Capitolo 9: Cherish my memory
Talk to me speak to me
Tell me your story
Look at me see me
See and behold
Remember me think of me
Picture me never forget me
Cherish my memory.
(“Cherish my memory” – Amberian Dawn)
La
serata era stata estenuante per il giovane Principe, che dunque si addormentò
tra le braccia del Generale subito dopo l’amplesso; l’uomo, invece, rimase a
guardare Alfonso addormentato, indifeso, con i capelli scompigliati e la testa
appoggiata al suo petto.
Non
era la prima volta che si rammaricava di aver lasciato che il suo Re lo facesse
torturare in quel modo atroce, ma più si avvicinava a lui, più sentiva che
diventava importante nella sua vita e più si pentiva di non aver sollevato
qualche obiezione in quella sera maledetta. Certo non avrebbe potuto fare
molto, ma sarebbe stato sufficiente convincere Sua Maestà che il Principe
doveva essere frustato e imprigionato in cella per un giorno o due, tanto per
fargli capire chi comandava, e poi liberato e tenuto in ostaggio… Sarebbe stato
doloroso per il ragazzo, ma mai quanto ciò che gli era stato inflitto e,
soprattutto, l’avrebbe domato e reso malleabile senza terrorizzarlo così tanto.
Dannazione,
era ancora talmente atterrito da ciò che gli era accaduto che, quella sera, per
poco non commetteva una sciocchezza della quale si sarebbe pentito! Non aveva
ragionato nemmeno un secondo su ciò che stava per fare e, ancora peggio, su ciò
che avrebbe fatto il Re a lui se lo avesse scoperto. Il Generale
era un uomo tutto d’un pezzo, ma quella notte si sorprese ad angosciarsi al
solo pensiero di quello che sarebbe potuto accadere se Alfonso fosse stato
trovato davanti al cancello da qualcun altro…
Quel
pensiero fece assiepare molti altri ricordi nella mente del Generale, che non
riusciva a prendere sonno: la sera in cui tutto era cominciato, il 25 giugno,
il Principe che era stato catturato e trascinato nella Sala del Trono al
cospetto del Re gli aveva scatenato subito delle sensazioni inaspettate; lui si
era immaginato una persona diversa, un nobile borioso e desideroso di rivalsa,
non certo quel giovane fragile e spaurito che tentava di darsi un contegno
protestando per come era stato trattato, ma che intanto si guardava intorno con
smarrimento, cercando disperatamente un volto amico. Quando gli occhi scuri e
sgranati di Alfonso si erano posati sul viso del Generale, lui aveva provato un
istintivo desiderio di proteggerlo e di metterlo in guardia, ma il Principe non
aveva compreso e il suo sguardo l’aveva solo sfiorato, riprendendo a saettare
in giro con un misto di speranza e timore.
Il
Generale aveva fissato pensieroso il giovane Principe che accoglieva l’invito
del Re e, sollevato, si sedeva a tavola alla sua destra, senza capire che si
trattava solo di una beffa atroce del sovrano che progettava per lui un destino
raccapricciante. E poi… era stato lui a doverlo trascinare nelle segrete, a
strattonarlo piangente e terrorizzato davanti a tutti gli strumenti di tortura
più agghiaccianti; era stato lui a sovrintendere ai supplizi inflitti al
ragazzo, ancora lui a vederlo contorcersi, supplicare pietà e a sentirlo urlare
in quel modo terribile.
Sopraffatto
da ricordi così dolorosi, il Generale sentì la necessità di stringere più forte
a sé il giovane che gli dormiva tra le braccia per avvertire la sua presenza,
il suo calore, la sensazione del suo corpo esile e delicato abbandonato a lui.
Alfonso,
sentendosi stringere così convulsamente, si svegliò di soprassalto e fissò il
Generale con occhi smarriti e confusi.
“Mio
signore… che succede?” mormorò. Nella sua voce si poteva avvertire una punta di
timore e l’uomo si pentì di non essersi saputo controllare e di averlo
svegliato, mettendolo così in allarme.
Gli
accarezzò affettuosamente il viso e i capelli, baciandolo sulla fronte e sulle
labbra socchiuse.
