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Autore: Koa__    09/02/2017    12 recensioni
John Watson, un medico reduce di guerra finito nelle Indie Occidentali, cerca di sopravvivere a una vita di solitudine e senza un briciolo di avventura. Un giorno, John fa però un incontro straordinario e del tutto inaspettato. Nella sua monotona esistenza, entrano così Sherlock Holmes, pirata della peggior specie, e la sua stramba ciurma.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Let's Pirate!'
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Il boia, il prete e l’impiccato
 



Tra le tante cose che nella sua vita ad Antigua faceva più o meno quotidianamente, John Watson adorava le lunghe passeggiate. Chiunque avrebbe definito quella sua passione priva di senso, oltre che malsana, considerata la zoppia che gli rallentava il passo in maniera evidente stancandolo più del necessario. Tuttavia, accadeva come per miracolo che si ritrovasse a pensare alla propria condizione soltanto una volta iniziati a percepire i primi dolori scaturiti dallo sforzo. Sapeva che sarebbe stato più saggio da parte sua il non allontanarsi eccessivamente dal villaggio, ma nonostante ciò capitava che in quei certi pomeriggi in cui non aveva lavoro da fare, che si perdesse qua e là per l’isola. La spiaggia era uno dei luoghi che preferiva e tanto che capitava di vederlo fermarsi, quasi non avesse bisogno d’altro che di ammirare le linee dell’orizzonte. In altre occasioni, invece, proseguiva oltre incurante del mondo e dei suoi insopportabili abitanti. Il fatto era che camminare gli era di utilità, non soltanto lo aiutava a tenere il fisico in una forma adeguata, ma immergersi nella natura selvaggia e perdere lo sguardo fin sulla linea che separava cielo e mare, era un valida maniera per distrarre la mente da quei tormentati pensieri che troppo spesso si ritrovava a formulare. Passeggiare permetteva alle idee di non vagare e al cuore di non pensare alle ombre di quel passato che avrebbe dovuto scacciar via, ma che tornava a far visita in sogni agitati. Far andare lo sguardo sin sull’azzurrastro delle basse acque della baia e poi farlo guizzare a un fondale marino di cui ne intravvedeva i giochi di colore, distraeva il suo cervello in burrasca rasserenandogli l’animo. In quei momenti poteva anche fingere che nulla di brutto fosse mai successo e per un singolo istante, uno soltanto, riusciva ad avere un’altra vita. Era sufficiente chiudere gli occhi e permettere all’immaginazione di condurlo lontano, altrove. In quelle fantasie non s’era isolato dal resto del mondo e il peso della propria condizione non era mai eccessivamente grave. La verità era che era fuggito da Londra perché non tollerava la pietà della gente e la falsità delle loro intenzioni, quel modo che avevano anche solo di guadarlo, come se gli fosse successa la peggiore delle disgrazie, era insopportabile. Aveva combattuto e per colpa di un dannatissimo miracolo era riuscito a sopravvivere. Davvero con comprendeva come potessero considerarlo tanto miseramente o biecamente allontanarlo dai loro preziosi circoli soltanto perché zoppicava o perché non sarebbe mai più stato in grado di essere un valido medico, almeno secondo il loro giudizio. Talune volte stentava a credere che ci fosse stato per davvero un tempo in cui aveva voluto far parte di quella società. Magari era lui a esser sbagliato, ma chi poteva dirlo? Chi sarebbe stato capace di dire con esattezza cosa fosse giusto e cosa sbagliato? Sì, se fosse stato più assennato avrebbe fatto scelte diverse e non si sarebbe cacciato in questo gigantesco guaio. Sarebbe rimasto in Inghilterra tanto per cominciare e avrebbe