Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.797 (Fidipù)
Note: Bene, bene, bene! Eccomi qua con l'appuntamento che ho saltato la scorsa settimana ma...beh, avevo iniziato da un po' la storia La sirena ed ero curiosa del parere dei lettori. Ma passiamo a Inori che, lentamente, si snocciola fra le strade di Paris e la faida fra gli Agreste e i Dupain, una guerra che ancora non è sfociata in nulla, dato che i secondi non hanno ancora un vero e proprio capo, mentre i primi sono ancora i capi indiscussi di Paris. Ma tutto a suo tempo...che posso dire a mia discolpa? Sono di narrazione lenta.
Come sempre voglio ringraziarvi per il fatto che leggete le mie storie, le commentate (anche se non rispondo ai commenti mi fa sempre piacere sapere cosa pensate di quello che scrivo!), le inserite nelle vostre liste e inserite me fra gli autori preferiti.
Grazie di tutto cuore!
La donna si strinse nel mantello logoro
mentre, con molta fatica, arrancava sulla collina: del mondo che lei aveva
conosciuto, rimanevano solo rovine e ricordi. Si appoggiò a una delle due
colonne che, incuranti del tempo e delle intemperie, delimitavano ancora
l’ingresso del maniero dei Dupain.
Ricordava la prima volta che aveva varcato quell’ingresso: il padre era
stato invitato a un ricevimento indetto dai Dupain e lei lo aveva seguito,
rimanendo incantata dalla sfarzosità dell’abitazione dei regnanti di
Paris; aveva danzato con giovani gentiluomini, finché il suo sguardo non
si era posato su Tom che, in disparte, osservava silenzioso la sala.
Tom non era mai stato bello, eppure lei era rimasta incantata da quel
ragazzone dal cuore d’oro.
L’aveva conquistata con la sua dolcezza e la sua bontà, facendola ridere
con la sua imbranataggine.
Si era innamorata e aveva avuto un matrimonio d’amore, ben diverso da
quello delle sue conoscenti che, molto spesso, erano state costrette a
sposare uomini per rinsaldare i legami fra le famiglie di Paris.
Eppure tutto era finito…
Non sentiva più la risata di Tom, se non nei suoi ricordi.
E né vedeva il suo viso sorridente, le labbra carezzate da un paio di
baffi per cui lei lo aveva preso molto spesso in giro.
Tutto ciò che le rimaneva del suo amore era la loro figlia, ignara sulla
sua vera identità e costretta a vivere una vita dura e faticosa.
Sabine chiuse gli occhi, sentendo la rabbia montarle dentro: Gabriel
Agreste le aveva tolto tutto. E per cosa poi? Per il potere? Per
controllare la città di Paris?
La donna strinse la mandibola, sentendo i denti dolerle e riprese a
camminare, diretta al cuore di quelle rovine: la torre ove si trovava la
camera padronale, il luogo in cui aveva visto per l’ultima volta il suo
amore.
Si avvicinò al muro, brandello della magnificenza di un tempo, e poggiò il
palmo della mano contro la pietra fredda e umida: «Nostra figlia ha
compiuto diciotto anni» mormorò, alzando la testa verso l’alto: «Mi ero
ripromessa che, il giorno in cui avesse compiuto quest’età, le avrei detto
tutto la verità. Su di lei, su di me e su di te. Ma ho paura, Tom. L’ho
fatta vivere così tanto nella menzogna che…» si fermò, scuotendo il capo e
lasciando andare un lugubre sospiro: «Mastro Fu dice di non avere timore,
che Marinette capirà e prenderà il suo ruolo fra gli accoliti dei Dupain.
Ma se non fosse così? Se lei…se lei…»
Non poteva continuare.
Non poteva dire a voce alta le paure che le imbrigliavano il cuore: se sua
figlia fosse scappata da tutto ciò? Se lei avesse rinunciato al suo vero
ruolo a Paris?
Era la figlia di Tom Dupain, l’unica vera erede al trono che Gabriel
Agreste aveva usurpato.
Era lei che doveva governare, non quell’uomo e tantomeno suo figlio.
«Sabine Dupain-Cheng» mormorò una stanca voce femminile, facendo voltare
la donna: Clotilde Agreste era in piedi davanti a lei, madre dell’attuale
regnante di Paris, e la fissava con gli acquosi occhi chiari: «Quanto
tempo…»
«Che cosa fai qui?» domandò Sabine, alzando il mento con fare orgoglioso,
stringendosi il mantello addosso e fissando l’altra con astio: era
un’Agreste e, come tale, nemica della sua famiglia.