“Non
è niente, piccolo, dormi, dormi pure” gli disse a bassa voce. “Non volevo
svegliarti, stai tranquillo, rimettiti a dormire, piccolo Principe…”
Intontito
dal sonno, Alfonso si lasciò docilmente baciare, abbandonandosi a quel contatto
che, comunque, gli infondeva una sensazione di calma e tranquillità, come se
avesse ormai interiorizzato che accanto al Generale non doveva temere più
niente. Lentamente appoggiò di nuovo la testa al petto dell’uomo e cadde in un
sonno profondo, mentre lui continuava ad accarezzargli i capelli.
Alcune
mattine dopo, giunse alla reggia di Napoli un messaggero: il Duca di Mantova
era arrivato a Napoli e chiedeva urgentemente di poter conferire con Sua Maestà
Re Carlo.
“Cosa
vorrà ora quello scocciatore?” brontolò il Re, subito di malumore.
“Non
lo so, ma ritengo che sia saggio che voi lo riceviate” consigliò il Generale.
“Se avrà un atteggiamento arrogante come gli Sforza verrà cacciato in malo
modo, ma parlare con lui potrebbe rivelarsi utile.”
“Sì,
lo sappiamo” replicò il sovrano, avviandosi stanco e annoiato verso la Sala del
trono, “per questo gli dedicheremo una parte del nostro prezioso tempo questo
stesso pomeriggio. Riferiscilo al messaggero.”
“Obbedisco,
Vostra Maestà” disse l’uomo, ma esitò prima di allontanarsi. “E… se posso
permettermi, suggerirei che il Principe Alfonso presenziasse al colloquio. Come
avete potuto constatare, il semplice fatto di averlo accanto a voi ha messo a
tacere le minacce degli Sforza.”
“Oh,
e va bene!” esclamò il Re, scocciato. “Fai venire il Principe nella Sala del
trono per partecipare all’incontro con il Duca di Mantova… a qualcosa dovrà pur
servire quel moccioso, oltre che a dare piacere a te!”
Con
un inchino, il Generale si ritirò per andare a riferire gli ordini del sovrano
al messaggero del Duca e al Principe.
Il
secondo compito si rivelò più ostico: il giovane si mostrò a disagio e
impaurito all’idea di ricevere un ospite di riguardo nella Sala del trono al
fianco di Re Carlo.
“Non
capisco cosa ti turbi tanto, Principe” si sorprese il Generale. “Ti sei
comportato molto bene con gli Sforza, giorni fa, Sua Maestà è rimasto
compiaciuto e per questo vuole che tu sia presente anche al colloquio con il
Duca di Mantova. Che cosa ti preoccupa?”
Alfonso
si guardava intorno con fare smarrito e non trovò niente da rispondere. Non era
più tranquillo da quando aveva saputo che il Re intendeva far ritorno in
Francia e che anche lui avrebbe dovuto andarvi; inoltre temeva che, in qualche
modo, il sovrano fosse venuto a conoscenza del suo nuovo tentativo di fuga… Non
era nulla di concreto, però, solo brutti pensieri che lo angosciavano e Alfonso
non sapeva come spiegare al Generale che cosa lo spaventasse tanto.
“Voi…
voi sarete lì, con me?” fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Quella
domanda incerta intenerì il comandante francese, che sorrise al ragazzo, poi lo
strinse forte tra le braccia e lo baciò a lungo e profondamente.
“Io
non ti lascerò mai da solo, Principe, te l’ho già detto” gli disse, tenendolo
stretto a sé. “Sarò presente nella Sala del trono, anche se non potrò
intervenire a meno che non sia Sua Maestà a darmi il permesso. Tuttavia sarò là
e ti guarderò sempre e sono sicuro che sarai bravissimo anche questa volta.”
Leggermente
tranquillizzato, il Principe si strinse all’uomo, in qualche modo convinto che
niente di male gli sarebbe potuto accadere finché il Generale fosse stato
presente. Anzi, in un qualche punto oscuro e nascosto del suo essere iniziava a
pensare che avrebbe fatto del suo meglio per compiacerlo e non soltanto perché
aveva paura di Re Carlo, no… voleva che il Generale fosse fiero di lui.