lavorato a fianco di suo cognato. Avrebbe frequentato spesso Harriet, fingendo di aver definitivamente appianato ogni attrito e magari avrebbe persino deciso di corteggiare una donna. Quella Mary Morstan, per esempio, di cui sua sorella tanto parlava bene e che, a sua detta, era la donna perfetta per lui. A esser sinceri, l’idea di un tipo di vita simile, di uno studio da medico ben avviato, moglie e figli, di un gruppo di amici con cui trascorrere le serate o di gite in campagna la domenica, gli aveva a lungo riscaldato il cuore. Aveva alimentato il suo umore al punto che diverse di quelle notti, disteso in branda e col naso rivolto all’insù sino a studiare un soffitto lurido mentre tentava di far riposare il corpo dopo una giornata di guerreggiare, quel pensiero era stata la sua unica ragione di vita. La guerra, quella maledetta, lo aveva cambiato amareggiandogli il cuore in una maniera che riteneva irrimediabile. Aveva l’animo sporcato, John Watson e un umore duro e irritabile. Oggi, quando di tanto in tanto tornava su quell’idea di vita perfetta e mendacemente felice, John provava un vibrante orrore di sé. Davvero c’era stato un tempo in cui aveva desiderato sciocchezze del genere oppure la sofferenza lo aveva portato ad aggrapparsi a un ideale qualsiasi, anche falso, ma uno che prevedesse una sorta di stabilità? Doveva essere esattamente così, non era drasticamente cambiato, si era soltanto svegliato. Il John Watson imprigionato in quella gabbia dorata che era Antigua, adesso preferiva la solitudine a della pessima compagnia. Oggi non avrebbe tollerato di dover fingere di amare qualcuno che in realtà odiava, non avrebbe sopportato sguardi colmi di pena e compatimento. Anche se era rimasto senza nessuno e se non poteva legarsi a una qualsiasi persona, non rimpiangeva la scelta fatta. Per queste ragioni concedeva a se stesso il lusso di calarsi in panni non propri e di sognare un qualcosa che non fossero orrendi incubi, perché taluni pomeriggi era John Watson: medico rispettabile, ma altre volte era un pirata o, ancora, un soldato valoroso o un Re giusto e saggio. Certamente erano sciocchezze, ma perlomeno non si trattava di incubi. Di quelli, in effetti, ne faceva sin troppi. Venivano la notte, durante il sonno la vista gli si riempiva dei ricordi di battaglie andate, agguantandogli i sensi e stringendogli l’anima in una morsa implacabile. Sognava compagni distesi sulla terra bruna in un groviglio informe di corpi insanguinati e poi colpi di fucile, altri di cannone a fischiargli sin dentro le orecchie lasciandolo stordito e sconvolto. Quasi percepiva l’odore di polvere da sparo come se i vestiti stessi ne fossero impregnati, oppure sentiva sulle labbra il sapore acre del sangue o quello salato delle lacrime.

 
Sì, John Watson amava camminare e far perdere le proprie membra in luccicanti sogni dai contorni dorati; ciononostante, in quel mattino dei primi d’estate e con la brezza delicata che spirava da mare, il vociare festante degli abitanti del paese a inneggiare alla morte del pirata Sherlock Holmes, John non s’affrettò. Prese a incedere con fare lento, come se ben studiasse ogni singolo passo o, invece, non avesse poi tanta fretta di veder l’impiccato. A piedi ancora nudi e con una pesante rete gettata sopra la spalla sana, procedeva lento osservando con una sorta d’incredulità quella gioia che la gente mostrava tanto sfacciatamente. Come si poteva esser contenti per la morte di un uomo? Pensò a un certo punto, inorridendo pur senza proferire parola. Quell’Holmes era un pirata e non un santo, ma era pur sempre uomo e John di morti ne aveva visti abbastanza da sapere che nessuno meritava di finir a quel modo.

