non sarebbe stato più semplice aprire gli occhi e parlare serenamente con l’amico?
No, non lo sarebbe stato: perché Jungkook era affetto da quella grave malattia chiamata curiosità, e voleva sapere che cosa il suo coinquilino avesse intenzione di fare, forse un po’ sperando che... che cosa? Non lo sapeva, però sperava. Quindi restò immobile, anche se la mano, così pigiata tra la sua faccia e il cuscino, iniziava a dargli un po’ di fastidio.
Come aveva supposto, Jimin fermò il proprio cammino davanti al suo letto.
Poi, silenzio.
Per alcuni secondi interminabili, che a Jungkook parvero ore, non successe assolutamente niente. C’era solo quello strano silenzio immobile, che aleggiava nella stanza come fitta nebbia. E continuava, persisteva, li ricopriva, assiduo, imperturbabile.
Finché non sentì qualcosa sfiorargli la spalla che restava scoperta dal piumino. Impiegò poco più di un istante a identificare quel “qualcosa” come le mani di Jimin, che stavano armeggiando delicatamente con la coperta per tirarla su.
Oh, se avesse saputo che in realtà lui era già ben sveglio, e con quanta difficoltà si stava trattenendo dal sollevare le palpebre.
Quando ebbe terminato di rimboccargli il piumino ci furono altri secondi di totale immobilità, in cui la sua mente lavorò frenetica per elaborare una via di fuga, da cosa, non ne era certo nemmeno lui. Poi, però, sentì le dita di Jimin sfiorargli appena la linea del mento, e quel piccolo, insignificante gesto fu sufficiente.
Sufficiente perché Jungkook non riuscisse più a trattenersi dal distruggere quella farsa.
Sufficiente perché girasse appena la testa, giusto di qualche grado, per capire, vedere, chiedere, mostrare.
Sufficiente perché un bacio appena percettibile, al posto di cadere sulla sua guancia ad amichevole buongiorno, si posasse sulle sue labbra, mutando improvvisamente di significato.
Jungkook spalancò gli occhi, pietrificato, incredulo. L’aveva baciato? Jimin l’aveva davvero appena baciato? Okay, forse non l’aveva nemmeno fatto di proposito, ma... diamine, a lui era piaciuto? Jimin si ritirò immediatamente, come scottato, prendendo a balbettare parole sconnesse.
- Oh, io... scusa, cioè... volevo solo... non, insomma... – mentre parlava, si allontanava sempre di più, mettendo le mani davanti a sé.
L’altro continuava a fissarlo, bevendo ogni sua parola, chiedendosi solo in quel momento come avesse potuto essere così cieco, così sordo. Come aveva potuto non notare che il rossore che compariva sulle sue guance a ogni contatto stretto, quello stesso rossore che adesso gli stava inondando il viso, non era semplice imbarazzo? Come aveva fatto a non accorgersi quanto il movimento delle sue labbra fosse ipnotico, anche in quel frangente, quando si aprivano soltanto per far uscire sillabe di scuse senza senso? Come non capire quanto il solo suono della sua voce fosse come linfa vitale per lui?
Scusa? Ma di cosa ti stai scusando, Jimin? Che delitto hai compiuto aprendomi gli occhi?
Senza pensare, senza riflettere minimamente sui movimenti che i propri arti avevano iniziato a compiere prima di ricevere l’autorizzazione del cervello, si alzò dal letto e raggiunse Jimin, che lo guardava confuso. Anche se aveva smesso di indietreggiare.
- Kookie, che cosa stai...?
Prima però che potesse terminare la frase, due braccia che l’avevano avvolto solo per abbracci fraterni si chiusero attorno alla sua vita, e in una frazione di secondo le loro labbra furono di nuovo a contatto. Forse avrebbe dovuto essere stupito, o per lo meno farsi qualche domanda in più su ciò che stava accadendo, ma rimandò il tutto: in fondo non era così importante, non in quel momento, quando Jungkook lo stava baciando – cazzo, lo stava baciando davvero - in quel modo. Gli sarebbe quasi sembrato un sogno, se non avesse sentito la bocca del ragazzo di cui era innamorato da due anni premuta sulla sua.
