Capitolo 8: The demons from my dreams
Would you fall give it all
Would you give it all for me
Suckerpunch the demons from
my dreams
Would you fall give it all
Would you give it all for me
Get out of my dreams!
(“Suckerpunch”
– Delain)
La
situazione alla reggia di Napoli sembrava essersi almeno in parte stabilizzata
e, con tutte le dovute cautele del caso, il Principe Alfonso cominciava a
sentirsi un po’ più tranquillo. Si comportava sempre bene, era rispettoso e
condiscendente con Sua Maestà e il Generale gli aveva giurato che non avrebbe
mai più permesso che gli venisse fatto del male. Insomma, non era la vita che
aveva sempre sognato, ma nemmeno l’incubo che aveva vissuto quella notte
terrificante. Forse si sarebbe anche potuto abituare…
Ma
non era destino che il Principe potesse stare in pace, nonostante tutto il suo
impegno. Una sera, durante una cena, Re Carlo disse qualcosa che trasformò in
veleno tutto quello che Alfonso aveva mangiato fino a quel momento.
“Siamo
qui a Napoli ormai da più di cinque mesi” dichiarò, “riteniamo dunque sia
giunto il momento di tornare in Francia almeno per qualche tempo. Dovremo
designare un reggente che governi il Paese in nostra assenza prima di poter
tornare qui.”
L’affermazione
del sovrano lasciò talmente sbalordito il Principe da fargli cadere di mano la
posata, che tintinnò rumorosamente nel piatto. Era vero? Erano passati già
tanti mesi? Alfonso non era certo riuscito a tenerne il conto, con tutte le
cose terribili e sconvolgenti che gli erano accadute: a volte pensava che
fossero trascorsi anni, se ricordava la vita che conduceva prima dell’arrivo
dei Francesi; altre volte tutto sembrava una sorta di incanto, un malvagio
sortilegio che aveva tramutato settimane e mesi in pochi giorni. Ma il Re aveva
ragione: l’atroce notte delle torture era stata quella tra il 25 e il 26 di
giugno e adesso ci si avviava verso dicembre…
Tuttavia
non era stata la consapevolezza dello scorrere del tempo a turbare tanto il
giovane Principe, quanto la dichiarazione del sovrano di voler tornare in
Francia.
Sarebbe
stato da sciocchi sperare che Re Carlo potesse lasciare lui, Alfonso, come
reggente del Regno di Napoli in sua assenza e il ragazzo aveva imparato presto
che non era il caso di illudersi quando si trattava del sovrano di Francia.
Perciò questo cosa significava? Ovvio, che Alfonso, in quanto prigioniero del
Re, avrebbe dovuto seguirli in Francia.
Il
solo pensiero lo agghiacciava.
In
Francia! Come avrebbe mai potuto sopportare di vivere in un Paese straniero, in
mezzo a nemici, prigioniero e ancor più soggetto a ogni capriccio di Sua
Maestà? Certo, sapeva bene che era in sua balìa anche a Napoli, ma quella era
pur sempre la reggia dov’era nato e cresciuto e, pur avendo perso ogni punto di
riferimento, si sentiva a casa, in
una situazione precaria e angosciante, sì, ma a casa, l’unica che avesse mai
conosciuto.
Non
voleva andare in Francia, no!
“Vostra
Altezza, pensate che sia prudente abbandonare in questo momento il Regno di
Napoli? Qualcuno dei vostri nemici, come gli Sforza, potrebbe approfittarne”
intervenne il Generale, che aveva notato il turbamento del Principe ma senza
comprenderne il motivo.
“Naturalmente
il reggente che sceglieremo dovrà essere un uomo di cui potersi fidare
completamente, inoltre lasceremo in difesa della reggia una parte del nostro
esercito e dei nostri cannoni. Nessuno oserà avvicinarsi se ci tiene alla
vita!” rispose il Re con un ghigno.
A
quelle parole, la speranza ritornò nel cuore del Principe Alfonso: se Re Carlo
avesse scelto il Generale come reggente del Regno di Napoli, allora anche lui
sarebbe potuto restarvi come ostaggio, non sarebbe stato costretto ad andare in
Francia!
