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Autore: gattina04    19/02/2017    3 recensioni
È un momento tranquillo ed Emma ha tutto ciò che ha sempre cercato e voluto; non c’è niente che possa desiderare, nemmeno il giorno del suo compleanno, ad eccezione di un piccolo insignificante rammarico. E sarà proprio quel pensiero a stravolgere completamente la sua esistenza catapultandola in un luogo sconosciuto, popolato da persone non così tanto sconosciute. E se ritrovasse persone che pensava perse per sempre: riuscirà a salvarle ancora una volta?
E cosa succederà a chi invece è rimasto a Storybrooke? Riusciranno ad affrontare questo nuovo intricato mistero? E se accadesse anche a loro qualcosa di inaspettato?
Dal testo:
"Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma»."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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5. Partire o restare
 
POV Emma
«Non se ne parla proprio». Robin sbatté il pugno sul tavolo facendoci sobbalzare. «È troppo pericoloso». Io e Milah avevamo appena spiegato agli altri il nostro piano, ed era un buon piano, o almeno un buon punto di partenza; per questo non mi era aspettata di certo una reazione del genere da parte sua.
Io e lei saremo andate alla ricerca di quella donna misteriosa ai margini della Terra delle anime perse e, se Milah aveva effettivamente ragione, io sarei riuscita a tornare tutta intera con le informazioni giuste per poter salvare tutti quanti. Era ovvio che speravo che anche Milah ce la facesse, ma era stata una sua idea sacrificarsi per il bene degli altri; nessuno l’aveva costretta.
«Lo sappiamo benissimo che è pericoloso», ribatté Milah piccata. «È proprio per questo che voi dovete rimanere qua al sicuro. Non vale la pena rischiare la vita, diciamo così, di tutti».
«E per questo dovresti rischiare la tua e quella di Emma?». Era stato Joe a parlare, appoggiando una mano su quella di Milah con fare paterno.
«Se abbiamo ragione», intervenni, «io non corro nessun rischio. Non posso trasformarmi in quelle anime».
«Ed è ovvio», continuò l’altra, «che non può andarci da sola. Si perderebbe subito in questo mondo».
«È un’idea assurda», proseguì Robin. «Non siamo neanche certi che questa persona esista realmente! Fino a ieri pensavi che fosse una stupida leggenda, che cosa ti fa credere adesso che quella donna esista davvero?».
«Se non esiste ed è tutto una stupida invenzione, non ho più nulla in cui sperare Robin». Le parole di Milah furono dure ma andarono dritte al punto. Cosa altro le restava, o comunque restava a tutti loro, se negavano quella possibilità di salvezza? Solo l’attesa dell’inevitabile.
«Cosa vuoi fare Robin?», continuò Milah. «Restartene qui aspettando di diventare come quelle anime là fuori? Preferisco rischiare, anche con la possibilità di diventarlo prima del previsto, piuttosto che aspettare senza fare nulla».
Robin sospirò e non aggiunse altro, mentre le facce di tutti si fecero tese e preoccupate.
«Capisco cosa intendi», intervenne Charlie, «ma è troppo rischioso per voi due. Non potete andarci da sole».
«Certo», continuò Joe, «veniamo tutti con voi».
«Oh Joe». Milah strinse forte la sua mano rivolgendogli un sguardo commosso. «Lo sai che non puoi venire, sei qui da più tempo di tutti noi, sarebbe un suicido per te. Io non voglio sacrificare la salvezza di nessun altro. Io ed Emma ce la caveremo».
Ci fu un momento di silenzio in cui nessuno parlò. Tutti stavano riflettendo sulle possibilità di riuscita di quell’abbozzo di piano. Non avevamo molte informazioni, ci stavamo basando essenzialmente su una leggenda che poteva benissimo rivelarsi infondata. Quella donna poteva benissimo esistere come poteva essere frutto di una stupida credenza popolare; e anche se fosse esistita, non avevamo comunque la certezza che avesse le risposte alle nostre domande. Il fatto che la mia anima non potesse perdersi era un’altra supposizione. Tuttavia cos’altro potevamo fare? Era la nostra unica speranza, la nostra unica possibilità. Non avevamo indizi, stavamo partendo per una missione alla cieca, ma era pur sempre qualcosa per modificare la loro inevitabile fine.
«D’accordo», mormorò infine Robin. «Ad una condizione».
«Quale?», chiedemmo io e Milah contemporaneamente.
«Io vengo con voi e non accetto un no come risposta. Se tu puoi rischiare la tua vita per noi, io posso fare altrettanto. È una mia scelta e non puoi impedirmelo».
Sapevo fin da subito che Robin non avrebbe rinunciato ad un avventura anche se questa avesse comportato la sua salvezza. Era tipico di lui e non mi sarei aspettata niente di meno dal famigerato Robin Hood.
«D’accordo», acconsentimmo.
