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Autore: Andrasil    17/01/2017    1 recensioni
Il mondo magico è sconvolto da un nuovo fenomeno, un'aberrazione che, agli occhi di tutti, deve essere contenuta, studiata e infine sradicata al più presto. Freya è una giovane maga da poco uscita da Hogwarts e dovrà affrontare la durezza della realtà quando verrà accusata di essere proprio quel mostro che la società magica teme.
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Salve a tutti,
Questo è il primo racconto che ho deciso di scrivere su efp, quindi sappiate che ogni commento è benaccetto. Probabilmente ho scelto di scriverlo su Harry Potter perché è uno delle storie con più fanfiction che abbia mai visto in vita mia; di conseguenza la mia storia sarà solo una piccola goccia nell’oceano.
Tuttavia, proprio a causa dell’elevato numero di fanfiction che sono state scritte su questo argomento, mi sento in dovere di fare alcune precisazioni:

1) Io tengo conto dei libri e non dei film laddove ci siano discrepanze (per esempio, anche se non comparirà nella mia storia, la Bacchetta di Sambuco attualmente si trova di nuovo insieme al cadavere di Albus Silente ed è assolutamente integra).
2) Non è una fiction amorosa. O meglio: forse i personaggi si innamoreranno, ma non ho inventato l’ennesima storia tra Harry e Draco Malfoy o chissà cos’altro.
3) Scrivo questa storia grazie a un’idea che ho avuto leggendo Animali Fantastici e dove trovarli, ma se per caso avessi scritto qualcosa di già raccontato vi prego di dirmelo.
 
Detto questo, aggiungo solo che ho scelto volontariamente di scrivere la storia utilizzando frasi molto brevi per rendere meglio la vicinanza dei pensieri della protagonista all’istinto animale e che spero vi appassioniate alla vicenda.
Andrasil.




Parte Prima:
Gli occhi di un mostro.
 
Due solchi di lacrime attraversavano il viso di Freya.
Il dolore delle manette era lancinante e quello che provava dentro lo era ancora di più; ma in quel momento non le riusciva di concentrarsi su altro che su quelle lacrime.
Sapeva che gli uomini che l’avevano circondata la sottovalutavano. Sarebbe bastato un secondo, un minuscolo istante in cui avesse lasciato uscire…quella cosa, e sarebbe finita. Ma se lo avesse fatto sarebbe diventata davvero quello che le stavano urlando addosso le persone che fino a poco tempo prima chiamava genitori, sorella, cugini…: un “Abomino.”
Le lacrime cadevano ancora dai suoi occhi quando le venne somministrata una pozione che le annebbiò i sensi sufficientemente da impedirle di muoversi di sua spontanea volontà, ma non abbastanza potente per impedirle di pensare o di percepire ciò che la circondava.
I maghi che l’avevano catturata, senza distogliere neppure per un secondo i loro occhi dalla sua faccia e le loro bacchette dal suo cuore, ringraziarono i suoi parenti per averla consegnata e la portarono via senza darle la possibilità di parlare o fare niente.
La strapparono alla sua vita per condurla all’inferno.
Le fu tolta la bacchetta che aveva comprato 10 anni prima a Diagon Alley e venne sondata da quelle di estranei, senza che questi ultimi provassero il minimo riguardo o il minimo imbarazzo.
Per loro non era più una ragazza, ma un’aberrazione da studiare.
Freya sapeva cosa stavano cercando e fu quasi con una punta di orgoglio che li vide indietreggiare davanti ai suoi occhi, la cui cornea riluceva di un innaturale color ramato; probabilmente avevano anche saputo dai suoi genitori che, dalla sua trasformazione, non mangiava altro che carne.
Ai loro occhi era un mostro.
Non che lei avesse fatto nulla di male: quella era la sua natura e i maghi avevano semplicemente paura di quella.
Le lacrime avevano oramai smesso di scendere dal suo viso quando, dopo averla analizzata e schedata, la costrinsero a impugnare una Passaporta.
Dopo il familiare strappo all’altezza dell’ombelico e pochi secondi in cui ogni cosa le vorticò intorno, di fronte ai suoi occhi si dipinse un panorama inquietante.
Sapeva dell’esistenza di quel luogo, la Piana Nera, ed era anche a conoscenza della natura della valle che le si apriva davanti; ma vederlo con i suoi occhi era completamente diverso. Le avevano detto che la Piana era resa inaccessibile ai curiosi grazie a numerosi incantesimi, ma sembrava che i maghi oscuri che secoli prima avevano deciso di stabilirsi in quel luogo l’avessero resa irraggiungibile anche alla luce e al calore: ogni cosa era grigia e tetra, e persino gli edifici erano dello stesso colore spento; o forse avrebbe dovuto dire l’edificio.
Davanti a lei, oltre le teste della ventina di maghi in abito nero che le puntava le bacchette contro, vide un'unica costruzione, larga e bassa, dall’aspetto molto simile a una prigione. Troppo simile a una prigione.
Si sentiva svuotata di tutte le emozioni. Non era sicurase fosse a causa della consapevolezza che non sarebbe mai tornata alla sua vecchia vita o dell’aspetto e degli incantesimi della valle. Probabilmente entrambi.
Freya camminò insieme ai maghi in nero fino alla massiccia porta di metallo e, sebbene le sembrasse fin troppo simile alla marcia di un uomo verso il patibolo, un minuscolo particolare le si insinuò nella mente, come un’unica nota stonante in un perfetto requiem: anche con la mente annebbiata e senza bacchetta, i maghi intorno a lei la temevano. Fraya non sapeva se loro sguardi fossero spaventati o le loro mani tremassero, ma grazie ai suoi nuovi sensi era in grado di percepire il loro sapore sulla lingua. Ognuno di loro aveva il sapore del terrore. Erano intelligenti dopotutto.
Si girò un’ultima volta a guardare fuori, forse sperando di vedere qualcosa che la consolasse, ma il grigio paesaggio rispose al suo sguardo con indifferenza.
Freya allora chiuse gli occhi per assumere un aria impassibile che non tradisse il suo dolore, dopodiché entrò nella prigione e la porta si richiuse silenziosamente alle sue spalle.
 