“Avete
un uomo di cui vi fidate così tanto, Vostra Maestà?” domandò il dottore che, in
cuor suo, sperava che potesse essere proprio il Principe a reggere il Regno in
assenza del sovrano francese. Chissà, magari il Re avrebbe potuto trovare
qualche ostacolo e non ritornare a Napoli per anni e il Principe avrebbe
riottenuto ciò che gli spettava di diritto.
“In
realtà noi ci fidiamo totalmente soltanto del nostro Generale” replicò il Re,
accennando all’uomo che chinò la testa in segno di ringraziamento per quelle
parole. “Tuttavia, è talmente importante per noi che non potremmo mai
privarcene per tutta la durata del nostro viaggio in Francia. Perciò dovremo
trovare qualcun altro, riflettendo bene sulla scelta da compiere.”
“Se
mi è concesso esprimere la mia opinione” esordì, timoroso, il giovane Principe,
con una vocina che si sentiva appena, “ritengo che nessuno valga quanto il Generale
e che meriterebbe questo onore…”
“In
realtà non ti era affatto concesso esprimere la tua opinione, che consideriamo
inutile e sciocca” lo rimbeccò il Re, sogghignando soddisfatto nel vedere
quanto la sua risposta secca avesse terrorizzato il ragazzo. “Comunque ormai
l’hai detta… E’ vero, il Generale meriterebbe questo onore, ma, come abbiamo
appena sottolineato, ci è indispensabile anche come comandante dell’esercito
durante il viaggio di ritorno in Francia. Dov’eri tu quando lo abbiamo
spiegato, dormivi, caro Principe?”
“Purtroppo
è così: i nemici di Sua Maestà potrebbero decidere di attaccarci proprio
durante il viaggio” convenne il Generale.
L’ultima
speranza di Alfonso era svanita. Il povero Principe, disilluso ancora una
volta, parve accasciarsi sul tavolo. L’angoscia che lo invase era talmente
forte da causargli un attacco di nausea e il giovane allontanò da sé il piatto
ancora colmo.
“Oh,
ti è passato l’appetito, mio Principe?” lo schernì il Re francese. “O forse… ma
certo, magari ti eri illuso che noi potessimo scegliere te come reggente? Se è così, sei ancora più sciocco di quanto
sembri!”
Il
ragazzo aveva allungato una mano per prendere la coppa di vino, sperando che un
sorso potesse aiutarlo a sentirsi meglio ma, quando udì l’ultima cattiveria del
sovrano, la mano gli tremò, le dita urtarono la coppa che rotolò sulla tavola,
spargendo vino tutto attorno.
“Ma
insomma!” sbottò Re Carlo, sbattendo il pugno sul tavolo. “Se non sei nemmeno
capace di stare a tavola come si deve, allora alzati e vattene a rinchiuderti
nelle tue stanze… oppure dovresti cenare nella sala da pranzo di tuo padre,
forse?”
Il
Re e tutta la sua corte, esclusi il Generale e il dottore, scoppiarono a ridere
sguaiatamente mentre il povero Alfonso, pallido e tremante e con gli occhi
pieni di lacrime, si alzava velocemente da tavola e si allontanava barcollando.
“Vostra
Maestà, forse il Principe si sente male” osò intervenire il dottore. “Chiedo il
vostro permesso per accompagnarlo in camera.”
“No!
Non hai il nostro permesso!” replicò malignamente il sovrano. “Se quell’idiota
non è capace di arrivare in camera da solo, che si arrangi!”
Il
Generale, dal canto suo, sapeva che non era il caso di infastidire il Re quando
era di quell’umore. Cercò dunque di terminare la sua cena il più velocemente
possibile per poi trovare una scusa per lasciare la tavola e andare in cerca
del ragazzo.
“Mio
sovrano, vi chiedo il permesso di ritirarmi” disse. “Come avete detto voi, è
necessario organizzare una parte dell’esercito affinché rimanga qui a difendere
il Regno in vostra assenza e io vorrei iniziare ad occuparmene fin d’ora.”
“Sì,
e sicuramente andrai anche ad accertarti delle condizioni del tuo Principino…”
commentò il Re, mellifluo. “Ma, finché compi i tuoi doveri in maniera
soddisfacente per noi, non ci occupiamo di quello che puoi fare in camera da
letto… Hai il permesso di ritirarti.”