Per Jungkook, invece, era come essere sveglio per la prima volta da anni. Come se avesse dormito fino a quel momento sotto una calda coperta di confortevoli convinzioni: la sua vita a Seoul, i bei voti a scuola e poi all’università, Jimin a casa ad aspettarlo, Jimin che gli parlava della sua giornata, Jimin che gli sorrideva. Jimin, Jimin, e ancora Jimin, sempre, onnipresente nella sua quotidianità da quando avevano iniziato a condividere quell’appartamento. Troppo cieco per vedere chiaramente quanto si fosse affezionato a quella coperta, quanto fosse assuefatto dal suo profumo.
Tremava, Jungkook, e rabbrividiva, sentendo il calore delle labbra di Jimin che si muovevano delicate sotto le sue, come per non fargli male. Anche in quel momento, continuava a preoccuparsi per lui: l’avrebbe sempre fatto, e forse, finalmente, Jungkook sarebbe stato in grado di fare lo stesso.
Si fermarono per riprendere fiato, i respiri affannati, i cuori a mille. Si sarebbero voluti dire mille cose, porgere mille spiegazioni, ma sembrava che le parole fossero come intimidite, come se capissero che in quel momento l’unica cosa da fare era cedere il passo ai sentimenti, alle azioni compiute senza riflettere.
- Scusami – sussurrò appena Jungkook, gli occhi fissi in quelli di Jimin, - sono un cretino, uno scemo, un idiota...
- Jungk...
- Aspetta, fammi finire – lo interruppe lui, senza mai allontanarsi di un millimetro o smettere di guardarlo. – Per tutto questo tempo non ho capito niente, ti ho sempre dato per scontato, e non... non vedevo... e tutta quella storia con Taehyung, e tu stavi male e io ero troppo egoista per capirlo. Perdonami, ti prego, anche se sono stato uno stupido...
- Sh, basta – rispose però Jimin sorridendo appena. – Sei Jungkook, il mio Kookie, e questo è sufficiente.
Ripresero a baciarsi, e in quel bacio erano contenuti tutti i sentimenti e gli attimi trascorsi insieme in quei due anni. Le mani cercavano disperatamente un appiglio, un lembo di maglia, una ciocca di capelli, per tirare l’altro più vicino, e più vicino ancora, tanto che i loro cuori finirono a battere l’uno sull’altro, all’unisono, allo stesso ritmo di quel bacio confusamente lucido, dolcemente frenetico. Oh, quanto era diverso da quelli che si era scambiato con Taehyung: adesso, adesso era certo del perché aveva provato quel dolore, quel senso di colpa insieme a lui. Perché, in fondo al suo cuore, una parte di lui già sapeva che avrebbe dovuto baciare delle altre labbra, toccare un altro corpo, respirare un altro profumo.
Invece, con Jimin, non sentiva alcun tipo di disagio o di imbarazzo. Provava un’immensa gioia, un sentimento di completezza, e avrebbe solo voluto urlarlo in mezzo alla città, giù per le strade, andare a dire a tutti che era innamorato e non se n’era mai reso conto, che Jimin era suo e di nessun altro. Avrebbe voluto scrivere il suo nome sui muri di tutti gli edifici, e far sapere a ogni singolo abitante che era la persona più meravigliosa che gli fosse mai capitato di conoscere, che era la cosa migliore che gli fosse mai successa.
Prima che potesse rendersene conto, Jungkook si ritrovò a indietreggiare nuovamente verso il proprio letto, spinto da Jimin, che pure continuava a toccarlo da sopra la maglia con una gentilezza che solo da lui si sarebbe potuto aspettare in momento del genere. Le sue ginocchia si piegarono quando si scontrarono con il bordo del letto, ed entrambi caddero in modo disordinato su di esso: Jungkook con la schiena mezza appoggiata al muro e Jimin seduto a cavalcioni su di lui. Il più piccolo si affrettò a tirarsi nuovamente seduto per riprendere a baciare l’altro, che nel frattempo aveva allacciato le braccia attorno al suo collo. Lentamente, abbandonò il caldo rifugio della bocca di Jimin e scese a baciargli la guancia, e poi la linea del mento, il collo niveo e invitante. Sospiri misti a gemiti appena trattenuti sgorgarono dalle labbra di Jimin quando con una mano scostò appena la maglia slabbrata per scendere ancora, ed esplorare con la lingua ogni lembo di pelle possibile.