 
 
I corridoi della struttura erano tutti uguali: lunghi e cilindrici tubi trasparenti sulle cui pareti si aprivano sempre due porte per lato, anch’esse trasparenti.
Sembrava un enorme acquario.
Mentre la conducevano dentro, Freya aveva provato a ricordare il percorso, ma presto le era stato chiaro che in quel labirinto era impossibile orientarsi in una sola volta.
E, dopotutto, la sua concentrazione era stata presto assorbita completamente da ciò che vide attraverso le pareti trasparenti.
La maggior parte delle stanze erano vuote e spoglie, provviste solo di un letto di metallo inutilizzato; ma, mentre si avvicinavano al centro della struttura e si allontanavano dall’uscita, in alcune celle Freya vide delle persone.
Per la prima volta in vita sua incontrò altri Abomini.
Ne contò quattro.
Il primo ad apparirle fu un vecchio assai malconcio sdraiato su un letto di metallo; si era alzato mentre la ragazza e i suoi carcerieri passavano lentamente davanti alla sua stanza e i suoi tristi occhi acquosi si erano fissati in quelli apatici di lei.
La ragazza era rimasta un po’ sorpresa da quello sguardo; ma nel corridoio successivo rischiò di dimenticarsi del vecchio grazie al secondo Abominio che vide.
Un ragazzo poco più grade di lei sedeva immobile a gambe incrociate al centro di una cella quasi completamente piena d’acqua che accentuava la somiglianza del posto con un acquario. Inizialmente Freya pensò che potesse respirare sott’acqua, ma dalla bocca del giovane non uscivano bolle d’aria; sembrava in tutto e per tutto morto finché, nel momento esatto in cui passavano davanti alla porta, aprì di scatto i grandi occhi di un blu profondissimo e si slanciò contro la parete trasparente battendo contro di essa un pungo.
La ragazza distolse lo sguardo. Temeva di non riuscire a mantenere la sua aria impassibile ancora per molto osservando l’espressione di odio profondo sulla faccia di quel ragazzo, ma per fortuna in poco tempo superarono la cella e si spostarono in un nuovo corridoio.
Gli ultimi due Abomini che le apparvero avevano le celle una di fronte all’altra ed erano talmente simili da essere certamente fratelli. Anche loro erano giovani.
A destra del corridoio vi era un ragazzo anche più piccolo di lei, la faccia era affilata e intelligente e i capelli biondi avevano strani riflessi violetti; il naso era stato rotto almeno una volta e aveva una forma un po’ contorta che stonava decisamente con l’eleganza di quella figura.
A sinistra invece, una ragazza ugualmente bionda e poco più grade dell’altro fissava i carcerieri con uno sguardo astuto e beffardo, ma le rivolse un cenno col capo quando i loro occhi si incrociarono. Sulle guance aveva degli strani nei, stretti e allungati.
Istintivamente Freya provò un senso di appartenenza nei confronti di quelle persone, qualcosa che non aveva mai provato prima nella sua vita; ma, appena si rese conto di cosa stava pensando, represse repentinamente l’emozione. Anche se gli altri la consideravano un Abominio, lei non avrebbe mai lasciato che gli istinti prevalessero in lei.
Superato il corridoio dei due fratelli, le guardie si fermarono davanti a una nuova stanza identica a tutte le altre, aprirono la porta trasparente e la fecero entrare, chiudendo poi la stanza con un incantesimo che Freya non udì a causa dell’insonorizzazione della cella.
Con uno sguardo triste, la ragazza contemplò la sua nuova casa. Decise che le piaceva: era completamente vuota, esattamente come lei in quel momento.
Esattamente come lei da quel momento.
 
