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Autore: Abby_da_Edoras    24/01/2017    3 recensioni
Dunque, chi legge le mie storie sa già che non sono normale XDDD e che da un piccolo dettaglio posso inventare deliri allucinanti, soprattutto quando mi prendo a cuore un personaggio e voglio salvargli la vita a tutti i costi.
La mia storia a capitoli (sì, perché ci ho fatto proprio una long con questa vicenda...) si intitola "Shadows and lights" e trae la sua "ispirazione" (vabbè, chiamiamola così...) dalla puntata 02X01 della serie TV The Borgias versione canadese: la parte di me che entra in empatia con i personaggi più improbabili è rimasta sconvolta dalla vicenda tragica del Principe Alfonso di Napoli torturato a morte dai francesi. Ecco, io mi sono creata una versione personale di tale vicenda (approfittando del fatto che, tutto sommato, quel personaggio è una licenza poetica e non è realmente esistito, così come la sua storia) e da questo è nata la ff. Stiamo parlando di AU, OOC e quant'altro, grazie a chi si prenderà la pena di leggere le mie allucinazioni e non siate troppo severi con me, lo so anch'io che sono da neurodeliri!
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alfonso II di Napoli, Altri
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Salvation'
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Capitolo 8: The demons from my dreams

 

 

Would you fall give it all

Would you give it all for me

Suckerpunch the demons from my dreams

Would you fall give it all

Would you give it all for me

Get out of my dreams!

(“Suckerpunch” – Delain)

 

 

La situazione alla reggia di Napoli sembrava essersi almeno in parte stabilizzata e, con tutte le dovute cautele del caso, il Principe Alfonso cominciava a sentirsi un po’ più tranquillo. Si comportava sempre bene, era rispettoso e condiscendente con Sua Maestà e il Generale gli aveva giurato che non avrebbe mai più permesso che gli venisse fatto del male. Insomma, non era la vita che aveva sempre sognato, ma nemmeno l’incubo che aveva vissuto quella notte terrificante. Forse si sarebbe anche potuto abituare…

Ma non era destino che il Principe potesse stare in pace, nonostante tutto il suo impegno. Una sera, durante una cena, Re Carlo disse qualcosa che trasformò in veleno tutto quello che Alfonso aveva mangiato fino a quel momento.

“Siamo qui a Napoli ormai da più di cinque mesi” dichiarò, “riteniamo dunque sia giunto il momento di tornare in Francia almeno per qualche tempo. Dovremo designare un reggente che governi il Paese in nostra assenza prima di poter tornare qui.”

L’affermazione del sovrano lasciò talmente sbalordito il Principe da fargli cadere di mano la posata, che tintinnò rumorosamente nel piatto. Era vero? Erano passati già tanti mesi? Alfonso non era certo riuscito a tenerne il conto, con tutte le cose terribili e sconvolgenti che gli erano accadute: a volte pensava che fossero trascorsi anni, se ricordava la vita che conduceva prima dell’arrivo dei Francesi; altre volte tutto sembrava una sorta di incanto, un malvagio sortilegio che aveva tramutato settimane e mesi in pochi giorni. Ma il Re aveva ragione: l’atroce notte delle torture era stata quella tra il 25 e il 26 di giugno e adesso ci si avviava verso dicembre…

Tuttavia non era stata la consapevolezza dello scorrere del tempo a turbare tanto il giovane Principe, quanto la dichiarazione del sovrano di voler tornare in Francia.

Sarebbe stato da sciocchi sperare che Re Carlo potesse lasciare lui, Alfonso, come reggente del Regno di Napoli in sua assenza e il ragazzo aveva imparato presto che non era il caso di illudersi quando si trattava del sovrano di Francia. Perciò questo cosa significava? Ovvio, che Alfonso, in quanto prigioniero del Re, avrebbe dovuto seguirli in Francia.

Il solo pensiero lo agghiacciava.

In Francia! Come avrebbe mai potuto sopportare di vivere in un Paese straniero, in mezzo a nemici, prigioniero e ancor più soggetto a ogni capriccio di Sua Maestà? Certo, sapeva bene che era in sua balìa anche a Napoli, ma quella era pur sempre la reggia dov’era nato e cresciuto e, pur avendo perso ogni punto di riferimento, si sentiva a casa, in una situazione precaria e angosciante, sì, ma a casa, l’unica che avesse mai conosciuto.

Non voleva andare in Francia, no!