Quello
stesso pomeriggio, dunque, il sovrano francese diede udienza al Duca di
Mantova. Re Carlo sedeva sul trono che era stato di Re Ferrante e, con somma
sorpresa del Duca, il Principe Alfonso occupava il suo solito posto, sullo scranno
al fianco del monarca, proprio come tante volte era stato a fianco del padre
durante le sue udienze.
“Vostra
Maestà, sono il Duca Francesco Gonzaga di Mantova” si presentò, inchinandosi.
“Vi ringrazio di avermi ricevuto e sono lieto di vedere Sua Altezza il Principe
Alfonso al vostro fianco. Vi confesso che giravano strane voci nelle corti
italiane… ma ora posso vedere con i miei occhi che si trattava soltanto di
maldicenze.”
“Le
corti sono un focolaio di maldicenze, caro Duca” commentò sarcastico il Re.
“Per quale motivo avete chiesto di vederci con tanta urgenza?”
Il
Duca Francesco Gonzaga era un uomo molto diverso da Giovanni Sforza: sicuro di
sé e delle sue idee, aveva un aspetto nobile e un atteggiamento aperto e
diretto.
“Sarò
franco con voi, Vostra Maestà” spiegò. “Nelle nostre corti serpeggia un grande
malcontento per ciò che è avvenuto nel Regno di Napoli, molti non accettano la
vostra presa di potere e sta prendendo sempre più campo il progetto di unire
gli eserciti di Milano, Venezia e Mantova per marciare su Napoli e liberarla
dallo straniero invasore.”
“Ah,
devo ammettere che il coraggio non vi manca” replicò Re Carlo, che comunque
ammirava il valore nei suoi avversari. “Dunque siete venuto qui per avvertirmi che state per muovermi
guerra?”
“Ho
partecipato a molte battaglie e mi sono macchiato del sangue di molti uomini,
Vostra Maestà” disse Francesco Gonzaga, fissando il sovrano dritto in volto.
“E’ vero che sono stato io a proporre agli altri governanti di unire le nostre
forze contro di voi, ma è anche vero che preferirei giungere ad una risoluzione
pacifica della questione.”
“Cosa
proponete, dunque? Siamo qui appunto per ascoltarvi” il tono del sovrano
francese continuava ad essere sottilmente ironico.
“La
proposta che sono venuto a farvi è questa: fate ritorno in Francia e lasciate
il Regno di Napoli al suo legittimo sovrano” dichiarò il Duca. “Vi saranno
perdonati i saccheggi e i massacri che avete già compiuto nelle nostre belle
terre e io stesso mi impegnerò affinché voi e il vostro esercito possiate fare ritorno
nel vostro Paese senza subire attacchi.”
“Molto
interessante” finse di approvare Re Carlo, “e se… se invece ci rifiutassimo?”
Francesco
Gonzaga scosse il capo, deluso, ma poi tornò a fissare lo sguardo sul Re.
“In
quel caso mi metterò alla guida di una lega di eserciti italiani, un’armata di
più di ventimila uomini, che vi caccerà con la forza dalle terre che avete
usurpato” affermò con decisione. “Ho ritenuto giusto parlare con Vostra Maestà
per tentare di evitare una guerra, ma se sarete voi a volerla, noi non ci
tireremo indietro. Milano e Venezia sono con me ed è mia intenzione chiedere
anche l’appoggio del Papa perché metta a disposizione le sue armate. E’ in
gioco l’onore dell’Italia e nessuno di noi tollererà ancora a lungo il
dispotismo di un invasore straniero!”
Inaspettatamente,
il sovrano francese scoppiò in una risata.
“Che
belle parole, caro Duca… l’onore
dell’Italia, un invasore straniero…
e sicuramente voi credete davvero a ciò che dite!” replicò, beffardo. “Il
problema è, vedete, che sono stati proprio i vostri onorati governanti a dare al nostro esercito il permesso di
passare, primo tra tutti il vostro prezioso alleato Ludovico Sforza che, a
quanto pare, va dove lo porta il vento. E, nel caso vi fosse sfuggito, noi non
abbiamo usurpato un bel niente: è
stato il Papa Borgia, al quale voi vorreste chiedere aiuto, a darci
l’investitura solenne e a incoronarci Re di Napoli. Siete davvero certo di
potervi fidare di simili alleati?”
