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Autore: SkyFullOfStars_    21/02/2017    0 recensioni
Tra gocce di pittura e tele silenziose, Grantaire viaggia con sua madre per la Francia, con l'obiettivo di trovare una stabilità economica...Ma cosa succede quando l'arte incontra l'amore? Cosa accade nel momento in cui due colori, il rosso ed il nero, si mescolano sulla stessa tela?
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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12 anni dopo



 

 
Se c’era un oggetto che Grantaire odiava in assoluto era sicuramente la sveglia.
Erano le sette di mattina quando sentì il fastidioso starnazzare dell’aggeggio buttarlo giù dal letto.
Ormai era abituato a cadere quasi ogni volta.




 

                  






I raggi del sole non erano ancora riusciti ad entrare dalla finestra, ma già tra il vetro trasparente  veniva filtrato qualche minuscolo spazio di luce, giusto per addentrarsi silenziosamente nel tepore della stanza.
Grantaire aprì gli occhi dando un colpetto all’oggetto che sembrava volerlo far impazzire e lo scaraventò per terra, tanto per cambiare.
La sveglia smise di urlare ed il ragazzo sospirò.
Ultimamente era molto stressato; lui e sua madre avevano viaggiato molto, spostandosi da una città all’altra. Non che si divertissero a fare i vagabondi, ma tutto per adattare il lavoro di lei, che cambiava molto spesso, diciamo all’incirca quasi ogni quattro mesi. Non navigavano nell’oro, sicuramente.
Grantaire aveva smesso di tentare ad abituarsi ad un posto o ad una città in particolare, tanto era piuttosto inutile con quel girovagare di qua e di là che dava quasi alla testa. Aveva visto più città francesi in quegli ultimi anni che in tutta la sua vita, considerando che aveva solo diciassette anni.
Capiva la necessità dello spostarsi e non diceva nulla, non replicava; se ne stava lì, con la sua felpa con cappuccio extralarge che gli copriva i bei capelli corvini, ripresi dalla madre, con quella testa bassa e quel suo zaino semi aperto da dove pennelli da pittura si divertivano a fare capolino.
La stoffa dello zaino era sporca di tempera quasi tutto il tempo e più sua madre cercava di togliere quelle macchie colorate in lavatrice, più sembravano moltiplicarsi e divenire più vivide.
Ed ora eccolo lì, vicino alla porta della camera, lo zaino colorato, che sembrava sorridergli afflosciato sul pavimento lucido, aspettando solamente di essere tappezzato di altro colore. Più sfumature aggiungeva più quel pezzo di stoffa pareva prendere vita.
D’altronde la vita scarseggiava intorno a lui; non aveva amici, in tutte le scuole delle altre città francesi dov’era stato (quel poco tempo che ci era rimasto), i ragazzi lo avevano guardato male, quasi sembrasse un borseggiatore da cui allontanarsi oppure un pazzo da evitare.
Ma lui non era così. Quasi metà della sua vita l’aveva trascorsa come copertina di quello che era il libro di se stesso…Se solo gli altri lo avessero potuto vedere come lui vedeva i suoi quadri.
Grantaire solitamente li ignorava. Inutile contrattare con lettori superficiali.
 
