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Autore: Abby_da_Edoras    13/02/2017    3 recensioni
Dunque, chi legge le mie storie sa già che non sono normale XDDD e che da un piccolo dettaglio posso inventare deliri allucinanti, soprattutto quando mi prendo a cuore un personaggio e voglio salvargli la vita a tutti i costi.
La mia storia a capitoli (sì, perché ci ho fatto proprio una long con questa vicenda...) si intitola "Shadows and lights" e trae la sua "ispirazione" (vabbè, chiamiamola così...) dalla puntata 02X01 della serie TV The Borgias versione canadese: la parte di me che entra in empatia con i personaggi più improbabili è rimasta sconvolta dalla vicenda tragica del Principe Alfonso di Napoli torturato a morte dai francesi. Ecco, io mi sono creata una versione personale di tale vicenda (approfittando del fatto che, tutto sommato, quel personaggio è una licenza poetica e non è realmente esistito, così come la sua storia) e da questo è nata la ff. Stiamo parlando di AU, OOC e quant'altro, grazie a chi si prenderà la pena di leggere le mie allucinazioni e non siate troppo severi con me, lo so anch'io che sono da neurodeliri!
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alfonso II di Napoli, Altri
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Salvation'
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Capitolo 9: Cherish my memory

 

 

Talk to me speak to me

Tell me your story

Look at me see me

See and behold

Remember me think of me

Picture me never forget me

Cherish my memory.

(“Cherish my memory” – Amberian Dawn)

 

 

La serata era stata estenuante per il giovane Principe, che dunque si addormentò tra le braccia del Generale subito dopo l’amplesso; l’uomo, invece, rimase a guardare Alfonso addormentato, indifeso, con i capelli scompigliati e la testa appoggiata al suo petto.

Non era la prima volta che si rammaricava di aver lasciato che il suo Re lo facesse torturare in quel modo atroce, ma più si avvicinava a lui, più sentiva che diventava importante nella sua vita e più si pentiva di non aver sollevato qualche obiezione in quella sera maledetta. Certo non avrebbe potuto fare molto, ma sarebbe stato sufficiente convincere Sua Maestà che il Principe doveva essere frustato e imprigionato in cella per un giorno o due, tanto per fargli capire chi comandava, e poi liberato e tenuto in ostaggio… Sarebbe stato doloroso per il ragazzo, ma mai quanto ciò che gli era stato inflitto e, soprattutto, l’avrebbe domato e reso malleabile senza terrorizzarlo così tanto.

Dannazione, era ancora talmente atterrito da ciò che gli era accaduto che, quella sera, per poco non commetteva una sciocchezza della quale si sarebbe pentito! Non aveva ragionato nemmeno un secondo su ciò che stava per fare e, ancora peggio, su ciò che avrebbe fatto il Re a lui se lo avesse scoperto. Il Generale era un uomo tutto d’un pezzo, ma quella notte si sorprese ad angosciarsi al solo pensiero di quello che sarebbe potuto accadere se Alfonso fosse stato trovato davanti al cancello da qualcun altro…

Quel pensiero fece assiepare molti altri ricordi nella mente del Generale, che non riusciva a prendere sonno: la sera in cui tutto era cominciato, il 25 giugno, il Principe che era stato catturato e trascinato nella Sala del Trono al cospetto del Re gli aveva scatenato subito delle sensazioni inaspettate; lui si era immaginato una persona diversa, un nobile borioso e desideroso di rivalsa, non certo quel giovane fragile e spaurito che tentava di darsi un contegno protestando per come era stato trattato, ma che intanto si guardava intorno con smarrimento, cercando disperatamente un volto amico. Quando gli occhi scuri e sgranati di Alfonso si erano posati sul viso del Generale, lui aveva provato un istintivo desiderio di proteggerlo e di metterlo in guardia, ma il Principe non aveva compreso e il suo sguardo l’aveva solo sfiorato, riprendendo a saettare in giro con un misto di speranza e timore.

Il Generale aveva fissato pensieroso il giovane Principe che accoglieva l’invito del Re e, sollevato, si sedeva a tavola alla sua destra, senza capire che si trattava solo di una beffa atroce del sovrano che progettava per lui un destino raccapricciante. E poi… era stato lui a doverlo trascinare nelle segrete, a strattonarlo piangente e terrorizzato davanti a tutti gli strumenti di tortura più agghiaccianti; era stato lui a sovrintendere ai supplizi inflitti al ragazzo, ancora lui a vederlo contorcersi, supplicare pietà e a sentirlo urlare in quel modo terribile.

