La
storia di Jun
È
mattina presto, lo
scenario che si
staglia davanti a noi è quello di una stazione ferroviaria,
ai limiti di un
bosco rigoglioso. Il treno sorge in mezzo la foresta, dividendola a
metà,
spaccandola, emergendo dalla dura terra sulla quale ormai non
crescerà più
niente. Una donna, alta, lisci capelli neri che le cadono sulle spalle,
legati
da uno sfilacciato nastro bianco, sta in piedi sotto un cartello che
dice
“STAZIONE DI YAKUSHIMA”. Indossa un dei pantaloni
neri al ginocchio ed un gilet
bianco. Osservandola bene, si può notare che ha
l’aria davvero stravolta, con i
vestiti impolverati e la faccia triste. Quella donna si chiama Jun
Kazama, e
sta così male perché ha scoperto una
verità troppo scomoda. Una verità che fa
male.
Ieri
Jun stava facendo la doccia. Da sola, nella sua tranquilla camera
d’albergo, si
stava rilassando sotto il perpetuo getto d’acqua calda. Si
era buttata sotto la
doccia sperando di calmare l’impetuoso flusso dei suoi
pensieri. Era infatti da
un paio di giorni che non si sentiva tanto bene. Vomito e nausea erano
i
sintomi più ricorrenti. Jun aveva incominciato a pensare, a
farsi la sua idea.
E non era una bella idea.
Per
questo, nel pomeriggio Jun era uscita di casa per recarsi
immediatamente in
farmacia. Ed ora era lì, nella doccia, sotto
quell’infinita pioggia bollente,
che stringeva quel dannato test di gravidanza in mano.
l’aveva già fatto, ma
non aveva il coraggio di scoprire il risultato. Incominciò a
pensare.
“È
negativo” si diceva. Ma poi prendendo coraggio aveva
guardato. Altro che esito
negativo.
Jun
aspettava un bambino.
Immobile,
con il test di gravidanza in mano e gli occhi sbarrati, Jun se ne stava
rannicchiata in posizione fetale, seduta sul freddo marmo del pavimento
della
doccia. L’acqua cadeva sulla sua testa bagnandole i capelli,
raggiungendo la
faccia, formando lacrime d’acqua sul suo viso terrorizzato.
Ormai il mistero
era risolto. Jun non aveva la più pallida idea di che fare.
Non sapeva se l’avrebbe
tenuto, se avrebbe dovuto abortire... le piacevano i bambini, ma averne
uno
tutto suo… come sarebbe stato allevarne uno? Doveva smettere
si combattere, di
partecipare a tornei come il tekken? La testa le girava e gli occhi
spalncati
le bruciavo per via dell’acqua bollente che gli scorreva
sopra. Non era
possibile. Un bambino. Il figlio di Kazuya Mishima.
“E adesso?” pensò Jun, e dischiuse leggermente la mano lasciando cadere il test di gravidanza.