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Autore: EmilyW14A    19/02/2017    3 recensioni
Succede spesso di convincerci che le persone ci guardano e critichino ogni singola cosa che facciamo, ma non è così. La verità è che gli esseri umani sono tutti perfettamente egoisti e non hanno tempo da dedicare agli altri, anche se si tratta di uno sconosciuto seduto nel sedile davanti sul treno. Noi ci convinciamo che gli altri passino il loro tempo a commentare i nostri abiti, i nostri capelli, i piercings, i tatuaggi, i nostri lineamenti, il nostro fisico; in realtà nessuno si sofferma veramente a giudicare cosa fanno gli altri. Nonostante ciò, in questo momento non riesco a togliermi di dosso la sensazione che tutti i passeggeri della metropolitana si siano accorti di quello che ho appena fatto e mi stiano fissando con sguardo indagatore. Cerco di darmi velocemente un contegno, sistemo la camicia e la giacca, e proseguo nel mio cammino. Controllo l'orologio e mi accorgo che tra meno di due ore devo iniziare il turno a lavoro. Decido di fermarmi qualche fermata prima per pranzare in un posto tranquillo. Ho bisogno di riflettere da solo su tutto quello che è appena successo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Reita, Ruki, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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XXIII.




















Una folata di vento freddo mi sveglia dal piacevole sonno in cui mi sono rifugiato nelle passate ore. Appena riprendo coscienza percepisco un dolce tepore accanto a me e uno strano peso sul mio petto. Apro gli occhi cercando qualche risposta nella penombra della stanza. Mi accorgo che numerose ciocche di capelli corvini sono distese sul mio petto disordinatamente. Finalmente capisco.
Il volto di Takanori è appoggiato sul mio busto, la sua guancia tocca il mio pettorale sinistro. Gli occhi chiusi, la bocca semiaperta, il respiro regolare. Sta dormendo e non voglio svegliarlo. Ho bisogno di stare da solo per ancora un po’. Mi muovo impercettibilmente ma noto con mia sorpresa che buona parte del suo corpo è distesa sulla parte sinistra del mio. Alcuni ciuffi di capelli mi sfiorano il mento provocandomi il solletico.  Sposto con le dita alcune ciocche della sua folta capigliatura cercando di non farmi notare.
Sembra tutto così surreale. Mi sento come un atleta che è appena tornato dalla sua vittoria nella gara più difficile del mondo. Non ho ancora realizzato cosa è successo, né come, né perché. Sento la bocca impastata. Ho sete. Vorrei bere mille litri di acqua fino a liquefare il mio corpo. Sento una fitta alla bocca dello stomaco. Posso scappare tra le braccia di Orfeo ancora per un po’? Mi fa paura questa realtà. Il mio sogno, invece, era bellissimo. Mi sentivo libero, ero solo in un posto deserto ed ero…felice. Nessuno può giudicarmi nel deserto. Nessuno può ferirmi. Mi maledico mentalmente per essermi svegliato. Non so cosa darei per cadere in un coma permanente. Non so cosa darei per fermare il tempo.
Respiro profondamente guardando il soffitto. Cerco di spostarmi nella maniera più furtiva possibile, tuttavia fallisco nel mio obbiettivo. La sua mano appoggiata distrattamente sui miei addominali si sposta accarezzandomi il bacino. Lo vedo alzare il volto assonnato e guardare verso la mia direzione; una smorfia confusa sul suo viso.
“Akira…” balbetta timidamente. Accarezzo la sua schiena rassicurandolo.
Si avvicina a me cercando le mie labbra. Ci baciamo, ma quel bacio mi spaventa. Mi sento improvvisamente molto sporco. Ho bisogno di lavarmi, di lavare via me stesso. Mi scosto guardandolo. Non riesco a scorgere i suoi occhi a causa dei ciuffi ribelli dei suoi capelli che ricadono sul suo viso come rami di un salice piangente. Lo bacio ancora. Basta così. Lo bacio un’altra volta. Devo fermarmi; ho già pagato per i miei crimini. Mi scosto guardando la parete di legno sulla mia destra.
“Ho sonno” lo sento sbiascicare con voce roca. Sorrido spostandomi e poggiando il peso del suo corpo sulla stoffa morbida del futon. Finalmente riesco ad alzarmi senza sentirmi in colpa. Mi volto verso di lui e lo guardo. Dormi Takanori, dormi e rifugiati nel tuo mondo. Sicuramente il tuo è migliore del mio.