Sopraffatto da ricordi così dolorosi, il Generale sentì la necessità di stringere più forte a sé il giovane che gli dormiva tra le braccia per avvertire la sua presenza, il suo calore, la sensazione del suo corpo esile e delicato abbandonato a lui.

Alfonso, sentendosi stringere così convulsamente, si svegliò di soprassalto e fissò il Generale con occhi smarriti e confusi.

“Mio signore… che succede?” mormorò. Nella sua voce si poteva avvertire una punta di timore e l’uomo si pentì di non essersi saputo controllare e di averlo svegliato, mettendolo così in allarme.

Gli accarezzò affettuosamente il viso e i capelli, baciandolo sulla fronte e sulle labbra socchiuse.

“Non è niente, piccolo, dormi, dormi pure” gli disse a bassa voce. “Non volevo svegliarti, stai tranquillo, rimettiti a dormire, piccolo Principe…”

Intontito dal sonno, Alfonso si lasciò docilmente baciare, abbandonandosi a quel contatto che, comunque, gli infondeva una sensazione di calma e tranquillità, come se avesse ormai interiorizzato che accanto al Generale non doveva temere più niente. Lentamente appoggiò di nuovo la testa al petto dell’uomo e cadde in un sonno profondo, mentre lui continuava ad accarezzargli i capelli.

 

Alcune mattine dopo, giunse alla reggia di Napoli un messaggero: il Duca di Mantova era arrivato a Napoli e chiedeva urgentemente di poter conferire con Sua Maestà Re Carlo.

“Cosa vorrà ora quello scocciatore?” brontolò il Re, subito di malumore.

“Non lo so, ma ritengo che sia saggio che voi lo riceviate” consigliò il Generale. “Se avrà un atteggiamento arrogante come gli Sforza verrà cacciato in malo modo, ma parlare con lui potrebbe rivelarsi utile.”

“Sì, lo sappiamo” replicò il sovrano, avviandosi stanco e annoiato verso la Sala del trono, “per questo gli dedicheremo una parte del nostro prezioso tempo questo stesso pomeriggio. Riferiscilo al messaggero.”

“Obbedisco, Vostra Maestà” disse l’uomo, ma esitò prima di allontanarsi. “E… se posso permettermi, suggerirei che il Principe Alfonso presenziasse al colloquio. Come avete potuto constatare, il semplice fatto di averlo accanto a voi ha messo a tacere le minacce degli Sforza.”

“Oh, e va bene!” esclamò il Re, scocciato. “Fai venire il Principe nella Sala del trono per partecipare all’incontro con il Duca di Mantova… a qualcosa dovrà pur servire quel moccioso, oltre che a dare piacere a te!”

Con un inchino, il Generale si ritirò per andare a riferire gli ordini del sovrano al messaggero del Duca e al Principe.

Il secondo compito si rivelò più ostico: il giovane si mostrò a disagio e impaurito all’idea di ricevere un ospite di riguardo nella Sala del trono al fianco di Re Carlo.

“Non capisco cosa ti turbi tanto, Principe” si sorprese il Generale. “Ti sei comportato molto bene con gli Sforza, giorni fa, Sua Maestà è rimasto compiaciuto e per questo vuole che tu sia presente anche al colloquio con il Duca di Mantova. Che cosa ti preoccupa?”

Alfonso si guardava intorno con fare smarrito e non trovò niente da rispondere. Non era più tranquillo da quando aveva saputo che il Re intendeva far ritorno in Francia e che anche lui avrebbe dovuto andarvi; inoltre temeva che, in qualche modo, il sovrano fosse venuto a conoscenza del suo nuovo tentativo di fuga… Non era nulla di concreto, però, solo brutti pensieri che lo angosciavano e Alfonso non sapeva come spiegare al Generale che cosa lo spaventasse tanto.

“Voi… voi sarete lì, con me?” fu l’unica cosa che riuscì a dire.

Quella domanda incerta intenerì il comandante francese, che sorrise al ragazzo, poi lo strinse forte tra le braccia e lo baciò a lungo e profondamente.