«Ed io verrò con voi». Era stato Charlie a parlare; ci stava osservando con uno sguardo determinato che non ammetteva repliche.
«Charlie…», iniziò Milah.
«Anche per me si tratta di libero arbitrio», la interruppe. «Non mi escluderete da questa storia».
«Anch’io voglio venire con voi», proruppe Lizzy. Per quanto l’apprezzassi, era davvero troppo giovane e inesperta per partecipare a quella missione suicida.
Charlie fu il primo ad intervenire. «Lizzy tu devi restare qua con Mark e Joe, hanno bisogno di una donna che si occupi di loro. Cosa farebbero altrimenti?».
«Giusto mica puoi lasciarci da soli?», continuò Joe. Lizzy sospirò e si arrese alla volontà generale.
«D’accordo io, Emma, Milah e Charlie partiremo oggi stesso e cercheremo di tornare il più presto possibile e possibilmente tutti interi. Credo che non ci sia tempo da perdere».
«Io, Joe e Lizzy vi aspetteremo qui», disse Mark in tono serio.
Milah gli si avvicinò posandogli una mano sulla spalla. «Tu occuperai tu di loro, vero?».
Le rivolse un sorriso tirato. «Tranquilla, sono in buone mani. Voi piuttosto state attenti e cercate di tornare tutti interi». Sorrisi iniziando ad intuire che tipo fosse Mark: era una persona di poche parole ma con un gran cuore come gli altri. Anche se avevo passato solo poche ore con loro, erano riusciti tutti quanti a farsi ben volere da me. Dovevo riuscire a salvarli, dovevamo riuscire a tornare tutti quanti da quella pericolosa missione. Non c’era possibilità di fallimento.
 
Poco tempo dopo eravamo tutti e quattro pronti a partire. Portammo con noi poche cose, giusto qualche oggetto per riuscire ad accamparci e qualche vivere, soprattutto per me che ero l’unica ancora con delle vere e proprie esigenze fisiologiche. Come avevo appreso nelle ultime ore, non c’era molto in quel mondo che garantisse la sopravvivenza. Ogni oggetto che essi possedevano era un vero e proprio tesoro che le anime che si erano susseguite avevano trovato e avevano tramandato fino a loro.
I saluti furono brevi ma intensi. Io me ne restai da una parte, quasi sentendomi un’intrusa nella privacy e nell’affetto di persone che effettivamente non conoscevo. Non sapevo che legami intercorressero tra di loro, ma di una cosa ero sicura: erano molto più simili ad una famiglia rispetto ad alcune famiglie reali.
«Possiamo andare», disse Charlie, dopo aver controllato dallo spioncino della porta. Sia lui che Robin avevano insistito per portar loro gli zaini, così io e Milah ci ritrovammo senza nessun peso, ma allo stesso tempo con una profonda responsabilità sulle spalle.
«Dovremmo prendere i tunnel sotterranei per il momento», annunciò Robin e gli altri due annuirono. Io purtroppo dovevo affidarmi completamente a loro; non conoscevo nulla di quel mondo e perdermi sarebbe stato facile come bere un bicchier d’acqua.
Molto velocemente aprimmo la botola attraverso la quale eravamo arrivati io e Robin e scendemmo in quei tetri cunicoli.
«Bene adesso da che parte andiamo?», chiesi una volta a terra. Gli altri due si voltarono a guardare Milah; doveva essere lei la navigatrice della situazione.
«Beh allora fatemi pensare…». Milah chiuse gli occhi per riuscire a concentrarsi. «La caverna è ad ovest ed è ai margini della città, noi qui siamo leggermente più a sud. Credo che dovremo attraversare l’intera città in direzione nord-est. Penso che il luogo di cui la leggenda parla dovrebbe essere da quella parte».
«Non mi piace quando usi il condizionale», le fece notare Charlie.
«Neanche a me», ammise lei, «ma purtroppo stiamo andando avanti a supposizioni. Per questo avrei evitato di farvi venire con noi, è davvero troppo rischioso».
«Se ho capito bene dobbiamo attraversare tutta la città?», domandò Robin.
«Sì».
«Beh possiamo proseguire qua sotto», mi intromisi. «È più sicuro».
«Purtroppo queste gallerie non arrivano tanto lontano», mi rivelò Milah. «Sbucano nel cuore esatto di questa terra».
«Emma», intervenne di nuovo Robin guardandomi serio, «che tu ci creda o no, non hai ancora visto niente di ciò che ti aspetta in questo mondo». Un brivido mi salì lungo la schiena; avevo pensato di essere preparata, di aver già visto il lato più oscuro di quella strana terra. Cosa altro poteva essere peggio?
Ignorai la mia paura e deglutii rumorosamente. «Beh cosa stiamo aspettando?». Gli altri annuirono ed iniziarono a camminare.