Come fosse vittima di un incantesimo, l’uomo dai capelli corvini si addormenta nuovamente. Il suo respiro è regolare come una lunga ninna nanna. Vorrei rimanere qui per sempre ad ascoltare questa dolce musica, ma non mi è possibile. Il destino vuole che finisca tutto nel più breve tempo possibile. E io glielo sto permettendo. Sono solo una vittima di questo grande uragano che è entrato nella mia vita e ha spazzato via tutto senza lasciare nulla. E mi rendo conto solo ora che io ho permesso tutto questo. Ho permesso che la catastrofe si portasse via ogni cosa a me cara. Il mio amore per il calcio, il mio amore per la musica e il mio amore per Takanori. Ho cercato, scavato, all’interno della mia anima per ritrovare quell’amore scoprendo che non è rimasto più nulla. Il mio amore per Takanori è stato una fiamma viva che mi ha illuminato e scaldato il cuore; tuttavia ora sono rimaste solo le ceneri. Il vento freddo le sta facendo volare via. E io come posso fermare tutto questo? Non posso.
Penso tutto questo mentre mi dirigo verso la doccia. Entro nel piccolo box dalle pareti di plastica e aziono la manopola dell’acqua. Attendo qualche secondo che diventi calda, infine bollente. Voglio ustionarmi la pelle così da non sentire le bruciature che hanno dilaniato il mio cuore. Recupero una confezione di bagnoschiuma e inizio ad insaponarmi.
Doveva veramente andare così? Evidentemente sì. Io e Takanori non siamo fatti l’uno per l’altro. Apparteniamo a due mondi diversi e così dobbiamo rimanere. Se solo avessi saputo che sarei finito in questa situazione non avrei mosso un dito per cercare il mio donatore. Mia madre aveva ragione. Ha sempre avuto ragione e io non l’ho mai ascoltata. Vaffanculo Akira sei una perfetta testa di cazzo. Con quale diritto ho rovinato la vita di un’altra persona? Con quale diritto ho rovinato la mia stessa vita? Ormai non posso più piangere sul latte versato. Conviene lavare via lo sporco e riniziare da capo. Io non merito Takanori e Takanori non merita me. Abbiamo sbagliato. Ci siamo incontrati e abbiamo commesso un errore. Come quando acquistiamo un paio di pile scoprendo che sono della dimensione sbagliata. Non si può incastrare un mobile in un spazio troppo stretto. Non si può versare troppa acqua in una piccola tazzina. Ho voluto giocare con il destino e così l’ho pagata cara. Mi basta sapere che abbiamo sbagliato entrambi. Non sono da solo in questo incubo. Va bene così.
Dopo lunghissimi minuti passati sotto lo scrosciare incessante dell’acqua decido di chiudere la manopola e uscire. Cerco con lo sguardo un telo abbastanza largo e tampono la mia pelle asciugandola. Lego il pezzo di stoffa in vita ed esco dal bagno con i capelli umidi. Piccole goccioline di acqua scendono dalle ciocche ai lati delle orecchie cadendo sul mio petto. Cammino in direzione della cucina sentendo un odore piacevole raggiungere le mie narici. Scorgo una figura girata di spalle con i capelli raccolti in una coda che armeggia davanti ai fornelli. Takanori indossa qualcosa di familiare. Una vecchia felpa e dei pantaloni che una volta appartenevano a me e che ho portato in questa casa qualche anno fa considerando lo squallore del tessuto e della stoffa. I pantaloni sono visibilmente troppo larghi per lui ma non sembra farsene un grosso problema. Tossisco così da annunciare la mia presenza.
Lo sento canticchiare sottovoce. Sembra molto concentrato.
Mi avvicino a lui recuperando un bicchiere dal lavabo.
“Preparati perché voglio tornare a casa il prima possibile” dico bevendo un sorso abbondante di acqua.
Si volta verso di me smettendo di fischiettare. Mi guarda stupito.
“Sai, non vorrei trovare casino in autostrada considerando il brutto tempo di questi giorni. Prima partiamo e prima arriviamo” sussurro trangugiando l’acqua rimasta nel bicchiere.
Mi guarda ma subito dopo scosta lo sguardo verso i fornelli.
“Ah, pensavo volessi fare colazione…” la sua voce è così bassa che per un attimo credo che Takanori abbia pronunciato quelle parole in una lingua diversa. Non riesco a capirlo. La sua bolla di sapone in cui è rinchiuso non mi permette di sentire le sue parole attraverso le pareti della mia.