“Io non ti lascerò mai da solo, Principe, te l’ho già detto” gli disse, tenendolo stretto a sé. “Sarò presente nella Sala del trono, anche se non potrò intervenire a meno che non sia Sua Maestà a darmi il permesso. Tuttavia sarò là e ti guarderò sempre e sono sicuro che sarai bravissimo anche questa volta.”

Leggermente tranquillizzato, il Principe si strinse all’uomo, in qualche modo convinto che niente di male gli sarebbe potuto accadere finché il Generale fosse stato presente. Anzi, in un qualche punto oscuro e nascosto del suo essere iniziava a pensare che avrebbe fatto del suo meglio per compiacerlo e non soltanto perché aveva paura di Re Carlo, no… voleva che il Generale fosse fiero di lui.

Quello stesso pomeriggio, dunque, il sovrano francese diede udienza al Duca di Mantova. Re Carlo sedeva sul trono che era stato di Re Ferrante e, con somma sorpresa del Duca, il Principe Alfonso occupava il suo solito posto, sullo scranno al fianco del monarca, proprio come tante volte era stato a fianco del padre durante le sue udienze.

“Vostra Maestà, sono il Duca Francesco Gonzaga di Mantova” si presentò, inchinandosi. “Vi ringrazio di avermi ricevuto e sono lieto di vedere Sua Altezza il Principe Alfonso al vostro fianco. Vi confesso che giravano strane voci nelle corti italiane… ma ora posso vedere con i miei occhi che si trattava soltanto di maldicenze.”

“Le corti sono un focolaio di maldicenze, caro Duca” commentò sarcastico il Re. “Per quale motivo avete chiesto di vederci con tanta urgenza?”

Il Duca Francesco Gonzaga era un uomo molto diverso da Giovanni Sforza: sicuro di sé e delle sue idee, aveva un aspetto nobile e un atteggiamento aperto e diretto.

“Sarò franco con voi, Vostra Maestà” spiegò. “Nelle nostre corti serpeggia un grande malcontento per ciò che è avvenuto nel Regno di Napoli, molti non accettano la vostra presa di potere e sta prendendo sempre più campo il progetto di unire gli eserciti di Milano, Venezia e Mantova per marciare su Napoli e liberarla dallo straniero invasore.”

“Ah, devo ammettere che il coraggio non vi manca” replicò Re Carlo, che comunque ammirava il valore nei suoi avversari. “Dunque siete venuto qui per avvertirmi che state per muovermi guerra?”

“Ho partecipato a molte battaglie e mi sono macchiato del sangue di molti uomini, Vostra Maestà” disse Francesco Gonzaga, fissando il sovrano dritto in volto. “E’ vero che sono stato io a proporre agli altri governanti di unire le nostre forze contro di voi, ma è anche vero che preferirei giungere ad una risoluzione pacifica della questione.”

“Cosa proponete, dunque? Siamo qui appunto per ascoltarvi” il tono del sovrano francese continuava ad essere sottilmente ironico.

“La proposta che sono venuto a farvi è questa: fate ritorno in Francia e lasciate il Regno di Napoli al suo legittimo sovrano” dichiarò il Duca. “Vi saranno perdonati i saccheggi e i massacri che avete già compiuto nelle nostre belle terre e io stesso mi impegnerò affinché voi e il vostro esercito possiate fare ritorno nel vostro Paese senza subire attacchi.”

“Molto interessante” finse di approvare Re Carlo, “e se… se invece ci rifiutassimo?”

Francesco Gonzaga scosse il capo, deluso, ma poi tornò a fissare lo sguardo sul Re.

“In quel caso mi metterò alla guida di una lega di eserciti italiani, un’armata di più di ventimila uomini, che vi caccerà con la forza dalle terre che avete usurpato” affermò con decisione. “Ho ritenuto giusto parlare con Vostra Maestà per tentare di evitare una guerra, ma se sarete voi a volerla, noi non ci tireremo indietro. Milano e Venezia sono con me ed è mia intenzione chiedere anche l’appoggio del Papa perché metta a disposizione le sue armate. E’ in gioco l’onore dell’Italia e nessuno di noi tollererà ancora a lungo il dispotismo di un invasore straniero!”

Inaspettatamente, il sovrano francese scoppiò in una risata.