Proseguimmo per un po’ in fila indiana senza dire una parola. Fin da subito, però, il silenzio divenne opprimente; non mi dava fastidio non parlare con nessuno, ma così la mia mente era libera di vagare ed io avevo davvero troppe cose a cui pensare. Per una volta pensare era l’ultima cosa che volevo fare. Non volevo soffermarmi né su Killian, né sulla mia famiglia, né su quel viaggio impossibile e tanto meno sui pericoli a cui stavamo andando incontro.
All’improvviso, quasi percependo il mio disagio, Charlie iniziò a fischiettare un insulso motivetto, che servì ad alleggerire la tensione di tutti. Gli fui eternamente grata per quel gesto: era qualcosa di semplice, ma di cui avevo davvero bisogno. Lentamente l’atmosfera si fece meno pesante, quei corridoi, senza più quel silenzio opprimente, si fecero, per quanto possibile, più ospitali.
Ad un certo punto mi fermai un attimo per allacciarmi una scarpa e Robin ne approfittò per rallentare ed iniziare a camminare al mio fianco. Per alcuni minuti non disse niente, come se stesse riflettendo sulle parole da usare; sembrava concentrato sulla canzoncina di Charlie, ma ormai lo conoscevo abbastanza da sapere che pensava a tutt’altro. E immaginavo anche di conoscere di cosa si trattasse. Era una parola che iniziava con la lettera “r” e finiva con la “a”.
«Come sta Regina?», riuscì finalmente a chiedermi.
«Diciamo che va avanti. Starà bene, ma le manchi tanto», ammisi.
Sospirò sentendo le mie parole. «Manca anche a me». Non doveva essere facile nemmeno per lui, anzi doveva essere terribile.
«È stata dura per lei», continuai. Non aveva bisogno di chiedere affinché io raccontassi. «Si è separata dalla sua parte oscura, dalla Regina Cattiva, ha fatto la scelta giusta anche se aveva il cuore a pezzi. Non è stato facile per lei aver perso anche te; avrebbe fatto di tutto per salvarti. Mi sono sentita così in colpa per ciò che Ade ti ha fatto, soprattutto quando Hook è riuscito a tornare dall’Oltretomba».
«Non è stata colpa tua Emma, non ho mai pensato che lo fosse».
«Lo so, ma sono stata io a portarti laggiù e a mettere a repentaglio la vita di tutti». Sapevo che non era colpa mia, ma ero stata parte integrante in tutto ciò che era successo.
«E Roland e mia figlia?», domandò poi.
«Roland è tornato nella Foresta Incantata con Little John e l’Allegra Brigata. Regina l’avrebbe tenuto volentieri, ma non era la cosa migliore per lui restare a Storybrooke. Ha già sofferto troppo per essere un bambino. Beh per quanto riguarda la piccola Robin…».
«Robin?». Un sorriso commosso si disegnò sul suo volto sentendo per la prima volta il nome di sua figlia.
«Zelena ha pensato che non ci fosse nome più appropriato».
«Forse è la prima volta che sono felice per una decisione di Zelena».
Accennai un sorriso. «Loro due se la cavano, in fondo lei resta pur sempre sua madre e la ama anche se nel suo modo contorto». Non mi chiese altro forse riflettendo su tutte le informazioni che gli avevo dato. Era certa che le sue domande non fossero finite lì, ma capivo anche che per lui fosse altrettanto doloroso parlarne, sapendo l’impossibilità di poter tornare da loro.
«Sarà meglio che vada avanti da Milah», disse dopo un altro minuto di silenzio. «Conosco queste gallerie quasi meglio di lei». Così dicendo allungo il passo e mi lasciò di nuovo sola.
Non passò molto tempo prima che qualcun altro iniziasse a camminare al mio fianco.
«Quindi tu sei Emma Swan, la Salvatrice». Charlie mi studiò attentamente, cercando di cogliere in me qualche aspetto che potesse accertare effettivamente quel titolo.
«Così dicono». Alzai il mento in modo fiero e lo guardai dritto negli occhi.
«Parlami di te Emma Swan la Salvatrice». Mi rivolse un sorriso radioso, uno di quelli che avrebbe fatto cascare mille donne ai suoi piedi. Per mia fortuna non rientravo nella categoria, esisteva un solo uomo capace di mandarmi in tilt il cervello con un solo sorriso.
«Beh perché non mi dici prima tu qualcosa di te, Charlie…». Lasciai la frase in sospeso aspettando che lui mi rivelasse il suo cognome.
Ridacchiò, ma si affrettò a rispondermi. «Charlie Stevens».
«Bene, Charlie Stevens parlami di te». Riutilizzai le sue stesse parole solo per punzecchiarlo un po’. Quel ragazzo era simpatico: aveva l’atteggiamento tipico di chi è consapevole di aver un certo fascino e anche un indiscusso ascendente sulle donne. Mi ricordava molto lo spirito intraprendente di Killian; chissà se anche Milah lo aveva notato.