- Jungkook... – rantolò quasi Jimin.
- Sì? – chiese languido l’altro, le labbra che si sfioravano a ogni movimento l’attaccatura del collo.
- Forse dovremmo fermarci qui – proseguì quello esitante, tentando di allontanarsi un po’. Jungkook, però, che non era assolutamente d’accordo, se lo premette nuovamente addosso, sfregando il naso sulla sua pelle.
- Perché dovremmo farlo? – gli fece lui, guardandolo negli occhi mentre le sue mani si intrufolavano sotto la maglia per accarezzargli la schiena.
Jimin deglutì. Si vedeva che si stava sforzando di non abbandonarsi alle sue attenzioni. – Perché... sta accadendo tutto troppo in fretta.
- Troppo in fretta? Io non ho nemmeno idea di quanto tempo il mio ritardo mentale ti abbia fatto soffrire, e...
Prima che potesse terminare la frase, però, Jimin lo interruppe. – Ti ho aspettato così tanto che sarebbe assurdo sciupare tutto il primo giorno, no? – Mentre parlava, gli prese il mento tra le mani, sorridendogli.
Jungkook si imbronciò, e approfittando di quel suo attimo di distrazione, Jimin si alzò dalle sue gambe e scomparve fuori dalla porta. Il ragazzo dovette sbattere un paio di volte le palpebre per rendersi conto di cosa era successo e rincorrere il suo coinquilino per capire dove stesse andando.
Lo trovò in cucina che si dirigeva a passo sicuro verso il bollitore, ma prima che potesse afferrarlo, la voce di Jungkook risuonò nella stanza.
- Jimin, cosa stai facendo?
Quello si voltò verso di lui. Aveva ancora le guance imporporate, e tuttavia le sue labbra erano distese in quel suo solito, dannato, inconfondibile sorriso. – Preparo il tè per la colazione.
Certo, ovvio, il tè per la colazione. Alle cinque di mattina. – Io in realtà preferirei continuare il discorso di poco fa, era davvero molto interessante – disse Jungkook avvicinandosi all’altro.
- Ora mi spieghi, per cortesia, come diavolo è possibile che tu ti sia trasformato da piccolo bambino indifeso a piccolo bambino eccitato?
Jungkook scoppiò a ridere. – Colpa del mio coinquilino figo, non c’è altra spiegazione.
- Non mi corromperai con le lusinghe – protestò testardo Jimin. Nel frattempo, il più piccolo l’aveva ormai raggiunto, e gli aveva cinto i fianchi con le braccia, facendo aderire il proprio petto alla schiena dell’altro.
- Ne sei proprio sicuro? – gli chiese sfiorandogli la base della nuca con il naso. Quello ebbe un fremito, ma continuò imperterrito la sua operazione mettendo il bollitore pieno d’acqua sul fornello che aveva appena acceso.
- Assolutamente. – Pronunciata quell’unica parola, Jimin riuscì a svicolare dalla presa del coinquilino, riuscendo a raggiungere le tazze.
- Jimin-hyung! Finiscila di scappare! – protestò lui, le braccia incrociate al petto e un broncio adorabile in viso. Jimin lo guardò per qualche istante, e messo di fronte a quello spettacolo infinitamente dolce, non poté fare a meno di riavvicinarsi a lui per premere un lieve bacio a stampo sulle sue labbra.
- Smetti di fare il polemico e aiutami a preparare la colazione.
Jungkook rimase un attimo interdetto, poi sospirò: Jimin si era rimesso a trafficare sul piano della cucina. Probabilmente almeno per quella mattina non sarebbe riuscito a convincerlo, però... chissà come si sarebbe potuta evolvere la giornata: la vita a volte sapeva essere imprevedibile e ricca di sorprese.