“Non ho molta fame sinceramente, però se tu vuoi mangiare fai pure…non ti metto fretta” esclamo portandomi una mano tra i capelli castani.
Non risponde, ma continua a cucinare. Lo osservo cercando di mostrarmi il meno inquietante possibile. È così bello con i suoi capelli corvini raccolti e la pelle diafana. Mi perdo ad osservare i suoi movimenti fino a quando un suono mi riporta alla realtà.
“Ahia!” urla allontanandosi dal fornello acceso.
“Ti sei bruciato? Fa’ attenzione” dico prendendo la sua mano destra e portandola sotto il getto freddo dell’acqua del lavandino della cucina.
Non risponde ignorandomi. Soffia sul suo dito medio leggermente arrossato e continua le sue mansioni come se non ci fossi. Passiamo molti minuti in silenzio. Il suono del burro fuso che crogiola in padella ci fa compagnia. Bevo un altro bicchiere di acqua tutto d’un fiato.
“Takanori.” Dico con un tono autorevole.
“Stai zitto” dice mentre sbatte le uova in una piccola ciotola.
“Takanori ascoltami. Dobbiamo parlare.” Riprendo facendo finta di niente.
“Non mi interessa.”
“Invece ti interessa.” Dico annullando la distanza tra di noi e prendendo il suo volto tra le mie mani. Lo osservo mantenendo uno sguardo severo. I suoi occhi sono troppo dolci ma non possono sciogliere il mio cuore di piombo.
“Prima che ognuno torni alla propria vita è bene parlarsi non credi?”
“Non ho niente da dire.” Sussurra lui con un tono di rimprovero.
“Io invece sì…” prendo fiato allontanandomi leggermente dal suo volto. “Vedi, è stato un sbaglio-”
Non riesco a terminare la frase. Uno schiaffo mi colpisce in pieno viso senza che me lo aspettassi. La mia guancia sinistra inizia immediatamente a pulsare. Fa male.
“Vaffanculo Akira! È stato uno sbaglio? È stato un fottuto sbaglio per te quello che è successo ieri? Io…io ti ho dato tutto me stesso. Ho aperto il mio cuore. Non c’è nulla di sbagliato in tutto questo.”
Si volta tornando alle sue mansioni culinarie. Le sue parole mi tagliano la voce, il respiro, l’anima. Perdonami Takanori.
“Non…Non intendevo questo. Lasciami parlare.” Riprendo fiato tossendo. “Vedi…è colpa mia. È stata tutta colpa mia. E non lo sto dicendo per giustificarmi o perché voglio la tua compassione. Dico solo la verità. Ho sbagliato. Ho sbagliato quel maledetto giorno che ho pensato di iniziare la ricerca che mi avrebbe condotto alla persona che mi ha salvato la vita. Una ricerca che mi ha portato a te. Ma chi sei tu? Chi eri? Un perfetto sconosciuto. E chi ero io per entrare prepotentemente nella tua vita senza il tuo consenso? Mi sono preso la libertà di strapparti alla tua vita quotidiana per portarti in un mondo di illusioni e bugie. Tutto questo è stato solo un grande sbaglio. Ci siamo avvicinati senza sapere che era tutto un illusione. Io e te non siamo fatti per stare insieme Takanori. Ci siamo illusi di essere fatti l’uno per l’altro, ma la verità è un’altra. Io non appartengo al tuo mondo e tu non appartieni al mio.” Concludo la frase spostando lo sguardo, perdendomi ad osservare la stanza quasi spoglia di mobili.
“Con quale diritto stai dicendo questo? Sono tutte stronzate!” dice Takanori alzando la voce.
Subito dopo torna a concentrarsi sui fornelli versando il composto di uova sbattute,  formaggio e prosciutto nella padella imburrata. Lo osservo. Sembra molto calmo ma so che dentro è furioso.  Vorrei abbracciarlo e sussurrargli che va tutto bene, ma in fondo gli direi solo l’ennesima bugia. Non c’è nulla che va bene. Non nella mia vita almeno.
“Takanori ascolta. Da oggi io e te non ci vedremo mai più. Dimenticati di me, dimentica ogni cosa che mi riguarda. Io non sono nulla; non lo sono mai stato. Ci siamo incontrati solo perché io ho violato delle leggi e delle regole di privacy e non perché lo voleva il destino. È stato uno sbaglio. Tutto quello che mi hai detto quel giorno che abbiamo pranzato al ristorante francese è vero. Sono un manipolatore bugiardo e meschino. Come potresti stare vicino ad una persona come me? Tu meriti di meglio. Troverai qualcuno che ti ama come meriti di essere amato.  Troverai qualcuno così come io ho trovato Jonathan.  Qui è il momento in cui le nostre strade si dividono.”