«Beh non credo che la mia storia sia interessante quanto la tua», mi liquidò con un gesto della mano.
«Lascia che sia io a giudicare». Non avrei certo perso quella battaglia verbale. Era un ragazzo sveglio e intelligente, ma io non ero da meno.
«D’accordo». Si voltò ed iniziò a camminare all’indietro in modo tale da potermi guardare mentre parlava. Aveva le mani dietro la nuca con i gomiti alti ed in quella posizione riuscivo benissimo a scorgere i muscoli tesi sotto la maglietta. Probabilmente ne era del tutto cosciente e lo aveva fatto solo per mettersi ulteriormente in mostra.
«Da dove posso partire? Ecco diciamo che vivevo nella Foresta Incantata, facevo il taglialegna; un giorno sono andato nel bosco e sono stato colpito da una freccia avvelenata. Così sono finito nell’Oltretomba, ho fatto arrabbiare Ade e lui mi ha spedito qui. Fine». Aveva detto praticamente tutto e nulla.
«Adesso tocca a te», aggiunse sfoderando un sorriso furbesco.
«Beh ma non vale!», protestai. «La tua storia è stata molto approssimativa».
«In realtà ti ho detto ben quattro cose, anzi cinque. Come mi chiamo, dove vivevo, cosa facevo, come sono morto e come sono finito nel fiume. Ho diritto a cinque domande». Non era affatto vero, ma d’altronde potevo usare la stessa tecnica nel rispondergli.
«D’accordo», stetti al gioco. «Spara. Risponderò alle tue cinque domande».
Il suo sorriso si allargò ulteriormente, mentre rifletteva attentamente su cosa chiedermi. Per un attimo mi domandai come facesse a non andare a sbattere contro qualcosa continuando a camminare all’indietro; tuttavia lasciai perdere e tornai a studiare la sua espressione.
«Ci sono! Prima domanda: che cosa fa una Salvatrice esattamente? In che cosa consiste il tuo lavoro?».
«Tecnicamente sarebbero due domande», gli feci notare. «Ma sarò buona e ti risponderò comunque. Beh come dice anche il nome salvo le persone in difficoltà, cioè tento di dar loro il lieto fine. Comunque essere la “Salvatrice” non è il mio lavoro. In realtà sono lo sceriffo di Storybrooke».
«Sceriffo accidenti! Bene, domanda numero due: parlami della tua famiglia». Molto scorretto: voleva che gli rivelassi molti più particolari di quelli che mia aveva dato lui.
«Beh sono la figlia di Biancaneve e il Principe Azzurro, anche se non sono effettivamente cresciuta con loro. Ho un fratellino piccolo di nome Neal e un figlio di nome Henry».
«Bene, la terza domanda è questa: dove sei cresciuta?».
«In America, in una terra senza Magia. Ho girato parecchio, solo da poco tempo Storybrooke è diventata la mia casa».
«Hai detto di avere un figlio di nome Henry. Dov’è il padre?». Sapevo che dietro a quella domanda c’era nascosto ben altro, ma non l’avrebbe certo capito dalla mia risposta. Se voleva chiedermelo doveva farlo direttamente, visto ciò che stava facendo; era fin troppo chiaro ed evidente. Stava flirtando con me e, anche se io non ero interessata, era davvero tanto tempo che qualcuno non lo faceva. Ed era altrettanto incredibile che, nonostante la spada di Damocle che pendeva sul suo capo, riuscisse ancora ad avere lo spirito per mantenere un simile atteggiamento.
«È morto, non è una bella storia», risposi. Non gli avrei rivelato che il padre di mio figlio era  pure il figlio di Milah. Se avessi dovuto davvero raccontargli tutto, l’intero viaggio non mi sarebbe bastato.
Mi sorrise di nuovo e si mordicchiò un labbro. «D’accordo mi costringi ad usare la mia ultima domanda per scoprirlo. C’è qualcun’altro che ti aspetta a Storybrooke?». Mi guardò da sotto le ciglia scure, con uno sguardo talmente intenso da non poter essere frainteso. Era ovvio ciò che intendesse ed era altrettanto chiaro che avrebbe preferito una risposta negativa.
«Sì c’è», risposi sorridendo. Lo guardai attentamente per poter osservare la sua reazione.
Charlie non batté ciglio e continuò a fissarmi con aria gioviale. «Si tratta di quel tale, quel Killian di cui parlava Milah?».
«Non ti risponderò Charlie», dichiarai. «Mi dispiace ma hai esaurito le domande». Stava per ribattere, ma proprio in quel momento raggiungemmo gli altri che si erano fermati ai piedi di una scala.
«La passeggiata è finita», disse Milah. «D’ora in poi niente sarà così semplice». Non aspettò una risposta ed iniziò ad arrampicarsi sulla scala seguita dagli altri. Io fui l’ultima a salire, ma quando rimisi piede a terra e alzai lo sguardo su ciò che ci circondava, quello che vidi mi lasciò letteralmente senza fiato.