Questo era il mese di Eguisheim. Lui e sua madre erano arrivati in città da pochi giorni, avevano sistemato il loro nuovo appartamento (inutile chiamarlo casa se l’avrebbero lasciato presto) e Grantaire ne era piuttosto soddisfatto.
Lo spazio non era molto grande; assomigliava molto a uno di quei luoghi dove tutto il necessario è sistemato in un’area ristretta. La vita in piccolo insomma.
Sicuramente meglio dei brutti giorni passati a dormire in macchina.
Il ragazzo sbadigliò a causa del silenzioso alone di sonno giacente sul viso, poi si alzò dopo aver lottato svogliatamente per liberarsi dalle coperte accaldate e fece la sua pigra entrata in corridoio.
Mentre si stropicciava gli occhi notò alcuni quadrucci che sua madre aveva già appeso la sera prima.
Più che altro si trattava di vecchie foto di famiglia, ritraenti soprattutto un piccolo Grantaire intento a dipingere o disegnare mentre mostrava il suo sdentato sorriso.
Raggiunse la cucina in pochi secondi, accorgendosi di un foglietto giallo con poche righe d’inchiostro sopra: “C’è un po’ di latte in frigo, spero ti vada bene. Non torno a casa prima delle sette. Baci, mamma”.
Il ragazzo lesse il biglietto, ghignò divertito dalla firma quasi illeggibile a causa della penna non funzionante, poi lo accartocciò per buttarlo.
Aprì la credenza un po’ trasandata sperando in una colazione un po’ ricca.
Tutto quello che riuscì a prepararsi fu un po’ di latte caldo ed una mela da sgranocchiare mentre andava a scuola.
Il solo pensiero di dover incontrare gente nuova lo rendeva appena ansioso. Non provava più l’eccitazione di fare nuove amicizie come quand’era piccolo. Quei tempi erano passati ormai.
Quando tornò in camera sua la stanza si era riscaldata, i raggi del sole ora avevano invaso la stanza lasciando un dolce calore accompagnato dal simpatico canticchiare degli uccellini.
Inciampò su una tela non finita caduta a terra da chissà quanto tempo; la raccolse sbuffando, poi la osservò: rappresentava una foresta, in bianco e nero però. Senza colori. Senza foglie. Era completamente vuota ed insignificante.
L’aveva dipinta un mese fa, prima di lasciare la vecchia città di cui non ricordava neanche il nome. Rappresentava la speranza caduta di stabilirsi in un posto ed avere una vita normale.
Grantaire sorrise tristemente alla tela mentre l’adagiava sul muro.
Si vestì in pochi secondi poiché la scelta dei vestiti era davvero misera; si mise la sua solita felpa nera ed i suoi soliti pantaloni neri con alcuni spruzzi di blu oceano sulle tasche davanti.
Indossò le fedeli scarpe da ginnastica, prese lo zaino ed uscì di casa in silenzio.
 
 
 
 
 
Il viale era contornato di alberi rossicci, qualche fogliolina cadeva indisturbata librandosi nell’aria.
L’autunno era la stagione preferita di Grantaire. Mentre camminava a passo veloce circondato da quei toni aranciati ed ambrati, il ragazzo provò un improvviso senso di eccitazione…Adesso che l’autunno era arrivato poteva dipingere tutti i paesaggi che voleva.


 

                      ----

 