Eppure, inconsciamente, stava già facendo l’abitudine a quel nuovo ritmo, come se gli fosse appartenuto da sempre, come se scorresse nelle sue vene insieme al sangue già da tempo immemore. C’erano ancora delle questioni da risolvere: non poteva lasciare così in sospeso la questione con Taehyung, prima o poi avrebbero dovuto parlare, e non avrebbe potuto fare affidamento sulla protezione di Jimin. Però era ancora domenica: era tanto egoista godersela ancora un po’?
 
***
 
Sapeva che la sua fine stava per giungere. Ne sentiva l’odore nell’aria speziata che respirava, percepiva la sua morsa sullo stomaco, ormai però troppo pieno per contenere altro cibo. Si stava appropinquando a lui sotto forma dell’ennesima deliziosa portata domenicale.
- Sicuro di non volere altri tteokbokki? – chiese Seokjin avvicinandogli l’enorme padella ancora piena per metà. – Sono buoni!
- Lo so, ma ne ho già mangiati un sacco, sto per esplodere! – rispose Yoongi sull’orlo della disperazione. Il professore fece ancora un paio di tentativi, però, vedendo che era tutto inutile, cambiò obiettivo, prendendo ad assaltare Namjoon. Quello, vedendo l’espressione affranta di Seokjin che stava per mettere via i tteokbokki, non seppe dirgli di no, e ne se fece mettere un’abbondante porzione nel piatto.
L’amore non rende solo ciechi, rincoglionisce proprio, si ritrovò a pensare Yoongi. Quei due erano così melensi, sdolcinati... prevedibili. Eppure, anche nella loro estrema sdolcinatezza, erano la coppia più adorabile che avesse mai visto. Sperava che Jimin non diventasse così con Jungkook, altrimenti l’avrebbero ricoverato in ospedale nell’arco di pochi giorni per uno shock diabetico. Conoscendolo, però, in realtà era probabile che sarebbe accaduto il peggio: prevedeva già cascate di zucchero e frasi tumblr riversarsi sull’allegra coppietta e su ogni essere – vivente o meno – nel raggio di cinquecento metri.
Lui non sarebbe mai stato così. No, non se lo sarebbe mai perdonato. Ma poi perché si era messo a pensare una cosa del genere? Quello che si sarebbe svolto di lì a poco non era nemmeno un appuntamento: era un semplice incontro in amicizia, per scambiare due parole. Jiwoo doveva solo ringraziarlo di persona, gliel’aveva detto per telefono quella mattina.
Yoongi si stiracchiò sulla sedia, notando solo in quel momento lo sguardo indagatore di Seokjin.
- Va tutto bene?
- Sì, certo, perché? – rispose il ragazzo tornando a sedersi composto.
Il professore lo guardò ancora per qualche istante, poi scosse la testa e sorrise. – Niente, tranquillo. Allora, ti è piaciuto il pranzo?
- Era tutto buonissimo, seriamente. Come fa Namjoon a non essere una botte che rotola in giro per casa?
- Io mi so perfettamente regolare.
- Ho notato il tuo autocontrollo con i kimbap, sì sì.
- Senti, non essere più mio paziente non ti autorizza a...
- Ragazzi, vi prego – intervenne provvidenziale Seokjin, rivolgendo uno sguardo bonario ai due. Yoongi si rese conto che probabilmente il povero professore doveva sentirsi l’unico adulto nella stanza, ed ebbe quasi pietà nei suoi confronti.
Quasi, dato che in quel momento la maggior parte dei suoi pensieri erano rivolti al suo incontro con Jiwoo. Si sentiva vagamente in imbarazzo, e probabilmente doveva essere lo stesso anche per lei: stava per essere ringraziato di aver fatto il bravo cupido, in pratica. Non sapeva, in effetti, se in quel frangente fosse più imbarazzante ringraziare o essere ringraziato.