 
POV Killian
«Questa cosa non mi piace per niente», mormorai osservando attentamente la porta del negozio di Gold.
«Neanche a me, nemmeno un po’», concordò Regina.
«Non credo che abbiamo molte altre possibilità», ci fece notare David.
«Sono qui per questo no?», aggiunse Belle. «Purtroppo so come gestirlo».
«Spero per noi che tu abbia ragione», conclusi. Noi quattro ci eravamo fermati davanti all’entrata del negozio in attesa che un’idea geniale, del tutto inaspettata, ci impedisse di fare quello che stavamo effettivamente facendo. Chiedere aiuto al coccodrillo: era l’ultima cosa che tutti volevamo e purtroppo anche la prima, e forse l’unica, che dovevamo compiere.
Senza più esitare aprii la porta, facendo scattare il campanello di ingresso. Gold, che era dietro al bancone, alzò la testa di scatto sentendo quel suono e ci fissò con un espressione incuriosita.
«A cosa devo l’onore di tutto questo drappello di persone?».
«Abbiamo un problema», parlò Belle prima che potessimo farlo noi altri. «Siamo venuti a chiedere il tuo aiuto».
«Forse tu potrai volere il mio aiuto, ma, dall’espressione del pirata, non credo che lui sia altrettanto d’accordo».
Trassi un profondo respiro e cercai di trattenere la rabbia. La mia mano iniziò a tremare, ma la strinsi a pugno tentando di ingoiare l’enorme voglia che già avevo di riempirlo di botte. «Belle ha ragione, ci serve il tuo aiuto».
«Visto che la signorina Swan non fa parte del vostro capannello, credo di intuire che le sia capitato qualcosa. Tuttavia non mi è parso di sentire nessuno “per favore”». Dovetti far fronte al tutto al mio autocontrollo per evitare di rispondergli. Dovevo ricordarmi che lo stavo facendo solo ed esclusivamente per Emma.
«Tremo…», intervenne Belle con tono di rimprovero. «Ti prego».
«Belle non mi serve sentirlo da parte tua». Mi fissò con aria presuntuosa, sfidandomi apertamente.
«Per favore», sussurrai in un tono che potesse udire anche lui. Odiavo essere alla sua mercé in quel modo, ma se lui poteva risolvere la situazione cos’altro dovevo fare?
«Bene, accomodatevi pure e spiegatemi cosa è successo». Ci guidò nel retrobottega e ci fece sedere ad un piccolo tavolo quadrato. Io restai in piedi appoggiato contro una libreria, con le braccia incrociate intorno al petto.
Molto brevemente David gli descrisse la situazione, partendo da quello che era accaduto fino ad arrivare a ciò che avevamo compreso, incluso la chiacchierata con Turchina.
«Quindi fatemi capire? Emma adesso sarebbe tornata una bambina?».
«Esatto». David estrasse il cellulare e gli mostrò una foto che le avevamo fatto. «È lei». Avevamo deciso che era meglio evitare di portarla subito da Gold; solo quando avremo avuto la sua disponibilità gli avremo concesso di incontrarla. E per quanto io fossi la sua bambinaia preferita ero riuscito a farmi includere in quella missione, lasciando l’onere a Mary Margaret di occuparsi di sua figlia.
«Questa storia è davvero incredibile», sentenziò il coccodrillo. «È assurdo cosa può fare un desiderio mal espresso».
«Quindi?», domandai. «Puoi aiutarci?».
«Cosa volete che faccia esattamente? Perché a parte notare che la signorina Swan è davvero una graziosa bimba non posso fare altro».
«Tu l’hai già fatto con Pinocchio», intervenne David. «Sei riuscito a farlo tornare uomo nonostante che Turchina l’avesse reso di nuovo bambino».
«Oh ma quella era una situazione del tutto diversa», sentenziò. «Contrastare il semplice incantesimo di una fata è una cosa semplice in confronto allo spezzare un desiderio».
«Non è poi così diverso», insistetti.
«Invece lo è. Il quantitativo di magia di luce che dovrei contrastare è mille volte superiore».
«Ma tu sei mille volte più potente», gli fece notare Regina. «Non sei più lo stesso signore Oscuro lo sappiamo tutti. Hai molto più potere di quanto tu voglia farci credere».
«Ti prego Tremotino», intervenne Belle. «Fai almeno un tentativo». Gold la fissò attentamente per un secondo prima di emettere un sospiro. Ero sicuro che in quella frazione di secondo lei gli avesse comunicato più di quanto aveva fatto a parole.
«D’accordo, ma non vi prometto niente. Se fossi in voi non mi farei molte illusioni».