“Vostra Altezza, pensate che sia prudente abbandonare in questo momento il Regno di Napoli? Qualcuno dei vostri nemici, come gli Sforza, potrebbe approfittarne” intervenne il Generale, che aveva notato il turbamento del Principe ma senza comprenderne il motivo.

“Naturalmente il reggente che sceglieremo dovrà essere un uomo di cui potersi fidare completamente, inoltre lasceremo in difesa della reggia una parte del nostro esercito e dei nostri cannoni. Nessuno oserà avvicinarsi se ci tiene alla vita!” rispose il Re con un ghigno.

A quelle parole, la speranza ritornò nel cuore del Principe Alfonso: se Re Carlo avesse scelto il Generale come reggente del Regno di Napoli, allora anche lui sarebbe potuto restarvi come ostaggio, non sarebbe stato costretto ad andare in Francia!

“Avete un uomo di cui vi fidate così tanto, Vostra Maestà?” domandò il dottore che, in cuor suo, sperava che potesse essere proprio il Principe a reggere il Regno in assenza del sovrano francese. Chissà, magari il Re avrebbe potuto trovare qualche ostacolo e non ritornare a Napoli per anni e il Principe avrebbe riottenuto ciò che gli spettava di diritto.

“In realtà noi ci fidiamo totalmente soltanto del nostro Generale” replicò il Re, accennando all’uomo che chinò la testa in segno di ringraziamento per quelle parole. “Tuttavia, è talmente importante per noi che non potremmo mai privarcene per tutta la durata del nostro viaggio in Francia. Perciò dovremo trovare qualcun altro, riflettendo bene sulla scelta da compiere.”

“Se mi è concesso esprimere la mia opinione” esordì, timoroso, il giovane Principe, con una vocina che si sentiva appena, “ritengo che nessuno valga quanto il Generale e che meriterebbe questo onore…”

“In realtà non ti era affatto concesso esprimere la tua opinione, che consideriamo inutile e sciocca” lo rimbeccò il Re, sogghignando soddisfatto nel vedere quanto la sua risposta secca avesse terrorizzato il ragazzo. “Comunque ormai l’hai detta… E’ vero, il Generale meriterebbe questo onore, ma, come abbiamo appena sottolineato, ci è indispensabile anche come comandante dell’esercito durante il viaggio di ritorno in Francia. Dov’eri tu quando lo abbiamo spiegato, dormivi, caro Principe?”

“Purtroppo è così: i nemici di Sua Maestà potrebbero decidere di attaccarci proprio durante il viaggio” convenne il Generale.

L’ultima speranza di Alfonso era svanita. Il povero Principe, disilluso ancora una volta, parve accasciarsi sul tavolo. L’angoscia che lo invase era talmente forte da causargli un attacco di nausea e il giovane allontanò da sé il piatto ancora colmo.

“Oh, ti è passato l’appetito, mio Principe?” lo schernì il Re francese. “O forse… ma certo, magari ti eri illuso che noi potessimo scegliere te come reggente? Se è così, sei ancora più sciocco di quanto sembri!”

Il ragazzo aveva allungato una mano per prendere la coppa di vino, sperando che un sorso potesse aiutarlo a sentirsi meglio ma, quando udì l’ultima cattiveria del sovrano, la mano gli tremò, le dita urtarono la coppa che rotolò sulla tavola, spargendo vino tutto attorno.

“Ma insomma!” sbottò Re Carlo, sbattendo il pugno sul tavolo. “Se non sei nemmeno capace di stare a tavola come si deve, allora alzati e vattene a rinchiuderti nelle tue stanze… oppure dovresti cenare nella sala da pranzo di tuo padre, forse?”

Il Re e tutta la sua corte, esclusi il Generale e il dottore, scoppiarono a ridere sguaiatamente mentre il povero Alfonso, pallido e tremante e con gli occhi pieni di lacrime, si alzava velocemente da tavola e si allontanava barcollando.

“Vostra Maestà, forse il Principe si sente male” osò intervenire il dottore. “Chiedo il vostro permesso per accompagnarlo in camera.”

“No! Non hai il nostro permesso!” replicò malignamente il sovrano. “Se quell’idiota non è capace di arrivare in camera da solo, che si arrangi!”

Il Generale, dal canto suo, sapeva che non era il caso di infastidire il Re quando era di quell’umore. Cercò dunque di terminare la sua cena il più velocemente possibile per poi trovare una scusa per lasciare la tavola e andare in cerca del ragazzo.