 
 
Chiusa nella sua stanza, Freya guardava il soffitto con occhi distanti.
Sapeva di avere una predisposizione naturale ad essere un Animagus grazie ai suoi genitori.
Dopo che Harry Potter aveva deciso di raccontare la sua storia al mondo ed era stato pubblicato il libro “I Racconti dei Malandrini”, si era venuta a creare nel mondo magico una sorta di moda incentrata sugli Animagi: improvvisamente il Ministero della Magia aveva dovuto registrare una quantità spropositata di maghi e streghe che dicevano di sapersi trasformare in animali senza bisogno della bacchetta; il guaio era che molti ci riuscivano davvero.
Eppure, se per il Ministero quello era stato un problema, non era niente in confronto alla scoperta che da un genitore Animagus nasceva quasi sicuramente un figlio con la propensione alla trasformazione in un animale diverso. E quello era ancora un problema di poco conto se paragonato all’apparizione del fenomeno che aveva sconvolto il mondo della magia: avevano cominciato a nascere gli Abomini, ovvero maghi capaci di trasformarsi in creature magiche.
Freya sapeva che quando un mago si trasformava in un animale, alcune delle sue caratteristiche si potevano notare in esso e alcune di quelle dell’animale era come se rimanessero addosso al mago. Moltissime volte aveva notato che i capelli di sua madre avevano un colore simile a quello del pelo della volpe in cui si trasformava. Ovviamente la semi-trasformazione non era un problema finché comprendeva degli animali normali, ma le creature magiche erano tutto un altro paio di maniche.
Innanzitutto gli Abomini, questo era il nome ufficiale di questi particolari Animagi, spesso ricevevano dall’animale magico qualcosa di più che alcuni tratti fisici: potevano mutare fisicamente o cambiare abitudini, alcuni di essi diventavano molto aggressivi o violenti. Poi bisognava tenere conto che pian piano gli istinti animaleschi prendevano il sopravvento, rendendoli sempre più selvaggi e pericolosi. In aggiunta a tutto questo, spesso gli animali magici sono molto più pericolosi di quelli normali e uno di essi col cervello di un mago diventava terribilmente instabile.
Freya si ricordava la sua prima trasformazione: era stata la sensazione più strana che avesse mai provato, come se l’animale fosse il suo vero corpo e l’umano solo un involucro esterno; come se si fosse liberata di una vecchia pelle troppo stretta per lei e avesse finalmente riacquistato le sue vere sembianze. Aveva riso dentro di se, aveva spiegato le ali al sole e aveva volato come se non avesse mai fatto altro nella vita.
Poi però aveva dovuto tornare umana, un passaggio insolitamente difficile che aveva richiesto un grande sforzo di volontà. Si sentiva libera nell’altro corpo, molto di più di quanto non si fosse mai sentita nella sua vita e rinunciarvi era stato per lei una grade privazione.
Ma non era stato quello l’unico motivo.
La verità era che per un momento aveva davvero voluto abbandonare la sua vita umana. Aveva percepito un istinto che la spingeva a volare ancora più in alto, talmente alta da lasciare alle spalle tutta la vita passata e iniziarne una nuova, limpida e selvaggia come il cielo sopra di lei.
La sola cosa che l’aveva trattenuta era stato il pensiero di tutti coloro ai quali voleva bene. Non poteva lasciare anche loro indietro; li amava troppo.
Questo pensiero, il più umano che aveva avuto dopo la trasformazione, l’aveva aiutata a riprendere il controllo; ma, una volta tornata in forma umana, aveva riflettuto su quello che le era successo.
Per la prima volta in vita sua aveva conosciuto la vera paura. Nello specifico, aveva avvertito quella gelida sensazione che nasce nel momento in cui ci si rende conto che qualcosa può sottrarre il proprio corpo al controllo della mente.
Ne era stata terrorizzata.
Ovviamente aveva giurato di non trasformarsi più, di fingere di non essere mai riuscita a diventare un Animagus, ma non era servito. I suoi gusti, il suo fisico, i suoi modi addirittura erano irreversibilmente cambiati e i suoi parenti lo avevano notato.
Ed era stato allora che Freya aveva commesso il più grave degli errori della sua vita. Si era affidata a loro.
 