 
Così poco tempo dopo avevamo fatto tutti ritorno al loft, nella speranza di poter risolvere definitivamente la questione. Anche se Tremotino si era mostrato scettico, io non potevo pensare all’idea di un fallimento. L’avrei preso in considerazione solo quando non sarebbe stato più inevitabile, a fatto compiuto.
«Allora?», ci assalì Mary Margaret vedendoci rientrare in casa. Teneva in braccio la bambina ed Henry la seguiva con un biberon in mano. La  piccola Emma aveva un’espressione contrariata e cercava di sporgersi verso il biberon. Accennai un sorriso pensando al fatto che la voracità di Emma fosse rimasta più o meno invariata.
«Il nonno ci aiuterà?», domandò Henry contemporaneamente.
«Cercherò di fare il possibile», rispose Tremotino entrando in casa seguito dagli altri «Anche se non credo che potrò essere di molto aiuto». Si avvicinò a Mary Margaret e guardò la bambina. «È davvero sorprendente».
«Beh direi piuttosto inquietante», ribattei facendo un passo per prendere di mano il biberon che Henry continuava a tenere. Senza neanche rendermene conto presi Emma tra  le braccia di Mary Margaret e tenendola con il braccio destro iniziai a darle la pappa. Ormai conoscevo così bene Emma da sapere che aveva fame sempre nei momenti meno opportuni. Sorrisi di nuovo tra me mentre il ricordo uno di quei momenti si faceva strada nella mia mente.
 
Se avessi dovuto descrivere come mi sentivo in quel preciso istante avrei utilizzato una sola parola: pace. Ero in assoluta pace. Emma era stretta nel mio abbraccio, la testa appoggiata sul mio petto, il respiro che si stava pian piano regolarizzando dopo l’orgasmo che avevamo avuto. Poter sfiorare il suo corpo nudo con la mano, annusare l’intenso odore dei suoi capelli, sentire la sua pelle calda e sudata appiccicata alla mia era l’assoluta perfezione. Ero in completa armonia, con me stesso e con il mondo. Non c’era niente che avrebbe potuto disturbarmi in quel momento.
Lentamente, mentre ascoltavo il respiro calmo e regolare di Emma, i miei occhi cominciarono a chiudersi e fui cullato dolcemente nel mondo dei sogni, anche se in quel momento la realtà era alquanto perfetta. La stanchezza accumulata iniziò piano piano a farsi sentire e lentamente mi addormentai.
«Kill?». La voce di Emma dopo poco mi riportò a galla, rispedendomi di nuovo nel presente. «Dormi?».
«Mmm», mugolai cercando di articolare una risposta. «Sì… mmm cioè no».
«Scusa, non volevo svegliarti. Torna a dormire».
«Che c’è Swan?», biascicai stringendola di più tra le braccia.
«Niente, non ha importanza», sussurrò accoccolandosi ancora di più contro di me.
«Perché mi hai svegliato?», mormorai. «Mi merito una spiegazione».
«Niente, è una cosa stupida». La sua voce era solo un sussurro, come se non volesse ammettere ciò che mi stava per chiedere.
«Adesso parla». Riuscii ad usare un tono, per quanto assonnato, che non ammetteva repliche.
«È una cosa dolce e sciocca, non è proprio da me». Beh se era così, valeva davvero la pena sentirla.
«Allora? Me la dici con le buone o devo costringerti con le cattive?».
Sospirò e si arrese. «Volevo solo dirti che sono felice e che ti amo». Sorrisi sentendo la sua dichiarazione. Quella era la mia dolce Emma, la donna che si vergognava ad usare certe frasi romantiche con me!
«Sono felice e ti amo anch’io, ma adesso dormi». Le posai la mano sulla schiena e chiusi di nuovo gli occhi. Emma sospirò felice e si allungò per darmi un bacio sul mento, per poi tornare nella sua posizione iniziale, stretta tra le mie braccia. Mi rilassai di nuovo e tornai ad abbandonarmi al sonno.
Non passò molto tempo prima che Emma parlasse nuovamente. «Killian?».
«Che c’è adesso Swan?», replicai con una punta di fastidio.
«Ho fame», mi confessò. «Il mio stomaco sta brontolando».
Ridacchiai, costringendomi così a svegliarmi e mi misi a sedere, tirandola su con me. «D’accordo», le dissi dandole un dolce bacio. «Perché non ci alziamo e andiamo in cucina a trovare qualcosa da mettere sotto i denti?».
 
«Beh direi che questo è piuttosto inquietante», replicò il coccodrillo facendomi tornare con la mente al presente. Solo allora notai il gesto che avevo appena compiuto: Emma tra le mie braccia ed io le stavo dando la pappa come avrebbe dovuto fare un genitore. Guardai la piccola mangiare voracemente stretta al mio petto e sbattei le palpebre cercando di capire perché diavolo lo avessi fatto. Era stato un gesto del tutto istintivo che mi era venuto naturale. Non avevo avuto problemi a prenderla e a tenerla con l’uncino per permettere di soddisfare le sue esigenze. Era vero che avrei voluto vedere la mia Swan sempre felice, ma questo era fin troppo strano e sicuramente malsano.