Mi soffermo. Ho realmente detto tutto questo o l’ho solo pensato? A volte è così semplice parlare. Come bere un bicchiere di acqua o battere le palpebre. Forse tutto quello che sto dicendo lo sto dicendo a me e me stesso soltanto.  Vorrei essere da solo in questa stanza squallida e spoglia. Vorrei poter parlare con me stesso e rassicurarlo. Rassicurare il bambino, il ragazzo e l’uomo che vivono dentro di me. Vorrei dire loro ‘va tutto bene, prima o poi le cose si sistemeranno’. Vorrei poter guardare il futuro e raccontare loro quello che ho visto. Chissà cosa c’è là. Sì là, nel futuro. Io lo immagino come una grandissima scogliera alta e imponente che spicca sul mare come a volerlo domare e controllare. Da lì si può vedere tutto. L’orizzonte, il sole, le centinaia di sfumature di verde dell’acqua marina. Eppure quella posizione è pericolosissima. Se ti sporgi un po’ troppo per guardare il panorama potresti cadere e farti del male. Il futuro è pericoloso. E allora perché gli uomini sono così addolorati dal passato?
Takanori è fermo. Osserva l’omelette friggere in padella scoppiettando di tanto in tanto. Non si è mosso di un millimetro da quando ho concluso la frase. Lo sento sussurrare qualcosa.
Non capisco. Gli chiedo di ripetere. Qualcosa luccica sulla sua guancia destra.
“Io…sono innamorato di te” la sua voce è distrutta, rotta, consumata come un paio di scarpe vecchie. Si volta verso di me offrendomi la vista del suo volto rigato da numerose lacrime. I suoi occhi sono bagnati, mi ricordano una piscina limpida e tranquilla.  Si asciuga quelle piccole fontane salate con la manica del suo pigiama improvvisato. Mi guarda. Non riesco a capire cosa prova. Odiami Takanori, ti prego. Odiami, te lo ordino.
“Tu non meriti questo Taka.” dico, incapace di aggiungere altro.
Lui rimane immobile. Mi fissa. Vorrei poter distruggere tutto quello che è intorno a me e scappare con lui. Ma è stato tutto un grande sbaglio, fin dall’inizio. Non avrei mai dovuto prendere un treno per Yokohama. Né entrare in quella biblioteca.  
“Chi sei tu per decidere cosa è giusto per me? Chi cazzo sei eh? E come ti permetti di decidere al posto mio?” sbraita lui avvicinandosi a me e tirandomi un pugno sul braccio destro. Deve aver impiegato tutta la forza che aveva in corpo considerando il suo sguardo e il suo fiato irregolare. Si tasta le nocche doloranti. “Posso almeno avere il potere di decidere chi amare? Rispondimi Akira. Rispondimi cazzo!”
Senza aggiungere altro lo vedo scoppiare a piangere in un pianto sordo e silenzioso. Lo lascio sfogare. Lascio che pianga, ma non oso avvicinarmi. Deve farcela da solo. Deve capire che da domani in poi io non sarò più con lui.  Fa male, ma prima o poi tornerà tutto come prima. Takanori è un fiore forte che crescerà rigoglioso tra l’erba. Io sono solo terra secca e arida. Non vado bene per lui. 
Lascio che il tempo scorra, che ci passi accanto, accarezzi i nostri corpi deformi e scappi via. Non so quanto tempo è passato. Forse un minuto, forse un’ora.
“Vuoi sapere una cosa?” Parlo rompendo il silenzio. Non mi guarda, ma si volta verso la sua omelette disponendola sul piatto.
“Sai che…non ho mai letto Lolita di Nabokov? Presi quel libro in prestito la prima volta che ci siamo incontrati, ricordi? Ecco. Non l’ho mai aperto. Non mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello di sfogliarlo e leggere anche solo una pagina. E tra l’altro devo dire la verità: non so un cazzo di letteratura russa. Non so nemmeno chi cazzo sia quel Nabokov. Quando mi sei venuto incontro chiedendomi se avessi bisogno di aiuto ho esclamato il primo titolo che mi passava per la testa. A parte i libri gialli, non leggo nulla. Adoro le riviste di moto e di cucina.  Ah, e poi  non so nulla di arte e non ho nessun amico che stava preparando una tesi di dottorato all’università.” Dico aprendo le braccia come segno di resa. Assumo un’espressione piuttosto impacciata tanto che lo vedo sorridere. Dopo poco Takanori scoppia in una risata nervosa ma sincera. Rido anche io.