La
risposta del monarca parve scuotere le certezze di Francesco Gonzaga.
“Ma…
voi non avete alcun diritto legittimo sul trono di Napoli, esso appartiene al
Principe Alfonso in quanto erede diretto del Re Ferrante…” tentò di obiettare.
“Caro
Principe” disse allora Re Carlo, “vuoi essere tu a spiegare a questo gentiluomo
come stanno realmente le cose?”
Detto
questo, il sovrano francese si sistemò più comodamente sul trono, pronto a
godersi una bella scenetta: voleva proprio vedere come si sarebbe tratto
d’impaccio quel ragazzino arrogante di fronte ad un uomo che sapeva cosa
voleva. Questa volta non si trattava di due nobilucci incapaci e prepotenti
come Giovanni e Caterina Sforza…
Se
il Re era divertito e incuriosito, il Generale iniziava ad agitarsi: Sua Maestà
aveva deciso di mettere alla prova il Principe, ma in quel frangente come
avrebbe potuto reagire Alfonso? Si sentiva inquieto e preoccupato e, purtroppo,
sapeva di non poter dire o fare nulla finché non avesse avuto il permesso del
suo sovrano.
Alfonso,
però, appariva più tranquillo e sicuro del solito. Non c’era niente di nuovo
per lui in quella situazione, già molte altre volte era stato incaricato di
parlare a nome del padre infermo e, anzi, ciò lo faceva sentire il Principe che
era stato e che ormai troppo spesso era costretto a dimenticare.
“Ammiro
il coraggio e la determinazione di Vostra Grazia” esordì, rivolgendo un
sorrisetto al Duca di Mantova, “ma temo che la situazione del Regno di Napoli
non sia poi così chiara nella vostra mente. Napoli è ormai da molti anni
contesa tra gli Angioini di Francia e gli Aragonesi di Spagna e l’unico vero
dilemma è scegliere a quale sovrano straniero
consegnare il Regno.”
“Mio
Principe, voi state dunque dicendo che rinunciate spontaneamente alla vostra
eredità?” domandò Francesco Gonzaga, incredulo.
“Io
sono l’unico erede di mio padre, questo è vero” ribatté, pronto, il giovane,
con una nuova luce che gli brillava negli occhi… in quel momento si sentiva
veramente importante e intendeva godersela più che poteva, sapendo che sarebbe
stato fin troppo breve. “Tuttavia mio padre ha atteso inutilmente, per anni,
l’investitura ufficiale da parte del Papa di Roma che, invece, ha preferito incoronare
Sua Maestà Re Carlo di Francia. Si potrebbe dire che, per il Papa Borgia, le
pretese degli Angioini fossero più legittime di quelle degli Aragonesi. In
realtà sono propenso a credere che Sua Santità abbia semplicemente fatto quello
che più gli conveniva, come ha sempre fatto e sempre farà. Temo che per lui
l’onore non abbia lo stesso significato che ha per voi…”
“Cosa
intendete dire? Sua Santità serve Dio e le questioni terrene non hanno alcuna
importanza per lui” obiettò il Duca, e questa volta fu Alfonso a scoppiare in
una delle sue risate squillanti.
“Non
lo avete ancora conosciuto, allora! Parlate di chiedere il suo appoggio ma non
lo avete mai incontrato di persona” disse poi, caustico. “Sappiate allora che
l’unico vero interesse di Rodrigo Borgia è quello di ampliare il proprio
dominio su tutta la penisola e che non avrebbe alcuno scrupolo a ingannarvi,
come ha già fatto con me e con Sua Maestà.”
“Non
capisco cosa vogliate dire, nobile Principe…” mormorò il Gonzaga, piuttosto in
confusione.
“Già,
spiegati meglio” lo incoraggiò Re Carlo, “questa storia interessa anche noi.”
L’intervento
del Re francese parve togliere per un attimo ogni sicurezza al Principe, che si
chiese se quello che stava per dire non avrebbe portato conseguenze nefaste… ma
ormai aveva iniziato e non poteva tirarsi indietro e, poi, aveva sempre avuto
un vero talento per inventarsi complotti e la parlantina non gli mancava di
certo!