“Che belle parole, caro Duca… l’onore dell’Italia, un invasore straniero… e sicuramente voi credete davvero a ciò che dite!” replicò, beffardo. “Il problema è, vedete, che sono stati proprio i vostri onorati governanti a dare al nostro esercito il permesso di passare, primo tra tutti il vostro prezioso alleato Ludovico Sforza che, a quanto pare, va dove lo porta il vento. E, nel caso vi fosse sfuggito, noi non abbiamo usurpato un bel niente: è stato il Papa Borgia, al quale voi vorreste chiedere aiuto, a darci l’investitura solenne e a incoronarci Re di Napoli. Siete davvero certo di potervi fidare di simili alleati?”

La risposta del monarca parve scuotere le certezze di Francesco Gonzaga.

“Ma… voi non avete alcun diritto legittimo sul trono di Napoli, esso appartiene al Principe Alfonso in quanto erede diretto del Re Ferrante…” tentò di obiettare.

“Caro Principe” disse allora Re Carlo, “vuoi essere tu a spiegare a questo gentiluomo come stanno realmente le cose?”

Detto questo, il sovrano francese si sistemò più comodamente sul trono, pronto a godersi una bella scenetta: voleva proprio vedere come si sarebbe tratto d’impaccio quel ragazzino arrogante di fronte ad un uomo che sapeva cosa voleva. Questa volta non si trattava di due nobilucci incapaci e prepotenti come Giovanni e Caterina Sforza…

Se il Re era divertito e incuriosito, il Generale iniziava ad agitarsi: Sua Maestà aveva deciso di mettere alla prova il Principe, ma in quel frangente come avrebbe potuto reagire Alfonso? Si sentiva inquieto e preoccupato e, purtroppo, sapeva di non poter dire o fare nulla finché non avesse avuto il permesso del suo sovrano.

Alfonso, però, appariva più tranquillo e sicuro del solito. Non c’era niente di nuovo per lui in quella situazione, già molte altre volte era stato incaricato di parlare a nome del padre infermo e, anzi, ciò lo faceva sentire il Principe che era stato e che ormai troppo spesso era costretto a dimenticare.

“Ammiro il coraggio e la determinazione di Vostra Grazia” esordì, rivolgendo un sorrisetto al Duca di Mantova, “ma temo che la situazione del Regno di Napoli non sia poi così chiara nella vostra mente. Napoli è ormai da molti anni contesa tra gli Angioini di Francia e gli Aragonesi di Spagna e l’unico vero dilemma è scegliere a quale sovrano straniero consegnare il Regno.”

“Mio Principe, voi state dunque dicendo che rinunciate spontaneamente alla vostra eredità?” domandò Francesco Gonzaga, incredulo.

“Io sono l’unico erede di mio padre, questo è vero” ribatté, pronto, il giovane, con una nuova luce che gli brillava negli occhi… in quel momento si sentiva veramente importante e intendeva godersela più che poteva, sapendo che sarebbe stato fin troppo breve. “Tuttavia mio padre ha atteso inutilmente, per anni, l’investitura ufficiale da parte del Papa di Roma che, invece, ha preferito incoronare Sua Maestà Re Carlo di Francia. Si potrebbe dire che, per il Papa Borgia, le pretese degli Angioini fossero più legittime di quelle degli Aragonesi. In realtà sono propenso a credere che Sua Santità abbia semplicemente fatto quello che più gli conveniva, come ha sempre fatto e sempre farà. Temo che per lui l’onore non abbia lo stesso significato che ha per voi…”

“Cosa intendete dire? Sua Santità serve Dio e le questioni terrene non hanno alcuna importanza per lui” obiettò il Duca, e questa volta fu Alfonso a scoppiare in una delle sue risate squillanti.

“Non lo avete ancora conosciuto, allora! Parlate di chiedere il suo appoggio ma non lo avete mai incontrato di persona” disse poi, caustico. “Sappiate allora che l’unico vero interesse di Rodrigo Borgia è quello di ampliare il proprio dominio su tutta la penisola e che non avrebbe alcuno scrupolo a ingannarvi, come ha già fatto con me e con Sua Maestà.”

“Non capisco cosa vogliate dire, nobile Principe…” mormorò il Gonzaga, piuttosto in confusione.