“Sei un vero bastardo” afferma lui guardando la sua colazione fumante. Riempie di acqua il bollitore del tè e lo sistema sul fornello accesso. Si sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio sfiorando i piccoli piercing che lo decorano.  “Akira…tu sei la cosa più importante al mondo per me. Un secondo dopo esserci separati, quello stupido sabato di giugno, ho sentito un grande vuoto nel cuore e dentro il mio corpo. Come se qualcuno mi avesse strappato gli organi vitali e i muscoli. Mi sentivo denutrito e senza respiro. Avevo capito fin da subito di aver fatto lo sbaglio più grande della mia vita. Non sei tu quello che ha sbagliato, sono stato io. Ti ho scacciato via quando in verità mi sono accorto di averti aspettato da una vita intera. Per questo ti dico che il nostro incontro era voluto dal destino. Sono anni che aspetto la mia anima gemella e la prima volta che ti ho visto ho capito che eri tu. Poi io ho rovinato tutto. Ne ho pagato le conseguenze, passando gli scorsi tre mesi a piangere e cercare un modo per farla finita. Ma ora voglio solo riniziare da capo. Voglio cancellare il passato e andare avanti, insieme a te.”  Si avvicina a me appoggiando i palmi delle sue mani sulle mie guance. Mi osserva sorridendo dolcemente. Piccoli ricordi di lacrime ormai secche sui suoi zigomi.  “Io voglio te Akira. Io posso farti stare bene”
La sua voce è dolce, mi ricorda la ninna nanna che mi cantava mia madre prima di addormentarmi quando ero piccolo. Lo scosto da me guardandolo negli occhi, quegli occhi puri e pericolosi.
“Mi dispiace Takanori, ma non posso stare bene. Non starò mai bene. Sono una persona fisicamente malata e psicologicamente schiacciata e demolita da tutto quello che ha passato. Per questo non può funzionare.  Io ci tengo a te, ed è per questo che voglio allontanarti dalla mia vita. Non meriti altra sofferenza.  Puoi riniziare da capo, devi farlo.”
Lo guardo intensamente. In fondo è giusto così. Il nero e bianco sono due colori troppo lontani e opposti. Ciò che è sporco non può permettersi di macchiare ciò che è puro. Va bene così. Prendere due treni diversi, due direzioni diverse.  È colpa mia, è colpa tua Takanori. È colpa nostra. Ma va bene così.
Mi volto, accorgendomi di non riuscire a sopportare ulteriormente la sua presenza. Improvvisamente tutto ciò che lo riguarda mi disgusta, come un piatto di cibo andato a male. Non voglio più guardarlo. Non ho bisogno di lui. Posso farcela da solo, posso essere forte così.
“Io…s-senza di te …n-non sono niente” balbetta la sua voce alle mie spalle. Non ho la forza di girarmi. Ascolto quelle parole come si ascolta una melodia già sentita. Non ci presto attenzione. Osservo il muro di legno davanti a me concentrandomi sui più piccoli particolari.
Va bene così.
 
 
 
 





 
 ~
 
 
 
 





 
Il viaggio in auto è tranquillo. Amo guidare in autostrada. Amo osservare il paesaggio che mi si staglia davanti e che mi scorre ai lati velocemente. Mi piace questa sensazione di sentirmi rincorso dalla strada e dagli alberi. Le montagne viste da qui sembrano delle imponenti ed enormi guardiane che vigilano sugli ignari automobilisti.  Ad un certo punto del giorno le autostrade diventato luoghi surreali. Come se tutto diventasse magico e etereo.  Amo fermarmi nei punti di sosta, sgranchirmi le gambe e svuotare la vescica in un bagno puzzolente della stazione di servizio. Mi è mancato viaggiare. Prendere la macchina e andare veloce. Lasciar volare via i pensieri.