 
 
Dopo una settimana passata in quella sorta di prigione-acquario, Freya si abituò completamente alla routine del luogo. L’illuminazione magica imitava il giorno e la notte, così le era possibile continuare a tenere il conto del tempo.
Due volte al giorno doveva appiattirsi contro la parete sul lato opposto della porta mentre i carcerieri le portavano i pasti e, come supponeva, non vide mai altro che non fosse carne. Ma questo non era una grande limitazione. Le venne portato ogni tipo di carne che lei conoscesse e anche molti che non conosceva, e le venne propinata ogni cottura possibile e immaginabile; probabilmente volevano vedere se aveva gusti particolari, ma lei mangiò sempre tutto.
Una sera le portarono della carne cruda.
Freya decise che non l’avrebbe mangiata, ma la mattina dopo i carcerieri la trovarono rannicchiata per terra con la bocca e le mani ancora sporche di sangue rappreso. Ovviamente chiunque dopo un po’ di tempo mangerebbe qualsiasi cosa, ma quella notte non era stata sufficiente a risvegliare nella ragazza un appetito tale da costringerla a farlo; piuttosto era stato una sorta di automatismo a muoverla. Un istinto.
Oltre alle volte che le portavano il cibo, ogni giorno entravano nella sua camera due maghi che non facevano altro che porle delle domande e puntarle contro le bacchette mormorando nelle pause strani incantesimi. Freya non rispose mai a quello che le chiedevano, ma questo non sembrò cambiare molto nei carcerieri, che smisero semplicemente di usare la bocca per dire altro che non fossero gli incantesimi.
Dopo un paio di giorni, Freya iniziò a cercare di capire la struttura della sua prigione, ma non era un’impresa facile. Sapeva che, quando l’avevano portata dentro la sua cella erano venuti dalla sua destra e che ogni volta che le persone arrivavano nella sua stanza, o ne uscivano, ritornavano in quella direzione. Freya suppose che lì ci fossero i loro alloggi.
Il corridoio sul quale si affacciava la sua cella era identico a tutti quelli che aveva visto quando era entrata; esattamente di fronte a lei si trovava una stanza identica alla sua, ma vuota. L’assenza di una parete opaca le faceva provare un senso di insicurezza terribile, ma probabilmente era così che doveva essere. Infondo quelle in cui si trovava erano più gabbie per animali che celle.
Dentro quella prigione, Freya non era altro che uno strano animale in uno zoo. Nessuno si curava di lei se non per ricerche scientifiche e la sua vita proseguiva monotonamente, lentamente, inesorabilmente.
Soltanto una cosa destava la sua attenzione: circa una volta ogni due giorni vedeva passare davanti alla sua cella, da destra verso sinistra, un gruppo di circa sette carcerieri e un Abominio. Quella era l’unica volta in cui qualcuno si muoveva verso la sinistra della cella di Freya e questo la incuriosiva, ma la interessava ancora di più il fatto che gli Abomini che passavano non fossero sempre gli stessi.
Freya vide molte volte la ragazza bionda con i nei allungati e molto meno quello che credeva fosse suo fratello. Raramente compariva anche il vecchio. Non vide mai il giovane nella cella piena d’acqua. Ogni volta gli Abomini avevano le mani legate a un carrello nero e le bacchette dell’intero gruppo puntate al cuore.
Una sera accadde un fatto insolito che radicò la curiosità nella ragazza: aveva appena finito di cenare quando vide il solito gruppo passare davanti alla sua cella; tuttavia non erano accompagnati da nessun Abominio e Freya comprese dalle loro espressioni che erano preoccupati.
Poco dopo capì in parte perché lo fossero. Erano passati non più di cinque minuti che due membri del gruppo passarono correndo davanti alla sua porta, seguiti da un terzo che si appoggiava a una sbarra di metallo a causa del moncherino sanguinante che aveva dove pochi minuti prima camminava una normalissima gamba destra. Nessun’altro del gruppo tornò indietro.
   
 
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