“Vi
ringrazio, Vostra Maestà” rispose il Generale con un inchino, affrettandosi poi
a uscire dal salone per andare in cerca del Principe Alfonso.
Attraversò
il corridoio e si diresse alle scale che portavano alle stanze del piano
superiore. A guardia delle scale c’era un soldato e il Generale si rivolse a
lui.
“Hai
visto il Principe Alfonso salire in camera? Stava bene?” gli domandò.
La
guardia sembrò sorpresa.
“Sì,
ho visto il Principe, ma non era diretto alle scale” rispose. “Ha attraversato
quel corridoio sulla sinistra e credo che abbia imboccato la scala che scende
nelle segrete.”
Nelle segrete? E
cosa diamine andrebbe a fare il Principe nelle segrete di sua spontanea
volontà? A meno che…
Alfonso
era nato e cresciuto nella reggia di Napoli e, dunque, ne conosceva ogni
segreto. Sapeva che, attraversate le terribili camere di tortura che gli
avevano causato tante sofferenze e tanti incubi, sarebbe giunto ad un cancello
di ferro che dava su un passaggio scavato nella roccia e che conduceva alla
spiaggia; aveva già sfruttato quel passaggio quando era fuggito la prima volta
dal castello alla notizia dell’imminente invasione francese. Il ragazzo evitò
deliberatamente di soffermarsi sul fatto che quel tentativo era già una volta
finito in tragedia: l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che non poteva
restare lì, in balìa di quel Re folle e crudele che si ingegnava a escogitare
sempre nuovi metodi per tormentarlo né, tantomeno, farsi portare in Francia
dove non avrebbe avuto più alcuna via d’uscita. Il cancello di ferro era chiuso
a chiave, ovviamente, per impedire l’ingresso a sicari o a briganti, ma la
chiave era nascosta in una nicchia scavata nella pietra, alla destra del
cancello, permettendo così a chiunque lo desiderasse di uscire indisturbato
dalla reggia.
Il
Principe, sicuro, mise la mano nella nicchia e… la trovò vuota.
Non è possibile,
non può essere, la chiave deve essere qui, c’è sempre stata… la volta scorsa
era qui, l’ho usata io stesso!
In
preda all’angoscia, infilò di nuovo la mano nell’apertura, esplorandola più
attentamente, ma non c’era nessuna chiave. Forse era caduta a terra? Il
Principe si inginocchiò sul pavimento umido e gelido e iniziò freneticamente a
cercare tutto intorno, alla fievole luce di una torcia, perlustrando ogni
centimetro del terreno con le mani, mentre un panico gelido si faceva strada
dentro di lui e iniziava ad attanagliargli il cuore.
“Hai
perso qualcosa, Principe?” la voce del Generale, alle sue spalle, lo fece
sobbalzare.
Alfonso
cercò di alzarsi in piedi, ma era tale la sua paura che le gambe non lo ressero
e rimase inginocchiato sulle gelide pietre.
Il
Generale teneva in mano un’altra torcia e lo guardava con una strana
espressione dipinta sul volto.
“Sei
davvero un ragazzino ingenuo, Principe” gli disse, scuotendo il capo. “Pensavi
forse che il comandante dell’esercito francese non avesse esplorato ogni parte
della reggia quando il Re vi si è stabilito? Ho perlustrato il castello da cima
a fondo per accertarmi che non vi fossero nascondigli o passaggi segreti in cui
potessero appostarsi dei nemici e, quando ho trovato questo cancello, ho anche
capito come avevi fatto tu a fuggire senza che nessuno ti vedesse. Immagino che
stessi cercando questa…”
Così
dicendo, scostò un lembo del mantello di pelliccia che indossava, rivelando un
grosso anello di ferro con una chiave appesa che adesso pendeva alla sua
cintura, accanto all’elsa della spada. A quella vista, Alfonso sembrò ritirarsi
ancora di più in se stesso, quasi volesse passare attraverso le sbarre del
cancello ormai inutile.
Il
Generale si sedette su un gradino di pietra e fissò il giovane Principe con
aria delusa.