 
Una volta che ebbe finito di districarsi da quel dedalo di viuzze e vicoli, si trovò a fronteggiare il patibolo, il quale gli apparve in tutta una sorta di macabro teatro. Sopra a un parte rialzata di poco, a tutti gli effetti paragonabile a un palco ma con uno scenario ben più tragico, v’era capitan Moriarty. James Moriarty, per esser più precisi, sorridente e gaio, fieramente vestito in una scintillante divisa d’alta uniforme. Al suo fianco, il boia e fu proprio lui che John si ritrovò a studiare per svariati istanti durante i quali non fece che domandarsi quale espressione avesse in quel momento, quasi compatendolo. Che mestiere infausto aveva! Come si poteva vivere e prosperare, forse anche gradire della morte altrui? John rabbrividì non appena si ritrovò a pensarci, ma non indugiò oltre e, scrollate le spalle, passò ad altro. Poco più in là, infatti, un prete dal cappuccio rialzato che impediva di scorgerne le reali fattezze del viso, reggeva tra le dita una bibbia di piccole dimensioni mentre al collo si riusciva a intravvedere una piccola croce in metallo. Al centro di quel tragico dipinto, il corpo inerte di Sherlock Holmes pendeva dal cappio mentre, al di sotto, la folla inneggiava festante. Morte al pirata bianco, urlavano alcuni. Morte a Sherlock Holmes, gridavano invece altri. Di fronte a quel tragico spettacolo, John rimase impietrito. Era il solo in quella piazza a non esser felice per la fine della sciagura Sherlock Holmes e nulla gl’importava di sentirsi diverso. Tutto ciò di cui i suoi sensi parevano attratti, riguardava la violenza di quel morire e che lo investì come in un’onda, sconquassandogli i sensi e riportandolo indietro a tempi lontani e che mai aveva realmente dimenticato. Per una manciata di infiniti attimi rimase a fissare il corpo penzolante del pirata quasi aspettandosi, o per meglio dire quasi sperando, di vederlo balzar giù e correre via. Non accadde; ma d’altronde, come avrebbe potuto?
John aveva visto da vicino la morte, tante e troppe volte. Lui stesso ne aveva carezzato le forme, lambendone i tratti al pari di un amante. Sebbene fosse ormai lontano da certe insidie, ne sentiva la costante presenza a fianco. Come se, paziente, ella lo stesse aspettando. La morte sarebbe venuta per John Watson così com’era, or della fine, tristemente arrivata per Sherlock Holmes, l’inafferrabile pirata. Meritava quel malfattore di morire? Si chiese, a un tratto mentre ancora fissava il delicato ondeggiare di quel corpo privo di vita. Un lato di John era sicuro del fatto che Sherlock Holmes fosse un bastardo assassino e i criminali dovevano ricevere una punizione per le colpe commesse. Eppure, non poteva negare di esserne sempre stato affascinato e che quella figura carica di mistero e dalle stupefacenti storie a precederlo, aveva catturato le sue fantasie in più di un’occasione. Come si poteva restare indifferenti di fronte all’idea di un pirata bianco e con una folta cascata di ricci capelli dai toni scuri che gli ricadevano sugli occhi? Sherlock Holmes, oh Dio del cielo, si disse John torcendo le labbra in una smorfia quasi addolorata, con tante leggende a circondarlo, non credeva che sarebbe finito a quel modo. Tanta decantata intelligenza e l’astuzia fenomenale, per farsi catturare nella più sciocca delle maniere? Se la morte era giunta anche per l’eleganza di un mito, che ne sarebbe stato di lui, piccolo e patetico zoppo? A quella domanda non rispose e con velata amarezza roteò su se stesso imboccando la strada di casa.