Tirò fuori il telefono dalla tasca e diede un’occhiata all’ora: erano più o meno le tre, l’appuntamento – dio santo, quanto suonava strana alle sue orecchie quella parola – era per le tre e mezza. Da casa di Namjoon e Seokjin avrebbe impiegato poco più di un quarto d’ora a raggiungere il luogo che gli aveva indicato la ragazza: era un bar che aveva visto un paio di volte di sfuggita, ma era curioso di sapere se c’era un motivo dietro quella scelta.
A ogni modo, era meglio che iniziasse a darsi una mossa: arrivare un minimo in anticipo non poteva fargli male.
Senza dare alcuna spiegazione, Yoongi si alzò da tavola e si diresse verso l’attaccapanni.
- Dove vai adesso? – gli chiese curioso Namjoon.
- Mh... devo incontrare una persona.
Una frazione di secondo dopo aver pronunciato quelle parole, però, si diede dell’emerito cretino. Ora sarebbe partito l’interrogatorio, ne era sicuro.
- Oh, chi? – domandò infatti subito dopo il professore.
- Ma, niente... un’amica.
- Uh, la conosco?
Namjoon, ti prego, non lo stai facendo davvero. – No.
Non poteva vederlo, ma era certo che i due alle sue spalle si stessero scambiando sguardi d’intesa. Quando era diventato così antisgamo?
- Va bene, allora ti lasciamo andare. Poi ci racconti com’è andata, vero? Era carina quella ragazza...
- Eh?! Di cosa state parlando? – fece subito Yoongi, mettendosi sulla difensiva. Namjoon e Seokjin scoppiarono a ridere, e il ragazzo ebbe nuovamente l’irritante ma meravigliosa sensazione di essere in famiglia.
- Dai, su, fuori dai piedi, rubacuori.
 
Yoongi impiegò, come aveva previsto, diciotto minuti a raggiungere il bar. Gliene avanzavano una decina, che decise di spendere a osservare, come sua abitudine.
La prima caratteristica che lo colpì del locale, fu la presenza di libri ovunque: si chiese come avesse fatto a non notarlo le altre volte che ci era passato davanti. Jiwoo gli aveva proposto quel bar senza pensarci troppo, quindi probabilmente lo frequentava in maniera abbastanza abituale. Yoongi non era un lettore assiduo, ma non gli dispiaceva, se vedeva un thriller dalla trama abbastanza interessante, passare le serate a leggere. Si ripromise di recarsi anche lui più spesso in quel posto.
Completato l’esame della location, passò agli avventori: non si stupì vedendo che non c’era nessuno dall’aria particolarmente tamarra o dotato di uno sguardo eccessivamente stupido; cosa migliore, nessuno aveva in mano un cellulare. Quel bar gli piaceva sempre di più.
Riconobbe anche un paio di compagni dell’università. Forse, se un giorno si fosse sentito particolarmente socievole, avrebbe potuto rivolgere loro la parola: se erano in un posto del genere c’era la possibilità che non fossero solo degli energumeni senza cervello.
- Ehi, ciao, scusa per il ritardo, dovevo finire una cosa a casa.
La voce di quella che intuì essere Jiwoo lo distolse dall’accurata analisi che stava compiendo sul bar. Forse collegando involontariamente il locale proposto dalla ragazza all’idea che si stava lentamente facendo di lei, la immaginò presa a leggere le ultime pagine di un libro particolarmente appassionante.
- Figurati, non sono arrivato da tanto – rispose semplicemente, prendendosi un paio di secondi per guardarla. Non era truccata, ma questo non era un elemento sufficiente per dargli altre informazioni su di lei.
- Ehm... vogliamo entrare?
- Certo, certo.
Jiwoo gli fece strada all’interno del bar e lo guidò fino a un tavolino che aveva dietro uno scaffale di libri d’arte. Il suo sguardo fu catturato da una raccolta di opere di Monet – era abbastanza sicuro che ce ne fosse uno a casa di Namjoon.
- Ti piace? – gli disse mentre si sedevano.
- Il posto? Sì, lo trovo molto... fuori dal tempo, diciamo.
- Dici? – chiese lei sorridendo. – Perché?