“Mio sovrano, vi chiedo il permesso di ritirarmi” disse. “Come avete detto voi, è necessario organizzare una parte dell’esercito affinché rimanga qui a difendere il Regno in vostra assenza e io vorrei iniziare ad occuparmene fin d’ora.”

“Sì, e sicuramente andrai anche ad accertarti delle condizioni del tuo Principino…” commentò il Re, mellifluo. “Ma, finché compi i tuoi doveri in maniera soddisfacente per noi, non ci occupiamo di quello che puoi fare in camera da letto… Hai il permesso di ritirarti.”

“Vi ringrazio, Vostra Maestà” rispose il Generale con un inchino, affrettandosi poi a uscire dal salone per andare in cerca del Principe Alfonso.

Attraversò il corridoio e si diresse alle scale che portavano alle stanze del piano superiore. A guardia delle scale c’era un soldato e il Generale si rivolse a lui.

“Hai visto il Principe Alfonso salire in camera? Stava bene?” gli domandò.

La guardia sembrò sorpresa.

“Sì, ho visto il Principe, ma non era diretto alle scale” rispose. “Ha attraversato quel corridoio sulla sinistra e credo che abbia imboccato la scala che scende nelle segrete.”

Nelle segrete? E cosa diamine andrebbe a fare il Principe nelle segrete di sua spontanea volontà? A meno che…

 

Alfonso era nato e cresciuto nella reggia di Napoli e, dunque, ne conosceva ogni segreto. Sapeva che, attraversate le terribili camere di tortura che gli avevano causato tante sofferenze e tanti incubi, sarebbe giunto ad un cancello di ferro che dava su un passaggio scavato nella roccia e che conduceva alla spiaggia; aveva già sfruttato quel passaggio quando era fuggito la prima volta dal castello alla notizia dell’imminente invasione francese. Il ragazzo evitò deliberatamente di soffermarsi sul fatto che quel tentativo era già una volta finito in tragedia: l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che non poteva restare lì, in balìa di quel Re folle e crudele che si ingegnava a escogitare sempre nuovi metodi per tormentarlo né, tantomeno, farsi portare in Francia dove non avrebbe avuto più alcuna via d’uscita. Il cancello di ferro era chiuso a chiave, ovviamente, per impedire l’ingresso a sicari o a briganti, ma la chiave era nascosta in una nicchia scavata nella pietra, alla destra del cancello, permettendo così a chiunque lo desiderasse di uscire indisturbato dalla reggia.

Il Principe, sicuro, mise la mano nella nicchia e… la trovò vuota.

Non è possibile, non può essere, la chiave deve essere qui, c’è sempre stata… la volta scorsa era qui, l’ho usata io stesso!

In preda all’angoscia, infilò di nuovo la mano nell’apertura, esplorandola più attentamente, ma non c’era nessuna chiave. Forse era caduta a terra? Il Principe si inginocchiò sul pavimento umido e gelido e iniziò freneticamente a cercare tutto intorno, alla fievole luce di una torcia, perlustrando ogni centimetro del terreno con le mani, mentre un panico gelido si faceva strada dentro di lui e iniziava ad attanagliargli il cuore.

“Hai perso qualcosa, Principe?” la voce del Generale, alle sue spalle, lo fece sobbalzare.

Alfonso cercò di alzarsi in piedi, ma era tale la sua paura che le gambe non lo ressero e rimase inginocchiato sulle gelide pietre.

Il Generale teneva in mano un’altra torcia e lo guardava con una strana espressione dipinta sul volto.

“Sei davvero un ragazzino ingenuo, Principe” gli disse, scuotendo il capo. “Pensavi forse che il comandante dell’esercito francese non avesse esplorato ogni parte della reggia quando il Re vi si è stabilito? Ho perlustrato il castello da cima a fondo per accertarmi che non vi fossero nascondigli o passaggi segreti in cui potessero appostarsi dei nemici e, quando ho trovato questo cancello, ho anche capito come avevi fatto tu a fuggire senza che nessuno ti vedesse. Immagino che stessi cercando questa…”

Così dicendo, scostò un lembo del mantello di pelliccia che indossava, rivelando un grosso anello di ferro con una chiave appesa che adesso pendeva alla sua cintura, accanto all’elsa della spada. A quella vista, Alfonso sembrò ritirarsi ancora di più in se stesso, quasi volesse passare attraverso le sbarre del cancello ormai inutile.