«Immagino che la tua vera domanda sia ‘che cosa fa un Agreste qui’, vero?»
chiese di rimando Clotilde, avvicinandosi lentamente e con il passo stanco
della vecchiaia: «Ciao, Tom» mormorò, ignorando Sabine e avvicinandosi al
muro con un sorriso sereno sulle labbra: «Scusami se non sono venuta a
trovarti di recente.»
«Non ti voglio qui.»
«Io non sono colpevole delle azioni di mio figlio, Sabine» mormorò
Clotilde, voltandosi verso la donna e fissandola seria: «Né mio nipote. La
colpa è unicamente di Gabriel e della sua sciocca sete di potere: io non
l’avevo educato così, lui non era così…»
Sabine strinse i pugni, voltandosi di lato: «Tuo figlio mi ha portato via
tutto ed io lo farò con lui» dichiarò decisa, riportando l’attenzione
sull’anziana donna: «Non tutti i Dupain sono stati decimati nella
persecuzione di Gabriel e neanche i loro sostenitori: siamo più di quanto
lui pensi e quando mia figlia…»
«Vuoi davvero coinvolgerla in tutto questo?»
«Gabriel ha ucciso suo padre!»
«Marinette non sa neppure chi era suo padre!»
«E di chi credi sia la colpa? Gabriel Agreste morirà per mano di mia
figlia! Solo così la memoria di Tom sarà vendicata!»
«Pensi davvero che tuo marito voglia questo? Pensi davvero che Tom avrebbe
voluto tutto questo? Mio figlio spadroneggia per tutta Paris dando un nome
funesto agli Agreste, i Dupain che bramano sangue…» Clotilde si fermò,
scuotendo la testa: «Questa faida che nascerà non porterà a niente di
buono, Sabine. Ti prego, accorgiti di ciò che succederà! Chi pensi che
prenderà in mano la carcassa di questa città, quando tutto finirà? Chi ne
trarrà profitto?»
«Noi. Perché saremo noi a vincere!» dichiarò Sabine, voltandosi e
andandosene sotto lo sguardo sconsolato dell’anziana.
Clotilde rimase a fissarla, finché la figura piccola non sparì e, solo
allora, l’anziana tornò a posare lo sguardo sulla torre in rovina:
«Nessuno vede più in là del proprio naso» mormorò, posando una mano sulla
nuda pietra: «Tu avevi visto, Tom. Avevi notato chi era il burattinaio
dietro Gabriel e hai cercato di fermarlo, ma cosa hai trovato in cambio?
Morte, nient’altro che morte data da quel mio figlio così ossessionato dal
ricordo della moglie. Cosa dovrei fare? Adrien e Marinette sono innocenti,
eppure verranno coinvolto in tutto questo. Come posso salvare quei due
sventurati giovani?»
Marinette sospirò, mentre si lasciava andare sul letto: la giornata in
negozio era stata pesante e sua madre, dopo aver preparato tutto, era
sparita da qualche parte lasciandola completamente sola nella gestione dei
clienti. Non che questo la sorprendesse dato che, di tanto in tanto, la
donna se ne andava per qualche ora, senza spiegarle alcunché.
La ragazza si girò su un fianco, osservando il cappello nero che aveva
abbandonato sulla toeletta, assieme al pacchetto con il regalo che il
misterioso Chat Noir le aveva fatto: quello stupido cialtrone non le aveva
dato nessun orario, solo un appuntamento indefinito per quella sera.
Non ci sarebbe andata.
Non voleva problemi, voleva solo continuare la sua vita come sempre.
Un rumore dabbasso la fece balzare a sedere e, rimase in ascolto, finché
la porta della camera non si aprì e il viso dolce della madre apparve nel
piccolo spiraglio: «Com’è andata?» le domandò, sorridendole e aprendo un
poco di più l’uscio: «Ci sono stati problemi?»
«Il solito: Madame Mandeliev che brontola, la signora Césaire che ti
ricorda che domani siamo a cena da lei. Niente di nuovo.»
«Capisco» mormorò Sabine, spostando lo sguardo e notando il cappello scuro
sulla toeletta: «E quello?»
«Un giovane l’ha lasciato ieri in negozio» spiegò Marinette, non andando
tanto lontana dalla realtà: in fondo Chat Noir aveva veramente dimenticato
il cappello nella panetteria: «Se non viene a reclamarlo, è mio.»
«E’ un cappello da uomo, Marinette.»
«E’ bello.»
Sabine sbuffò, scuotendo il testa e alzando lo sguardo verso l’alto: «Vado
a dormire e anche tu dovresti. E’ stata una giornata pesante per
entrambe.»