- Nessuno si sta violentando gli occhi con lo schermo di uno smartphone, cosa abbastanza rara in questa città dove ci sono più grattacieli che persone a momenti. E, in tutta sincerità, preferisco il cartaceo all’e-book reader, anche se non mi definirei un divoratore di libri.
Seguirono un paio di secondi di silenzio, in cui le parole di Yoongi ebbero il tempo di depositarsi su di loro, come un sottile velo di polvere,.
- Te invece? C’è un motivo particolare per cui ti piace questo bar? - Yoongi era grato che stessero parlando di quello e non dei ringraziamenti: lo trovava molto più interessante.
- In generale mi piace molto leggere, e poi... c’è un bar molto simile a Gwanju, la città dove sono cresciuta, quindi... è un po’ come essere a casa.
Mentre lo diceva si guardava intorno con l’aria sognante di un bambino di cinque anni che si aggira in un negozio di caramelle e giocattoli.
- Se c’è un libro che ti piace tanto prendilo pure. Prendilo come un grazie a forma di parallelepipedo simpatico.
Yoongi rimase interdetto. Non avrebbe mai creduto che la storia dell’essere ringraziato potesse essere così... così poco imbarazzante. Gli piaceva il suo modo di fare.
Forse non solo il modo di fare. Ma era ancora un po’ presto per dirlo, no?
 
***


Hoseok era in ansia. Tremendamente in ansia. Se avesse dovuto fare una classifica dei momenti in cui era stato più in ansia in tutta la sua vita, quello che stava passando si sarebbe sicuramente aggiudicato la medaglia d’oro. Non riusciva a stare fermo: se avesse continuato così, probabilmente avrebbe scavato un solco tra il salotto e la cucina.
Il telefono. Oh, il telefono.
- Cazzo, il telefono! – esclamò sentendolo squillare. Quando identificò il numero come quello della compagnia telefonica che tentava da giorni di farlo partecipare a uno stupido sondaggio sul gradimento del servizio clienti, per poco non lanciò il telefono contro il muro. Evitò di rispondere, altrimenti avrebbe solo inveito contro quei poveri innocenti operatori.
Era frustrante, cazzo. Era dalla sera prima che a ogni trillo gli veniva uno pseudo-attacco di panico. Jiwoo gliel’aveva fatto notare, ma essere consapevole della sua nevrosi non l’aveva in alcun modo aiutato a superarla, tutt’altro. Se possibile, ne aveva aumentato l’effetto.
- Hobi, tu hai bisogno di darti una calmata. Hai proprio bisogno di darti una calmata.
Quando il suo percorso casalingo lo portò al piano cottura, decise che era giunto il momento di prepararsi un tè. Aprì la credenza, ma il bollitore non era lì. Provò nello scola piatti, ma fece un altro buco nell’acqua. L’ultima possibilità era la lavastoviglie, ma il bollitore sembrava come scomparso.
Biscotti. Doveva cercare dei biscotti. Quelli con la confettura di mela dentro.
Cercò nella dispensa, per poi rendersi conto che non c’erano. All’inizio fu colto da smarrimento, poi però, ragionandoci meglio, due persone soltanto abitavano la casa, ed entrambe amavano quei biscotti.
Hoseok provava un affetto sconfinato per sua sorella, ma in quel momento avrebbe voluto prenderla a padellate.
Perché non a colpi di bollitore? Ah, già, quello è magicamente svanito nel nulla. Oppure sei talmente in ansia che non riesci a trovarlo. Anzi, forse i biscotti non li ha davvero finiti Jiwoo. Forse non li trovi per lo stesso motivo per cui non trovi il bollitore.
In quel preciso istante, il telefono squillò di nuovo. Hoseok, che stava ancora cercando in uno slancio di disperazione i biscotti con la confettura di mela, andò a sbattere contro l’anta aperta per correre verso il telefono. Ansia, speranza, paura e rassegnazione combatterono in lui a suon di cazzotti finché non prese in mano il telefono, e vide quel nome.
Taehyung.
- Hoseok calmati Hoseok calmati Hoseok calmati.
Quasi gli tremava la mano mentre, dopo aver ripetuto quel mantra ancora quattro o cinque volte, rispose alla chiamata.