“Il
Papa Borgia vuole il Regno di Napoli, così come vuole il vostro Ducato di
Mantova e qualunque altro” iniziò Alfonso, trascinato dalla storia stessa che
andava creando. “Mesi fa ha fatto sposare suo figlio Goffredo alla mia
sorellastra Sancha d’Aragona e avrebbe voluto che io sposassi sua figlia Lucrezia, per
mettere le mani su Napoli tramite la sua solita politica dei matrimoni. Io,
però, mi rifiutai decisamente di unirmi in matrimonio con la figlia illegittima del Papa e con quel rifiuto ho firmato la mia
condanna: da quel giorno, il Papa ha pensato soltanto a come togliermi di mezzo
per mettere sul trono di Napoli il suo figlio bastardo Goffredo, in quanto
marito di una Aragonese.”
“E
in tutto questo cosa c’entriamo noi?” domandò Re Carlo, suo malgrado
affascinato dall’intrigo di cui il Principe stava parlando con tanto fervore.
“Vostra
Maestà, voi siete stato il mezzo con cui Rodrigo Borgia ha cercato di ottenere
il suo fine” rispose Alfonso, intravedendo, in mezzo alle chiacchiere, il modo
per scagionarsi una volta per tutte dall’accusa di aver provocato lui la peste nel Regno di Napoli. “Non
vi ha incoronato perché riconosceva la legittimità di un discendente degli
Angioini, vi ha incoronato per scacciare me dal Regno e sapendo benissimo che
qui a Napoli non sareste rimasto a lungo… Quando vi ha concesso l’investitura
solenne, il Papa Borgia sapeva già benissimo che a Napoli infuriava la peste e
vi ci ha mandato per liberarsi di voi.”
Tanto
il Re quanto Francesco Gonzaga rimasero allibiti di fronte a tanta perfidia. Il
sovrano francese si rivolse per la prima volta al suo Generale come a chiedere
una conferma.
“Certo
sapevamo che il Borgia ci aveva ingannato, ma che avesse programmato
l’incoronazione sapendo della peste a Napoli… Generale, pensi che sia
possibile?”
Il
Generale colse al volo l’opportunità di discolpare il Principe e di gettare
tutta la vergogna su Rodrigo Borgia.
“Non
posso saperlo con certezza, Vostra Maestà, ma tutti sono a conoscenza del fatto
che la famiglia Borgia ha sicari e spie in tutte le corti italiane e, dunque,
poteva sapere prima di chiunque altro della pestilenza” rispose, deciso.
“Inoltre, se ben rammentate, una delle vostre richieste era stata quella di
essere accompagnato a Napoli dal figlio del Papa, il cardinale Cesare Borgia.
Ma Cesare Borgia ha ucciso tre nostri soldati ed è fuggito quasi subito…
potrebbe essere stato avvertito dal padre del pericolo che avrebbe corso se si
fosse avvicinato troppo alla città.”
“Quindi…”
mormorò il Duca Gonzaga, che non era uno sciocco, “Sua Santità avrebbe ordito
una simile trama per eliminare ogni legittimo pretendente al trono di Napoli e
insediarvi invece il suo figlio illegittimo?”
“Ecco,
ora forse capite meglio con chi volevate allearvi, mio caro Duca” lo irrise il
Re.
“Non
è tutto, se posso permettermi, Vostra Maestà” riprese il Principe Alfonso,
ormai lanciato. “Il Papa Borgia avrebbe probabilmente accettato le richieste di
Sua Grazia il Duca di unire le sue armate all’esercito congiunto di Mantova,
Milano e Venezia e poi, nel bel mezzo della battaglia, le armate di Roma si
sarebbero ritirate, consentendo all’esercito francese di sconfiggervi.”
“E
perché mai avrebbe dovuto fare una cosa simile, di grazia?” chiese Francesco
Gonzaga, scandalizzato.
“Mi
sembra ovvio” sorrise il Principe, “con la speranza che i soldati francesi
avrebbero ucciso sia voi che il Duca Ludovico Sforza. In quel caso, il Papa
Borgia avrebbe fatto sposare le vostre vedove ai suoi figli Cesare e Juan,
mettendo così le mani sui vostri Ducati ed estendendo il suo dominio in tutta
la penisola!”