Non ci volle molto prima che raggiunse la scuola.
La sorpresa solitamente provatasi nell’arrivare in un posto nuovo non si faceva sentire da tanto tempo. Le scuole erano tutte uguali: stessi corridoi cupi ed affollati, stesso odore di gesso e detergete per il bagno, stesso gruppetto di fighetti che lo guardavano in modo singolare.
Cosa avrebbe potuto esserci di nuovo e particolare?
La prima parte della mattinata non fu niente di eclatante. Pst, che novità.  Solite occhiate, soliti commenti sussurrati a mezza bocca.
Era a lezione di biologia, mancavano pochi minuti alla pausa pranzo e solo il pensiero di dover mangiare in solitudine ad un tavolo desolato lo rattristava un po’. In fondo, gli sarebbe piaciuto fare amicizie. Era pur sempre un diciassettenne, aveva bisogno di confrontarsi con qualcuno oltre sua madre. Qualcuno della sua età.
Dall’ultimo banco dell’aula notò alcuni sguardi insoliti da parte di due ragazzi pochi banchi davanti a lui.
Forse gli altri lo guardavano in quel modo così scontroso solamente perché il suo vestiario era piuttosto misero e sporco di pittura. Non appena si accorse di una grossa chiazza di blu sulla tasca destra dei jeans, Grantaire cercò di coprirla, anche se i ricci ribelli, costretti nel cappuccio della felpa blu che aveva indosso, gli rendevano un po’ più difficile compiere il suo intento.
Disinteressato dalla lezione, prese un foglio dal suo blocchetto di disegni ed iniziò a scarabocchiarci sopra.
Un piccolo sorriso si fece largo sulle labbra del ragazzo non appena avvertì la grezza punta della sua matita marchiare il foglio, era un brivido caldo quello che sentiva dietro la schiena, il solo unico amico che poteva avere la fortuna di possedere.
Si lasciò completamente andare mentre la rauca voce del professore cianciava in sottofondo, mantenendolo in un flebile contatto con il mondo reale mentre lui viaggiava in quell’insieme di matita e odore di gomma cancellata che gli sporcava le mani.  Erano i petali di una rosa nera.
-Mh, mh.- quella specie di grugnito interruppe la lezione.
Era il professore, ritto in piedi, accanto al banco di Grantaire, con un sopracciglio alzato…E l’epressione piuttosto irritata. Avrà avuto più o meno una cinquantina d’anni, uno di quegli insegnanti che appaiono piuttosto austeri a guardarsi e che poi sono ancora peggio. Il panciotto che portava sembrava non essere della taglia giusta ed i baffi lo rendevano ancora più minaccioso di quanto sembrasse.
Grantaire si accorse che tutti i ragazzi presenti nell’aula si girarono per guardarlo, il che lo mise ancora di più in soggezione. Non adorava essere al centro dell’attenzione, figuriamoci quando qualcuno lo sorprendeva con la testa tra le nuvole.
Il professore sospirò. -Notevole, ma non è nella lezione giusta.- Il ragazzo guardò il foglio sotto di lui e si scusò.
All’improvviso la campanella suonò, salvandolo da quella che sembrava stesse per diventare una nota di detenzione o qualcosa di peggiore. Con sorpresa di Grantaire, il professore se ne tornò in cattedra aggiustandosi il panciotto senza dire una parola.
In pochi secondi fu fuori dall’aula con lo zaino in spalla e la pila di libri tra le braccia; non si era preso la briga di metterli a posto per paura che il professore cambiasse idea e gli sbraitasse contro. Meglio evitare una scena del genere.
Camminava accompagnato dalle voci forti degli studenti con il cappuccio in testa che gli copriva metà faccia, il blocco dei disegni sotto il mento ed il desiderio di riuscire ad arrivare al suo armadietto senza cadere miseramente davanti a tutti.
L’impatto che avvertì non fu lieve, ma neanche altrettanto forte. La giusta dose per farlo scivolare brandendo tutti i fogli scarabocchiati in aria.
-Ahi…Dannazione, ma che-?- una voce giovanile e leggermente irritata parlò.
-Scusami, non-non ti ho visto, Io…- Grantaire era seduto a terra, cosparso di fogli e libri dalla testa ai piedi.
Non riuscì a dire altro quando si trovò davanti agli occhi un ragazzo, con gli occhi blu come l’oceano che annunciava tempesta ed i capelli biondi come un campo immenso di girasoli maturi in un pomeriggio d’estate.
Restò a bocca aperta, tentò di parlare, ma riusciva solo ad emettere dei piccoli sospiri che si disperdevano nel chiasso del corridoio.
Il ragazzo con cui si era scontrato lo guardò in un minuto di silenzio e poi sorrise. Ora gli occhi splendevano.
-E’ il tuo primo giorno, vero? Anche a me è capitato di scivolare, non ti preoccupare. Stai bene?-
-C-credo di si.- mormorò Grantaire. I capelli biondi ed appena mossi dell’estraneo ondularono con grazia non appena si accovacciò sul disastro di fogli ed iniziò a raccoglierli con cautela.
Era come un quadro inedito di un pittore anonimo. Più guardava quel ragazzo più gli veniva voglia di prendere un pennello ed iniziare a dipingere.
Grantaire si mise ad aiutarlo. Avrebbe dovuto dire qualcosa? Dopotutto quello scontro poteva essere un pretesto per fare amicizia, no? Non era così che si incontrava la gente sui film americani? Con gli incidenti?
Non appena le dita affusolate del biondo si posarono sui disegni incompleti sparsi a terra, Grantaire si irrigidì e bloccò istintivamente la mano del ragazzo con la sua.
-F-faccio io- protestò con una voce forse un po’ troppo irritata. Al moro non piaceva che venissero guardate le sue piccole creazioni…Era una cosa che lo rendeva nervoso ed irascibile.
Il biondo notò che il suo tocco era tremolante, agitato. Eppure allo stesso tempo si presentava piacevole e confortante.
-Mi spiace. Ecco, tieni.- sussurrò alzandosi in piedi.
Grantaire si alzò altrettanto con i libri ed i fogli svolazzanti più disordinati di prima che gli pendevano dalle braccia.
Teneva le spalle chiuse, metà del viso ancora coperto dai capelli e dal cappuccio e lo sguardo abbassato.
-L a prossima volta cerca di stare più attento, lapinou.*- mormorò il biondo, scostando delicatamente una ciocca di capelli neri finita per sbaglio sull’occhio scoperto di Grantaire.
Poi la figura anonima si allontanò e si mischiò tra la folla che si dirigeva verso la mensa per il pranzo, lasciando il diciassettenne tra i suoi pensieri e le sue emozioni confuse.
 
 
Enjolras si accostò al muro non appena svoltò l’angolo del corridoio.
Dal pugno chiuso tirò fuori un foglio scarabocchiato a matita. Una rosa.
Però, quel tipo ha proprio un talento nel disegno.
 
 



 





 
 
 
(*parola derivante dal francese: coniglietto)

  
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