Il Generale si sedette su un gradino di pietra e fissò il giovane Principe con aria delusa.

“Non ti rendi neanche conto di quello che hai fatto, vero?” gli chiese in tono calmo e pacato, ma nel quale si poteva udire una punta di preoccupazione. “Hai solo una vaga idea di ciò che ti sarebbe accaduto se, invece di me, fosse stata una delle guardie a trovarti mentre tentavi ancora una volta la fuga? Saresti stato trascinato al cospetto del Re e lui… non so come avrebbe potuto reagire, ma lo posso immaginare.”

Alfonso, atterrito al solo pensiero, cominciò a piangere silenziosamente.

“Hai rischiato grosso e la cosa peggiore è che non riesco nemmeno a capire perché tu lo abbia fatto” riprese il Generale. “Credevo di averti rassicurato sul fatto che ti proteggerò sempre e credevo anche di potermi fidare di te… sinceramente non mi aspettavo che avresti tentato di fuggire ancora una volta.”

Il tono del Generale e la sua voce non lasciavano trapelare rabbia o indignazione, bensì una genuina apprensione, quasi fosse stato un padre che rimproverava il figlio monello. Il Principe cominciò a piangere ancora più forte perché, oltre a tutto il resto, si rendeva conto di aver scontentato l’unica persona che tenesse veramente a lui e che gli avesse dimostrato affetto. L’uomo si avvicinò al giovane, lo aiutò ad alzarsi, lo fece sedere accanto a sé sul gradino e gli circondò le spalle con un braccio, attirandoselo al petto.

“Non vuoi dirmi perché stavi cercando di fuggire, Principe Alfonso?” gli chiese, pazientemente.

“Io… io… avevo paura di essere portato in Francia!” rispose il ragazzo tra un singhiozzo e l’altro. “Non ci voglio andare, non voglio!”

Stupito, il Generale lo prese per le spalle e se lo pose davanti per poterlo vedere bene in faccia.

“Dici sul serio? E perché? Per te non cambierebbe niente, saresti nostro ostaggio là esattamente come lo sei qui, nessuno ti farebbe del male, non saresti incarcerato…” l’uomo era veramente allibito.

“Ma qui sono nato e cresciuto, questa è la mia casa!” esclamò il Principe, disperato. “Cosa potrei mai fare in un Paese sconosciuto, in mezzo a nemici, dove tutto mi è estraneo…?”

Una grande e profonda tenerezza invase il cuore del Generale, che strinse forte a sé il giovane Principe e lo baciò a lungo, accarezzandogli i capelli.

“Sei davvero un povero piccolo Principe senza Regno…” commentò poi, avvolgendolo in un abbraccio. “In Francia rimarresti quello che sei ora, il Principe Alfonso II di Napoli, sconfitto da Sua Maestà Re Carlo e suo ostaggio. Tutti saprebbero che hai rinunciato al tuo trono e che adesso sei sotto la mia custodia, come mio protetto… e mio amante.”

“Eh?” fece il giovane, pensando di aver capito male l’ultima parola.

“In Francia i costumi sono molto più liberi che da voi” spiegò con noncuranza il Generale, “anzi la corte francese è considerata una delle più licenziose d’Europa, là praticamente ogni nobiluomo, nobildonna o sovrano ha dei favoriti e delle favorite e a nessuno interessa. Non devi preoccuparti per queste cose, anzi, sono sicuro che la Francia ti piacerà moltissimo e che la corte francese ti lascerà senza fiato. In confronto alla corte di Napoli è immensa e molto più sfarzosa!”

Lentamente, il Generale aiutò Alfonso a rimettersi in piedi e poi, insieme, salirono le scale, lasciando le segrete per rientrare ai piani nobili della reggia.

“Io… non sono mai uscito dal Regno di Napoli” ammise il Principe, ancora titubante.

“Appunto. Sono certo che vedere la Francia sarà un’esperienza molto emozionante per te” lo incoraggiò il Generale. “Io non ti lascerò mai solo e non dovrai temere niente.”

Confuso, il Principe si lasciò condurre nella stanza che condivideva con il Generale e, ancora una volta, si lasciò docilmente prendere e dominare da lui, consapevole del fatto che, comunque fosse, quell’uomo rappresentava ormai il suo punto di riferimento e il suo appoggio solido e sicuro in mezzo alle macerie che restavano del suo mondo di un tempo.

Il Generale era la sua sola sicurezza e salvezza.

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

   
 
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