 

 
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La tempesta non venne preannunciata da niente che avesse una consistenza materiale. Forse per l’ovvia ragione che non era la pioggia ciò da cui John avrebbe dovuto trovar riparo. Un uragano di quel tipo non avrebbe mai potuto venir introdotto da un qualcosa, non c’era aria di differenti note da annusare, né un cielo sporcato di nubi scure. Il vento non si era alzato, bensì l’aria era ferma e a tratti rarefatta. Come in una sorta d’inferno, Antigua pareva voler avere l’intenzione di bruciare i polmoni di chi s’azzardava anche soltanto a respirare, come se intimasse loro di fuggire e nascondersi prima che fosse troppo tardi. A un certo momento il caldo aumentò d’intensità mentre un’insolita tensione prese a caricare il corpo di John così come da anni non gli capitava di percepire. Purtroppo nessuna di quelle sensazioni era da addebitare a fenomeni della natura. Il guaio che stava per scatenarsi aveva radici ben diverse, intrise in quella stessa umana predisposizione alla violenza di cui John ben conosceva ogni risvolto. Ovviamente accadde d’improvviso e tanto rapidamente che forse in ben pochi ebbero coscienza di quanto era successo e di afferrare la giusta sequenza di fatti che portarono, per dirla in maniera netta, Sherlock Holmes a resuscitare. Si stava avviando verso casa, ben deciso a metter da parte i brutti pensieri che quel giorno parevano volerlo tener occupato più del solito, quando John sentì delle urla confuse a cui seguì un secco colpo di pistola. Dominato da una sferzata di vibrante paura, si ritrovò a serrare gli occhi, massaggiandosi quindi la radice del naso e sforzando se stesso a togliersi da mente e cuore l’immagine di un soldato francese, apparsogli davanti senza una precisa ragione. In un istante John si ritrovò gettato con brutale violenza nel campo di battaglia, in uno dei suoi incubi peggiori. Ciò che, però, più lo terrorizzava era quel sentimento strano che gli pervase le membra. Non era spaventato dal vociare agitato della gente, dai colpi di pistola o dallo sciabolare delle spade che sentiva in lontananza e che riverberavano come in un’eco, perché quella che lungo la schiena gli scendeva come in un brivido, non era paura. Era eccitazione. Pura e semplice eccitazione. Provarla fu bellissimo, quasi come il ritornare indietro. Aveva per anni negato ciò che era stato, per timore di chissà che cosa, ma di fatto era la sua vera essenza. Adorava il brivido e l’avventura, amava sentire il soffio della morte stuzzicargli la nuca e anche se aveva sofferto i campi di battaglia e i compagni morti, aveva patito di più l’inattività e l’esser imprigionato in un’isola deserta.

 
Il colpo giunse non previsto e lo fece finire a riverso a terra, di sicuro non era stato intenzionale perché neanche era certo di sapere chi fosse stato. Il primo pensiero che lo colse fu che avrebbe dovuto levarsi da lì o avrebbe rischiato di venir schiacciato dalla folla e fu proprio lo spirito del soldato, tornato a farsi vivo, a caricare i suoi istinti. Si tirò in piedi con un movimento fluido, dimentico della rete che lasciò là dov’era stata calciata, e solamente allora capì. Dopo che ebbe sollevato lo sguardo, John si rese conto che qualcosa di grave stava accadendo. La folla impazzita evacuava la piazza e spaventate le persone fuggivano in più direzioni, urla e grida rimbombavano mentre altri colpi di pistola venivano sparati in aria. Facendosi un poco più vicino, anche se con fatica e al punto da dover sgomitare per farsi largo tra la folla, John riuscì facilmente a individuare la fonte di ogni guaio. Lo spettacolo che gli prospettò fu sconvolgente e del tutto inaspettato. Dalle tasche della tunica del prete erano infatti spuntate un paio di pistole, che ora egli teneva puntate sul gruppetto di soldati che si erano radunati ai piedi del patibolo. La lama di un grosso coltello, retto dalle salde mani del boia (adesso a viso scoperto) era puntato alla gola di capitan Moriarty, serrato in un prepotente quanto imprigionante abbraccio. Ciò che, però, sorprese John più di tutto fu Sherlock Holmes. Il pirata non era più impiccato, al contrario se ne stava in piedi, fiero e nobile e soprattutto vivo. Teneva la spada rubata a capitan Moriarty stretta in una mano e la innalzava verso il cielo come se cercasse in quel gesto una sorta di divina