“Non
ti rendi neanche conto di quello che hai fatto, vero?” gli chiese in tono calmo
e pacato, ma nel quale si poteva udire una punta di preoccupazione. “Hai solo
una vaga idea di ciò che ti sarebbe accaduto se, invece di me, fosse stata una
delle guardie a trovarti mentre tentavi ancora una volta la fuga? Saresti stato
trascinato al cospetto del Re e lui… non so come avrebbe potuto reagire, ma lo
posso immaginare.”
Alfonso,
atterrito al solo pensiero, cominciò a piangere silenziosamente.
“Hai
rischiato grosso e la cosa peggiore è che non riesco nemmeno a capire perché tu
lo abbia fatto” riprese il Generale. “Credevo di averti rassicurato sul fatto
che ti proteggerò sempre e credevo anche di potermi fidare di te… sinceramente
non mi aspettavo che avresti tentato di fuggire ancora una volta.”
Il
tono del Generale e la sua voce non lasciavano trapelare rabbia o indignazione,
bensì una genuina apprensione, quasi fosse stato un padre che rimproverava il
figlio monello. Il Principe cominciò a piangere ancora più forte perché, oltre
a tutto il resto, si rendeva conto di aver scontentato l’unica persona che
tenesse veramente a lui e che gli avesse dimostrato affetto. L’uomo si avvicinò
al giovane, lo aiutò ad alzarsi, lo fece sedere accanto a sé sul gradino e gli
circondò le spalle con un braccio, attirandoselo al petto.
“Non
vuoi dirmi perché stavi cercando di fuggire, Principe Alfonso?” gli chiese,
pazientemente.
“Io…
io… avevo paura di essere portato in Francia!” rispose il ragazzo tra un
singhiozzo e l’altro. “Non ci voglio andare, non voglio!”
Stupito,
il Generale lo prese per le spalle e se lo pose davanti per poterlo vedere bene
in faccia.
“Dici
sul serio? E perché? Per te non cambierebbe niente, saresti nostro ostaggio là
esattamente come lo sei qui, nessuno ti farebbe del male, non saresti
incarcerato…” l’uomo era veramente allibito.
“Ma
qui sono nato e cresciuto, questa è la mia casa!” esclamò il Principe,
disperato. “Cosa potrei mai fare in un Paese sconosciuto, in mezzo a nemici,
dove tutto mi è estraneo…?”
Una
grande e profonda tenerezza invase il cuore del Generale, che strinse forte a
sé il giovane Principe e lo baciò a lungo, accarezzandogli i capelli.
“Sei
davvero un povero piccolo Principe senza Regno…” commentò poi, avvolgendolo in
un abbraccio. “In Francia rimarresti quello che sei ora, il Principe Alfonso II
di Napoli, sconfitto da Sua Maestà Re Carlo e suo ostaggio. Tutti saprebbero
che hai rinunciato al tuo trono e che adesso sei sotto la mia custodia, come
mio protetto… e mio amante.”
“Eh?”
fece il giovane, pensando di aver capito male l’ultima parola.
“In
Francia i costumi sono molto più liberi che da voi” spiegò con noncuranza il Generale,
“anzi la corte francese è considerata una delle più licenziose d’Europa, là
praticamente ogni nobiluomo, nobildonna o sovrano ha dei favoriti e delle
favorite e a nessuno interessa. Non devi preoccuparti per queste cose, anzi,
sono sicuro che la Francia ti piacerà moltissimo e che la corte francese ti
lascerà senza fiato. In confronto alla corte di Napoli è immensa e molto più
sfarzosa!”
Lentamente,
il Generale aiutò Alfonso a rimettersi in piedi e poi, insieme, salirono le
scale, lasciando le segrete per rientrare ai piani nobili della reggia.
“Io…
non sono mai uscito dal Regno di Napoli” ammise il Principe, ancora titubante.
“Appunto.
Sono certo che vedere la Francia sarà un’esperienza molto emozionante per te”
lo incoraggiò il Generale. “Io non ti lascerò mai solo e non dovrai temere
niente.”
Confuso,
il Principe si lasciò condurre nella stanza che condivideva con il Generale e,
ancora una volta, si lasciò docilmente prendere e dominare da lui, consapevole
del fatto che, comunque fosse, quell’uomo rappresentava ormai il suo punto di
riferimento e il suo appoggio solido e sicuro in mezzo alle macerie che
restavano del suo mondo di un tempo.
Il
Generale era la sua sola sicurezza e salvezza.
FINE