“Già, spiegati meglio” lo incoraggiò Re Carlo, “questa storia interessa anche noi.”

L’intervento del Re francese parve togliere per un attimo ogni sicurezza al Principe, che si chiese se quello che stava per dire non avrebbe portato conseguenze nefaste… ma ormai aveva iniziato e non poteva tirarsi indietro e, poi, aveva sempre avuto un vero talento per inventarsi complotti e la parlantina non gli mancava di certo!

“Il Papa Borgia vuole il Regno di Napoli, così come vuole il vostro Ducato di Mantova e qualunque altro” iniziò Alfonso, trascinato dalla storia stessa che andava creando. “Mesi fa ha fatto sposare suo figlio Goffredo alla mia sorellastra Sancha d’Aragona e avrebbe voluto che io sposassi sua figlia Lucrezia, per mettere le mani su Napoli tramite la sua solita politica dei matrimoni. Io, però, mi rifiutai decisamente di unirmi in matrimonio con la figlia illegittima del Papa e con quel rifiuto ho firmato la mia condanna: da quel giorno, il Papa ha pensato soltanto a come togliermi di mezzo per mettere sul trono di Napoli il suo figlio bastardo Goffredo, in quanto marito di una Aragonese.”

“E in tutto questo cosa c’entriamo noi?” domandò Re Carlo, suo malgrado affascinato dall’intrigo di cui il Principe stava parlando con tanto fervore.

“Vostra Maestà, voi siete stato il mezzo con cui Rodrigo Borgia ha cercato di ottenere il suo fine” rispose Alfonso, intravedendo, in mezzo alle chiacchiere, il modo per scagionarsi una volta per tutte dall’accusa di aver provocato lui la peste nel Regno di Napoli. “Non vi ha incoronato perché riconosceva la legittimità di un discendente degli Angioini, vi ha incoronato per scacciare me dal Regno e sapendo benissimo che qui a Napoli non sareste rimasto a lungo… Quando vi ha concesso l’investitura solenne, il Papa Borgia sapeva già benissimo che a Napoli infuriava la peste e vi ci ha mandato per liberarsi di voi.”

Tanto il Re quanto Francesco Gonzaga rimasero allibiti di fronte a tanta perfidia. Il sovrano francese si rivolse per la prima volta al suo Generale come a chiedere una conferma.

“Certo sapevamo che il Borgia ci aveva ingannato, ma che avesse programmato l’incoronazione sapendo della peste a Napoli… Generale, pensi che sia possibile?”

Il Generale colse al volo l’opportunità di discolpare il Principe e di gettare tutta la vergogna su Rodrigo Borgia.

“Non posso saperlo con certezza, Vostra Maestà, ma tutti sono a conoscenza del fatto che la famiglia Borgia ha sicari e spie in tutte le corti italiane e, dunque, poteva sapere prima di chiunque altro della pestilenza” rispose, deciso. “Inoltre, se ben rammentate, una delle vostre richieste era stata quella di essere accompagnato a Napoli dal figlio del Papa, il cardinale Cesare Borgia. Ma Cesare Borgia ha ucciso tre nostri soldati ed è fuggito quasi subito… potrebbe essere stato avvertito dal padre del pericolo che avrebbe corso se si fosse avvicinato troppo alla città.”

“Quindi…” mormorò il Duca Gonzaga, che non era uno sciocco, “Sua Santità avrebbe ordito una simile trama per eliminare ogni legittimo pretendente al trono di Napoli e insediarvi invece il suo figlio illegittimo?”

“Ecco, ora forse capite meglio con chi volevate allearvi, mio caro Duca” lo irrise il Re.

“Non è tutto, se posso permettermi, Vostra Maestà” riprese il Principe Alfonso, ormai lanciato. “Il Papa Borgia avrebbe probabilmente accettato le richieste di Sua Grazia il Duca di unire le sue armate all’esercito congiunto di Mantova, Milano e Venezia e poi, nel bel mezzo della battaglia, le armate di Roma si sarebbero ritirate, consentendo all’esercito francese di sconfiggervi.”

“E perché mai avrebbe dovuto fare una cosa simile, di grazia?” chiese Francesco Gonzaga, scandalizzato.