approvazione. Sherlock Holmes, e proprio lui che fino a qualche momento prima era bello che morto, ora volgeva lo sguardo sino al proprio nemico, sorridendogli beffardo. Come aveva fatto a sfuggire al nodo del cappio? Si domandò John e come faceva a esser sopravvissuto? Certamente era stato aiutato dal prete e dal boia (ovviamente pirati sotto mentite spoglie), ma era impossibile non morire una volta impiccati. Come c’era riuscito? Che fossero vere quelle certe dicerie riguardanti il fatto che fosse un essere malefico e con poteri diabolici? John non aveva mai creduto a simili sciocchezze, ritenendole delle credenze per stolti ignoranti, eppure ora la realtà dei fatti era che un attimo prima il pirata bianco era morto mentre ora stava in piedi. Non capiva. Ma a onor del vero, anche se lo avesse personalmente domandato a quel pirata, John non sarebbe stato comunque in grado di comprendere alcunché. Sherlock Holmes, mormorò dicendo il suo nome in un basso sussurro mentre lo sguardo si posava sui suoi lineamenti, prendendo poi a fissarlo con particolare attenzione. Anche se lo avesse desiderato con tutte le forze non sarebbe stato in grado di distogliere i pensieri da quell’imponente figura ed era proprio quella a interessarlo, ad ammaliarlo per qualche strano motivo. Il pirata bianco era forse la più strana creatura su cui i suoi stanchi occhi si fossero posati. Non che avesse una qualche deformità fisica, anzi era proprio la sua perfezione ad attrarlo pericolosamente. La sua memoria, senz’altro sciocca, vagò coi ricordi sino a quel manifesto, quello che da mesi tappezzava ogni anfratto di Antigua e che conservava in un angolo ben nascosto della sua piccola casa. Conosceva con dovizia di particolari ogni linea e sfumatura di quel disegno, tanto che poteva dire con certezza quanto poco rendesse giustizia. Sherlock Holmes era bello, pensò stupidamente prima che un sorriso altrettanto idiota gli si dipingesse in viso. Anzitutto era alto, molto più di quanto non si sarebbe aspettato. Il fisico longilineo e snello ma al tempo stesso muscoloso e forte, il petto ampio che si intravvedeva dalla camicia tenuta slacciata e le spalle larghe erano il segno di un qualcuno abituato agli sforzi fisici. In testa portava una folta chioma di capelli scuri, i cui ricci più indomiti ricadevano fin sulla fronte pallida. Aveva pelle bianca come porcellana e due grandi occhi di un azzurro meraviglioso che mai John aveva visto, se non nelle più profonde acque dell’oceano. No, pensò restando fermo dove stava mentre il sorriso gli allargava e il sangue riprendeva a pompare con vivacità, quel ritratto appeso sui muri di Antigua non somigliava per niente al pirata Sherlock Holmes.


«Non una mossa» gridò a un certo momento uno dei briganti, facendo indietreggiare le guardie e distogliendo le attenzioni di John verso quello che di più pratico stava accadendo. Era stato talmente concentrato a fissare quegli occhi splendidi che non si era preoccupato di riflettere sul fatto che un capitano delle guardie dell’impero britannico e il suo pugno di uomini, erano tenuti sotto attacco da tre malfattori. In quel caso era stato il prete a parlare, con le pistole ancora puntate verso il gruppetto di guardie e uno strano ghigno tirato sul viso. Nonostante non riuscisse a vederlo per bene, aveva quasi la sensazione che quel monaco si stesse divertendo. Come se fosse spassosa l’idea di esser tenuti sotto tiro o di poter morire da un istante a quell’altro. John non seppe proprio dire quale fosse la ragione, ma si ritrovò a ridere e in una qualche maniera affascinato da quel sorriso sghembo.
«Se fate un solo passo il vostro bel capitano muore» riprese il prete «dico bene, capitan Holmes?»
«Muori, bastardo di un pirata» sputò una delle guardie, la quale azzardò coraggiosamente a un passo in avanti prima di venir malamente cacciata all’indietro dalla minaccia di una pallottola nel cranio.
«Gettate le armi a terra e indietreggiate. Adesso» ordinò il boia con voce dura mentre serrava la presa sul coltello, premendo la punta con ancor più vigore contro la gola di Moriarty. Soltanto dopo di allora e una volta che il mucchio di soldati in divisa ebbe lasciato cadere fucili e spade e si fu allontanato di metri, Sherlock Holmes prese parola. Lo fece in un tumultuoso silenzio, in quella piazza ormai deserta e con le grida dei paesani lontane come echi.