«Stavo andando» spiegò la ragazza, allargando le braccia e facendole
notare dove era: non sarebbe andata a nessun appuntamento notturno,
quell’idiota l’avrebbe aspettata invano, sempre se fosse veramente andato
all’appuntamento. Chat Noir le aveva dato l’idea di uno che ci sapeva fare
e che regalava appuntamenti a destra e a manca.
«Buonanotte, Marinette.»
«Buonanotte, mamma.»
Adrien sospirò, alzando la testa e osservando il soffitto alto della
Chiesa, sorridendo quando sentì la pesante porta aprirsi alle sue spalle:
aveva pagato profumatamente il sacrestano per avere un po’ di intimità e
l’uomo aveva accettato con gioia il sacchetto di monete che lui gli aveva
messo davanti.
Si voltò, osservando la figura minuta che avanzava orgogliosamente verso
di lui: «Quello è mio!» esclamò, riconoscendo il cappello che Marinette
aveva in testa: «Devo…»
«Lo avete dimenticato ieri al negozio» dichiarò la ragazza, togliendosi il
copricapo e offrendolo a lui: «Sono venuta solo per rendervelo» continuò
decisa, tenendo il braccio teso davanti a lei: «Prendetelo.»
Adrien fece vagare lo sguardo dall’offerta di lei agli occhi azzurri che
lo fissavano decisi: «Sono innamorato di te» dichiarò per la seconda volta
e notando che le sue parole avevano provocato qualcosa: Marinette aveva
trattenuto il respiro e lo sguardo era ora velato da una lieve nota
triste.
«Prendete il vostro cappello.»
«Non vuoi darmi nemmeno una possibilità?»
«Non potete essere innamorato di me!» sbuffò Marinette, posando il
cappello su una delle panche e scuotendo il capo: «Non sapete chi sono,
non mi conoscete…»
«Tu…»
«Io sono la figlia di una prostituta, che non sa chi è suo padre e deve
lavorare nella panetteria che sua madre ha faticosamente aperto, per
permettermi un lavoro migliore di quello che lei faceva un tempo» sbottò
Marinette, voltandosi e dandogli le spalle: «Io…»
«Tu sei veramente interessante. Hai un carattere che…» Adrien si fermò,
scuotendo il capo: «Beh, non riesco a comprendere appieno ma voglio e ti
amo. Sì, penso proprio di amarti.»
«Monsieur Chat Noir, ve l’hanno mai detto che avete dei problemi?»
Chat Noir?
Adrien si portò le mani al volto, sentendo la maschera sotto i
polpastrelli: giusto. Era Chat Noir e lei parlava al suo alter ego.
Sorrise mesto, chinando la testa: «Anche il mio migliore amico me lo dice,
ma penso di non essere mai stato sicuro come lo sono su di te: mi hai
stregato e voglio…voglio…»
Un nitrito si levò da fuori della chiesa e i due corsero immediatamente
all’esterno, osservando la scena di un cavallo nero come la notte che
girava attorno a una giumenta dal pelo fulvo: «Plagg…» sospirò Adrien,
mentre il proprio cavallo muoveva la coda e dava lievi colpi con il muso
all’altra.
«Il vostro cavallo sta infastidendo la mia.»
«Più che altro ci sta provando…»
«Tikki non è interessata, mi pare.»
«Sta solo facendo la difficile. Come la sua proprietaria.»
«Io non faccio la difficile.»
«Oh sì. Vi ho dichiarato il mio amore e me lo avete sbattuto in faccia,
nonostante io vi piaccia.»
Marinette sbuffò, raggiungendo la propria cavalla e regalando
un’occhiataccia allo stallone nero: «Ci vediamo domani sera, Marinette?»
le domandò il biondo, avvicinandosi e prendendo le briglie del focoso
cavallo, trattenendolo dal correre dietro alle due e rendersi più
ridicolo.
«Sapete, quando date un appuntamento, dovreste essere più preciso con gli
orari.»
Adrien sorrise, tenendo la presa ferma sulle briglie e ignorando gli
strattoni di Plagg: «Domani, quando la campana della chiesa farà dieci
rintocchi, alle rovine poco fuori Parigi.»
«Non ci sarò.» dichiarò risoluta Marinette, con un sorriso sulle labbra
dando una lieve spronata alla giumenta e andandosene, lasciandolo solo il
giovane.
«Ci sarà» dichiarò Adrien, sorridendo: Marinette sarebbe venuta la sera
successiva, lo sapeva bene: «Lei ci sarà.»