«Avrebbe iniziato a piangere», mi giustificai, cercando di spostare l’attenzione su altro dato che tutti mi stavano fissando. «Piuttosto perché non ti sbrighi a fare ciò per cui ti abbiamo chiamato».
«Credo che dovremo lasciare che Emma finisca di mangiare», intervenne Regina, «visto che ormai il pirata l’ha fatta iniziare».
«D’accordo», borbottai, continuando a reggere il biberon in modo tale che Emma riuscisse a bere.
Una volta finito e sistemato tutto – è incredibile come i bambini siano delicati e abbiano bisogno di continue attenzioni una dietro l’altra – distendemmo la piccola su una coperta appoggiata sopra il tavolo e lasciammo che Tremotino le si avvicinasse. Anche se il mio istinto mi gridava di non lasciarglielo fare, dovetti metterlo a tacere, sapendo che purtroppo quella era la nostra unica possibilità.
«Bene iniziamo». Tirò fuori il suo pugnale da sotto la giacca e a quella vista la mia mano si strinse a pugno. «Non sono sicuro di ciò che ne verrà fuori».
«Questo l’hai già detto», gli fece notare David.
«Non ti facevo così pieno di premure», intervene Regina. «Provaci e basta». Annuì e senza aggiungere altro si apprestò a fare quello che gli avevamo chiesto. Chiusi gli occhi e sperai con tutto me stesso che potesse funzionare; avevo davvero troppa voglia di abbracciare e baciare la mia Emma. Mi mancava da morire, la sua forma bambina non l’avrebbe potuta mai sostituire.
Anche con le palpebre chiuse riuscii a scorgere un intenso bagliore, sintomo che l’incantesimo stava effettivamente funzionando. Non appena fu cessato mi apprestai a riaprire gli occhi per poter osservare la mia Swan in tutta la sua bellezza.
Quello che vidi, però, non corrispose neanche lontanamente a ciò che mi aspettavo. Non era cambiato nulla, o meglio qualcosa era cambiato ma eravamo precisamente nella stessa situazione di prima. Quella che si trovava sul tavolo in quel momento era una bambina un po’ più grande di quella che avevo tenuto tra le braccia fino a qualche attimo prima. Poteva avere all’incirca un anno e mezzo, forse due, non me ne intendevo molto di bambini. Era la solita Emma, con i capelli biondi già più lunghi ed i vivaci occhi verdi, ma non era la mia Emma.
«Non ha funzionato», mormorai.
«Ho usato tutta la magia di cui sono capace e sono riuscito solo a farla crescere di qualche mese», disse Tremotino. «Lo sospettavo».
«Puoi riprovarci?», gli domandò Henry.
«Non credo che servirebbe a molto». Era la risposta che mi aspettavo, eppure sentirla faceva un male cane. Era stato un buco nell’acqua come il coccodrillo ci aveva prospettato, eppure tutti noi avevamo sperato che funzionasse. Ci avevamo creduto così tanto che adesso che ci trovavamo di fronte all’evidenza nessuno sapeva cos’altro dire. Tra di noi calò il silenzio, mentre ci arrendevamo al fatto che la mia cara Swan ancora non era tornata tra noi e chissà tra quanto avremo potuto riabbracciarla. Mi cominciavo a chiedere se avremmo mai trovato una soluzione, oltre a quella evidente di farla crescere e di farla inevitabilmente diventare un’altra persona.
Osservai quella nuova Emma, cercando di scorgere in lei qualcosa che mi riportasse alla mente la donna che un tempo era stata e che dovevo a tutti costi far tornare. Ci stava fissando tutti con sguardo curioso, come se ci stesse studiando ad uno ad uno. Aveva le manine in bocca e per quanto potesse essere tenera e dolce ed ispirare amore da ogni poro, io la odiavo per questo. Non volevo odiarla, ma non volevo neanche amarla perché lei non era il mio Vero Amore, ma bensì colei che me l’aveva tolto dalle mani.
All’improvviso puntò lo sguardo su Mary Margaret e poi successe una cosa che nessuno si era aspettato: Emma parlò. «Ma-ma». Era solo una parola, pronunciata in maniera titubante ma era quella giusta, quella che Biancaneve non avrebbe mai sperato di sentire. Vidi Mary Margaret sobbalzare per poi emozionarsi, portandosi una mano davanti alla bocca. Era la prima parola di Emma, o almeno era come se lo fosse; era qualcosa che Biancaneve si era persa ed adesso, chissà come, era riuscita a rivivere. Non sarebbe dovuta andare così: ciò che era perso doveva restare tale senza alcuna possibilità di cambiamento.