«La conosci la ragione per cui mi sono lasciato catturare?» esordì con voce bassa e arrochita, appena prima che sul viso gli si agitasse un lieve ghigno. Aveva un accento inglese molto forte e utilizzava belle parole, segno che doveva aver studiato. Forse un tempo era stato istruito, rifletté John. Chissà per quale motivo un uomo con una cultura si riduceva a fare il pirata… John non trovò motivazioni valide, né una qualche risposta e prima che potesse azzardare teorie, Holmes riprese il proprio discorso: «Dovevo dimostrarti un qualcosa che mi auguro ti servirà per il resto dei tuoi giorni. Potrai inseguirmi, scatenarmi contro tutte le ridicole tue armate, potrai minacciare me e i miei uomini o delle volte potrai persino prendermi, ma non avrai mai la mia testa. Mai il pirata bianco salirà al patibolo e lì vi morirà senza che l’abbia voluto o per reale mano tua. Mai sarò tuo, James Moriarty. Appendetelo» ordinò infine; dopo il silenzio ridiscese come una manna nella piazza.

 
Moriarty fu legato da una pesante corda, dopodiché issato a testa in giù nell’esatto punto in cui prima era stato appeso Sherlock Holmes. E fu proprio lui che John si prese la briga di osservare. Avrebbe dovuto esser più interessato ad altro, ma c’era un qualcosa in quell’uomo che gli sfuggiva. La fredda serietà della piega delle sue labbra, della postura rigida e tesa e per certi versi anche dei suoi occhi, contrastava in maniera netta con un alone di divertimento piuttosto marcato. Era come una contraddizione continua, un pirata con una cultura, elegante nei modi e non rozzo e villano come quelli che quotidianamente incontrava. Un pirata che era una leggenda e che probabilmente se ne beava, un pirata che si faceva impiccare per burla e per dimostrare una qualche ridicolaggine. Come se la vita altro non fosse che un macabro gioco di cui lui tirava le fila. Chi era, questo Sherlock Holmes per elevarsi al di sopra della morte stessa? Quale presunzione aveva per giocare col capitano di un esercito e per deriderlo in quel modo? Sfrontato e intelligente, ecco chi era il pirata bianco. Ecco di chi John aveva bisogno.
«Ti distruggerò, Sherlock» sussurrò capitan Moriarty affatto domo. «Ti brucerò. Ti catturerò e ti torturerò e, ah, ci divertiremo tanto!» proseguì con un tono giocoso che risultò falso e forzato, a cui seguì una risata che John giudicò inquietante. «Sarà bello uccidere uno a uno tutti i tuoi patetici amici e lo farò così bene che Dio stesso avrà gloria di me, James Moriarty. Dicono che tu abbia anche un bambino tra le tue fila. Oh già, sarà una goduria occuparmi di lui. Ma che cos’è quel faccino, Sherlock? Non dirmi che tieni al ragazzo? Che sia tuo figlio? No, no… scherzo naturalmente, tu non sai nemmeno com’è fatta una donna, dico bene? Sei così noioso, Sherly. Credevo avresti organizzato qualcosa di più divertente per la tua plateale morte e invece eccoti qui. Vivo. Dio mio, che noia. Adesso dovremo inseguirci, far finta che non ci piaccia tutto questo… Assurdo!»
 

John sapeva che quell’uomo, ora a testa in giù, era la legge. E la legge era sempre giusta, la legge era dalla parte dei buoni e dei saggi. John ne aveva conosciuti diversi di comandanti e ufficiali, lui stesso aveva raggiunto il grado di capitano prima del congedo forzato, ma mai nessuno di loro gli aveva provocato simili sensazioni. Per quanto assennato fosse il ritenere che l’esercito di Sua Maestà fosse in quell’esatto momento la migliore delle due parti, specialmente quando nelle file opposte c’era un pirata, rappresentate di una categoria di uomini notoriamente falsi e bugiardi, John arrivò a provare del disgusto per James Moriarty. Non aveva idea di che cosa fosse con precisione, ma si rese conto di aver paura di lui, lo considerò orribile per le frasi che aveva appena pronunciato. Quella era la prima volta che lo vedeva di persona, ma sul suo conto aveva sentito sempre belle parole. Si diceva che era giusto e saggio, che amava anche scherzare, ma che sapeva come diventar severo all’occorrenza. Che la gente non fosse mai riuscita a vedere il vero animo di James Moriarty o che fossero tanto nauseabondi i suoi reali pensieri? Era probabile, tuttavia, come poteva lui pensare di esser riuscito a comprendere l’animo di un uomo tanto sfuggente? John si sentì confuso e profondamente combattuto. Decise di non volerci pensare e, riportata l’attenzione su di loro, tornò ad ascoltare. Soltanto allora vide che il pirata bianco si era fatto più vicino a capitan Moriarty, aveva ridotto le distanze a meno di un respiro e lo fronteggiava con sfrontatezza.