- Pronto?
- Pronto, sono Tae, ciao.
- Ciao... come va?
- Ehm... abbastanza bene, tu?
Non fare finta di non sapere la risposta. – Tutto okay.
Seguirono alcuni secondi di silenzio imbarazzato, in cui Hoseok si mise a massacrarsi il labbro inferiore fino a farsi male.
- Cosa stavi facendo di bello?
Aspettavo questa chiamata, secondo te? – Niente di particolare... stavo cercando di farmi un tè, ma il bollitore sembra essere misteriosamente scomparso.
- Hai provato a controllare se era dietro la pentola, quella grande nel mobile in alto?
Oh. - In realtà no, aspetta che provo – rispose seguendo il suggerimento. Era lì. Stava per chiedergli come diavolo faceva a saperlo, ma la risposta era semplicemente che... se lo ricordava. Perché ogni volta che non trovava qualcosa in casa, Taehyung riusciva sempre in qualche modo a scovarla. Sorrise.
- Sì, era lì, grazie.
Ancora silenzio. In un certo qual modo, Hoseok riusciva a percepire che anche Taehyung, dall’altra parte della linea telefonica, stava sorridendo, magari rievocando i medesimi ricordi.
- Come stai?
- Te l’ho detto, abbastanza be...
- Cambio domanda: come stai davvero, in questo momento?
Dovette attendere qualche istante per la risposta. – Non lo so. Confuso. Curioso. Spaventato, in ansia, in colpa. Tu?
- Più o meno allo stesso modo – Hoseok stava davvero cercando il modo giusto per rivolgergli quella domanda, quella che aveva sulla punta della lingua, ma ovviamente gli uscì peggio di quanto volesse. – Alla fine hai deciso? Cioè, ci hai pensato?
Quei silenzi immobili iniziavano a frustrarlo. Un sì o un no. Nel secondo caso avrebbe cercato di farsene una ragione, davvero. Voleva sapere soltanto se il suo era un dannato sì o un dannato no.
Sentì un rumore secco, come se Taehyung avesse rotto qualcosa. – Senti... io... – Ti prego, ti prego, per favore – Domani pomeriggio sei occupato?
Ma non lo capisci che anche se dovessi andare a una riunione con la regina Elisabetta, Obama, il papa e il risorto Imperatore cinese darei buca a tutti pur di vederti e parlarti? – No, no, ho tutto il pomeriggio libero.
- Bene, allora ti va di venire a casa mia verso le quattro?
Se mi va? Ci verrei anche volando. – Certo, sicuro, domani alle quattro. Va bene.
- Okay, allora... ci vediamo domani?
- Ci vediamo domani, sì.
Quando chiusero la chiamata, Hoseok passò un paio di minuti a fissare lo schermo del telefono sorridendo come un cretino. Poi, come se si fosse risvegliato improvvisamente da un sogno, lanciò un urlo di gioia.
- Sì! Sì sì sì sì!
Lasciò che, per la prima volta dopo mesi, la felicità lo pervadesse come un fiume in piena, che scorresse nelle sue vene insieme al sangue. Guardò il bollitore, e si mise a ridere, accorgendosi in quel momento che non aveva trovato i biscotti perché il giorno prima lui e Jiwoo avevano deciso di toglierli dal sacchetto e metterli in un barattolo di vetro. Quel medesimo barattolo di vetro che aveva spostato per cercare il bollitore prima che Taehyung lo chiamasse.
- Jung Hoseok, sei proprio un idiota.
- Già, già, sono d’accordo. Lo sai che ti ho sentito urlare dalle scale?
Il ragazzo si voltò verso la porta d’ingresso, e vide la sorella fare la sua entrata in casa con un’espressione raggiante in viso.
- Allora, ti ha chiamato?
Il sorriso a trentadue denti di Hoseok parlava per lui, ma decise comunque di ribadire il concetto. – Sì, mi ha chiamato, e... oddio, ha detto che va bene! Domani pomeriggio ci vediamo a casa sua. Jiwoo, ci credi che sono così schifosamente felice che ti cederei anche tutti i biscotti alla mela?