«Oh mio Dio ha parlato», sospirò Mary Margaret avvicinandosi alla piccola. «Hai detto mamma!». Anche David le si avvicinò, rivolgendo paroline dolci alla bambina e rompendo così l’immobilità che si era creata. Senza più esitazioni anche gli altri si mossero avvicinandosi ad Emma, mentre la coppia Azzurra studiava la loro nuova bambina.
Per quanto sia Mary Margaret che David mi avessero detto che eravamo tutti sulla stessa barca, che anche loro volevano far tornare Emma almeno quanto me, in quel momento capii che non era affatto vero. Non eravamo assolutamente nella stessa situazione: bastava vedere lo sguardo con cui fissavano la piccola per capirlo. Forse era vero il fatto che volevano che Emma tornasse come prima, ma loro da quella storia avevano solo da riguadagnare. Ero solo io quello che aveva perso tutto, quello che, se la situazione sarebbe rimasta tale, ne sarebbe uscito devastato. Bastava guardarli dopo che Emma aveva pronunciato la sua prima parola! L’emozione dipinta sui loro volti era così palese: era un sentimento che non avrebbero dovuto provare, che avevano perso e adesso li era stato concesso, era una cosa a cui io non avrei dovuto assistere e che era riuscita a rendere inutili i miei alleati.
Non eravamo più sulla stessa barca perché il mio mondo stava crollando distruggendomi, mentre a loro concedeva possibilità inaspettate. Non sarebbero morti dal dolore se il desiderio si fosse rivelato irreversibile. Io probabilmente sì.
Mi voltai di scatto con l’intenzione di allontanarmi il più possibile da quella scena. Era l’unica cosa che volevo, non potevo più restare là dentro. Avrei trovato la soluzione da solo anche al costo della mia stessa vita, perché non avevo proprio più nulla da perdere e non c’era nessun altro in quella stanza che avrebbe potuto affermare altrettanto.
Proprio mentre stavo aprendo la porta per andarmene da quel maledetto loft, la sua voce mi arrivò chiara all’orecchio. «Kiill». Mi immobilizzai pietrificandomi, sentendo ciò che aveva appena pronunciato. Per gli altri poteva benissimo essere il mio nome abbreviato, come se non riuscisse a pronunciarlo tutto, ma per me aveva un significato diverso.
Mi voltai di nuovo e la guardai, non riuscendo più a capire se dietro quella bambina ci fosse ancora qualcosa della vera Emma. Lei mi stava guardando e sembrava volermi dire un milione di cose. Proprio quando avevo iniziato a staccarmi da lei, credendo che la mia Swan non potesse essere la stessa sottoforma di bambina, lei veniva a sconvolgere di nuovo tutto il  mio mondo. Perché c’erano solo due possibilità: o credere a ciò che pensavano anche gli altri, a una pronuncia imprecisa del mio nome, o che mi avesse davvero chiamato in quel modo. Solo lei mi chiamava Kill e solo noi sapevamo che aveva un significato tutto particolare; era un nomignolo dolce che Emma usava nei nostri momenti di intimità. Emma non era una di quelle donne sdolcinate, per questo odiava qualsiasi tipo di sopranome e aveva trovato nell’accorciare il mio nome il perfetto compromesso. Quando mi chiamava così sapevo che avevo di fronte a me una parte di lei che lasciava vedere solo al sottoscritto. Era il suo equivalente di amore o tesoro, ma con molto più significato.
Il mio cuore aveva accelerato i battiti, mentre la mia mente riusciva solo a concentrarsi su di lei, cancellando tutte le altre persone nella stanza. C’eravamo solo io e lei, ma era esattamente la cosa che avevo temuto sin dall’inizio.
Avevo solo due possibilità: credere, restare ed amarla o non credere, andarmene ed odiarla. Io scelsi la seconda perché la prima era una scelta che non avrei potuto sopportare. Se non volevo rompermi e volevo continuare a tentare di salvarla, dovevo per forza allontanarmi da quella stanza.
«No», sussurrai scuotendo la testa. Senza più esitazioni mi voltai e corsi via da quella casa, mettendo quanti più metri di distanza che potevo da quella scena.


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica a tutti! Per un attimo ho temuto di ritardare! Ma invece ce l’ho fatta :)
Da una parte il viaggio e l’avventura stanno iniziando e piano piano questioni in sospeso e nuovi personaggi vengono fuori. Che mi dite di Charlie? Cosa ne pensate?
Dall’altra parte il tentativo di Tremotino non è servito a un granché. Il ricordo di Killian è un piccolo momento fluff che ho voluto aggiungere: mi ci voleva proprio qualcosa di dolce. Spero che sia piaciuto anche a voi. Ed infine la scelta di Killian era inevitabile.
Grazie come sempre a tutti quanti, continuate a leggere e a recensire!
Un bacione e alla prossima settimana
Sara

 
  
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