Accendo la radio abbassando il volume ad una tonalità più decente. La stazione radio sta trasmettendo una vecchia rock ballad anni settanta. Il giusto sottofondo per gustarsi al meglio il viaggio. Accanto a me Takanori sonnecchia. A volte lo scorgo aprire gli occhi e fissare il paesaggio fuori dal finestrino. Non dice una parola. Osserva e prende appunti mentalmente di tutto quello che vede ma non emette un suono. Sono ore che non sento la sua voce. Mi manca. Non mi permetto di parlare. Come lui non disturba la quiete del mio mondo, io non voglio disturbare la quiete del suo. Siamo rinchiusi nelle nostre rispettive sfere di cristallo.
Durante tutta la durata del viaggio lo vedo addormentarsi e sognare. Borbotta qualcosa di incomprensibile nel sonno.  Sembra infastidito.
Veramente credi di essere tu la vittima Takanori? Che stupido. L’unico che ci rimette sono io.  Io mi porterò una parte di te dentro di me, per sempre. Tu vivi dentro di me Takanori e sarà così fino al giorno in cui morirò. Ci sarà sempre qualcosa che ti riguarda nella mia vita. Hanno piantato un tuo piccolo fiore nel mio corpo che è cresciuto arrampicandosi intorno ai miei organi. Senza quel fiore non posso vivere.  Il tuo fiore mi ha protetto e mi ha salvato la vita e ora tocca a me fare altrettanto. Questa è la mia condanna. Portarmi dietro un dolce peso per il resto della mia esistenza. Takanori, sarai sempre dentro di me.
Guido per un tempo interminabile. Decido di accompagnare il più piccolo a casa e così la durata del viaggio si allunga ancora di più. Quando siamo nei pressi di Yokohama, la sua voce mi consiglia e mi detta la strada da percorrere. Mi era mancata. Cioccolato fondente e scorze di arancia.  La sua voce è prelibatezza, è dolce, amara, soffice, morbida, proibita.  Non la dimenticherò mai.
Il paese in cui abita Takanori è molto piccolo ma vicinissimo alla grande città. Dopo svariati minuti  mi indica di fermarmi. Scendo dalla macchina in breve tempo e corro ad aprire la sua portiera. Evita il mio sguardo come si evita un barbone seduto sul ciglio della strada. Recupero il suo zaino porgendoglielo educatamente.
Se non vuoi salutarmi non fa niente.
Alza il volto verso di me. I suoi occhi sono due pietre liquide. Non dice nulla ma i suoi occhi mi rivolgono troppe domande a cui non so dare una risposta. Come vorrei fermare il tempo così da non fare nessun passo avanti. È troppo tardi ormai.
“Akira…” la sua voce è incrinata; uno specchio malconcio e spaccato in mille frammenti.
Mi abbasso su di lui posando un bacio delicato sulla sua fronte.
“Io voglio solo che tu sia felice, Takanori.” Dico con tono calmo.
Senza voltarmi verso di lui, percorro il perimetro della mia macchina. Salgo chiudendo sonoramente la portiera. Metto in moto e accelero immediatamente.
Spingo il pedale della frizione e cambio la marcia. Premo l'accelleratore e sento la mia Toyota ruggire sotto il mio comando.
Non mi volto nè diminuisco la velocità; nemmeno per un secondo. 

































Buona domenica! Finalmente ho un momento libero per postare. Chiedo profondamente scusa per essermi assentata così tanto ma ho da poco finito la sessione esami invernale e sono stata sommersa dagli impegni. Non dimenticate che ora come ora svolgo lo stesso lavoro di Takanori e, fidatevi, non è poi così leggero lavorare in biblioteca. Tutto sommato non mi lamento però...adoro lavorare in mezzo ai libri <3 e poi finchè non entra nessun ragazzo alto e con la giacca di pelle nera non ho bisogno di preoccuparmi (lol). Ma veniamo a noi...beh che dire. Io non voglio commentare troppo per non influenzarvi però ammetto di adorare questo capitolo. Vi consiglio di non prendere posizione, ovvero nè di dare ragione solo ad Akira o solo a Takanori. Ci sono molte cose rimaste in sospeso. Ci sono molte cose che non si sono detti; in fondo ognuno ha i propri segreti no? Evidentemente entrambi hanno ritenuto giusto così. Hanno sbagliato entrambi ma allo stesso tempo hanno ragione entrambi. A volte nella vita va così. Non si può tornare indietro; bisogna solo accettare la situazione e guardare avanti. La fanfiction non è ancora finita quindi preferisco terminare qui il mio monologo. Ci vediamo al prossimo capitolo :3 

 
   
 
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