«Addio, Jim» sussurrò, lieve e leggero. Una volta detto questo, senza preoccuparsi di aggiungere dell’altro, Sherlock Holmes vorticò su se stesso e coi fidi uomini a fianco, prese a scappare.



 
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Di pessime idee, John Watson ne aveva avute a sufficienza, ma poteva dire con assoluta convinzione quella che prese in quegli attimi fosse la peggiore di tutte. Accadde in un attimo e non ebbe il tempo di pensare troppo a quanto l’istinto gli suggeriva di fare, anzi, se ci avesse riflettuto probabilmente sarebbe tornato al lavoro. Tuttavia, in quel momento e dopo aver visto Sherlock Holmes scappare in compagnia del boia e del prete, John reagì e lo fece d’impulso. Quella fu senza ombra di dubbio la più orribile nella triste storia delle pessime idee. Sapeva che avrebbe dovuto pensare alle possibili conseguenze delle proprie azioni, perché ce ne sarebbero state di gravi e lo sapeva. Non fece niente di tutto questo. Semplicemente seguì il proprio cuore, dandogli modo di battere con ancora più rapidità. Una volta preso coraggio, inseguì il pirata bianco. Corse, Watson il soldato, corse tutto il fiato che aveva in corpo e con il cuore in gola che batteva a ritmo elevato. Corse come, probabilmente, mai aveva fatto. Corse, dimentico del proprio zoppicare, scordandosi che un pirata era l’ultima persona con cui avrebbe dovuto aver a che fare e per tutte quelle ovvie ragioni che troppo spesso ripeteva a se stesso. Corse, ridendo di un divertimento liberatorio e sincero mentre il vento gli solleticava i capelli. Corse con fretta e mettendo agilmente un piede avanti all’altro. Corse fino a che non vide i tre pirati svoltare in una viuzza laterale, nascosta dalla strada e fu allora che il suo cervello riprese a funzionare e che si rese conto che quello che stava facendo avrebbe potuto costargli la vita. Già era troppo tardi, rifletté poco prima che il prete e il boia lo circondassero, afferrandolo da dietro per le braccia e strattonandolo con violenza. Non badò a loro, non eccessivamente poiché di fronte a dove si trovava, saggiamente celato dalle ombre, Sherlock Holmes lo occhieggiava. Per quanto affascinate lo avesse sempre ritenuto, non poté negare che si sentì in lieve soggezione una volta al suo cospetto. Un briciolo di paura gli morse lo stomaco mentre l’eccitazione scemava e al suo posto tornò la ragione. Lo aveva inseguito per un motivo e non se lo sarebbe lasciato scappare, non dopo aver trovato forse l’unico pirata o, per meglio dire, l’unico uomo di cui poteva fidarsi. Certo era una pazzia e neanche aveva idea del perché riuscisse ad aver fiducia in un pirata, ma dentro di sé sentiva che era la cosa migliore da fare. Forse non la più giusta, ma non vedeva altra via di uscita. Se non avesse colto lì e ora quell’occasione, sarebbe rimasto bloccato ad Antigua per sempre. Fu per questo che non abbassò lo sguardo e che impavidamente sostenne le intenzioni del terribile pirata bianco, un uomo che era leggenda e mito, che era terrore e spavento. Un uomo scampato alla morte e che ora gli sorrideva, studiandolo con un fare bizzarramente incuriosito.