- La situazione è tragicamente meravigliosa, allora!
Jiwoo corse verso il fratello, e lo abbracciò di slancio. – Sono così contenta, Hobi! Sono davvero tanto tanto contenta. – La ragazza premette il viso sul petto di Hoseok, e lui prese ad accarezzarle la schiena. La cosa che lo rese più felice, fu che il suo corpo ricordasse quei gesti, quelle tenerezze che c’erano sempre state tra lui e la sorella, e che credeva di aver dimenticato. A un certo punto, però, gli si accese la lampadina.
- E tu, invece? Hai ringraziato il tipo con i capelli rossi?
Jiwoo arrossì di colpo, ma il sorriso non abbandonò le sue labbra mentre si staccava dal fratello per poter parlare meglio. – Sì, alla fine ha preso un thriller di John Verdon. Sai che secondo me ce l’abbiamo da qualche parte in casa?
Hoseok ci pensò un attimo. – John Verdon, John Verdon... aspetta, torno subito. – Il ragazzo iniziò a dirigersi verso la libreria comune in soggiorno, poi si voltò. – Anzi, no, vieni anche tu, cerchiamo insieme.
No, quella decisione non era dettata solo dal fatto che “due teste sono meglio di una”, ed entrambi lo sapevano. Si lanciarono uno sguardo complice, poi si misero entrambi a cercare. Passò qualche minuto, poi Hoseok riemerse trionfante.
- Eccolo qui... si intitola “Pensa a un numero”, è quello che ha preso lui?
- No, lui ha preso “Peter Pan deve morire”. Credo che fosse l’ultimo uscito.
- Mh... – Hoseok girò il libro per leggere le note biografiche. – Questo è il suo romanzo d’esordio, l’ha pubblicato sei anni fa.
Jiwoo se lo fece passare e lo osservò attentamente. – Credo di averlo comprato l’anno scorso nel mucchio dei libri usati, ma poi devo essermene dimenticata.
- Be’, almeno stasera avrai qualcosa di interessante da fare – le disse Hoseok, ma Jiwoo posò il libro sul tavolino da caffè e puntò lo sguardo sul fratello.
- Nossignore, quel libro sarà indubbiamente meraviglioso, ma stasera io e te decidiamo come vestirti per domani. Non sarò un’esperta di moda, ma tu sei ancora più ignorante di me in materia, e io non lascerò che tu ti vesta come un barbone per vedere il tuo ragazzo.
- Ehi, io non mi vesto come un barbone, V non è più il mio... – tentò di replicare Hoseok, ma Jiwoo lo interruppe perentoria.
- Sh, lo tornerà tra meno di ventiquattro ore, quindi è come se lo fosse già. E adesso seguimi, abbiamo del lavoro da fare. Costi quel che costi, io ti renderò presentabile, cazzo se ti renderò presentabile!










Angolo autrice (parte 2):
Ah, finalmente! Dopo nove capitoli e troppe pagine di word, finalmente sti due si sono saltati addosso! Festeggiamo! Stappiamo lo champagne! E poi, vi prego, ditemi che amate Jiwoo almeno la metà di quanto la amo io. Perché io la adoro, amatela, vi prego. E, altra cosa: sì, avete capito bene: nel prossimo capitolo finalmente si scoprirà perché cacchio quella testa di rapa di Hoseok ha lasciato Taehyung. Potete iniziare con le congetture.
Altra cosa: volevo farlo già il capitolo scorso, ma lo faccio adesso perché sì: volevo ringraziarvi. Grazie per essere rimasti con questa storia fino quasi alla fine (mio dio, ancora due capitoli, aiuto, non sono pronta), e grazie per essere così tanti. Perché, voglio dire, c'è gente che ha più seguito, ma io sono contentissima, perché questa è la mia prima storia che è seguita da così tante persone. Vi voglio bene, a voi che recensite e anche a voi lettori silenziosi, perché anche senza le recensioni continuate a supportare questa storia.
Dai, l'agonia è quasi finita, non mollate! Fighting!!!
  
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