“Mi sembra ovvio” sorrise il Principe, “con la speranza che i soldati francesi avrebbero ucciso sia voi che il Duca Ludovico Sforza. In quel caso, il Papa Borgia avrebbe fatto sposare le vostre vedove ai suoi figli Cesare e Juan, mettendo così le mani sui vostri Ducati ed estendendo il suo dominio in tutta la penisola!”

“Ma… suo figlio Cesare Borgia è un cardinale, non gli sarebbe consentito sposarsi” fu l’unica obiezione che il Duca riuscì a sollevare.

“Cesare Borgia è un cardinale quanto lo sono io” ribatté Alfonso in tono petulante. “Non sarebbe certo difficile per il Papa di Roma concedere al figlio di lasciare le vesti cardinalizie…”

Francesco Gonzaga non ebbe altro da aggiungere e restò in silenzio a riflettere su tutto ciò che il Principe Alfonso aveva raccontato con tanta enfasi.

“Siete ancora dell’idea di allearvi con un simile personaggio, caro Duca?” lo stuzzicò il Re.

“Non chiederò aiuto al Papa Borgia” replicò il Duca di Mantova, brusco, “ma non abbandonerò il progetto di un’alleanza con Milano e Venezia. Non lascerò il Regno di Napoli in mano alla Francia e, se dovessi morire nel tentativo di liberare l’Italia da un invasore straniero, avrò perlomeno la certezza di aver donato la mia vita per una giusta causa! Vi ringrazio di avermi ascoltato, Vostra Maestà, ma da questo momento in poi per me siete un avversario.”

“Sono certo che sarete un avversario degnissimo e che i vostri eserciti si batteranno con valore” ribatté Re Carlo, “tuttavia i nostri cannoni vi distruggeranno.”

“Come ho detto, sarò lieto di morire con onore” ripeté Francesco Gonzaga, prima di congedarsi.

Quando il Duca ebbe lasciato la Sala del trono, il sovrano francese si rivolse con una smorfia annoiata al suo Generale.

“Dovremo dunque prepararci per una battaglia, Generale?” si lamentò. “Era nostra intenzione far ritorno in Francia per nominare un successore…”

“Non vi angustiate, Vostra Maestà. Il Duca Gonzaga è un uomo valoroso e leale, ma dubito che i suoi alleati condividano le sue idee sulla bellezza di una morte onorevole” rispose l’uomo. “Probabilmente non ci sarà nessuna battaglia, a meno che il Duca non intenda sfidarci soltanto con il suo esercito e quello non rappresenterebbe un problema per voi.”

“Molto bene” disse il Re. “Dunque potrai continuare ad organizzare i preparativi per la partenza e, al contempo, tenere pronti i soldati in caso di un attacco delle armate di Mantova. E… portati via il Principe, mi ha fatto venire il mal di testa con tutte le sue chiacchiere!”

Il Generale accompagnò Alfonso fuori dalla Sala del trono e, mentre procedevano lungo il corridoio, si affrettò a tranquillizzarlo.

“Non temere, Principe, Sua Maestà si è espresso in modo brusco con te, ma io lo conosco bene e ho visto quanto è rimasto soddisfatto di come hai messo a tacere il Duca di Mantova” gli disse. “Ma… toglimi una curiosità: come fai a sapere tutte quelle cose del Papa Borgia e dei suoi intrighi?”

“Ho ascoltato molte volte i consiglieri di mio padre che ne parlavano, soprattutto nel periodo in cui fu organizzato il matrimonio tra Sancha e Goffredo Borgia” rispose Alfonso, con un sorrisetto furbo. “E poi… altre cose me le sono inventate lì per lì, mi sono sempre piaciute le storie complicate e i complotti!”

Il Generale sorrise, incredulo davanti a tanta innocente sfrontatezza.

“Sei davvero unico, Principe. Sono ogni giorno più contento di averti salvato la vita e di poterti tenere accanto a me per sempre” mormorò, prima di prenderlo tra le braccia e baciarlo fin quasi a togliergli il respiro.  

Tuttavia anche Alfonso era soddisfatto di come si era svolta quella giornata e sentiva che la nuova vita che si stava costruendo sarebbe potuta essere più piacevole di quanto avesse mai pensato. Inoltre, pur non essendosene ancora accorto, i suoi sentimenti per il Generale diventavano sempre più profondi e anche per lui era importante averlo accanto a sé.

 

 

FINE

   
 
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