«Ho mezzo esercito alle calcagna» esordì Sherlock Holmes con quella sua baritonale e ancestrale voce che ebbe il potere di sconquassare lo stomaco di John e di fargli tremare le ginocchia «dimmi chi sei e cosa vuoi.»
«Io…» balbettò malamente mentre arrossiva appena. Avrebbe dovuto almeno provare a sentirsi meno idiota e formulare un discorso perlomeno vagamente sensato, ma tutto ciò che riuscì a fare fu di incepparsi. «Sei diverso dai manifesti» aggiunse, dandosi immediatamente dello stupido.
«Capitano, questo idiota vuole farci catturare, è una trappola di Moriarty» intervenne il prete mentre a suo fianco, anche il boia annuiva. «Andiamocene prima che sia tardi.»
«No» gridò invece John con tono di preghiera, implorando senza vergogna «non mi manda Moriarty, lo giuro e anzi se devo dire la verità quell’uomo mi fa ribrezzo. Sono qui perché…» si fermò, schiarendosi la voce mentre cercava le parole migliori da utilizzare. «Voglio aiutarti.»
«Aiutare un pirata?» rise Sherlock Holmes, come se fosse sinceramente divertito «ridicolo e anche un po’ noioso. Cosa vuoi fare? Salvarmi? Rendermi ligio alle leggi di Sua Maestà? Vuoi salvare la mia anima? E perché dovrei permettere a un ex soldato fuggito da Londra e da una sorella che detesta, di prendersi cura della mia anima? Ho già un prete per questo… circa! E poi per quale ragione io dovrei farmi aiutare da te?» concluse evidentemente incuriosito. Gli si era avvicinato appena, non di molto quel tanto che fu sufficiente a John a capire che stava ridendo. Di lui? Della situazione? Non sapeva e soprattutto, più aveva a che fare con Sherlock Holmes e più si poneva delle domande.
«Perché qualsiasi cosa tu faccia sei morto, pirata bianco» gli rispose, perfettamente a tono. «Siamo in pieno giorno, se esci in strada sei morto. Se ti fai vedere dalla popolazione di Antigua, loro staranno dalla sua parte. E tu sei morto. Se Maria o Dolores, le donne che vivono nella casa qui a sinistra si affacciano, gridano. E tu sei morto. Posso nasconderti a casa mia fino a sera e farvi uscire stanotte.»
«E in cambio?»
«Ho una cosa» annuì prontamente e con vibrante decisione «una cosa che… Il mio nome è John Hamish Watson, sono un medico e un reduce di guerra. Ho una ferita alla spalla e la solitudine nella quale sono costretto mi porta a zoppicare. Non ho famiglia o amici, né donne. Non sono nessuno, non sono di compagnia, né divertente e di certo neanche degno di fiducia, ma possiedo una cosa. Una cosa che potrebbe interessarti.»
«E che cos’è» gli chiese il pirata bianco, ringhiando al pari di una belva selvaggia. Anche lui carico di eccitazione, anche lui vibrante e teso. Lui che gli soffiava a così poca distanza che John ne poteva persino sentire il fiato o il bruciante calore del corpo. Lui dagli occhi che luccicavano per il brivido della sfida e che fremeva per sapere che cos’era che quel mite londinese nascondeva.
«La mappa di un tesoro.» E sì, così facendo attirò davvero le attenzioni di tutti. Fu così che cominciò la loro avventura e che John Watson, valoroso soldato e ottimo medico, si ritrovò a condurre sino alla propria misera abitazione della piccola Antigua un boia, un prete e un impiccato.
 
 


Continua
 




Note: Ringrazio le tantissime persone che hanno recensito il primo capitolo, non mi aspettavo un simile riscontro. Su twitter si è scatenato un piccolo delirio. E a questo proposito, ringrazio Sherleek che ha fatto degli stupendi disegnini di Sherlock e John in versione piratesca.
Koa
Ps. Voglio proprio vedere se indovinate chi è il prete e chi il boia.
   
 
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