“Ma…
suo figlio Cesare Borgia è un cardinale, non gli sarebbe consentito sposarsi”
fu l’unica obiezione che il Duca riuscì a sollevare.
“Cesare
Borgia è un cardinale quanto lo sono io” ribatté Alfonso in tono petulante.
“Non sarebbe certo difficile per il Papa di Roma concedere al figlio di
lasciare le vesti cardinalizie…”
Francesco
Gonzaga non ebbe altro da aggiungere e restò in silenzio a riflettere su tutto
ciò che il Principe Alfonso aveva raccontato con tanta enfasi.
“Siete
ancora dell’idea di allearvi con un simile personaggio, caro Duca?” lo stuzzicò
il Re.
“Non
chiederò aiuto al Papa Borgia” replicò il Duca di Mantova, brusco, “ma non
abbandonerò il progetto di un’alleanza con Milano e Venezia. Non lascerò il
Regno di Napoli in mano alla Francia e, se dovessi morire nel tentativo di
liberare l’Italia da un invasore straniero, avrò perlomeno la certezza di aver
donato la mia vita per una giusta causa! Vi ringrazio di avermi ascoltato,
Vostra Maestà, ma da questo momento in poi per me siete un avversario.”
“Sono
certo che sarete un avversario degnissimo e che i vostri eserciti si batteranno
con valore” ribatté Re Carlo, “tuttavia i nostri cannoni vi distruggeranno.”
“Come
ho detto, sarò lieto di morire con onore” ripeté Francesco Gonzaga, prima di
congedarsi.
Quando
il Duca ebbe lasciato la Sala del trono, il sovrano francese si rivolse con una
smorfia annoiata al suo Generale.
“Dovremo
dunque prepararci per una battaglia, Generale?” si lamentò. “Era nostra
intenzione far ritorno in Francia per nominare un successore…”
“Non
vi angustiate, Vostra Maestà. Il Duca Gonzaga è un uomo valoroso e leale, ma
dubito che i suoi alleati condividano le sue idee sulla bellezza di una morte
onorevole” rispose l’uomo. “Probabilmente non ci sarà nessuna battaglia, a meno
che il Duca non intenda sfidarci soltanto con il suo esercito e quello non
rappresenterebbe un problema per voi.”
“Molto
bene” disse il Re. “Dunque potrai continuare ad organizzare i preparativi per
la partenza e, al contempo, tenere pronti i soldati in caso di un attacco delle
armate di Mantova. E… portati via il Principe, mi ha fatto venire il mal di
testa con tutte le sue chiacchiere!”
Il
Generale accompagnò Alfonso fuori dalla Sala del trono e, mentre procedevano
lungo il corridoio, si affrettò a tranquillizzarlo.
“Non
temere, Principe, Sua Maestà si è espresso in modo brusco con te, ma io lo
conosco bene e ho visto quanto è rimasto soddisfatto di come hai messo a tacere
il Duca di Mantova” gli disse. “Ma… toglimi una curiosità: come fai a sapere
tutte quelle cose del Papa Borgia e dei suoi intrighi?”
“Ho
ascoltato molte volte i consiglieri di mio padre che ne parlavano, soprattutto
nel periodo in cui fu organizzato il matrimonio tra Sancha
e Goffredo Borgia” rispose Alfonso, con un sorrisetto furbo. “E poi… altre cose
me le sono inventate lì per lì, mi sono sempre piaciute le storie complicate e
i complotti!”
Il
Generale sorrise, incredulo davanti a tanta innocente sfrontatezza.
“Sei
davvero unico, Principe. Sono ogni giorno più contento di averti salvato la
vita e di poterti tenere accanto a me per sempre” mormorò, prima di prenderlo
tra le braccia e baciarlo fin quasi a togliergli il respiro.
Tuttavia
anche Alfonso era soddisfatto di come si era svolta quella giornata e sentiva
che la nuova vita che si stava costruendo sarebbe potuta essere più piacevole
di quanto avesse mai pensato. Inoltre, pur non essendosene ancora accorto, i
suoi sentimenti per il Generale diventavano sempre più profondi e anche per lui
era importante averlo accanto a sé.
FINE